BUONA PASQUA!


LA MIA BIBLIOTECA ROMANTICA
AUGURA BUONA PASQUA 
A TUTTE LE SUE AFFEZIONATE LETTRICI!


SE IN QUESTO WEEKEND PASQUALE OLTRE A FESTEGGIARE AVETE VOGLIA DI RILASSARVI CON UNA LETTURA ROMANTICA...
VI CONSIGLIAMO DI LEGGERE IL NUOVO STORICO DI LAURA NOTTARI
PUBBLICATA DA DRI EDITORE




... CI STA PIACENDO MOLTO E VE NE PARLEREMO PRESTO!



COME INIZIA IL ROMANZO...
1
Aprile 1827
Sua Grazia Lorenne Asbury, duchessa di Ethingale, dopo una minuziosa osservazione, convenne che il commodoro lord Esmond Theodore Lawrence, quinto conte di Rovington, stava invecchiando davvero malissimo.
Ormai ben oltre la soglia dei quarant'anni, i folti capelli neri del fratello maggiore avevano deciso di virare in un più consono tono brizzolato, soprattutto vicino alle tempie; lì erano stati davvero poco parsimoniosi. Non aveva più il viso giovane e disteso di un tempo, bensì quello di un uomo maturo... vissuto, volendo usare un aggettivo garbato. Come se non bastasse sfoggiava rughe, e tante, dovute alla perenne serietà, status che gli donava, in contropartita, un discreto successo con le donne. Cosa ci trovassero le dame londinesi in quel mare di acredine e sarcasmo poi, lo sapevano solo loro.
Sua Grazia conosceva il motivo di quel silente dissapore, era semplice: al fratello non era mai piaciuta Londra.
L’inverno fatto di balli, ricevimenti, cene e politica era stato una tortura psicologica non indifferente per lui, mesi di martirio sociale sopportati comunque con compostezza e remissività, da valente ufficiale di marina, uno al quale il malumore sembrava aver infettato la vita, e infine l'aspetto. E non che quell'aria severa non gli donasse, tutt'altro!, solo che aveva il pessimo difetto di andare a braccetto con un carattere parimenti sgradevole, una discutibile e svogliata applicazione dell'etichetta, sorrisi scarsi e parlantina spesso non pervenuta.
Un muto avrebbe saputo fare di meglio, specie se sprezzante come lui.
Non paga, la duchessa ne passò infine in rassegna la tenuta, proprio come era solita fare prima di ogni occasione formale. Il valletto era stato impeccabile e aveva scelto per il suo signore abiti consoni per la serata, un po' scuri, sì, ma eleganti. Si accorse con disappunto che gli stivali, sebbene lucidi, erano sporchi di fango a causa della pioggia che si era abbattuta su Londra, diluvio che picchiettava forte sul tetto della carrozza e che non accennava a placarsi.
Annoiata dalla lunga tratta, infastidita dai sobbalzi dovuti alle strade accidentate e altresì dall'imperturbabile e noioso silenzio del suo parente, Sua Grazia decise di provare a infastidire quest'ultimo, tanto per passare il tempo.
“Esmond” lo chiamò civettuola, “sai che hai delle nuove rughe attorno agli occhi?”
L’interessato non rispose né si voltò, continuò a fissare la città che scorreva, lampione dopo lampione, oltre i vetri appannati del veicolo. Roteò però il bastone da passeggio tra le mani guantate, segno che almeno era vivo.
“Esmond sul serio, ritengo che dovresti fare qualcosa per il tuo aspetto. Sei sfiorito in questi ultimi mesi, ti sei visto allo specchio?” ancora nessuna risposta. “Che ne dici se questa primavera ci trasferiamo a Bath? Un po' di aria salubre non può che giovarti.”
Il conte corrucciò la fronte e socchiuse gli occhi, in pratica aveva esaurito in un sol colpo il novanta per cento del suo repertorio espressivo facciale.
La duchessa sbuffò innervosita, un nuovo scossone la costrinse a trovare una sistemazione più comoda sul divanetto. Distese le pieghe dell'abito color porpora che aveva scelto per la serata, e controllò che i capelli fossero a posto. Il fratello, allungato sulla seduta, puntellò stivale e bastone contro il divanetto davanti a sé.
“Tuo padre è un pessimo esempio per te, Howard” scandì la donna, e il giovane seduto dirimpetto alzò gli occhi dal libricino che stava leggendo, regalandole uno dei suoi irresistibili sorrisi.
Ecco: Howard Lawrence, visconte di Evermoth era ciò che lei avrebbe definito il nipote perfetto. Alla nascita aveva ereditato tutti i tratti migliori dei genitori, e nei suoi venti anni li aveva cuciti insieme a un carattere intelligente, curioso, educato e rispettoso. Se lui e suo padre non si fossero assomigliati come due gocce d'acqua c'era davvero da scommettere che Howard fosse il figlio di qualcun altro: qualcuno più educato, socievole e soprattutto vitale.
“Lo sapete che mio padre mal sopporta le sere di gala” lo giustificò il ragazzo, “è qui per accompagnarvi, quindi non siate troppo dura con lui. Piuttosto, apprezzate il gesto.”
“Sei troppo indulgente nipote” si sporse verso il giovane e con dita agili prese a sistemargli le pieghe del fazzoletto. “Hai fatto bene a scegliere un colore chiaro” disse, “l'avorio dona meravigliosamente al tuo incarnato. Almeno non finirai per sembrare un corvo come il vecchio seduto accanto a te.” Armeggiò con il panciotto ed ecco: era tutto in ordine. Voleva che il nipote fosse perfetto, anzi, lo pretendeva. Lei era perfetta, quindi i suoi cavalieri dovevano essere altrettanto... almeno uno su due.
“La sua camicia è bianca, zia, il gilet bordeaux” lo difese ancora il ragazzo “e sono quasi sicuro che la giacca sia blu, non nera.”
“Ci saranno parecchie giovani in cerca di marito stasera” lo ignorò la duchessa, “sono certa che avrai modo di trovarne una di tuo gradimento. Ne ho viste diverse guardarti con occhi languidi, e molte di loro hanno un buon nome alle spalle e famiglie impeccabili.”
“Quali?” domandò il visconte, tutto d'un tratto incuriosito.
“La figlia maggiore del duca di Howelton. L'ho sentita più volte tessere le tue lodi. È giovane e...”
“La figlia maggiore del duca di Howelton è stupida come un asino.” La voce del conte riemerse dalle profondità nelle quali era sprofondata da quando aveva messo piede fuori di casa, e come sempre lo fece a modo suo; ovvero come gli pareva. “La sua risata tempo, bensì quello di un uomo maturo... vissuto, volendo usare un aggettivo garbato. Come se non bastasse sfoggiava rughe, e tante, dovute alla perenne serietà, status che gli donava, in contropartita, un discreto successo con le donne. Cosa ci trovassero le dame londinesi in quel mare di acredine e sarcasmo poi, lo sapevano solo loro.
Sua Grazia conosceva il motivo di quel silente dissapore, era semplice: al fratello non era mai piaciuta Londra.
L’inverno fatto di balli, ricevimenti, cene e politica era stato una tortura psicologica non indifferente per lui, mesi di martirio sociale sopportati comunque con compostezza e remissività, da valente ufficiale di marina, uno al quale il malumore sembrava aver infettato la vita, e infine l'aspetto. E non che quell'aria severa non gli donasse, tutt'altro!, solo che aveva il pessimo difetto di andare a braccetto con un carattere parimenti sgradevole, una discutibile e svogliata applicazione dell'etichetta, sorrisi scarsi e parlantina spesso non pervenuta.
Un muto avrebbe saputo fare di meglio, specie se sprezzante come lui.
Non paga, la duchessa ne passò infine in rassegna la tenuta, proprio come era solita fare prima di ogni occasione formale. Il valletto era stato impeccabile e aveva scelto per il suo signore abiti consoni per la serata, un po' scuri, sì, ma eleganti. Si accorse con disappunto che gli stivali, sebbene lucidi, erano sporchi di fango a causa della pioggia che si era abbattuta su Londra, diluvio che picchiettava forte sul tetto della carrozza e che non accennava a placarsi.
Annoiata dalla lunga tratta, infastidita dai sobbalzi dovuti alle strade accidentate e altresì dall'imperturbabile e noioso silenzio del suo parente, Sua Grazia decise di provare a infastidire quest'ultimo, tanto per passare il tempo.
“Esmond” lo chiamò civettuola, “sai che hai delle nuove rughe attorno agli occhi?”
L’interessato non rispose né si voltò, continuò a fissare la città che scorreva, lampione dopo lampione, oltre i vetri appannati del veicolo. Roteò però il bastone da passeggio tra le mani guantate, segno che almeno era vivo.
“Esmond sul serio, ritengo che dovresti fare qualcosa per il tuo aspetto. Sei sfiorito in questi ultimi mesi, ti sei visto allo specchio?” ancora nessuna risposta. “Che ne dici se questa primavera ci trasferiamo a Bath? Un po' di aria salubre non può che giovarti.”
Il conte corrucciò la fronte e socchiuse gli occhi, in pratica aveva esaurito in un sol colpo il novanta per cento del suo repertorio espressivo facciale.
La duchessa sbuffò innervosita, un nuovo scossone la costrinse a trovare una sistemazione più comoda sul divanetto. Distese le pieghe dell'abito color porpora che aveva scelto per la serata, e controllò che i capelli fossero a posto. Il fratello, allungato sulla seduta, puntellò stivale e bastone contro il divanetto davanti a sé.
“Tuo padre è un pessimo esempio per te, Howard” scandì la donna, e il giovane seduto dirimpetto alzò gli occhi dal libricino che stava leggendo, regalandole uno dei suoi irresistibili sorrisi.
Ecco: Howard Lawrence, visconte di Evermoth era ciò che lei avrebbe definito il nipote perfetto. Alla nascita aveva ereditato tutti i tratti migliori dei genitori, e nei suoi venti anni li aveva cuciti insieme a un carattere intelligente, curioso, educato e rispettoso. Se lui e suo padre non si fossero assomigliati come due gocce d'acqua c'era davvero da scommettere che Howard fosse il figlio di qualcun altro: qualcuno più educato, socievole e soprattutto vitale.
“Lo sapete che mio padre mal sopporta le sere di gala” lo giustificò il ragazzo, “è qui per accompagnarvi, quindi non siate troppo dura con lui. Piuttosto, apprezzate il gesto.”
“Sei troppo indulgente nipote” si sporse verso il giovane e con dita agili prese a sistemargli le pieghe del fazzoletto. “Hai fatto bene a scegliere un colore chiaro” disse, “l'avorio dona meravigliosamente al tuo incarnato. Almeno non finirai per sembrare un corvo come il vecchio seduto accanto a te.” Armeggiò con il panciotto ed ecco: era tutto in ordine. Voleva che il nipote fosse perfetto, anzi, lo pretendeva. Lei era perfetta, quindi i suoi cavalieri dovevano essere altrettanto... almeno uno su due.
“La sua camicia è bianca, zia, il gilet bordeaux” lo difese ancora il ragazzo “e sono quasi sicuro che la giacca sia blu, non nera.”
“Ci saranno parecchie giovani in cerca di marito stasera” lo ignorò la duchessa, “sono certa che avrai modo di trovarne una di tuo gradimento. Ne ho viste diverse guardarti con occhi languidi, e molte di loro hanno un buon nome alle spalle e famiglie impeccabili.”
“Quali?” domandò il visconte, tutto d'un tratto incuriosito.
“La figlia maggiore del duca di Howelton. L'ho sentita più volte tessere le tue lodi. È giovane e...”
“La figlia maggiore del duca di Howelton è stupida come un asino.” La voce del conte riemerse dalle profondità nelle quali era sprofondata da quando aveva messo piede fuori di casa, e come sempre lo fece a modo suo; ovvero come gli pareva. “La sua risata sembra un raglio, e non l'ho sentita mai parlar d'altro che di gatti e teiere. Dimmi figlio, vuoi passare la vita a sentir ragliare di gatti e teiere?” Si voltò poi verso i suoi accompagnatori e gli occhi grigi e seri del genitore incontrarono quelli azzurri del figlio, il quale frenò una risata scuotendo il capo.
“No, non direi padre” rispose con un sorrisetto, “preferirei una compagnia migliore. Più... variegata.”
“Appunto.”
“Es, fratello, ti ricordo che Howelton è un duca” lo ragguagliò la duchessa.
“Lor, sorella” la apostrofò il conte “ti ricordo che in famiglia i soldi non mancano, così come mio figlio non manca di intelligenza, o perlomeno ne ha quanto basta per sapersi scegliere una moglie decente. Non dico passabile, ma decente. Lascialo in pace e non pressarlo” la ammonì, e lo sguardo che le rivolse era uno dei suoi tanti, categorici: argomento chiuso.
Ah, era maestro di sguardi suo fratello. Complice l’aspetto severo, complici il freddo color grigio verde delle iridi e il tono basso della voce, in quarantaquattro anni di età il commodoro in congedo era diventato ammiraglio indiscusso di una nuova ed efficacissima arte: quella di gelare le persone su due piedi e talvolta senza neanche aprir bocca.
Non sua sorella, ovviamente, con lei non ci era mai riuscito. Urgeva un ragguaglio.
“È il tuo unico erede” gli ricordò, impassibile come una statua, “è essenziale assicurare che il casato...”
“Quale casato?” domandò Esmond troncandole ancora una volta il discorso, “Il nostro o quello di tuo marito? Non si può certo definire un matrimonio riuscito il vostro.”
La duchessa, punta nel vivo dell’orgoglio, si difese piccata “Il futuro del visconte non è un gioco, Esmond. Ti rammento, visto che mi sembra ce ne sia bisogno, che io e il duca di Ethingale abbiamo avuto tre figli: un maschio e due femmine. John è sposato, Margareth è moglie di un visconte e Lorelai ha solo cinque anni, ma sono sicura che anche lei non mi deluderà in quanto a partito.”
“Oh non ho dubbi, dato che anche a lei imporrai un ingessato imbecille di tua scelta” controbatté Esmond, “suppongo però che il giorno in cui hai concepito Lorelai, coincida anche con l'ultima volta che hai visto il tuo amatissimo consorte. Dove si trova ora? Parigi? Roma? Dove si è andato a rintanare da sei anni a... Aspetta sorella... oh dieux! I conti non tornano!” e rise, alla faccia della discrezione.
“Ma... Esmond! Come ti permetti?” esclamò basita. Era incredibile quanto suo fratello sapeva essere sconveniente quando voleva. Quasi quasi lo preferiva in versione muta.
“Non giocare con il futuro di mio figlio, Lorenne” incalzò il conte tornando a sedersi composto, “deciderà lui della sua vita. Penso di essere stato chiaro.”
“Vi ringrazio padre ma non siate severo, la zia voleva solo prestare aiuto” la difese il visconte, diplomatico come suo solito.
“Giovane ingenuo” rispose Esmond poggiandogli una mano sulla gamba “sappi che gli aiuti di tua zia sortiscono effetti più nefasti delle piaghe d’Egitto, o dei Cavalieri dell’Apocalisse scesi in terra. Tutti e quattro insieme. Fuggi finché sei in tempo, io non posso correre ma tu sì, e ricorda di non voltarti o ti tramuterai in una statua di sale.”
Lorenne li guardò ridere e sospirò, quei due uomini, insieme, erano verbalmente invincibili. Entrambi alti, fieri e amici ancor prima di essere padre e figlio. La loro intrinseca complicità si traduceva per lei in una battaglia persa. “Dovresti trovarti una moglie anche tu, fratello” sancì lo stesso, decisa fino all'ultimo a far valere le sue buone ragioni. “Una adeguata al tuo rango. Sei solo da troppo tempo, lo dice tutto il ton. C’è bisogno di una nuova contessa di...”
“No,” la gelò l'interessato, “categoricamente no. Sono vecchio per queste cose.”
“Non vecchio abbastanza per intrattenerti con donne di dubbio gusto” ironizzò lei, “era di pelle nera l'ultima, o sbaglio?”
“Aaah sì,” rispose il conte con tono ammaliato “nera e liscia come l’ebano. Algerina per la precisione. Il tuo interesse per la mia vita privata è scabroso, lo sai? Per favore figlio, cerca di non ascoltare tutto questo sciorinare, credo che tua zia abbia ecceduto con lo Sherry, oggi pomeriggio.”
“Sei tu quello che eccede con l’alcol, caro Esmond” lo corresse la sorella, “bevi a ogni ora, anche a colazione, e pronunci oscenità gratuite davanti a tuo figlio.”
“Comincia a condividere meno colazioni con me e non mi vedrai più bere. Problema risolto.”
“Prima di trovar moglie” si intromise Howard, “vorrei chiedervi, padre, l'autorizzazione a partire per un viaggio.”
“Partire?” domandò perplesso il genitore “In viaggio per dove? Per cosa? A fare che?”
“I miei amici visiteranno l’Italia dopo l’estate” spiegò timido, “mi piacerebbe andare con loro prima di... ecco... accasarmi.”
“L’Italia!” esclamò entusiasta la zia “È una splendida idea! È un paese incantevole, ricco di arte e storia. Un viaggio simile non potrebbe che arricchirti.”
“Penso si spingeranno fino a Pompei” la informò il ragazzo, infervorato dall'appoggio. ...
VI DIAMO APPUNTAMENTO 
AI PROSSIMI GIORNI 
PER LA NOSTRA RECENSIONE DEL ROMANZO DI LAURA NOTTARI.



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