*NOTA*: Questo racconto continua idealmente la storia del racconto estivo CHICAGO SUMMER che potete leggere QUI.
Prologo.
12 giugno.
AJ Todd
non avrebbe mai pensato di sentirsi nervoso per un colloquio di lavoro. Quel
Roland Xavier con cui aveva parlato al telefono sembrava una persona colta, ma
si riservava di giudicare dopo averlo incontrato. Era già stato informato del
numero di candidati scartati, quasi lo volessero far rinunciare ancora prima di
aver sostenuto il colloquio. AJ non era arrendevole per natura, altrimenti
avrebbe abbandonato il BUD's appena resosi conto delle difficoltà oggettive
dell'addestramento.
Era però
sicuro di una cosa: dopo tutto quel tempo trascorso in ospedale, doversi
reinventare la vita era destabilizzante, ma non voleva nemmeno passare il resto
della propria esistenza a carico del Governo.
A
trentadue anni aveva ancora tanto da dare.
14
novembre
«Un
ottimo lavoro, Roland» commentò Adonais, rimettendo i documenti nella cartellina.
L'uomo
seduto dietro la scrivania sorrise. «Grazie, capo.»
Malthus
si alzò in piedi, stirando le pieghe dei pantaloni del completo Versace,
rispondendo al sorriso con una smorfia.
«Niente
“capo”, Roland. Il locale è andato avanti per merito tuo, non mio.»
«Avevi
altro a cui pensare, Adonais. Ed è solo un club, non un impero. Non è stato
questo grande impegno.» L'uomo si alzò a sua volta. «I primi tempi sono stati
duri, l'estate non sembrava mai voler finire. Adesso che sta arrivando il
freddo, abbiamo già visto la differenza.»
Adonais
sorrise appena. «Hai avuto problemi con il personale? Hai eseguito controlli?»
Roland
annuì. «Il servizio di sicurezza della Malthus Enterprise è stato utile. Anche
il tuo amico Angel. Quel ragazzo è un segugio, non molla la presa finché non ha
raggiunto l'obiettivo. Il mese scorso ha scoperto che uno dei camerieri era
stato assunto con un nome falso. Lui e il nostro capo della sicurezza l'hanno
ripassato finché non hanno saputo la verità, e io l'ho licenziato in tronco.»
«Bene»
commentò, fingendo indifferenza.
Erano
passati mesi, nominare Angel non gli procurava più uno spasimo al petto. La
delusione e quella punta di dolore per la scelta dell'investigatore erano ormai
alle spalle, ma non poteva negare di provare interesse per lui. Per questo gli
aveva offerto un lavoro di revisore
delle assunzioni, da sommare al servizio fornito dalla propria sicurezza
privata. Era sicuro che il suo compagno avesse cercato di dissuaderlo, senza
riuscirci. Quel mannaro era una testa dura, oltre che un ottimo poliziotto.
Tutto sommato, poteva dirsi contento che
il suo detective preferito avesse trovato un compagno così premuroso e
innamorato. I lupi erano creature selvagge, ma se avevi la loro lealtà e la
loro fiducia, era per la vita.
«Adonais.»
Alzò lo
sguardo su Roland. Il vampiro più anziano aveva un'aria preoccupata, mentre gli
si avvicinava.
«Tutto
bene?»
Annuì.
«Benissimo.»
Ripensò
agli ultimi mesi, ai consigli indetti per ragguagliare le altre famiglie sul
tradimento di Conner Finch, alla mole di lavoro che gli era piombata addosso
inaspettata. Non immaginava che altri condividessero le opinioni del vampiro
morto, ma non aveva alcuna intenzione di vedere scorrere il sangue degli umani
o dei mutaforma solo perché c'era chi si sentiva superiore.
La loro
specie era minore per numero, ma in quanto ad aggressività non c'era da
scherzare. Non che i mutaforma fossero da meno, anche se dipendeva
essenzialmente dalle loro caratteristiche animali. Non potevi essere un
violento se discendevi da un basset hound. Il discorso cambiava quando
si trattava di un mannaro, come nel caso del compagno di Angel. Seth Rogers era
una terza generazione molto diluita ma, anche se non poteva mutare, la forza e
la combattività non gli mancavano di certo.
Aveva
fatto il nome dell'investigatore a diversi conoscenti, procurandogli parecchio
lavoro, ma era stato attento al fatto che non fossero pericolosi. Non come
quello per cui l'aveva assunto lui stesso quattro mesi prima. Se Angel avesse
dovuto rischiare ancora la vita, Seth Rogers non glielo avrebbe perdonato. Un
mannaro incazzato era pericoloso. E letale.
«...e il
nostro capo della sicurezza.»
Adonais
gettò un'occhiata a Roland, intento a fissarlo. Sospirò.
«Scusami,
non stavo ascoltando.»
«L'avevo notato»
disse l'altro con un mezzo sorriso. «Non avrei dovuto insistere per farti
venire, mi dispiace. So quanto lavoro hai e quanto te ne è piovuto addosso
negli ultimi mesi.»
«Forse è
un bene che tu l'abbia fatto, amico mio» replicò. Era stanco. Tra acquisizioni
e vendite, propri del suo lavoro come presidente della Malthus Enterprise,
aveva dovuto inserire riunioni con i chief managers delle aziende
satelliti. Senza contare la messa in sicurezza del sigillo perché non si
verificasse un altro furto come quello avvenuto in estate. Aveva rasentato la
catastrofe.
Quell'ultimo
pensiero gli fece tornare alla mente le ultime parole di Roland.
«Cosa
stavi dicendo del capo della sicurezza?»
«Mi hai
sentito, allora.» Gli si avvicinò. «Volevo fartelo conoscere. È impegnato nei
controlli nelle sale, ma credo che potremmo scambiare due chiacchiere prima che
tu te ne vada.»
Adonais
gemette tra sé. Voleva solo bere uno scotch e tornarsene a casa. Non
aveva voglia di incontrare nessuno e tanto meno conoscere un capo della
sicurezza di mezz'età, con la pancia e la calvizie incipiente. Voleva
crogiolarsi un po' nell'autocommiserazione.
«Proprio
quello che vorrei evitarti.»
Guardò
Roland. Non aveva schermato la mente. L'amico poteva aver ascoltato
tutti i suoi pensieri. Lo vide arrossire un po' e si rese conto di avere
indovinato.
«Sto
invecchiando, Roland. Dovrei essere più attivo di così.»
L'altro
sorrise. «E io che dovrei dire? Ho solo un centinaio d'anni più di te, sai?»
Gli posò una mano sulla spalla, e gli concesse di lasciarcela. In effetti era
l'unico che avesse il permesso di poterlo fare. Di quando in quando.
Un ghigno
gli spuntò sulle labbra.
«Tu hai
qualcosa in mente, non è così?»
«Niente
affatto» si difese il vampiro. «Voglio solo che lasci quella dannata scrivania
per qualche ora la sera e venga qui a vedere gente. Trovo che tu sia troppo
solo, Adonais.»
Si mise a
ridere. «Ma ti senti, Roland? Non ho il tempo per farlo. C'è troppo in gioco.»
«Se
dedichi un po' di tempo a te stesso non sarà una delazione nei confronti delle
tue responsabilità. Una mente serena lavora meglio.»
Avrebbe
voluto dedicarsi a se stesso – e a Angel – tempo prima, quando aveva
creduto di interessare all'umano in modo molto più che amichevole. Gli era
andata male. E ne aveva sofferto, anche se non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto
tortura. Quel periodo era passato. Il suo cuore, sempre che ne avesse uno, era
chiuso in uno spesso strato di metaforico cemento.
D'altra
parte, le parole di Roland non erano lontane dal vero. Era solo. Si sentiva
solo. Era tutto sbagliato.
La mano
sulla spalla strinse leggermente e si trovò a fissare il direttore del locale
negli occhi. Sapeva che lui lo capiva e lo sosteneva. Era per questo che la
loro amicizia durava da secoli.
«Allora,
ti posso presentare AJ?»
Inarcò le
sopracciglia. Aveva sempre odiato i monogrammi. Gli umani sembravano andarne
pazzi.
«Un
umano?»
«Oh sì.
Quando si è presentato al colloquio, ho avuto la strana sensazione che fosse un
mutaforma della stirpe di Gustafsson. Te lo ricordi, quel dannato
guastafeste?»
Un orso?
Che razza di uomo era se Roland lo scambiava per un discendente del re in
persona?
«Ho
dovuto farlo uscire dall'ufficio e assicurarmi che il mio olfatto non fosse
andato in vacanza.»
«E quando
è rientrato?» gli chiese divertito.
«Non è un
orso, questo è sicuro. È umano al cento percento.»
Adonais
sorrise. «Andiamo a conoscere questo campione, avanti.»
Si
incamminò verso la porta, e il telefono sulla scrivania squillò. Roland andò a
rispondere, facendogli cenno che sarebbe arrivato subito.
Adonais
scrollò la testa. Sperò solo di potersene andare al più presto. Aprì la porta e
uscì nel corridoio che dagli uffici portava al locale vero e proprio. La musica
giungeva attutita, così come il chiacchiericcio. Attraversò il passaggio in
penombra ed entrò nella sala cocktail, piena di gente elegante.
Il
barista era al suo posto, la cosa più importante. Era il momento di prendere
quello scotch.
§
Le tre
sale erano piene. Aveva già fatto un giro, controllando discreto gli ospiti, e
scambiato due parole con gli uomini della squadra di sicurezza.
Un saluto
ad Angel e Seth, seduti a godersi i loro drink, e poi si era fermato nella sala
coktail, vicino a una parete. Poteva fingere di passare inosservato, e
stava davvero tentando di farlo, ma dubitava che con la propria mole ci potesse
riuscire. Era sfuggito per un soffio alle attenzioni fin troppo ovvie di due
ragazze poco vestite che lo avevano bloccato mentre tornava dall'ingresso.
Aveva girato la testa per nascondere la cicatrice, ma sembrava essere proprio
quella ad attirare gli sguardi ammirati delle donne e di quelle due in
particolare. Era sgusciato via, ignorandole, udendo le loro esclamazioni di
disappunto e fregandosene.
Scrutò la
gente, gli occhi socchiusi, poi lo sguardo gli si puntò su un uomo appena
uscito dal corridoio che portava agli uffici. Si irrigidì ed entrò in modalità
controllo.
Era
elegante, più della maggior parte degli ospiti, con un completo scuro che
doveva portare il nome di qualche stilista italiano. Molto alto, spalle larghe,
capelli scuri e lunghi, pettinati all'indietro. Più o meno della sua età.
Ma fu il
volto a colpirlo.
La luce
era fievole, ma anche a quella distanza poteva vedere che era bello. Un
aggettivo riduttivo, a dirla tutta. Era molto più che bello, aristocratico
addirittura, ma AJ concentrò il suo livello di attenzione su altro.
Non aveva
né tempo né voglia di relazionarsi con altri esseri umani che non fosse per
lavoro, per quanto appetibili fossero. Perciò sorvolò su tutto il resto e si
chiese soltanto il perché della sua presenza in quella zona specifica. A
meno che non fosse un ospite di Roland, ma in tal caso il direttore gliene
avrebbe parlato.
Si
raddrizzò, pronto ad andare a chiedere spiegazioni, quando proprio Roland uscì
dal corridoio e affiancò l'oggetto del suo interesse, iniziando a parlare con
lui.
AJ tornò
ad appoggiarsi al muro, lieto di non dover intervenire e che la penombra lo
celasse allo sguardo dei più.
Si
rilassò appena, come capo della sicurezza doveva essere sempre pronto per
qualsiasi evenienza, se uno del suo gruppo avesse segnalato un problema.
Ma quello
stato di calma apparente durò un solo misero istante.
Roland e
il suo ospite si stavano dirigendo proprio verso di lui.
§
Si
sentiva osservato. Adonais restò fermo, guardando le persone che
chiacchieravano, cercando di ascoltare quello che l'istinto gli suggeriva. Al
suo naso arrivavano gli odori più disparati, e cominciò a catalogarli, finché
non lo trovò. Un lieve profumo di agrumi che lo fece vibrare.
Seguì
l'effluvio con i sensi e lo sguardo, e lo vide, appoggiato alla parete. Aveva
la testa girata in un'altra direzione, ma era sicuro che fino a un istante
prima i suoi occhi fossero posati su di sé.
Doveva
essere alto almeno quanto lui; i capelli erano corti, castano chiari o forse
biondo scuro, con un taglio alla militare che lasciava scoperta la nuca. La
maglia nera a collo alto e la giacca marrone enfatizzavano la larghezza delle
spalle e lo rendevano sexy oltre misura.
Cercò di
sondare i pensieri, ma si scontrò con un muro. Aggrottò la fronte. Era raro che
gli capitasse se aveva a che fare con gli umani. E quello era un umano.
Eppure non riusciva a oltrepassare la barriera per ascoltare ciò che stava
pensando.
Fece per
dirigersi verso di lui, quando Roland arrivò.
«Hai già
preso un drink, Adonais?»
«Stavo
per farlo adesso.» In realtà l'obiettivo era cambiato, ma omise di dirlo.
«Aspetta,
ecco AJ. Posso presentartelo?»
Udì la
nota esitante nella voce del vecchio amico, ma non voleva dargli una delusione
e acconsentì con un cenno, seguendolo. Quando si accorse che la persona con un
monogramma per nome era lo stesso da cui stava per andare prima che arrivasse
Roland, il suo interesse aumentò in maniera esponenziale.
Niente
pancia e calvizie, per questo capo della sicurezza.
Lo vide
guardarli, raddrizzarsi, ma senza muovere un passo. Il suo volto era un
concentrato di energia virile estremamente seducente.
«AJ,
cercavo proprio te» gli disse Roland, quando arrivarono alla sua altezza.
Niente
sorrisi, solo un blando interesse per chi era andato a disturbarlo.
Adonais
provò l'irrazionale impulso di sbatterlo contro il muro e baciarlo fino a
fargli perdere quell'espressione indifferente. Corrugò le sopracciglia: un
momento, aveva davvero pensato a quello?
Lo
squadrò, e sul suo volto calò la stessa maschera di indifferenza.
«Adonais,
ti presento AJ Todd. AJ, il signor Adonais Malthus.»
L'uomo
non sembrava sorpreso di trovarsi al cospetto del capo supremo. Educato,
allungò la mano.
«Signor
Malthus, è un onore.» Voce baritonale, profonda. Sexy quanto lui.
Ignorò la
mano tesa, e l'altro l'abbassò senza cambiare espressione. Se era rimasto
colpito dalla sua scortesia non lo diede a vedere. In realtà si era dovuto
sforzare per non prenderla e stringerla, rischiava davvero di far diventare
concreta l'assurda fantasia di poco prima.
«AJ?»
ripeté invece. Nella sua voce vibrò un tono di disprezzo. Odiava sigle e
acronimi, soprattutto se considerati un nome.
«Scusa,
Adonais, ma noi lo chiamiamo così.» Roland sembrava costernato.
«Andrew
Jackson Todd» rispose l'uomo.
«Andrew»
ripeté Adonais, arrotando la lingua sulla erre.
§
Ci
mancava il padrone della baracca. Arrogante, borioso fin sopra i suoi
acconciatissimi capelli. E con una bocca da baciare.
Non gli
aveva stretto la mano, aveva voluto sapere il suo nome per intero. Lo odiava.
Ma quando
aveva arrotolato la erre, neanche fosse un tappeto, una scarica di pura
eccitazione lo aveva attraversato, lasciandolo tramortito.
Puoi
chiamarmi quando vuoi, capo.
Si
schiarì la voce, temendo di fare qualche figuraccia, per esempio affondare le
dita in quei capelli lunghi e lisci, tanto per fare qualcosa, quando a salvarlo
arrivarono Angel e il suo compagno. L'investigatore privato e il poliziotto.
Il suo
cervello sospirò di sollievo per l'interruzione.
«Eccovi!»
Angel alzò la mano chiusa a pugno e lui la colpì appena con la propria, facendo
lo stesso con Seth.
Si girò a
guardare il direttore e il padrone del vapore: sul viso di quest'ultimo c'era
un'espressione che sembrava la quintessenza del disprezzo. Oh oh, quei modi da macho
non facevano per lui.
Non era
professionale ed etico ridere del proprio datore di lavoro, ma si concesse un
ghigno mentale. Dopotutto, da quando il Club aveva aperto era la prima volta
che il proprietario si degnava di mostrare la propria faccia. Non poteva
mettersi a discutere sulle scelte di Roland riguardo il personale, o
sull'impegno che ci aveva messo Angel nel controllare ogni singola virgola dei curricula
dei candidati, compreso il suo. Non che ci fosse molto da scrivere, nel proprio
curriculum.
L'investigatore
aveva iniziato a chiacchierare con Malthus, e AJ registrò un particolare
curioso. L'impeccabile uomo d'affari aveva perso quella sua aria saccente
mentre parlava con Mallory. Per contro, Seth Rogers era rigido come un manico
di scopa. Il poliziotto e il miliardario sembravano rivali.
Li
valutò, cercando di scoprire dalle loro posture quando e come sarebbero giunti
a uno scontro, ma tutto finì con una stretta di mano tra Malthus e Angel e un
lieve cenno di Seth in direzione del padrone del Club.
Tutto
sommato, non avrebbe dovuto far pulire il pavimento di marmo dal sangue di uno
dei due.
Adonais
Malthus si rivolse al direttore, ignorandolo nel modo più assoluto.
«Un buon
lavoro, Roland. Mi fa piacere che Angel possa esserti stato utile.»
Xavier
sorrise. Sembrava davvero contento delle parole appena dette. AJ apprezzò che
gli fosse stato riconosciuto l'impegno di come aveva organizzato il Club.
Roland era un brav'uomo, aveva avuto modo di conoscerlo in quei mesi.
«Anche AJ
si è dato da fare» replicò il direttore.
Uno
sguardo noncurante, e capì che Malthus si era già dimenticato di lui. Per una
qualche stupida ragione, si risentì della cosa, ma non poteva certo protestare
contro l'indubbia offesa senza essere messo alla porta. Inghiottì il boccone
amaro. Non sapeva perché, ma non incontrava il favore di quell'uomo.
§
«Non sei
stato molto gentile.»
Adonais
distolse lo sguardo dal capo della sicurezza, che si era scusato e ora si stava
dirigendo verso il corridoio del settore privato. Per un attimo, aveva ammirato
la struttura possente di quel corpo nascosta dagli abiti, immaginandola...
Il
commento di Roland interruppe i suoi pensieri e gli fece inarcare le
sopracciglia.
«Mi stai
rimproverando? Non immaginavo che quel tizio ti stesse a cuore.»
«È una
brava persona, dedita al lavoro. Davvero, Adonais, mi dispiace che non ti vada
a genio.»
Strinse
appena le labbra. «Lo trovo indisponente.»
Il
direttore sorrise. «È l'effetto che fa a tutti, appena lo incontrano. Ma
basterebbe conoscerlo meglio, per capire di che pasta è fatto. È un ex SEAL,
sai?»
Un SEAL?
Era la spiegazione per i capelli cortissimi e il fisico imponente. Quando si
era voltato a guardare Angel e Seth, aveva anche notato le cicatrici sul lato
destro del volto, che correvano dalla tempia alla mandibola, lasciando liberi
l'orecchio e parte della guancia. Un reticolo di striature biancastre.
«E cosa
ci fa qui?»
«È stato
congedato per motivi di salute. Forse non sarà più in grado di compiere una
missione, ma qui ha fatto e sta facendo un lavoro egregio.»
Adonais
lo guardò sorpreso. Di rado aveva udito quel tono ammirato nella voce di
Roland.
«Un
congedo forzato, eh?» Non poté evitare comunque di essere ironico. L'ex SEAL
trasudava fascino e testosterone da ogni poro, ma lo trovava indisponente.
Arrogante. Insolente.
«Penso
abbia a che fare con la cicatrice che ha sul viso» continuò Roland. «Ho provato
a scavare più a fondo, ma il file al Pentagono è secretato.»
«Non
dirmi che hai forzato il firewall governativo.» Era sbalordito, e anche
un po' preoccupato, dall'iniziativa dell'amico.
«Niente
affatto.» Roland sembrava offeso anche solo dal fatto che avesse potuto
pensarlo. «Ho chiesto a Richard Tate, ma nemmeno lui ha potuto entrare.
Comunque le cose importanti le avevo già sapute.»
«Davvero?»
Era ancora sorpreso dall'intraprendenza del direttore.
«Beh, è
stato insignito di una Purple Heart e di una Navy Cross. Qualcosa
di buono deve averlo pur fatto, non ti pare?»
L'unica
cosa che al momento gli sembrava più sensata era di avere, forse, sottovalutato il carattere e il fascino del
suo capo della sicurezza. Poche persone entravano nelle grazie di Roland. Se
l'uomo di cui stavano discutendo era fra queste, o all'amico improvvisamente piacevano
i maschi, oppure l'umano aveva un potenziale che lui non si era premurato di
cogliere. Si scoprì a sorridere: uscire dall'ufficio più spesso, come gli aveva
suggerito Roland, e andare al Club stava diventando un'attrattiva stimolante.
18
novembre.
Eccolo di
nuovo. Bello, raffinato e pieno di sé.
AJ si
chiese per l'ennesima volta come quell'uomo potesse raggruppare nella sua
persona tutte quelle caratteristiche. Da quando era comparso il sabato
precedente, non era mancato una sola sera.
Aveva
fatto di tutto per restargli alla larga, la scusa che non poteva fermarsi a
parlare era stata accolta da Roland con un'alzata di sopracciglia e
un'espressione scettica. Aveva un'ottima squadra, se fosse mancato una decina
di minuti non sarebbe stata una tragedia.
La realtà
era che lo infastidiva la palese mancanza di interesse nei propri confronti da
parte del gran capo, anche se la cosa non avrebbe dovuto sorprenderlo. Era pur
sempre un dipendente, non un amico come il direttore del Club. O come sembrava
esserlo Angel.
Inoltre,
faticava a resistere a quell'ondata di desiderio che lo investiva non appena lo
vedeva. Non gli capitava da tempo. Non gli era mai capitato con altri. Meglio
non assecondare quel fremito che avvertiva addosso quando gli era accanto.
Non c'era
storia.
Eppure...
eppure non vedeva l'ora di vederlo, la sera quando prendeva servizio. Si stava
comportando come una fottuta liceale, ben sapendo che al miliardario non
importava di lui. Era senz'altro meglio girare al largo e navigare in acque
meno insidiose.
§
Seduto
sul divano nel privé, Adonais cominciava ad annoiarsi. Il capo della
sicurezza non si vedeva da nessuna
parte, e lui si era stancato di stringere mani ad altri affaristi in
cerca di una serata alternativa. Non che
il locale fosse adibito a intrattenimenti di dubbio genere, ma la credenza
sembrava essere quella. C'era solo del buon jazz nella sala superiore e
ottimi liquori. Niente altro. Quando aveva deciso di aprire il Club in una
delle zone a nord della città, il suo punto d'onore era stato renderlo chic ed
elegante, non un ricettacolo di droga e prostituzione. Roland era stato più che
d'accordo. Gli eventi lo avevano poi distolto dall'organizzazione, ma l'amico
aveva seguito i suoi desideri alla lettera.
Si
rilassò contro la spalliera. Era stata una giornata pesante, le riunioni si
erano succedute senza sosta, la video conferenza con Londra gli aveva portato
via più di un'ora. Si chiese se avrebbe potuto ottenere un po' di riposo,
scomparendo per qualche giorno. L'idea era un fallimento in partenza, se ne rendeva
conto.
Alle
narici arrivò l'ormai famigliare profumo di agrumi. I suoi sensi si
risvegliarono. Lo vide entrare nella piccola sala, riempire con la propria
presenza ogni singolo centimetro, guardarsi attorno con quei suoi occhi blu,
indifferente solo in apparenza. Da quando Roland gli aveva detto che era un ex
SEAL, non aveva mancato una sera di studiarlo, se gli era stato possibile,
finché non aveva capito che la sua impassibilità era un modo per ingannare la
gente, probabile frutto dell'addestramento. Aggrottò la fronte: chissà cosa gli
era capitato da costringerlo a congedarsi.
La pelle
gli pizzicava. Lo stuzzicante signor Todd si era accorto di lui e stava facendo
dietrofront. Curioso, sembrava volesse sfuggirgli.
Si alzò
in piedi alla svelta, ma restò fermo dov'era. Uno degli ospiti si era
avvicinato al suo capo della sicurezza, con chiari intenti seduttivi. Lo capiva
dal modo in cui l'elegante bastardo, più basso di almeno una spanna dell'ex
soldato, gli accarezzava il braccio facendo risalire la mano verso il petto. Un
ringhio gli nacque dal profondo del torace e si trattenne solo perché c'era
troppa gente. Quell'ospite si stava davvero prendendo troppe libertà con
il suo dipendente. Era il momento di farsi avanti e definire un confine.
Di colpo si rese conto cosa il suo istinto gli stesse suggerendo. Lui
non aveva alcun diritto su quell'uomo, eppure si sentiva come se ne avesse. Un
odore aspro gli solleticò il naso: qualcuno sembrava infastidito. Forse
il signor Todd non aveva bisogno del suo aiuto per liberarsi delle attenzioni
indesiderate, ma valeva la pena stargli un po' vicino, visto che fino a quel
momento glielo aveva impedito.
Con passi
lenti, si diresse verso i due uomini, notando come il proprio obiettivo si fosse irrigidito, nel tentativo di sottrarsi
all'ospite senza apparire scortese. Gli fu accanto, guadagnandosi un'occhiata
sorpresa da parte di Andrew e una di disappunto da parte del nanerottolo.
«Signor
Malthus» lo salutò Andrew. Vedeva bene la cicatrice, i segni biancastri.
«Signor
Malthus!» L'ospite sgranò gli occhi. «Oh, è un vero onore. Sono Arthur
Jameson.»
«È un
piacere, signor Jameson. Le dispiace? Dovrei scambiare due parole con il signor
Todd.» Non aspettò risposta. Prese per un braccio il capo della sicurezza e fu
lieto che non opponesse resistenza. Nonostante la propria forza, non aveva
dubbi che questi potesse rivelarsi un osso duro.
L'uomo lo
seguì fuori della sala, ma quando raggiunsero una zona in ombra vicino al
corridoio degli uffici, liberò il braccio dalla sua presa e fece un passo
indietro.
«Signor
Malthus, mi dica di cosa voleva parlarmi.»
Adonais
inarcò le sopracciglia. «Come, prego?» Sogghignò vedendolo irrigidirsi di
nuovo. «Oh, quella era solo una scusa, Andrew. Mi sembrava che il poco
onorevole signor Jameson si stesse prendendo delle libertà.»
Andrew
incrociò le braccia. «Non mi sembra di aver bisogno della balia, sia pure nelle
sembianze del titolare.»
«Allora
mi dispiace di averle rovinato dei progetti per il dopo lavoro.» Voleva essere
ironico, ma l'altro non sembrò cogliere. Anzi, si allontanò ancora di più.
Adonais non voleva sprecare quell'occasione. Annullò la distanza ed ebbe la
soddisfazione di vederlo perdere per un attimo la perenne espressione
indifferente.
«Mi
sembra che sia lei a prendersi delle libertà, ora» ribatté Todd; la maschera
era calata di nuovo.
Si
bloccò, un momento prima di farlo addossare al muro. Adonais aggrottò la
fronte. Stava lasciando fare alle proprie pulsioni, senza pensare. Andrew lo
intrigava come mai gli era capitato con altri, Angel compreso. Il proprio
comportamento lo sorprese: per quanto istintivo, non aveva mai preso qualcosa
senza un'adeguata valutazione, e di sicuro mai senza un consenso. Con quella
creatura, tutti i suoi sensi andavano in tilt.
Il
desiderio che lo pervadeva scemò fino a celarsi negli anfratti dell'anima.
Aveva fatto male i conti, pensando che l'uomo potesse provare nei suoi
confronti qualcosa di diverso dall'essere semplicemente un dipendente.
Grande
Madre, non si era nemmeno chiesto se gli piacessero gli uomini. A quel punto,
non valeva neanche la pena chiederlo. L'atteggiamento di Todd era fin troppo
chiaro: le sue attenzioni non erano tollerate.
Si
raddrizzò.
«Chiedo
scusa, signor Todd.» La voce gli uscì gelida. Non aveva intenzione di perdere
altro tempo. «Le auguro buon lavoro.»
Gli voltò
le spalle e se andò.
§
Se
l'indomani ce l'avesse ancora avuto, un lavoro. AJ si passò una mano sulla
faccia. Quell'uomo era un vero attentato alla propria sanità mentale. Lo
sarebbe stato anche per quanto riguardava l'impiego, ora che si era negato. Non
aveva potuto farne a meno. Si era sentito alla stregua di un giocattolo conteso
fra due bambini, ma non aveva intenzione di farsi rompere. Gli era già capitato
e non voleva ripetere l'esperienza. Inoltre... inoltre, il pensiero che avrebbe
potuto vedere le cicatrici aveva ridotto a zero lo strano desiderio che provava
per il miliardario. Immaginava già il
disgusto che sarebbe comparso negli occhi ambrati. No, grazie, ne faceva a
meno.
Doveva
tornare ai suoi controlli, era stato lontano anche troppo.
Mentre
usciva dalla nicchia, andò a sbattere contro Angel.
«Ah, sei
qui, AJ.»
«Che
c'è?»
L'investigatore
sorrise. «Niente. Ti stavo cercando.»
«Seth?»
«Al
lavoro. Brutto caso.» Scosse la testa, era il massimo che si poteva ottenere
considerata la professione di Rogers. «Volevo bere qualcosa, mi fai compagnia?»
«Lo sai
che non bevo.»
L'altro
alzò gli occhi al cielo. «Come se non ti conoscessi. Bevo io e tu parli.»
«Ma
certo,» disse alla fine AJ. «Bevi al massimo una birra. Dai, andiamo.»
Lo
accompagnò al bar circolare della sala cocktail, salutò il barman e aspettò che
questi servisse Angel.
«È
successo qualcosa?» gli chiese Mallory, dopo aver bevuto un sorso.
«Di che
genere?» Come al solito, aveva ricominciato a guardarsi attorno con
discrezione.
«Ho visto
Adonais arrivare da dove sei uscito tu. Mi chiedevo se...»
«Se
cosa?» lo interruppe.
Angel
alzò le spalle. «Sembrava piuttosto serio. Non che sia facile capire le sue
espressioni, intendiamoci. Come appena uscito da una discussione. »
Certo.
Sul prendere. Punto.
«Non ne
ho idea» replicò.
Angel lo
spinse con la spalla. «La tua faccia non è migliore, lo sai, vero?» Si sporse
verso di lui. «Sul serio, AJ, è successo qualcosa?»
«No,
Angel.» Si guardò attorno, poi riportò l'attenzione sul detective privato. «Non
che io sappia.» Non voleva mettere a parte Angel di quello che era accaduto tra
lui e il capo nell'ombra, poco prima. Chiunque, al suo posto, avrebbe fatto i
salti di gioia nel ricevere quelle attenzioni. Chiunque, ma non lui. Non con la
storia che aveva alle spalle.
«Capisco.»
Mallory finì il drink. «Meglio. È tardi, amico. Vado a dormire.»
Pugno
contro pugno, AJ ammiccò. «Salutami Rogers.»
«Quando e
se lo vedrò» sorrise l'altro.
Lo guardò
andarsene. Il peso di quanto successo tornò a gravargli sulle spalle. Appena
sveglio avrebbe dovuto spulciare gli annunci economici. Il commiato da parte di
Roland poteva arrivare in qualsiasi momento.
§
Nascosto
nell'ombra, Adonais aspettò che uscisse dal locale. Erano le quattro, l'aria
era gelida e c'era odore di neve. Fino a pochi giorni prima, l'estate indiana
aveva imperversato. Poi, d'improvviso, un vento freddo proveniente dal Canada
aveva fatto calare le temperature a livelli polari. Per il Giorno del
Ringraziamento ci sarebbe stata una coltre bianca a ricoprire Chicago.
Sospirò.
Si stava comportando come uno stalker, ma non poteva farne a meno. Non riusciva
a capire che cosa gli avesse fatto quell'uomo per ridurlo in tale stato. Forse
era la cicatrice sul viso ad attirarlo.
Rise di
sé. Durante la sua lunga esistenza non gli era mai capitato di spiare qualcuno.
Non gli era mai nemmeno capitato di essere respinto, a dire il vero.
La porta
secondaria si aprì con un lieve cigolio. Si raddrizzò appoggiandosi al muro e
ritraendosi. L'entrata di servizio era poco illuminata, ma lo riconobbe
all'istante. L'ultimo ad andarsene. L'uomo si richiuse la porta alle spalle e
digitò il codice di sicurezza. Lo seguì mentre si dirigeva al parcheggio,
faceva scattare le serrature di un SUV nero e saliva a bordo.
Restò con
lui fino a quando si fermò in una stretta via di Little Italy. C'erano dei
condomini, niente di esaltante, ma ben tenuti.
L'uomo
scese dall'auto, la chiuse ed entrò in uno dei palazzi.
Adonais
si allontanò fino a trovarsi sull'altro lato della strada, alzando lo sguardo e
controllando i terrazzini e le finestre. Quando vide illuminarsi i vetri al
quarto piano, chiuse gli occhi.
«Buonanotte,
Andrew» sussurrò nel buio. Poi scomparve.
22
novembre
Il lavoro
ce l'aveva ancora, Roland non l'aveva chiamato e lui aveva continuato sera dopo
sera a recarsi in W. Division Street.
Di
Adonais Malthus, però, neanche l'ombra. Da un lato, AJ era sollevato.
Dall'altro, non sapeva che pensare. Non poteva dire che gli mancasse. Forse un
po'. Non riusciva a capire del tutto le sensazioni che lo pervadevano.
Era
contento di poter continuare a lavorare al Soul Club, era contento di potersi
dire amico del direttore o di Angel e Seth. Ma, improvvisamente, tutto questo
non era più sufficiente. Lo era stato fino a pochi giorni prima, ma adesso si
era reso conto che gli mancava qualcosa. Qualcosa che gli riempisse l'anima,
gli scaldasse il corpo e lo avvolgesse nel calore di un contatto.
Sapeva
cos'era, si era guardato dentro e lo aveva riconosciuto. Era solo da più di un
anno, quasi due a essere pignoli. Ma non era il rapporto fisico che desiderava,
non solo quello, almeno. Di quelli poteva averne quanti voleva, bastava
chiudersi nell'anonimato di un bagno e lasciar perdere i sentimenti.
L'incontro
con Malthus lo aveva fatto precipitare in un oceano di dubbi. Quell'uomo gli
piaceva più di quanto volesse davvero ammettere, e avrebbe voluto approfondire
la conoscenza. Ma, ancora prima di arrivare a una conclusione, sapeva quanto la
cosa fosse impossibile.
Un
miliardario non si sarebbe certo legato a un proprio dipendente, soprattutto se
ricoperto di cicatrici, neanche per una scopata favolosa.
§
Adonais
scese dalla limousine e lisciò il cappotto. L'insegna del Club lampeggiava e
sembrava dargli il benvenuto.
L'autista
richiuse la portiera del passeggero e rimase in attesa.
«Grazie,
Samuel, per stasera non ho più bisogno di te. Puoi ritirarti.»
«Come
desidera, signore.» Samuel fece un rigido cenno e si risedette al posto di
guida, allontanandosi con l'auto.
Adonais
alzò il bavero del cappotto, colpito da una folata di aria fredda. Si incamminò
verso l'entrata, dove c'era già una lunga fila di persone che attendeva di
accedere dopo essere stata passata in rassegna dai cani da guardia del Club.
Uno degli
uomini della squadra di Andrew spostò il cordone per farlo passare. Ci mancò
poco che gli facesse il saluto. La cosa lo fece ridere tra sé.
Si era
imposto di tenersi lontano dal locale e soprattutto dal capo della sicurezza.
Ci era
riuscito, ma solo fino a un certo punto. Intendeva cambiare atteggiamento e
avvicinarsi all'uomo da un'altra angolazione. L'importante era capire se
l'altro l'avrebbe fatto avvicinare.
Attraversò
l'ingresso. L'addetta al guardaroba prese in consegna il cappotto e Adonais entrò
nella prima sala. Si guardò attorno, camminando lento fra la gente, ignorando
le occhiate ammirate di uomini e donne. La propria considerevole altezza gli
permetteva di svettare sopra quel mare di teste e di osservare più in
lontananza.
Passò
nella sala cocktail, riscuotendo la stessa attenzione. Lo vide, finalmente.
Stava
parlando con il poliziotto mannaro. Indossava la solita maglia a collo alto e
una giacca di pelle scura. Pure a quella distanza, percepì la sua carica sexy
assorbendola con ogni cellula della propria pelle.
Seth
Rogers fu il primo ad accorgersi di lui. Il detective fece un cenno nella sua
direzione. Todd si girò, fissandolo. C'era forse l'ombra di un sorriso in
quegli occhi blu? Strano, da quando lo conosceva non l'aveva mai visto sorridere
una volta. Non che avesse passato molto tempo insieme a lui.
«Buonasera,
signori.»
«Malthus» lo salutò Rogers.
«Signor Malthus.» Andrew
lo guardava. La solita postura rigida, l'espressione indifferente. Certe cose
non cambiavano mai.
«Tutto
bene, Rogers? Dove hai lasciato Angel?» chiese
Adonais.
«Da
qualche parte con Roland. Dovevano controllare dei documenti.»
«E qui,
signor Todd? Qualche problema?»
«No,
signore. Nessun problema.»
Lo
squillo di un cellulare si intromise. Il poliziotto si allontanò per
rispondere.
Rimasti
soli, Adonais si accorse subito del cambiamento nell'uomo accanto a lui. Todd
non aveva perso la sua solita espressione, ma qualcosa nella postura era
mutato: spalle più rigide, occhiate più rapide intorno a sé.
Possibile
che avesse paura di lui? Un uomo come quello?
«Vado a
prendermi qualcosa da bere» disse allora.
Gli occhi
blu saettarono nella sua direzione, ma Andrew fece solo un cenno. Adonais gli
diede le spalle e si allontanò verso il bar circolare, sentendosi addosso lo
sguardo del capo della sicurezza.
§
AJ
aspettò un sollievo che, invece, tardava ad arrivare. Quando lo aveva visto
avanzare verso lui e Seth, il fremito che lo aveva attraversato era stato
sorprendente. Non aveva mai parlato a lungo con quell'uomo, a parte la sera in
cui le sue intenzioni erano parse chiare, ma non si era nemmeno reso conto di
quanto gli fosse mancato finché non l'aveva visto.
Era
riuscito a reprimere il sorriso che minacciava di affiorargli sulle labbra solo
quando il ricordo delle cicatrici gli aveva invaso la mente. Non aveva niente
in cui sperare. Anche se avesse accettato le attenzioni del miliardario, quelle
sarebbero state il preludio e il tramonto dell'avventura di una notte. Niente
di più.
Da come
il suo cuore si era messo a battere alla vista di Malthus, dubitava di uscirne
indenne.
Sospirò.
Lo vedeva al banco del bar, raggiunto ora da Roland e Angel. Stavano parlando
fitto, le facce serie.
Aggrottò
la fronte. L'istinto gli diceva che c'era qualche guaio, anche se fino ad
allora non era accaduto niente di particolare.
Doveva
fare un giro, muoversi, e si diresse verso l'ingresso.
Forse, al
ritorno, Roland o Angel avrebbero diviso con lui eventuali informazioni.
§
«Di
quanto è l'ammanco?» Adonais strinse il bicchiere. La rabbia minacciava di
esplodere. Con un gesto brusco posò lo scotch sul banco.
«Qualche
centinaio di migliaia di dollari.» Roland sembrava aver ingoiato un limone.
«Quanto,
di preciso?»
«Duecentosessantacinquemila.»
Angel gli gettò un'occhiata.
«Cazzo.»
Imprecava di rado, ma in quel momento ci voleva. Adonais serrò le labbra. «Come
ve ne siete accorti?»
Roland
allargò le mani. «Insieme al nostro commercialista, controllo sempre alla fine
del mese, così come ho sempre fatto. A ottobre avevamo trovato una discrepanza,
ma pensavamo fosse un nostro errore nei calcoli e li abbiamo rifatti. La
discrepanza è rimasta. Si trattava già di una somma considerevole. Ho chiesto
ad Angel di controllare con noi dall'inizio di questo mese. Per i primi
quindici giorni i conti tornano, dopo di che abbiamo cominciato a riscontrare
le differenze tra gli incassi giornalieri e quanto depositiamo in effetti.»
«Stavate
facendo un controllo anche adesso?» chiese lui.
«Sì»
rispose Angel. «Ieri sera la cosa si è ripetuta, e anche la sera prima.
Cerchiamo di tenere una doppia contabilità, per verificare giorno per giorno.»
«Immagino
che non sappiate chi è l'autore di questo giochetto.»
Entrambi
scossero la testa. Nessun colpevole al momento.
«Avevo
pensato di chiedere a Seth...» iniziò Angel, ma lo interruppe.
«No.
Niente polizia, sai come la penso.»
«Adonais,
qui non si parla di pochi spiccioli, ma di parecchi soldi. Abbiamo stipendi e
fornitori da pagare, senza contare la pubblicità.»
Roland
era la voce della ragione, ma non voleva ascoltarlo.
«Trovatemi
il bastardo. Se non ci sono abbastanza soldi, attingerò dal fondo, ma voglio
che lo troviate il prima possibile. Se ci sono delle tracce informatiche voglio
saperlo.»
«Non sarà
facile» obiettò Angel.
«Richard
Tate è già al lavoro» disse Roland. «È uno degli hacker migliori, se c'è
qualcosa la troverà di sicuro.»
«Bene»
replicò Adonais. Ma non andava bene. «Quanti ne sono a conoscenza?»
«Noi tre
e Mason, il commercialista» fu la risposta di Roland.
«Fatevi
aiutare anche da Todd, se necessario.» Non sapeva perché l'avesse messo in
mezzo. Meglio non farsi domande. «E voglio controlli a tappetto su tutti i
dipendenti, mi sono spiegato, Roland?»
«Possiamo
cominciare da me.» Sempre pronto e leale, il vecchio vampiro.
«D'accordo.»
Angel e
Roland si diressero verso gli uffici. Adonais riprese il bicchiere e lo scolò.
L'alcol gli riscaldò la gola per mezzo secondo. La sua collera era molto più
bruciante.
Aveva
bisogno di stare da solo per un po', ma non era ancora il momento di andarsene.
Si allontanò dal bar e trovò un angolo in ombra dove riflettere e osservare la
gente. La situazione non era delle più felici. Già durante l'estate un
traditore aveva dato un colpo basso alla sua fiducia negli uomini. Ora la cosa
si ripeteva. E, come allora, lo volevano danneggiare per arrivare a uno scopo.
Quale,
poteva solo immaginarlo.
Un
movimento attirò la sua attenzione. Si girò di scatto e si trovò faccia a
faccia con l'altro oggetto di problema.
«Andrew!»
Il nome gli sfuggì prima di ricordarsi di mantenere le distanze.
«Signor
Malthus.» L'uomo era fermo nel breve corridoio che portava alle scale per il
piano superiore. La musica giungeva attutita. Fece un passo avanti, dandosi una
rapida occhiata intorno. «Si sta nascondendo?»
Avrebbe
voluto rispondere di sì. La lieve ironia che aveva sentito in quella voce
profonda lo fece sorridere nella penombra.
«E lei mi
sta forse spiando?»
«Beh, non
direi. Lei mi sta ostruendo la strada..»
Ops.
C'era forse una nota divertita in quelle parole? Sperò di sì.
«Non è un
buon posto per nascondersi, questo» riprese Todd.
«Ne ha
uno migliore da mostrarmi?»
«Purtroppo
no.»
Adonais
sorrise. «Vorrei bere qualcosa. Mi accompagna?»
Con sua
sorpresa, l'uomo acconsentì.
§
Vederlo
fermo all'inizio del corridoio, nell'ombra, l'aveva insospettito. Temeva fosse
lì per lui, che lo avesse visto mentre si dirigeva verso le scale e lo avesse
seguito. Ma quando aveva reso nota la propria presenza, l'altro era sembrato
colto alla sprovvista.
Come al
solito, quando lo aveva chiamato per nome si era sentito fremere.
Sembrava
preoccupato per qualcosa e, al suo invito a fargli compagnia, non aveva opposto
rifiuti. Era curioso di sapere cosa gli passasse per la testa, mantenendo però
alta la guardia. Vicino a quell'uomo non poteva allentarla.
Lo
accompagnò al bar, salutò Oscar, il barman, e attese che Malthus ordinasse.
«Cosa
prende, signor Todd?»
Alla
domanda inaspettata sbatté le palpebre, perplesso. Gli occhi ambrati erano
posati su di lui. Si sforzò di apparire naturale.
«Non
bevo, grazie.»
«Via,
signor Todd...» Malthus era una tentazione vivente.
«AJ è
astemio» interloquì Oscar.
Si
aspettava un'occhiataccia o un rimbrotto al barman per essersi intromesso,
invece il miliardario alzò il bicchiere.
«Va bene.
Berrò da solo.»
AJ lo
guardò accostare il bicchiere alle labbra e per un breve, delizioso attimo,
desiderò essere al posto del vetro. Brutta accoppiata, ormoni in subbuglio e
solitudine. Si schiarì la gola e fece un rapido cenno a Oscar di allontanarsi.
«Va tutto
bene, signor Malthus?» si sorprese a chiedere.
Adonais
abbassò il bicchiere. «Lo chiede per educazione o perché le interessa?»
«Entrambe
le cose, credo.»
Malthus
aggrottò la fronte. «Strano, non ci siamo mai parlati molto, finora.»
AJ si
astenne dal commentare una cosa così ovvia.
«No, le
cose non vanno bene, ma Roland la metterà al corrente, penso.» L'uomo bevve un
altro sorso, prima di guardarlo. «E di lei cosa mi dice?»
«Prego?»
«Come si
trova qui? Ha stretto amicizia con qualcuno?» Lo fissava con intensità. «Mi sto
sforzando di essere amichevole, And... signor Todd, cosa che non ho fatto
quando l'ho conosciuta. Mi dispiace.»
AJ era
sorpreso. Di più, sbalordito. Il suo datore di lavoro aveva abbandonato i
propositi seduttivi per lanciarsi in una campagna a favore dell'amicizia.
Peccato che avesse due occhi così belli e una bocca da baciare. Per non parlare
del resto.
«La
ringrazio per lo sforzo» ribatté. «Il lavoro mi piace. Quanto alle amicizie,
esclusi Roland e Angel, gli altri sono semplici conoscenti.»
«E la
vita privata?»
«Signor
Malthus.» Un richiamo all'ordine. Quell'argomento era off limits.
«Domando
scusa. Sono curioso di natura.»
«E la sua
vita privata? Ne vuole parlare?» gli chiese di rimando.
«Calma
piatta» fu la sconcertante e per niente rassicurante risposta.
«Mi
spiace per lei.»
«Perché
mai? Ho troppo lavoro, e il tempo per cercare un compagno scarseggia.»
Un
compagno. Non un'avventura, beninteso.
Quella parola aveva delle implicazioni notevoli.
«Io lo
sono.» Lo disse senza pensare. Appena pronunciate quelle parole, si sarebbe
morso la lingua.
Gli occhi
ambrati furono su di lui. «Che cosa?»
Già, che
cosa? Qual era la risposta da dare? L'altro stava aspettando.
«Gay. Sono
gay.» Ecco, glielo aveva detto. Così poteva solo incolpare se stesso se Malthus
avesse tentato di saltargli addosso di nuovo.
§
«Capisco.»
Adonais
appoggiò il bicchiere con calma, cercando di apparire noncurante. Troppe
notizie per quella sera. L'ammanco, con i relativi problemi, e ora Andrew che
gli rivelava quella bomba. L'aveva sperato, oh se lo aveva sperato.
Quell'uomo
dai bellissimi occhi blu. Li immaginò velati di passione e si sentì pervadere
all'istante da un'ondata di eccitazione.
Nello sguardo
di Todd era comparsa quella che sembrava preoccupazione. Si stava comportando
in maniera scorretta? L'aveva toccato senza accorgersene? No. Aveva solo
stretto le mani a pugno e ringhiato sotto voce, una cosa non proprio normale
per un umano.
Era ora
di andarsene, prima di cadere nella corrente delle pulsioni. Si guardò attorno,
il locale si stava svuotando. Doveva essere quasi ora di chiusura.
«Grazie
per la compagnia, signor Todd. Me ne vado.»
«Buonanotte,
signore.» Il capo della sicurezza sembrava perplesso.
Adonais
fece un cenno di saluto e si incamminò verso l'ingresso per recuperare il
cappotto. C'era una breve fila al guardaroba, ma aspettò il proprio turno
ignorando le occhiate lascive di un paio di donne sommariamente vestite.
Prese il
cappotto dalle mani della guardarobiera e tornò indietro. Preferiva uscire
dalla porta di servizio e scomparire senza essere visto.
Non
incontrò Andrew, e da un lato ne fu lieto. Poco prima aveva dato una
sbirciatina ai pensieri dell'uomo e quanto aveva visto lo aveva sorpreso tanto
da fargli abbandonare per un attimo la prudenza.
Nei
pensieri di Andrew, privi della solita protezione, aveva scorto un volto, occhi
dorati, una bocca socchiusa. Al colmo dello stupore, si era riconosciuto nella
visione. L'uomo lo pensava. Lo desiderava.
Sommato
all'esplosiva notizia – Sono gay – rischiava davvero di perdere la
facciata signorile trasformandosi in un selvaggio uomo delle caverne.
Motivo di
più per andarsene.
Attraversò
il corridoio degli uffici e raggiunse l'entrata di servizio. Spinse il
maniglione antipanico e uscì nel piccolo cortile. L'aria era decisamente
gelida. Alzò il bavero per contrastarla, nei brevi attimi prima di scomparire.
Prese un
profondo respiro...
«Fermo
dove sei.» La voce gracchiante veniva dal vicolo buio alla sua destra. Si
concentrò per vedere e fece un passo avanti.
«Fermo.»
Dall'ombra del vicoletto uscì uno sconosciuto. Nella mano destra teneva una
pistola. Metà del volto era coperta da un passamontagna.
«Sono
fermo» rispose lui.
«Zitto.»
Dietro al primo sbucò un secondo uomo con un coltello in mano. La lama baluginò
nella scarsa illuminazione. Lo stavano aspettando?
Adonais
sorrise tra sé. Forse non immaginavano con chi avrebbero dovuto trattare.
Scattò.
Colpì l'uomo con la pistola, ma questi non se la fece sfuggire di mano e riuscì
anche a evitare il suo pugno. Dall'arma partì un colpo che andò a vuoto, ma che
avrebbe potuto richiamare gente. Il tizio con il coltello era alle sue
spalle, pronto a colpirlo. Si girò di
scatto e la lama tagliò l'aria. L'uomo con la pistola gli abbatté il calcio
sulla spalla sinistra.
Ansimò
per l'urto e si spostò sul lato per fronteggiare entrambi.
«Ehi!» La
porta di servizio si era aperta di colpo. Todd stava correndo verso di loro.
Grato per
il diversivo, Adonais diede una gomitata allo sconosciuto con la pistola,
sentendo in risposta un'esclamazione soffocata. Questi tentò di rispondere, ma
ormai lui si era scatenato.
Una
rabbia profonda gli bruciava le viscere mentre si accaniva sull'aggressore.
Ignorò il formicolio alla bocca finché non sentì le zanne accarezzargli il
labbro inferiore. Ringhiò.
L'aggressore
emise un verso strozzato e fuggì.
Adonais
si volse su se stesso.
Andrew era alle prese con l'assalitore armato
di coltello. Era appena saltato all'indietro per evitare la lama afferrando
l'avversario per un braccio, ma l'altro si era liberato sferrandogli un pugno
all'addome e roteando il coltello fino a raggiungergli il petto.
Adonais
si sentì gelare.
Con un
ringhio bestiale, si gettò sui due che lottavano, ma il capo della sicurezza
riuscì a colpire alla spalla l'aggressore.
Malthus
si slanciò verso l'uomo armato, ma questi abbandonò il campo correndo verso la
strada. Rivolse allora l'attenzione su chi era accorso in suo aiuto.
Todd era
appoggiato al muro, si teneva il braccio destro. Era ferito? Per la prima volta
nella sua lunga esistenza, sperimentò la paura per qualcuno. Qualcuno a cui
teneva. Gli fu vicino in due passi.
«Andrew,
sta bene?»
Allungò
la mano per stringergli la spalla, ma l'uomo si raddrizzò scostandosi. Ansimava
ed era pallido.
«Sto
bene.» Il tono brusco gli fece inarcare le sopracciglia. Il suo sguardo fu
attirato da uno strappo nella maglia di Todd.
«Lei è
ferito.» Non era una domanda.
«Non è
niente.»
«Andiamo
dentro, voglio controllare.» Lo prese per il gomito ma l'altro si divincolò.
«Ho detto
che sto bene.» Il tono non ammetteva repliche.
Adonais
lo fissò. Gli occhi blu erano cerchiati, il suo aspetto smentiva le parole.
Sospirò. «Posso almeno accompagnarla dentro?»
Todd
annuì, staccandosi dal muro. Non lo toccò più. Sarebbe andato con lui in
ufficio, si sarebbe accertato delle sue condizioni e se ne sarebbe andato. Non
voleva imporsi più di quanto avesse già fatto.
Aprì la
porta e invitò Andrew a precederlo.
§
Il colpo
al plesso solare lo aveva messo a tappetto. Non riusciva più a lottare come
prima. Colpa del braccio destro, lo aveva tradito mentre lo alzava per colpire
l'aggressore.
Si
sentiva svuotato, inerme. Inutile.
Stava
andando in ufficio quando aveva udito lo sparo, precipitandosi fuori. La vista
di Malthus attaccato da due uomini lo aveva fatto infuriare. I risultati del
suo intervento erano stati deludenti. Adesso si ritrovava ammaccato, con una
lieve ferita al torace causata dalla punta del coltello e l'orgoglio calpestato.
Malthus
che voleva controllare le sue condizioni. Avrebbe riso se respirare non fosse
stato ancora difficoltoso.
Inoltre,
aveva creduto di vedere delle zanne spuntare dalla bocca del
miliardario. Un'allucinazione dovuta al forte colpo all'addome? Quando lo aveva
guardato di nuovo, non c'erano più.
Il
corridoio sembrava infinito. Con Malthus alle calcagna, entrò nel suo ufficio.
«È ferito
al petto?» Avvertiva la sincera preoccupazione nella voce di Adonais. Lo
umiliava, anche. Un capo della sicurezza che non era nemmeno in grado di
difendersi. Non come prima, almeno.
«No. Ha
solo tagliato la maglia. Vede? Non c'è sangue.» Allargò appena i lembi. Non
c'erano segni evidenti.
«Preferirei
che...»
«Signor
Malthus» lo interruppe. Gli occhi dorati incontrarono i suoi. «Signor Malthus,
le ripeto che sto bene. Sarebbe meglio però informare la polizia di questa
aggressione.»
«Non c'è
ragione. Erano dei semplici rapinatori. Gli è andata male.»
«Avvisiamo
Rogers, almeno» replicò AJ.
«No.»
Sembrava categorico. «E non si azzardi a parlarne.»
«Come
vuole» si arrese.
Malthus
gli gettò un'ultima occhiata. «Buonanotte, signor Todd.»
«Buonanotte.»
L'altro era già uscito.
AJ si
accasciò finalmente sulla poltrona. Si passò la mano sul petto, il lieve
bruciore significava che la punta del coltello era andata a segno. Doveva
verificare l'entità del danno e medicarla.
Con un
sospiro si alzò dalla poltrona. Il suo corpo l'aveva tradito proprio quando
aveva più bisogno di forza e agilità. Fino a due anni prima non sarebbe successo.
Era un rottame d'uomo, come poteva solo pensare che Adonais Malthus potesse
interessarsi a lui, vedendolo com'era davvero?
23
novembre
Serata
fiacca.
Roland lo
mise a parte della notizia dell'ammanco, raccomandando la maggiore discrezione possibile.
Per AJ, dopo aver lavorato per anni in missioni segrete semestrali, non era
davvero un problema.
Adonais
Malthus non si fece vedere.
24
novembre
AJ chiuse
la manopola dell'acqua calda e restò fermo a gocciolare nella doccia. I muscoli
urlavano per lo sforzo cui li aveva sottoposti, ma ne aveva bisogno. Le
endorfine rilasciate dall'esercizio fisico lo avevano rilassato.
L'addome
gli doleva ancora per il pugno ricevuto, ma il piccolo taglio – poco più di un graffio – provocato dal coltello, si era già
rimarginato.
In tarda
mattinata era uscito a correre, raggiungendo Lincoln Park e tornando nel
pomeriggio. Una corsa lunga, ma aveva un disperato bisogno di muoversi,
di sciogliere i muscoli. Di dimenticare come il suo corpo devastato fosse diventato
un limite. Almeno le gambe erano buone, mantenute toniche e muscolose grazie
alle corse quasi giornaliere. Al rientro, si era sfinito sulla panca e ai pesi.
Lo
attraversò un brivido e uscì dalla cabina prendendo l'accappatoio.
La sera
prima Malthus non si era visto e non sapeva se esserne deluso o contento. Era
anche possibile che fosse lui a essere rimasto deluso dal proprio
intervento.
Il
salvatore salvato. Era quasi comico.
Meglio
non vederlo, comunque: quando gli era vicino gli causava qualche problema di
connessione. Sinapsi e ormoni si facevano battaglia per chi dovesse prendere il
sopravvento.
Si
avvolse nella spugna, strinse la cintura. Non si guardò allo specchio, sapendo
anche troppo bene quello che avrebbe visto.
Aveva
accettato gli interventi per ridurre le cicatrici al viso, ma quelle al corpo
non avevano dato gli esiti sperati. Il danno era troppo esteso, i muscoli del
braccio e del torace erano stati intaccati in profondità. La chirurgia poteva
restituirgli una pelle migliore, ma non la funzionalità. La carriera era
finita, era diventato un altro nome da aggiungere agli invalidi di guerra.
Avrebbe
scambiato volentieri le due medaglie guadagnate con la vita di prima, che
comprendesse anche i compagni morti.
Si
strofinò la faccia. Doveva finirla con quelle riflessioni, non lo aiutavano, ma
lo scontro avvenuto due sere prima lo aveva dolorosamente riportato indietro
nel tempo.
Un
campanello in lontananza allontanò i pensieri. Stavano suonando alla sua porta?
Uscì dal bagno a piedi nudi, e per un attimo pensò di essersi sbagliato. Quando
arrivò in salotto, sentì un bussare forte, insistente.
Non
aspettava nessuno, nessuno si sarebbe preso la briga di fargli visita alle
dieci di sera.
«Arrivo!»
esclamò, quando il campanello suonò di nuovo.
Tolse la
catena e girò la chiave, aprendo la porta. Poi rimase immobile.
«Signor
Malthus» riuscì a dire.
Lo
sguardo dell'uomo che aveva volontariamente relegato tra i desideri impossibili
lo percorse dalla punta dei capelli ai piedi nudi, tornando alla fine sul suo
volto.
«Andrew.
Ce ne hai messo ad aprire.»
AJ fece
per rispondere, ma non ne ebbe il tempo. Adonais si staccò dallo stipite e gli
si avventò addosso. Fu così veloce che lui non riuscì nemmeno a mettersi in
posizione di difesa.
Si
ritrovò avvinto da quelle braccia, la bocca sulla quale aveva fantasticato
schiacciata sulla sua. L'impeto fu tale che perse l'equilibrio e si ritrovò sul
pavimento, trascinando Malthus con sé, sotto un attacco di seduzione in piena
regola.
Quella
bocca. Dio, quella bocca. Lo baciava come se fosse stato nel deserto per giorni
e avesse trovato l'acqua. Sembrava un assetato, e lui la fonte miracolosa.
Socchiuse
le labbra e lasciò che la lingua di Adonais si intrufolasse per toccare la sua.
Una scarica di eccitazione lo attraversò e gli scaldò il ventre.
Il corpo
di Malthus lo bloccava sul pavimento, ma lo sentì muoversi per fargli aprire le
gambe. L'accappatoio ostacolava il movimento e l'uomo insinuò una mano fra i
loro corpi per raggiungere la cintura.
Quando AJ
si rese conto che l'altro stava per aprire l'indumento, il desiderio fu
sostituito dal panico. Cominciò ad agitarsi, a cercare di allontanarlo, ma ebbe
solo il potere di fargli aumentare la stretta intorno alla vita da una parte e
di farlo sollevare per scoprirlo.
Il nodo
si sciolse, un soffio d'aria fredda sulla pelle rimpiazzò il calore della
spugna. Il peso su di lui cambiò, i lembi caddero ai lati del corpo.
AJ chiuse
gli occhi. Non voleva vedere il volto dell'uomo quando, dopo averlo baciato con
tanta passione, si fosse accorto di come era ridotto il suo corpo. Non voleva
vedere quando se ne fosse andato disgustato.
Il
silenzio si protraeva, i movimenti erano azzerati.
Aprì gli
occhi. Adonais stava guardando il suo petto e l'addome, ma sul volto non c'era
l'espressione che AJ si aspettava.
Poi lui
lo fissò, gli occhi ambrati insondabili. Si chinò a sfiorare con le labbra le
cicatrici sul collo, scendendo lento sulla clavicola, sul petto, su quello che
restava del capezzolo destro, sull'addome, baciando ogni lembo, ogni ferita,
ogni grumo di pelle cicatrizzata.
La gola
di AJ si strinse per l'emozione.
L'uomo si
sollevò di scatto, fissandolo negli occhi. «Credi che questo sia per pietà,
Andrew?» Gli prese la mano e se la premette sull'inguine. Sentire l'erezione
sotto le dita malgrado ciò che aveva visto gli fece battere il cuore ancora più
forte.
«Credi
che queste cicatrici ti facciano meno uomo?» gli chiese Malthus. «Ti rendano
meno desiderabile?» I suoi occhi lampeggiavano, dorati come quelli di un gatto.
«Dammi un'occasione per dimostrarti che ti sbagli, Andrew.»
Meno
desiderabile? Ovvero disgustoso? Qualcuno lo aveva pensato. Craig era arrivato
mentre lo medicavano e la ripugnanza che gli aveva contratto la faccia era
stata per lui una pugnalata. Se ne era andato seduta stante. La sera stessa gli
era arrivato un sms dove il suo compagno si scusava, ma non poteva più stare
con lui.
«Che cosa
ti ha fatto?» ruggì Adonais. La collera gli aveva alterato i lineamenti.
«Troverò questo Craig e lo ucciderò.»
«Come fai
a ...» AJ si interruppe. Dalla bocca dell'altro spuntavano due zanne candide,
impressionanti. Allora non aveva avuto un'allucinazione, le aveva viste
davvero.
«Chi...
chi sei?» Aveva balbettato? Probabile.
Il
miliardario lo fissò. «Un mostro, come te.»
Non che
quei denti singolari togliessero fascino al suo volto, tutt'altro. Mille
congetture gli affollarono la mente. Gli aveva letto i pensieri, le zanne
luccicavano in quel viso bellissimo.
Il mondo
si stava rovesciando?
«Credevo
fosse una leggenda» sussurrò.
Una
risata ironica accolse le sue parole. «Sarebbe meglio che lo rimanesse.»
Si mosse
sopra di lui e il suo sesso rispose entusiasta. Adonais lo guardò sorpreso.
«Non hai paura.»
AJ scosse
la testa. Tenendo gli occhi fissi nei suoi, si sollevò e sfiorò con la lingua
una zanna lucente, avvolgendola intorno.
Dalla
gola di Adonais uscì un ringhio vibrante. Le labbra si sfiorarono ancora.
AJ
percepiva il membro dell'altro premere contro il suo, e il corpo gli si riempì
di brividi e calore.
Malthus
lo baciò ancora, senza che i suoi canini interferissero, poi si alzò in piedi
di scatto trascinandolo con sé.
«Non ho
nessuna intenzione di fare l'amore con te sul pavimento.» Lo strinse in un
abbraccio. «Andiamo nella tua camera.»
AJ si
fece prendere per mano e obbedì.
§
Aveva
provato a resistere, davvero. Quando Andrew aveva ignorato le sue intenzioni,
rifiutato il suo aiuto, si era detto che era meglio così, malgrado fosse ormai
a conoscenza del suo orientamento e di quel desiderio represso nei propri
confronti.
La notte
prima non era andato al locale, il lavoro glielo aveva impedito. Ma quella
sera, la brama di vederlo era stata troppo grande per essere accantonata.
Si era
ritrovato davanti alla sua porta, arrabbiato, in preda a un'emozione violenta
cui non voleva e non sapeva dare un nome.
Quando
gli aveva aperto, coperto dall'accappatoio, i piedi nudi, era stata una stretta
al cuore e al ventre.
Per la
Grande Madre, se era bello.
E poi,
quelle terribili cicatrici. Il dolore e la sofferenza che gli aveva letto sul
volto per la paura di essere rifiutato a causa di esse. Una rabbia
incontenibile gli era nata dentro quando aveva visto cosa gli aveva fatto quel
bastardo.
Mentre lo
seguiva in camera, le dita intrecciate alle sue, lo accarezzò con lo sguardo,
promettendo a se stesso che non gli avrebbe fatto del male. Le difese di Andrew
erano cadute, percepiva chiare l'emozione, l'attesa.
Di fronte
al letto, alla luce della sola lampada sul comodino, gli sfilò l'accappatoio
gettandolo sulla poltrona vicino. Gli si mise alle spalle, accarezzando il
braccio destro deturpato.
«Non è
bello da vedere.» La voce dell'uomo era incerta.
Gli baciò
la nuca. «Non mi interessano le cicatrici. A me interessa l'uomo.» «Adonais...»
Lo fece
girare e lo baciò, stringendogli i fianchi e attirandolo a sé. Le braccia di
Andrew gli cinsero il collo. Allungò la mano fino a posarla su un gluteo tondo
e sodo. Un gemito sfuggì all'uomo tra le sue braccia. Si staccò da lui,
ansimando.
«Stenditi»
mormorò.
Andrew
obbedì, salendo sul letto e mettendosi supino, guardandolo. I suoi occhi erano
velati di passione, proprio come aveva immaginato qualche giorno prima.
Si
spogliò con gesti lenti, senza distogliere lo sguardo. Quando fu nudo, accolse
su di sé un'occhiata ammirata e colma di lussuria.
«Sei
bellissimo.» La voce di Andrew tremava appena.
Lui
sorrise. Mise un ginocchio sul letto e si chinò, posando lievi baci sul piede
destro, salendo inesorabile lungo il polpaccio, il ginocchio, la coscia. Con
una mano accarezzò l'altra gamba. Lo sentì respirare affannosamente, mentre
sfiorava con la bocca e la lingua il sesso turgido, facendolo gemere. Il
profumo di agrumi divenne ancora più penetrante.
Ricominciò
a salire, le labbra e la lingua sui muscoli compatti dell'addome, sulle
cicatrici, sulla pelle liscia. Arrivò al capezzolo sinistro e lo succhiò.
Andrew mugolò, il suono lo fece rabbrividire. Le zanne spuntarono di nuovo, e
si sollevò per arrivare alla gola e alla bocca socchiusa.
Stava per
giungere al limite e, a giudicare da come si contorceva sotto di lui, doveva
essere lo stesso anche per Andrew. L'uomo insinuò una mano fra i loro corpi e
gli accarezzò il membro, stringendolo fra le dita.
Adonais
trattenne il respiro e si sollevò sui gomiti. «Ho bisogno di te, Andrew.»
Gli occhi
blu incontrarono i suoi. «Prendimi.» Una resa.
Gli
afferrò una mano e la baciò sul palmo. «Dove tieni le cose?»
«Cassetto
del comodino.» L'uomo gettò un'occhiata alla sua destra.
Adonais
si allungò, aprì il cassetto e prese il tubetto.
«I
preservativi...» iniziò Andrew.
Lo
guardò. «Non ne ho bisogno. Non prendo e non trasmetto le vostre malattie.»
«Oh.»
Strinse
il tubetto. «Di questo sì, però.»
«Spero
non sia scaduto» mormorò l'altro con una risatina. Sembrava imbarazzato.
Malthus
si sporse verso di lui fino a essere a pochi centimetri dal suo volto.
«Da
quanto non lo fai?»
«Quasi
due anni.»
Adonais
chiuse gli occhi. Le missioni, le ferite, il compagno che lo aveva lasciato
quando più aveva bisogno di lui. L'uomo sotto di sé era rimasto solo. Adesso
capiva perché tenesse tutti a distanza.
«Adonais...
va tutto bene?»
Lo guardò
negli occhi blu, velati dall'incertezza. Si chinò a baciarlo, ancora e ancora.
«Tutto a meraviglia.»
Stappò il
tubetto, dopo essersi accertato della scadenza, versò il lubrificante sulle
dita e gli fece aprire le gambe, incuneandosi fra esse, in ginocchio. Appoggiò
una mano sul letto e spinse un dito dentro l'amante, spiando le sue reazioni.
Se si fosse accorto che provava dolore si sarebbe fermato. Aggiunse un secondo
dito. Udì un gemito mentre toccava quel punto speciale dentro di lui. Andrew si
inarcò. Un terzo dito e un grido di piacere sfuggì dalle labbra dell'uomo
disteso.
«Adonais,
ti prego!»
La
supplica gli arrivò dritta al ventre. Con urgenza, gli spinse le gambe più
indietro, verso le spalle, e gli sollevò i fianchi per accedere in modo più
agevole alla sua apertura. Aggiunse dell'altro lubrificante ed entrò lento,
imponendosi calma malgrado il suo corpo anelasse a fondersi con quello di Andrew.
Questi
gemette, mugolò e gli andò incontro. I fianchi di Adonais aderirono alle cosce,
sul ventre si strusciò il membro di Todd. Il vampiro mosse il bacino, entrando
del tutto in contatto con l'altro. I loro gemiti si fusero.
Mio.
Il
pensiero gli attraversò la mente come un fulmine. Non gli era mai capitato.
Quando credeva di essere invaghito di Angel, non aveva provato quella
sensazione di interezza, come invece gli era successo con Andrew, ancora prima
di averlo tra le braccia. La consapevolezza gli riempì il cuore, facendolo
battere forte contro le costole.
Mio,
mio, mio.
Guardò Andrew, a occhi chiusi, inarcarsi e
allungare una mano sul proprio membro, ma lui la spostò e la sostituì,
stringendo il sesso nel pugno e muovendo la mano a ritmo con le spinte.
Le
orecchie furono piene dei loro rumori, degli ansiti. Gli occhi si riempirono
della vista di Andrew in preda alla passione.
Le scosse
alla base della schiena gli fecero capire che l'orgasmo stava giungendo.
Un
mugolio dell'amante fu seguito dal calore, mentre veniva sulla sua mano e sullo
stomaco. Poco dopo, Adonais riversò la propria essenza dentro di lui, gemendo
forte. Si mosse ancora per qualche secondo, poi si curvò per baciarlo. Le mani
dell'altro gli accarezzarono i capelli, infilando le dita tra di essi. Lui girò
appena la testa per baciargli l'interno di un polso.
Tornò a
guardarlo. Si fissarono per un lungo istante.
«Stai
bene?» gli chiese.
Andrew
annuì. «Tu?»
«Mai
stato meglio.» Si sollevò e si ritirò da lui, abbassandogli le gambe. «Dov'è il
bagno?»
«Di
fronte.»
Adonais
scese dal letto. «Arrivo subito.»
Uscì
dalla stanza ed entrò in bagno. Aprì i cassetti del mobile accanto al
lavandino, trovando delle salviette. Niente era fuori posto, il suo soldato era
molto ordinato.
Un
sorriso gli affiorò alle labbra, mentre bagnava una salvietta e si ripuliva.
Fece scorrere l'acqua calda e ne bagnò un'altra, strizzandola fra le mani e
tornando in camera. Salì sul letto, seguito dagli occhi dell'altro. Lo pulì con
dolcezza, prima di gettargli un occhiata e sorridergli.
«Grazie»
sussurrò Andrew.
Si chinò
a baciarlo, poi ritornò in bagno a mettere la salvietta tra la biancheria da
lavare. Raggiunse l'uomo e gli si stese accanto, prendendolo fra le braccia.
Todd gli sfiorò la gola con le labbra, affondando il viso nel suo collo.
«Grazie a
te» mormorò Adonais, accarezzandogli la spalla.
«Di
cosa?»
«Di non
avermi chiesto cosa sono.»
Un breve
sospiro gli sfiorò la pelle. «Di niente, signor Malthus.»
Rise
piano. Lo lasciò per sollevarsi e alzare le coperte su di loro, e riprese il
suo posto.
«Non
dicevi sul serio prima, vero?» La voce profonda aveva una punta di
preoccupazione.
«Riguardo
a cosa?»
«Craig.»
Ringhiò
sottovoce. Se avesse seguito il suo istinto, quell'uomo sarebbe stato cadavere
prima dell'alba.
«Ero
serissimo.»
L'altro
si sollevò a guardarlo. «È storia vecchia.»
«Ti ha
fatto del male» replicò.
Un lieve
sorriso. Il suo soldato sapeva sorridere, allora.
«Mettila
così. Se lui non mi avesse lasciato, ora tu non saresti qui.»
«Molto
furbo, signor Todd.» Si sporse per baciarlo. Aveva scoperto che dietro quella
facciata da duro si nascondeva un'anima fragile, colpita dagli eventi più di
quanto meritasse. Era un uomo abituato a combattere, al sacrificio, ma quando
aveva avuto bisogno di aiuto era stato abbandonato. Era la cosa che più
smuoveva l'ira dentro di lui.
«Com'è
successo?» Chiederlo poteva sortire l'effetto di farlo chiudere in se stesso,
ma lo fece comunque.
«Se te lo
dico, dopo sarei costretto a ucciderti.»
«Battuta
scontata» ribatté con una risata.
«Già.»
Andrew si accoccolò contro di lui.
Non
avrebbe mai immaginato che il suo capo della sicurezza fosse così tenero.
«Sei una
continua sorpresa, Andrew.»
«Perché
non mi chiami AJ?»
«Odio le
sigle, i monogrammi. Gli acronimi. Mi dispiace, ma il tuo nome mi piace troppo
per ridurlo a un paio di lettere.»
L'altro
rise. «Soprattutto con quella “r”.»
Adonais
ringhiò. «Così?»
«Hmmm.»
Un bacio,
e poi un altro. Si aspettava che eludesse la domanda. L'aveva fatto. Gliene
avrebbe parlato quando fosse stato pronto.
«Una
missione di salvataggio. Una nave dirottata nell'Oceano Indiano.»
Il
vampiro trattenne il fiato. «Quando?»
«A marzo
dell'anno scorso.»
§
I ricordi
si esaurivano nel momento dell’esplosione. Ricordava il viaggio sull’aereo in
silenzio radar, il lancio, la nave appena visibile nel buio. Tutto sembrava
filare liscio, avevano trovato gli ostaggi raggruppati nella sala mensa, ma dei
dirottatori neanche l’ombra.
La prima
esplosione li aveva investiti mentre portavano gli scienziati in coperta. Due
dei suoi compagni erano morti sul colpo. C’era stato il panico tra gli ostaggi,
ma il Team aveva reagito bene, restando composto il più possibile nonostante le
perdite.
Poi
avevano udito le urla. Si era allontanato per controllare, tallonato da un commilitone.
Aveva
girato la maniglia di una porta stagna, dietro la quale sembrava esserci la
fonte delle grida. Dopo, il rumore assordante, il vuoto d’aria, il fuoco che lo
avvolgeva.
«Quando
mi sono svegliato, ero nell’infermeria della Truman.» Stava usando un tono
piatto, ma aveva imparato il distacco tanto tempo prima. Se poi si trattava di
se stesso, prendeva le distanze ancora di più, come se non fosse l’attore
principale di quella tragedia, ma un semplice spettatore.
«Che
successe poi?» Adonais continuava ad accarezzarlo.
AJ non lo
sopportava. Si sfilò dalle sue braccia e si alzò a sedere.
«Non
ricordavo granché.» Solo il dolore. Quello era presente in ogni momento della
giornata.
Adonais
gli si avvicinò da dietro. Non voleva saperne di restargli lontano. Una mano
scivolò sotto il suo braccio e gli si posò sullo stomaco, accarezzandolo piano.
«Mi
raccontarono cos’era successo. Da otto eravamo rimasti in cinque. Due morti
nella prima esplosione, uno nella seconda, dove ero stato colpito anch’io. Mi
dissero che, malgrado avessi ustioni di terzo grado alla testa e al corpo, ero
riuscito a portare fuori due compagni feriti e a riunire gli scienziati sul
ponte, in attesa del prelevamento.» Soffocò una risatina. «Credo di essermi
fidato sulla parola, perché io non me ne ricordo.»
Sentì
l’esclamazione dietro di lui, una carezza sulla nuca lo fece rabbrividire.
Chiuse gli occhi.
«Mi
trasferirono a Coronado, dove avevamo la base, e un altro viaggio fino a
Bethesda, all’ospedale della Marina.»
«Per
quanto tempo?»
«Il primo
ricovero è durato cinque mesi.»
«Grande
Madre.»
La
stretta si rafforzò. La pressione sulla schiena era aumentata, Adonais si era
appoggiato a lui.
«Poi
dentro e fuori per i successivi sei. L’ultima dimissione risale al febbraio
scorso.»
«Per cosa?»
Accarezzò
la mano che lo teneva stretto. «Interventi di chirurgia plastica al viso e al
torace. Per il braccio non c’era molto da fare. Le ustioni erano arrivate
troppo in profondità, intaccando i muscoli. Riesco ad alzarlo fino a metà, non
oltre.»
«Mi
dispiace, Andrew.»
«Anche a
me.» Gli prese la mano per baciargli le dita. «È la prima
volta che lo racconto a qualcuno.»
Un bacio
sulla nuca. Reclinò la testa all’indietro per posarla sulla spalla di Adonais.
«Hai
bisogno di dormire» gli sussurrò il vampiro nell’orecchio. Vampiro… Quella situazione sembrava così surreale. Era andato a
letto con una leggenda vivente, gli aveva raccontato cose che giacevano
secretate dentro un file, tacendone però altre, più intime. La rabbia, il
timore, la consapevolezza di non servire ormai più al governo del suo Paese.
Non gli era toccata la sorte di molti veterani, ma questo non faceva di lui un
privilegiato.
Con un
sospiro lasciò che Malthus lo attirasse a sé, che lo facesse stendere. Si mise
sul fianco sinistro mentre l’altro lo cingeva con un braccio e si allungava
dietro di lui.
«Dormi,
Andrew.»
Accoccolato
contro il petto di Adonais, avvolto dal suo calore, si addormentò.
§
Si
svegliò in piena notte, sentendo delle lievi carezze sulla nuca e la spalla.
Adonais.
Era
ancora lì, accanto a lui. Una profonda emozione gli riempì il torace.
Baci
leggeri si posavano sulla pelle rovinata del collo e della spalla.
«Sei
sveglio.»
AJ girò
la testa per guardarlo.«Anche tu.»
«Dormo
poco» ammise Malthus, spostandosi per farlo mettere supino. Lo baciò sulla
bocca, lento, allungando una mano sotto le lenzuola per accarezzarlo, giù fino
all’inguine. Il suo membro vibrò.
«Sei
troppo stanco? Manca poco all’alba, tra poco devo andare.»
Sapeva
cosa gli stava chiedendo. Sollevò le mani per passare le dita tra i lunghi
capelli scompigliati. L’inappuntabile miliardario non aveva un aspetto migliore
del suo, dopo il sesso.
«Stanco?
Naaah.»
Evidentemente
contento della risposta, Adonais lo baciò più a lungo, più a fondo, continuando
a muovere la mano sul suo sesso. AJ si spostò sull’altro fianco e ricambiò le
attenzioni, strappando all’amante un gemito sommesso. Strinse le dita intorno
al membro di Malthus e mosse la mano. Gli teneva un braccio intorno al collo e
gli accarezzava i capelli.
«Ti
piacciono davvero tanto.»
La voce
del vampiro gli arrivò all’orecchio.
«Uh?»
«I miei
capelli» ridacchiò Adonais.
Sorrise
sotto la sua bocca. «Da matti.» Continuò ad accarezzarli, mentre il piacere
invadeva entrambi, facendoli sussultare e gemere.
Quando
furono più calmi, Adonais fece per alzarsi e andare in bagno, ma lui lo fermò.
«Resta
qui.» Tirò via il lenzuolo e si pulì, facendo lo stesso con l’altro. Sollevò la
mano e si leccò il pollice, bagnato del seme di Adonais. Questi ringhiò, e lui
sorrise.
«Un
sapore davvero buono, signor Malthus.»
«Vieni
qui, provocatore.»
Si lasciò
trascinare sul suo petto e si addormentò di schianto.
25 novembre
Il sole
che entrava dalle finestre lo svegliò. AJ sbatté le palpebre, chiedendosi come
mai ci fosse tanta luce. Con gli occhi appannati gettò un’occhiata alla
sveglia. Le nove passate. Di rado dormiva fino a quell’ora.
Il posto
accanto a lui era vuoto e freddo. Non lo aveva neanche sentito andarsene. Poi
vide il biglietto sul cuscino.
Ci vediamo stasera. Un bacio. A.
Un
sorriso gli spuntò sulle labbra, lui che sorrideva poco. Si stava davvero
comportando come una liceale in preda alla cotta del secolo.
Si alzò
dal letto, si vestì con i pantaloni della tuta e una maglietta. Tolse le
lenzuola, impregnate dei loro odori, e le andò a mettere in lavatrice, insieme
all’altra biancheria da lavare. Avviò la macchina, stiracchiandosi. Parte della
massaia finita. Adesso aveva bisogno di movimento per scaricare
quell’incredibile energia che gli stava facendo vibrare i muscoli.
Uscì dal
bagno e si diresse verso l’ex stanza per gli ospiti attrezzata a palestra in
miniatura. Corsa sul tapis roulant, pesi e panca.
Cominciò
a correre, gli occhi color ambra fissi nella sua testa.
§§§
Serata
piena, al Soul Club. Si sentiva l'imminenza della festa del giorno dopo, che
avrebbe dato il via alle spese natalizie partendo dal famigerato Black
Friday. Gli eventi si sarebbero susseguiti in ogni parte della città.
Adonais
faceva quelle considerazioni mentre si faceva largo fra la gente in piedi a
bere o a ballare, salutando chi conosceva ma senza fermarsi a parlare.
Era
impaziente, non aveva ancora visto il suo capo della sicurezza. Il suo
corpo fremeva dal desiderio di rivederlo, di stringerlo. Di sentirlo gemere
mentre lo prendeva. Meglio non pensarci, non era proprio il momento.
Passò
nella sala cocktail, ma non percepì il profumo di agrumi. Tornò indietro, salì
al piano superiore e lo intravvide, appoggiato al muro alla sua destra. Stava
ascoltando l'assolo di un sassofonista.
Gli si avvicinò,
e Andrew dovette sentire il suo sguardo perché si girò nella sua direzione. Gli
occhi brillarono, il corpo si tese.
Giunto
alla sua altezza, Adonais gli toccò la spalla con la propria, spingendolo
avanti fino a insinuarsi tra lui e il muro. L'altro lo lasciò fare.
Gli
sfiorò l'orecchio con le labbra. «Buonasera, signor Todd.»
«Buonasera,
signor Malthus.» Sembrava un po' affannato.
«Tutto
bene?»
La mano
di Andrew vagò all'indietro fino ad afferrare la sua. «A meraviglia.»
Sorrise,
dandogli un bacio dietro l'orecchio, appena sotto il filo dell'auricolare.
«Non
intenderai dare spettacolo, vero?» C'era divertimento e preoccupazione nella
voce dell'uomo. Più un lieve nota eccitata.
«No.
Volevo solo salutare il mio capo della sicurezza.»
Todd
ridacchiò. «Cosa che di solito non fai.»
La breve
risata lo scaldò. Quel suono gli fece capire quanto poco sapesse di lui e
quanto desiderasse approfondire la
conoscenza. Fino alla notte prima lo aveva considerato arrogante, odiando
l'impassibilità e l'indifferenza di cui si vestiva e che ristagnavano sul suo
volto, pur di mantenere le distanze.
Gli era
bastato avvicinarsi alla parte più intima dell'uomo per far cadere la maschera.
Andrew
gli lasciò la mano. «Vieni, scendiamo.»
Gli
rimase vicino sulle scale, senza toccarlo. Quando furono nel breve corridoio
che portava alla sala cocktail, lo fermò nell'ombra.
«Devo
baciarti, Andrew.»
Non ebbe
bisogno di pregarlo. Le mani di Todd furono sul suo torace, fra i suoi capelli,
il corpo vicino e caldo. Labbra dolci sfiorarono le sue, e Adonais reclinò
appena la testa per approfondire il bacio, attirandolo a sé, una mano a
reggergli la nuca. I fianchi dell'uomo premettero contro i suoi: l'indifferente
signor Todd aveva un'erezione fantastica.
Si
staccarono ansimanti. Adonais considerò seriamente la possibilità di trascinare
il capo della sicurezza nel suo ufficio e occuparsi di lui fino a farlo gridare
per il piacere.
«Sto
lavorando, Adonais.»
Aggrottò
la fronte. Possibile che l'uomo fosse in grado di leggere nella mente? In realtà
si stava strofinando contro di lui, rendendo chiare le sue intenzioni.
«Poi
dovrei giustificarmi con il mio datore di lavoro.»
Sorrise
alla battuta. «Potrei dirgli che hai qualcosa di più importante da fare.»
«Roland
non approverebbe.» La voce della ragione.
Sorrise
nella penombra. «Ecco un motivo per cui potrei rinunciare a un'attività molto
piacevole.» Si staccò a malincuore, non prima di aver posato un bacio su quella
bocca generosa e sulle guance ben rasate del suo amante.
Todd gli
diede una rapida carezza sul viso.
I passi
sulle scale li fecero staccare e si affrettarono a lasciare la galleria.
«A
proposito di Roland.» Andrew gli gettò un'occhiata. «So dell'ammanco, me ne ha
parlato l'altra sera.»
«Che ne
pensi?»
«Che c'è
qualcuno che sta scherzando con il fuoco.»
Adonais
sorrise, mentre entravano nella sala. «Mi ricorda tanto una certa persona.»
Il capo
della sicurezza si fermò a guardarlo. «Non c'è da scherzare, Adonais. Hanno
sottratto una bella somma. Con tutto il lavoro che abbiamo fatto, il controllo
sui dipendenti e sulle loro fedine penali, il fatto che un ladro ci sia
sfuggito non è per niente edificante.»
«Lo so,
Andrew. Non la sto prendendo alla leggera. L'altra sera, quando non sono venuto
al locale, stavo lavorando con il servizio di sicurezza dell'azienda. Inoltre,
uno dei migliori hacker sulla piazza sta rovistando nel server per trovare la
falla.»
«Un
hacker?» Todd sembrava colpito. «Addirittura.»
«È
riuscito a penetrare il firewall della Malthus Enterprise.»
«E...?»
«L'ho
assunto» terminò Adonais. «Meglio averlo come alleato.»
«Non sei
l'unico a pensarla così» commentò Andrew.
Si
guardarono negli occhi per un istante, e Adonais ripensò al proposito di
trascinarlo con eleganza in un luogo appartato.
Una voce
femminile si intromise tra loro. Malthus si girò ma già sapeva di chi era. «Adonais Malthus, mi chiedevo se
ci avresti onorato con la tua presenza.»
Prese la
mano che gli veniva tesa, stringendola nella sua.
«Jules,
mia cara. È davvero un piacere rivederti.»
La
bellissima donna si avvicinò ancora di più. Adonais gettò un'occhiata al capo
della sicurezza. Sul volto dell'uomo era scesa la solita espressione
indifferente.
«Ti posso
presentare il capo della sicurezza del locale, Jules? Il signor Andrew Todd.»
Gli occhi
verdi di lei si voltarono per posarsi sull'uomo. Sembravano brillare di
ammirazione. Una fitta di gelosia lo attraversò.
«Signor
Todd, le presento la signora Jules Calleja.»
Andrew
offrì la mano tesa e la donna gliela strinse, accarezzandogli il dorso con il
pollice. Sotto i suoi occhi.
Un
ringhio cominciò a farsi strada nel suo petto, ma uno sguardo ammonitore di
Andrew lo fece calmare. Sperò che Jules non se ne fosse accorta. Era una delle
poche vampire a vantare un incarico prestigioso: lei era l'Amministratore
Delegato della ex Finch Corporation, ora Chrome Inc.
Alla
morte del non compianto Conner, Adonais non aveva perso tempo: aveva acquistato
la maggioranza delle azioni e scorporato l'azienda, rivendendola per il doppio
del suo valore. Era un gesto con un alto valore simbolico, rivolto soprattutto
alle famiglie che avevano simpatizzato con le idee di Finch.
«Scusatemi»
interloquì Andrew. Gli occhi blu incontrarono i suoi. «Ci sono dei controlli da
fare. È stato un piacere, signora Calleja. Signor Malthus.»
Lo guardò
allontanarsi con disappunto, ma capiva che per lui il lavoro era importante.
«Davvero
interessante, il signor Todd» commentò Jules.
«Trovi?»
Diede alla voce un tono annoiato.
Gli occhi
verdi ammiccarono. «Trovo. Mi piacerebbe conoscerlo meglio.»
«Non
credo abbia tempo per le relazioni sociali.»
Lei
inarcò un sopracciglio con eleganza. «Mi stai dicendo che sei uno schiavista e
che lo obblighi a lavorare a suon di frustate?»
Rise.
«Niente affatto.»
«Meno
male, perché lo trovo decisamente affascinante.»
Le gettò
un'occhiata. «Anche con quella cicatrice?»
«Soprattutto
per quella.»
Peccato
che non si limitasse al viso. Lui conosceva quella pelle raggrinzita, la paura
di essere rifiutato.
Doveva
cambiare argomento. «Vieni spesso al locale?»
«Non
molto, a dire il vero. Un paio di volte a settimana, se il lavoro me lo
concede.»
«L'azienda?»
Jules
lisciò l'abito nero tagliato su misura e che le fasciava il corpo come una
seconda pelle.
«Sta
decollando, Adonais. Lenta ma inesorabile.»
Lei
scrollò i lunghi capelli neri. «Grazie, Adonais. Mi hai fatto un grande onore
offrendomi quel ruolo.»
«Lo
meritavi.» Vide tornare Andrew dall'ingresso. Doveva intercettarlo prima che
sparisse al piano superiore. «Mi vuoi scusare? Devo salutare qualcuno.»
«Ma
certo.»
Si
allontanò e prese la direzione di Todd, ma Roland comparve prima che potesse
entrare nella galleria.
«Adonais,
finalmente sei qui.»
Si fermò,
cercando di non mostrarsi contrariato. «Roland, amico mio.» Andrew era sparito.
Trattenne un sospiro e si concentrò sul direttore. «Novità?»
«Richard
sta facendo gli straordinari.»
«Ed è
molto ben pagato» ribatté. «Ma non ci sono notizie, vero?»
Roland si
guardò attorno. «Puoi venire nel mio ufficio?»
§
AJ si era
allontanato per adempiere al suo dovere, uno degli uomini della squadra lo
aveva avvertito nell'auricolare di un problema. Un tizio all'ingresso voleva
entrare a tutti i costi anche se non aveva invito e non era iscritto nella
lista.
La
propria imponenza, sommata a quella dei due compagni all'entrata, aveva sortito
l'effetto desiderato, dove le parole gentili ma ferme avevano fallito. L'uomo
si era allontanando sbraitando, e lui era tornato ai suoi controlli.
Arrivando
nella sala cocktail, aveva visto Adonais ancora fermo a parlare con Jules
Calleja. Aggrottando la fronte, si era reso conto che la donna non gli piaceva.
Quegli occhi verdi potevano essere bellissimi, come tutto il resto della sua
persona, ma l'istinto gli suggeriva che qualcosa non andava. La loro luce era
fredda, calcolatrice. Sperò che fosse solo un'impressione, ma il suo istinto si
sbagliava di rado.
Salì al
piano superiore, dove il sax era stato sostituito da un gruppo. La “Rapsodia in
blu” lo avvolse e, anche se mixata, manteneva il fascino primitivo. Si appoggiò
al muro per ascoltarla, ma non ebbe il tempo per rilassarsi.
Si portò
una mano all'orecchio. Roland Xavier lo stava cercando. Doveva raggiungerlo nel
suo ufficio.
Mentre
scendeva le scale, si chiese se avessero trovato il colpevole dell'ammanco.
Fosse stato così, lo voleva tra le mani per un qualche tempo.
Raggiunse
il corridoio e l'ufficio di Roland. Bussò e aprì la porta.
§
«Il
denaro è stato trasferito da una holding all'altra, fino a fermarsi in una
banca delle Cayman.» La faccia barbuta di Richard Tate li fissava dallo
schermo.
Adonais
incrociò le braccia sul petto. «Abbiamo un nome?»
«Non
ancora, signore. Ho migliaia di codici da decrittare, devo dare tempo al
computer di farlo.»
Malthus
strinse le labbra. Accanto a lui, Andrew sembrava teso. Sbirciò nei suoi
pensieri, ma la barriera si era rialzata.
Angel,
dall'altra parte del tavolo, alzò la testa. «Ci sono state diverse transazioni,
una dopo l'altra, fino ad accumulare la somma.»
«Come
dice il signor Mallory» confermò Tate.
«Sui
conti hai scoperto qualcosa?» gli chiese Roland.
«Sono
intestati a nomi fittizi, terze persone del tutto all'oscuro. Nulla che ci
possa dire chi è stato.»
«Dannatamente
furbo» commentò Andrew a bassa voce.
Adonais
gli gettò un'occhiata. Desiderava stringergli la mano, accarezzarlo, ma c'erano
troppi spettatori. E non era il momento.
La
collera gli stava salendo dallo stomaco, ma aveva bisogno di tutto il suo
sangue freddo per affrontare la cosa.
«Da dove
parte?» Ancora Roland.
«Da
Chicago.» Tate e Angel avevano risposto all'unisono.
L'investigatore
privato si schiarì la voce. «A quello siamo risaliti senza problemi. Come
sapete, ogni sera l'incasso viene controllato per verificare la congruenza.»
Richard
Tate si intromise. «A partire dalla metà del mese, cominciano a verificarsi le
discordanze.»
Adonais
digrignò i denti. «Come?»
«Dopo la
chiusura, l'incasso telematico viene inviato in rete alla banca. Durante questo
tragitto virtuale, qualcuno si immette nella corrente di dati e si appropria
del denaro. Solitamente un terzo dell'incasso, da quanto ho appurato.»
«Credevo
non fosse possibile penetrare il nostro firewall,» sbottò Adonais. «Lo
hai creato tu, Tate.»
«Il firewall
è intatto,» ribatté l'hacker. «Ma c'è una falla nel sistema tra la rete del locale
e quella della banca. Chiunque sia stato l'ha trovata e ne ha approfittato.»
«Cazzo»
sussurrò Andrew. Adonais lo sentì muoversi e sfiorargli la spalla con la
propria.
«C'è una
cosa, però, che abbiamo scoperto.» Angel sembrava imbarazzato.
«E
quale?» Malthus si passò la mano sulla faccia. Altre brutte notizie, lo
percepiva dai pensieri di Angel.
«Non è
così difficile immettersi nella rete di dati» disse Tate. «Basta una password
per entrare nel flusso.»
«Quello
che Richard vuole dire è che forse non bisogna andare troppo lontano per
trovare il colpevole.»
Adonais
si raddrizzò. «Che stai cercando di dirci, Angel?»
«Che
chiunque sia stato, è uno che ha accesso ai computer del locale. È uno che
lavora qui.»
§
AJ si
chiuse la porta alle spalle.
Dopo la
bomba lanciata da Angel c'era stato un silenzio spettrale. Al suo fianco,
Adonais aveva ringhiato sotto voce.
«Voglio
che mi troviate il traditore.»
Angel si
era alzato. «I controlli sono già iniziati. Roland è stato il primo.»
«E non
sono io» aveva replicato il direttore.
AJ si era
messo dritto. «È possibile che si tratti di qualcuno da fuori?»
«Che cosa
intendi, Andrew?» Bene, il signor Malthus aveva abbandonato le formalità in
favore degli spettatori.
«Non basterebbe
essere in possesso della password e lavorare al di fuori del locale?»
Richard
Tate aveva annuito dentro lo schermo. «È una possibilità, nemmeno tanto remota.
Non occorre essere fisicamente al club.»
La
riunione si era conclusa con la promessa da parte dell'hacker di controllare
tutti i dipendenti e di continuare a decrittare i codici.
AJ si
passò una mano sui capelli. La cicatrice sul viso tirava, era in arrivo il
freddo. Avrebbe dovuto utilizzare più crema.
Un lieve
bussare e la porta si aprì. AJ non poté evitare al suo corpo di reagire quando
vide entrare Adonais.
«Brutto
guaio» commentò, mentre l'altro si avvicinava.
«Sono
sicuro che lo troveremo» rispose Malthus, prima di prendergli i fianchi e
attirarlo a sé. Un respiro e la bocca del miliardario fu sulla sua.
Socchiuse
le labbra e lasciò che l'amante vi facesse penetrare la lingua. Quel contatto
lo fece eccitare ancora di più. Gli infilò le dita nei capelli e spostò appena
la testa per aumentare l'intensità del bacio.
Adonais
si strofinò contro di lui, strappandogli un mugolio. In risposta gli arrivò un
ringhio. Lasciò i capelli per abbassargli la giacca.
Il
vampiro fece cadere le braccia per facilitargli il compito, senza staccare la
bocca dalla sua. Poi fu la volta della camicia e della propria giacca. Si
staccò il tempo necessario per togliersi la maglia, prima di essere ripreso
dalle mani di Adonais. Adesso erano pelle a pelle.
Le mani
di Malthus raggiunsero la cintura e gli sbottonarono i jeans, abbassandoli
insieme ai boxer. Gli afferrò le natiche e lo fece aderire ai propri fianchi.
«Nudo»
gli sussurrò sulla bocca. Si staccarono di nuovo.
AJ si
liberò di scarpe, calze e biancheria, consapevole dello sguardo dell'altro sul
proprio sesso eretto. Dimenticò le cicatrici, gli occhi dorati parlavano di
desiderio.
Adonais
strinse le dita intorno al suo membro. Gemette, inarcandosi, ma non voleva
cedere subito. Gli allontanò la mano, guardandolo, facendo scorrere dita e
labbra sul petto e l'addome dell'amante fino alla cintura.
Gli aprì
i pantaloni per accarezzarlo. Adonais ringhiò. Il suono gli diede un brivido.
Rapido, si inginocchiò davanti a lui.
«Andrew...»
Il vampiro quasi gridò, quando con bocca e lingua si impadronì del suo membro
su tutta la lunghezza.
Per
fortuna gli uffici erano insonorizzati.
I fianchi
di Malthus si muovevano a ritmo con la sua bocca. Era certo che fosse quasi al
limite. Si spostò per fissarlo da sotto in su, leccandosi le labbra. Adonais
ansimava.
«Signor
Malthus?» Sorrise mentre si alzava e faceva aderire petto e fianchi a quelli
dell'altro.
Adonais
gli prese il volto fra le mani e lo baciò, facendolo spostare verso la
scrivania.
«Finalmente»
sospirò sulla sua bocca.
AJ si
ritrovò seduto sul ripiano di teak, mentre Adonais lo spingeva giù. Un tubetto
di lubrificante comparve nella mano del vampiro.
«Ho
aspettato questo momento per tutto il giorno» borbottò il miliardario,
spingendogli le gambe indietro ed esponendolo alla propria vista.
AJ
sentiva il cuore battere forte. Lo sguardo famelico del suo amante lo eccitava
come non gli era mai successo.
Le dita
di Adonais unte di lubrificante trovarono la sua apertura e scivolarono dentro,
facendolo quasi gridare. Si inarcò sulla scrivania, andandogli incontro.
Malthus si chinò su di lui per baciarlo, poi si sollevò entrando lento finché
non aderì del tutto.
AJ
rilasciò il fiato, alzando la testa per guardarlo, ricambiato.
Adonais
cominciò a muoversi, prendendo il suo sesso nel pugno, regalandogli scosse di
piacere così profondo che si sentì spezzare.
«Adonais.»
Todd mugolò disperato, mentre l'orgasmo gli attraversava il corpo come uno
tsunami. Venne in modo glorioso nella mano del miliardario e sullo stomaco.
Adonais
gemette e fu certo che anche per lui fosse lo stesso.
26
novembre. Giorno del Ringraziamento.
Quel mattino
AJ si alzò presto. Dopo il sesso fantastico con Adonais, si era rivestito ed
era tornato a casa, da solo. Per il vampiro, la notte di lavoro non era ancora
finita.
Dopo una
doccia e una colazione abbondante, uscì e si diresse in macchina verso il centro,
per assistere alla parata in State Street. Non vi partecipava da anni, ma era
sua intenzione rimediare. Oltretutto, durante la notte aveva anche nevicato. Ci
sarebbe stato il caos, ma non gli importava.
Si
sentiva vivo come non gli capitava da tempo, e il merito era di Malthus.
Il corpo
gli si scaldò al ricordo di come lo aveva preso. Sorrise.
§
Il resto
della giornata passò tranquillo. Tornato a casa più tardi di quello che aveva
pensato, aveva dato fondo alle energie con pesi e tapis roulant, finendo con
una lunga doccia.
Niente
lavoro, quella sera. Quindi, a meno che Adonais non piombasse a casa sua,
sarebbe stato solo. Cercò di convincersi che non gli importava, ma il cuore gli
diceva il contrario. Stava diventando dipendente dal vampiro, e non solo per
l'aspetto fisico, per quanto estremamente interessante. Gli mancavano la sua
voce, i suoi capelli che gli accarezzavano il viso quando lo baciava, le sue
braccia intorno al corpo.
Aveva
appena finito di vestirsi quando il cellulare squillò. Sul display c'era un
numero sconosciuto. Aggrottò la fronte e accettò la chiamata.
«Pronto?»
«Hai
impegni per questa sera?» La voce di Adonais gli fece scorrere brividi lungo il
corpo. La solita liceale arrapata.
«No.»
Nessun saluto. Strinse le labbra.
Una breve
risata. «Bene. Vestiti elegante, vengo a prenderti alle sette.» Fine della
chiamata.
AJ fissò
lo smartphone. Non andava bene, il suo amante cominciava a dargli ordini. Ma
che diavolo!
L'ora sul
telefono gli indicò che non mancava molto. Si sarebbe preparato, ma gli avrebbe
fatto pesare quell'atteggiamento da padrone.
Elegante,
eh? Non lo avrebbe fatto sfigurare.
§
Adonais
era emozionato, un sentimento che non avrebbe associato a se stesso.
Arrabbiato, inferocito, sì. Interessato, anche. Emozionato? Se riguardava
Andrew Jackson Todd, allora tutto cambiava, l'equilibrio si spostava.
La
limousine accostò al marciapiede e Samuel scese per aprirgli la portiera.
«Arrivo
subito, Sam.»
«Sì,
signore.»
Arrivato
nell'androne, suonò il campanello. Quella sera voleva fare le cose per bene.
«Chi è?»
La voce nel citofono lo fece sorridere.
«Sono io,
Adon...» Il portone si aprì prima che finisse di dire il suo nome. Fece le
scale a due a due e si presentò alla porta, che si aprì una nanosecondo dopo.
«Grande
Madre» soffiò.
Andrew
indossava una camicia nera aperta sul collo e uno spezzato nei toni del grigio.
«Troppo
elegante?» chiese l'uomo.
«Sei una
visione.» Fece un solo passo, prima di afferrarlo e baciarlo fino a farlo
restare senza fiato. Si staccò a malincuore. «Hai il cappotto?»
Andrew
sollevò il braccio, mostrandoglielo.
«Andiamo.»
§
Gli tenne
la mano per tutto il tragitto in macchina. Se Andrew aveva riconosciuto la
destinazione non lo disse.
Evitò
effusioni e carezze, anche se moriva dalla voglia. L'uomo accanto a sé sembrava
distante, come le prime volte.
«C'è
qualcosa che non va, Andrew?» Calcò sul nome di proposito, sapendo come lo
faceva sciogliere.
Gli occhi
dell'altro lasciarono il finestrino e si posarono su di lui.
«Perché?»
Alzò le
spalle, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice. «Sembri...
distaccato.»
Andrew
prese un respiro. «Non mi piace che mi si diano ordini.»
Rise,
incredulo. «Eri un soldato.»
«Era
diverso.»
Allora
capì. Adonais si sporse verso di lui, sfiorandogli la guancia con le labbra in
un bacio colmo di tenerezza.
«Perdonami.
Volevo farti una sorpresa.»
Gli
scoccò un'occhiata. «Che genere di sorpresa?»
«Aspetta
e vedrai.»
Quando
Samuel fermò la macchina fuori dei cancelli del Navy Pier, Andrew emise
un'esclamazione soffocata.
«La
crociera sul Michigan?»
«Sì»
sussurrò, prima di sollevargli la mano e baciare le dita. «Ti piace l'idea?»
Lo
sguardo blu si posò su di lui. «Sei un romantico figlio di puttana.»
Adonais
ammiccò. «Lo prenderò per un sì.» Si avvicinò all'uomo, prima di scendere, e
gli sfiorò le labbra con il respiro. «Buon Giorno del Ringraziamento.»
Andrew
annullò la distanza, baciandolo. «Grazie.» Il sospiro nella sua voce lasciava
presagire altro.
Oh, sì,
la serata sarebbe stata magnifica.
4
dicembre
Era
passata una settimana.
Il lavoro
non presentava problemi, il locale era pieno quasi ogni sera.
Angel e
Tate continuavano a cercare il responsabile del furto, ma ancora non avevano un
nome.
In tutta
la città avevano già fatto la loro comparsa luci colorate, alberi addobbati,
vetrine allestiti con pacchi pieni di fiocchi.
AJ aveva
già visitato il Christmas Market in Daley Plaza. Gli piaceva gironzolare in
mezzo alle bancarelle di prodotti artigianali, cibo e bevande. Dappertutto le
musiche natalizie riempivano l'aria gelida e nevosa.
Gli
sarebbe anche piaciuto vedere tutto questo con Adonais, ma per lui la luce del
giorno era pericolosa. Inoltre, non sapeva come definire quella specie di
relazione. Appena prima della chiusura, il miliardario arrivava nel suo ufficio
e davano il via a una sessione di sesso bollente. I loro incontri si
consumavano sul prezioso Aubusson, sulla scrivania di teak o contro il muro.
A parte
la romantica cena del Ringraziamento a bordo della nave da crociera sul
Michigan, non c'erano stati altri appuntamenti.
AJ aveva
avuto cura di celare i pensieri più intimi, accontentandosi della vicinanza e
del piacere che Adonais gli dava, ma sentiva che non gli bastava più. Invece,
non sembrava essere lo stesso per l'amante.
AJ
evitava di porsi troppe domande, ma si rendeva conto che, con il passare del
tempo, il suo interesse per il vampiro non si limitava al sesso. Desiderava
davvero una relazione, che coinvolgesse le menti e non solo i corpi.
Si stava
innamorando. Si era innamorato.
Se e
quando Adonais Malthus si fosse stancato di lui, il cuore gli si sarebbe
spezzato.
Meglio
vivere quei momenti giorno per giorno. Perché, fino ad allora, lui era suo.
§
Quella
sera c'era un'aria strana. AJ se ne rese conto mentre passava da una sala
all'altra per i controlli. Aveva incontrato Roland, e questi lo aveva salutato
con un brusco cenno del capo. Aveva poi intercettato Angel che, come Roland,
era stato freddo.
Mentre
sostava vicino alla galleria per il piano superiore, aggrottò la fronte. Che
avessero saputo di lui e Adonais? Non che fosse qualcosa di così tragico, anche
se il rapporto tra un datore di lavoro e un dipendente poteva non essere ben
visto. Malthus non si era ancora fatto vedere.
Forse era
qualcosa di peggio. Ma cosa?
Il cuore
prese a battergli dolorosamente contro le costole. Cercò di concentrarsi sul
lavoro, ma un'angoscia crescente gli impediva di farlo.
La stessa
cosa gli era capitata sulla nave scientifica dirottata: la sensazione che
stesse per capitare qualcosa di terribile gli serrò il petto.
§
Era
ansioso di vederlo. Come ogni sera.
Adonais
era finalmente riuscito ad abbandonare il proprio ufficio per trasferirsi al
Club. Aveva fatto a meno dell'auto, non aveva tempo da perdere con il traffico.
Il suo
pensiero era fisso su Andrew, sulla gioia che gli dava.
Entrò
dalla porta secondaria e quasi si scontrò con Roland.
«Roland,
vecchio mio» lo salutò, stringendogli la mano. Aggrottò la fronte.
L'espressione del direttore non prometteva buone notizie. «Che cosa c'è?» Non
esplorò i suoi pensieri, non ce n'era bisogno. «Lo avete trovato.»
«Sì.» Era
funereo.
Un'ira
profonda cominciò a sfrigolargli nelle viscere. «Chi è? Voglio saperlo. E dopo
lo prosciugherò di tutto il suo sangue.»
Roland
emise un verso strozzato. Alzò una mano, come se volesse fermarlo.
«Tra
mezz'ora chiudiamo. Ho già chiesto ad Angel di fermarsi. Poi chiamerò anche...
Todd.» Esitò, e ad Adonais non sfuggì l'incertezza. «Richard Tate è pronto in
video conferenza.»
«Roland,
c'è qualcosa che devi dirmi prima della riunione?» Represse un ringhio. «In
privato, magari.»
«No.» Il
direttore enfatizzò il diniego scuotendo la testa. «Niente che non possa
aspettare.»
«D'accordo,
allora.» Voleva vedere Andrew ed escogitò il modo migliore di defilarsi. «Vado
a prendermi qualcosa da bere.»
Roland
gli mise una mano sul braccio. «Preferirei che aspettassi nel mio ufficio.»
«Vuoi
farmi morire di sete?» scherzò Adonais. Una sete chiamata AJ Todd, ma non lo
disse.
«Nel mio
ufficio ci sono degli alcolici» replicò Roland.
Quindi
non voleva proprio che si allontanasse. Cercò di sondargli la mente, ma il
vecchio vampiro glielo impedì. Rassegnato, fece un passo indietro.
«Vada per
il tuo ufficio.»
§
AJ arrivò
quando erano già tutti riuniti, compreso Tate che li guardava dallo schermo del
computer. Salutò e fece un cenno ad Adonais. Era sorpreso di trovarlo lì, non
lo aveva cercato come tutte le sere.
Adonais
gli donò quel suo sguardo speciale, che lo avvolse in una carezza, lenendo in
parte la tensione dei muscoli. Raggiunse la scrivania e vi si appoggiò.
Si
accorse degli sguardi di Angel e Roland. I due uomini non avevano cambiato
atteggiamento, rispetto qualche ora prima: entrambi mostravano una fredda
disapprovazione. Una volta di più si chiese che cosa avesse fatto per meritare
quei rimproveri silenziosi.
«Allora,
Roland, sentiamo le novità.» Adonais si sporse in avanti sulla poltroncina.
Il
direttore si schiarì la voce. «Beh, prima di tutto dobbiamo ringraziare Angel e
Richard, che non si sono di certo risparmiati nel cercare il colpevole.»
«Roland»
lo richiamò Malthus.
«Abbiamo
un nome» s'intromise Angel. Appoggiò i gomiti alla scrivania, fissando i
documenti davanti a sé.
«E chi
è?» Adonais aveva perso del tutto la facciata tranquilla.
AJ lo
guardò preoccupato. Sapeva com'era, ormai, lo aveva visto nel cortile interno
contro gli aggressori.
Roland e
Angel puntarono gli occhi su di lui. Sbatté le palpebre una, due volte prima di
rendersi conto del silenzio. Si raddrizzò.
«Che
significa? Perché mi guardate così?»
«Tu lo
sai il perché» ribatté Roland. «Abbiamo trovato le tracce informatiche, e
conducono fino al computer di casa tua.»
Angel si
alzò. «Ci avevi suggerito di non limitarci a cercare dentro il locale,
ma di guardare anche fuori, e Tate aveva confermato che non occorreva essere
fisicamente al Club.»
AJ lo
fissò. «Tate ha detto anche che bisogna essere in possesso della password, e io
non ce l'ho.»
«Ti
sbagli» ringhiò Roland. «Sono le ultime quattro lettere della matricola di
assunzione, le abbiamo tutti. In realtà esse identificano la persona che si
immette nella rete.»
«Cazzo,
Roland, come puoi solo pensare che io c'entri con questo furto?» Strinse le
mani a pugno. «Non ho mai fatto una cosa del genere.»
«Gli
orari corrispondono a quando esci di qui la notte e torni a casa. Abbiamo
controllato il tragitto. Non c'è traffico alle quattro di mattina.»
«Angel...»
iniziò. Era un incubo.
Un
ringhio lo fece voltare: Adonais lo fissava, gli occhi scintillanti. Ma non
aveva sfoderato le zanne.
«Te lo
giuro, Adonais, io non c'entro» sussurrò.
Il vampiro
si alzò in piedi. I suoi lineamenti aristocratici erano deformati dall'ira.
«Tu, piccolo uomo! Come hai osato?» Fece un passo. «Mi hai tradito. Tutti i
racconti sulle tue cicatrici, la paura di essere rifiutato. Erano solo
menzogne.»
AJ
deglutì a vuoto. Sentire spiattellare così la propria intimità gli provocò
un'ondata di umiliazione.
«Ti
sbagli, Adonais.» Voleva svegliarsi, ma non ci riusciva.
«Abbiamo
controllato più volte, perché credevo di commettere qualche errore» interloquì
Richard Tate dal video. «Ma non era così. Il computer è il suo, signor Todd.
Inoltre, il suo conto in banca parla chiaro. Ci sono trecentodiecimila dollari
arrivati direttamente da una banca delle Cayman. È stato furbo a spostare il
denaro dopo che l'avevo già controllata. Ma non abbastanza.»
AJ
impallidì.
Adonais
fu su di lui. Non lo aveva neanche visto muoversi. L'impatto lo fece finire
contro il muro. Il miliardario gli strinse la mano intorno alla gola
sollevandolo da terra, togliendogli ogni residuo di aria dai polmoni. Batté le
palpebre in maniera frenetica.
«Tu,
sporco traditore» sibilò Malthus. «Io mi fidavo di te.»
Attraverso
la nebbia causata dalla carenza di ossigeno, AJ vide le zanne brillare.
Non
sono stato io. Non sono stato io. Non sono stato io.
La mano,
quella mano che tante volte lo aveva accarezzato con tenerezza, stringeva
sempre di più.
Stava per
morire per mano dell'uomo, vampiro o quello che era, che amava con tutto se
stesso.
In
lontananza, molto in lontananza, udì Angel gridare. O Roland. Forse entrambi.
Le dita
attorno alla gola si aprirono di colpo. Piombò a terra, annaspando, inalando
aria come se fosse appena tornato in superficie dopo dieci metri in apnea. La
trachea bruciava, i polmoni andavano a fuoco. Vide i costosi mocassini
allontanarsi da lui, mentre piano riprendeva a respirare.
«Dobbiamo
chiamare la polizia.» Questo era Angel.
«No.» La
voce di Adonais era calma, fredda. Come se non avesse appena tentato di
ucciderlo. «Raccogli le tue cose e vattene.» Ce l'aveva con lui.
Alzò la
testa a fissarlo. Metterlo a fuoco fu un problema.
«Sei
licenziato. Non voglio più vederti.»
«Non
sono...» Si interruppe, quella voce gracchiante non poteva essere la sua. Si
schiarì la voce, o tentò di farlo, e riprovò. «Non sono stato io, Adonais.»
«Ti ho
detto di andartene.» Se avesse gridato non lo avrebbe fatto sentire così
colpevole. La voce gelida gli penetrò dentro come una lama, facendolo
sanguinare. Accusato e condannato in un colpo solo. Senza possibilità di
difendersi.
Riuscì ad
alzarsi a fatica, ma si mantenne dritto.
«Abbiamo
le prove, AJ.» Roland lo fissava dall'altro lato della stanza. «Posso solo dire
che mi hai deluso profondamente.»
Strinse
le labbra, cercò Adonais, ma gli voltava le spalle. Rimase in silenzio, e in
silenzio uscì dall'ufficio.
§
Era stato
un idiota. Si era fidato di un uomo e quello era il risultato. Era stato
tradito di nuovo, ma questa volta era peggiore, perché il colpevole era l'uomo
di cui si era innamorato. Dirsi deluso era ben poca cosa.
La
volontà di ucciderlo per quello che gli aveva fatto l'aveva travolto. Se non
fosse stato per Angel e Roland, ora Andrew non sarebbe stato in grado di uscire
dall'ufficio e dalla sua vita. Sarebbe stato cadavere sul pavimento.
Aveva
creduto di aver trovato qualcuno da amare e da cui essere amato. Si era
sbagliato un'altra volta. Adonais imprecò dentro di sé, e si ripromise di non
cadere mai più in quella trappola. L'amore non esisteva. Non per lui.
§§§
AJ aprì
la porta dell'appartamento. Aveva guidato avvolto in una nebbia di dolore e
disperazione, consapevole di ciò che aveva perso. Avevano deciso che era
colpevole. Punto. Non erano neanche stati a sentirlo.
Quello
che che gli faceva più male era la presa di posizione di Adonais. Non gli aveva
nemmeno offerto il beneficio del dubbio.
Chiuse la
porta ma non accese la luce. Gli occhi bruciavano.
Si lasciò
scivolare in una discesa lenta lungo la porta, sedendosi sul pavimento.
Per la
prima volta nella sua vita da adulto pianse.
6
dicembre
Era solo,
di nuovo. Le ore erano trascorse lente, insieme al dolore. Non riusciva a
capacitarsi di quello che era successo, soprattutto che fosse successo a lui.
Sulla
gola erano comparsi i lividi, il segno delle dita di Adonais ben visibili sulla
pelle. Bastava quello a ricordargli che non era un incubo e non si sarebbe
svegliato. Perché era reale, tutto quanto.
Aveva
controllato il computer, nella minuscola stanza riservata a studio. Lo schermo
non riportava niente di strano, i programmi erano i soliti. Non che fosse un
esperto. Era quello che lo feriva di più, che fossero subito giunti alla
conclusione che il colpevole fosse lui e nessun altro, solo perché le tracce
portavano a casa sua e al suo conto in banca.
Fu per
questo che fece un numero che lo riportò indietro nel tempo, causandogli un
profondo dolore al petto.
§§§
«Sono
AJ.»
Era
pomeriggio anche a Coronado, o almeno sperò che Larry Marquez fosse alla base.
Il fatto che avesse risposto lo faceva ben sperare.
«Capo!
Sei proprio tu?»
La voce
del commilitone ed esperto informatico dell'ormai distrutto Team lo fece
sorridere per la prima volta da quando lo avevano cacciato. Cercò di
allontanare quel pensiero.
«Come
stai, Marquez?»
«Sto
bene, capo. Pensavo che dopo tutto questo tempo non volessi più avere a che
fare con noi.»
Era così,
infatti, ma non lo disse. Troppi ricordi che gli portavano alla mente quello
che aveva perso.
«No, è
che...» Si interruppe. All'improvviso non sapeva cosa dire.
«Lo so,
capo.» La voce di Marquez sembrava piena di comprensione. «Sai, stanno cercando
di ricostituire il Team. Non so se ne farò parte, ma spero che la nuova squadra
sia in gamba almeno la metà della nostra.» Un istante di silenzio. «Ci sei
mancato, capo.»
Un nuovo
Team... L'incidente aveva distrutto parecchie cose, soprattutto il rapporto con
quelli che riteneva amici e a cui avrebbe affidato la vita. Quello era
affiatamento. Chiuse gli occhi, massaggiandosi il petto.
«Ho
smesso di essere capo quando mi sono congedato» replicò, nel tentativo di
sciogliere quel nodo alla gola.
Una breve
risata. «Beh, per noi sei ancora il capo Todd.»
«Cazzo,
Marquez» sussurrò nel telefono. Si passò una mano sugli occhi.
«Non mi
hai chiamato solo per chiedermi come stavo, vero?»
Si
ricompose. «Anche per quello, ma... no, non è il solo motivo.»
«Spara.»
§§§
La vita
continuava. Riunioni, video conferenze, acquisti di aziende sull'orlo del
fallimento.
Adonais
aveva messo ancora più impegno nel lavoro, se possibile. Disertando il Club,
però.
Roland lo
aveva chiamato, ma era stato irremovibile. Niente più serate in un locale che gli
ricordava la propria stolta fiducia. Aveva amato un uomo e questi l'aveva
tradito, senza farsi troppo scrupoli. Per quanto tenesse a quel locale,
non era sua intenzione rimetterci piede
tanto presto.
Angel gli
aveva chiesto perché non avesse voluto fare intervenire la polizia. Era un
furto, AJ doveva pagare, ma Adonais non era dell'avviso. Licenziarlo, cacciarlo
era più veloce. Lo avrebbe eliminato prima dalla sua vita.
Ucciderlo
sarebbe stato altrettanto veloce, ma lo avevano fermato, non sapeva se le voci
delle persone presenti quella notte o gli occhi di Andrew, non più velati di
passione ma dell'opacità della morte.
Mai più,
promise a se stesso. Niente sentimenti, niente complicazioni. Niente dolore.
9
dicembre
AJ sostò
davanti la porta dell'ufficio di Angel, chiedendosi se fosse una buona mossa
andare a trovare l'investigatore privato.
In mano
non aveva niente di concreto, solo una flebile speranza. Marquez aveva lavorato
sulle informazioni che gli aveva dato, ma era giunto solo a una parziale
conclusione. Per il resto ci voleva ancora tempo.
Bussò, il
rimbombo del legno si sommò a quello del suo cuore. Non aveva telefonato,
temeva che Angel non avrebbe risposto o addirittura sbattuto il telefono in
faccia.
La porta
si aprì. Sul volto di Mallory ci fu un alternarsi di espressioni, dalla
sorpresa alla chiusura.
«Che ci
fai qui?»
«Ho
bisogno di parlarti» disse AJ.
Angel
strinse le labbra. «Ma io non voglio parlare con te.» Fece per chiudere, ma lui
bloccò la porta.
«Ti
chiedo solo di ascoltarmi!» esclamò, avanzando di un passo e facendo
allontanare l'altro.
«Che cosa
vuoi, AJ? Non abbiamo niente da dirci. Hai già distrutto tutte le tue
possibilità rubando come hai fatto.»
«Io
non ho rubato.» Alzò la voce. «Non ho preso un centesimo in più oltre lo
stipendio che mi veniva pagato.» Si picchiò la mano aperta sul petto. «Mi avete
colpevolizzato senza neanche ascoltarmi.»
«Avevamo
le prove!» sbottò Angel.
«E non vi
siete chiesti perché, dopo averci controllato tutti, improvvisamente quei soldi
siano comparsi sul mio conto?»
Mallory
scoppiò a ridere, facendogli dolere il petto per lo scherno che conteneva.
«Tate te
lo ha detto: sei stato furbo.»
AJ
strinse i pugni. «Non abbastanza» replicò. «Non avrei mai dovuto accettare quel
posto.»
L'investigatore
lo fissò. «Mi chiedo che cosa ti rimanesse da fare.» L'astio nella sua voce lo
ferì nel profondo. Che cosa gli sarebbe rimasto? Una vita a carico del Governo?
«Credevo
fossimo amici» sussurrò. Stava diventando patetico, e si odiò per quello.
«Lo
credevo anch'io, finché non ho capito che era una menzogna.»
Di nuovo,
fece un passo avanti. «Non ho mentito, mai. Né sul denaro, né su me stesso.»
«Permettimi
di dubitarne» ribatté Mallory.
«Maledizione!»
urlò, alzando i pugni.
Un
ringhio lo distrasse. Da una porta sulla destra era comparso Seth. Le labbra
arricciate mostravano i denti bianchi.
«Va tutto
bene, Seth» gli disse l'investigatore. «Todd se ne stava andando.»
«Non
prima di avermi ascoltato» sbottò AJ. Di nuovo il ringhio, nemmeno tanto
sommesso. Fissò il poliziotto e non abbassò lo sguardo. Lo stava sfidando
apertamente.
Un
battito di ciglia e Seth lo attaccò.
Il peso
del corpo di Rogers lo fece barcollare, ma non crollare. Si ritrovò a fissare i
denti snudati, a udire quel brontolio profondo, mentre l'altro lo afferrava al
collo.
Gli diede
una gomitata con il braccio sinistro, ma la forza era minore. Seth lo stava
stritolando. Premette le dita sulla faccia dell'uomo.
Distante,
Angel gridava.
Il
poliziotto afferrò la maglia nel pugno. AJ si contorse ma perse l'equilibrio,
cadendo. Il tessuto si lacerò e percepì l'aria fredda sul petto.
«Cazzo.»
L'esclamazione
era arrivata all'unisono da Rogers e Angel. Lo stavano fissando. Stavano
fissando le cicatrici ben visibili sotto l'indumento strappato.
AJ si chiuse
la giacca sul petto, nascondendo alla vista il suo corpo malridotto. Si alzò in
piedi senza guardare i due uomini. Una nuova umiliazione. Doveva farci
l'abitudine.
Seth
avanzò, e alzò una mano per fermarlo.
«Me ne
vado, me ne vado.» Era stanco di lottare. Si girò, ma la voce di Rogers lo fece
fermare.
«Non
ancora.»
Si voltò
a guardarlo. «Vuoi finire quello che hai cominciato?»
«No.»
Seth fece un altro passo. «Voglio vedere quelle cicatrici.»
Fece una
breve risata. «Perché? Per accontentare qualche tua curiosità morbosa?»
«Curiosità
morbosa?» ripeté Rogers. «Non capita tutti i giorni di vedere vivo il
possessore di una Purple Heart.»
«Come fai
a saperlo?» Era sorpreso.
Il
poliziotto ammiccò. «Ho un amico che lavora a Bethesda.»
«Allora
puoi farti mandare le cartelle mediche.» Non aveva alcuna intenzione di
spogliarsi e sopportare quelle occhiate pietose.
«Sei già
qui, no, frogman?» ribatté Seth.
Con un
gesto rabbioso, fissandoli entrambi, si tolse la giacca di pelle e si liberò
della maglia lacerata. Angel spalancò gli occhi.
Seth lo
osservava. Senza una parola, uscì dalla stanza ma vi ritornò pochi secondi
dopo. Gli lanciò una maglia. L'afferrò al volo e la indossò, facendo lo stesso
con la giacca.
«Posso
andarmene adesso?» chiese.
Rogers
sollevò un sopracciglio. «Non volevi parlare di qualcosa?»
§
«Hanno
copiato il mio indirizzo IP.»
Il
poliziotto aggrottò la fronte. Per lui doveva essere un linguaggio sconosciuto.
«A volte
si possono sovrapporre» obiettò Angel.
Si erano
seduti intorno alla scrivania, calmi. Rogers aveva preparato del caffè per
tutti e poi si era accomodato. Sembrava molto più interessato del compagno.
«Come lo
hai scoperto?» gli chiese.
«Un ex
commilitone del mio ex Team ha fatto delle ricerche. Hanno clonato l'indirizzo
per poi utilizzarlo.»
«Se fosse
così, qualcuno aveva interesse a eliminarti dall'equazione.»
«È così,
Angel. Non so perché abbiano messo me in mezzo, ma è quello che è successo.»
«Chi è
stato?» L'investigatore bevve un sorso di caffè.
Scosse la
testa. «Non lo sappiamo. Il mio contatto ci sta lavorando, ma deve andare a
ritroso e trovare la traccia dell'uso di quello specifico indirizzo.»
«Potrei
cominciare a lavorarci su» disse Angel, pensoso.
Un po'
del peso che aveva nel petto si spostò. «Grazie, amico. Il tuo aiuto sarebbe
prezioso.»
«Ma
ricordati che non è finita» lo redarguì l'altro.
«Non mi
credi ancora» riconobbe AJ.
Seth si
sporse verso di lui. «Io sì.»
«Seth...»
Il suo compagno lo fissò con severità.
Il
poliziotto alzò le spalle. «Il suo odore non mente, Angel. Mi stupisce che
Adonais non l'abbia intuito.»
AJ guardò
dall'uno all'altro. Non ci capiva niente.
«Sareste
così gentili da spiegarmi?»
Rogers
sorrise. Quei denti bianchi erano inquietanti. «Sono un lupo mannaro e il mio
olfatto non mi ha mai tradito.»
Lui
boccheggiò. «Un... cosa?»
«Non è un
lupo mannaro» ribatté Angel. «Non proprio. Non si trasforma, ma i suoi sensi
sono dieci volte i nostri.»
«Oh,
Dio.» Un vampiro non bastava.
«Comunque
il suo odore è pulito» sbottò il poliziotto. «E se Adonais non avesse il
carattere che si ritrova, l'avrebbe capito da solo.»
«Che cosa
c'entra lui?» Era un argomento doloroso.
Seth
ammiccò. «Non ti ha marchiato, ma hai il suo odore addosso.»
«Tu e
Adonais!» Angel sbarrò gli occhi. «Questa poi!»
Si alzò
in piedi. Era ora di andarsene. «Lui e io, niente. È finita ancora prima di
cominciare. Tutta questa storia ha reso chiaro quanto fosse improponibile una
relazione.»
«Non puoi
pensarlo davvero» mormorò Angel. «Quando metteremo le cose in chiaro, si
sistemerà tutto.»
«Sei un
ottimista, Angel. Se ho faticato per convincere te, cosa credi succederà con
lui? No. Risolverò questa faccenda e tanti saluti.»
12
dicembre
Marquez
aveva tenuto fede all'impegno. AJ stringeva fra le mani i fogli appena usciti
dalla stampante. L'ex commilitone gli aveva inviato una mail, con un breve
saluto e tutti i tabulati delle transazioni bancarie, fino alle Cayman e
ritorno.
Ma non si
era limitato a quello. Aveva recuperato l'indirizzo IP clonato, verificandone
l'utilizzo effettivo. Avevano fatto rimbalzare le transazioni sul suo computer,
ma la partenza era altrove. Marquez aveva trovato il luogo fisico.
Mentre
leggeva le informazioni, AJ sperimentò l'alternarsi delle emozioni dentro di
sé. La rabbia sostituì ben presto lo sbalordimento per la scoperta. Ma non era
finita.
Prese il
telefono e compose il numero di Angel.
«Sono AJ»
mormorò quando sentì il Pronto. «Ti inoltro la mail e gli allegati che
mi ha inviato il mio contatto.»
«Bene»
rispose Angel. «Anch'io ho scoperto qualcosa di interessante. La morte di Finch
non ha fermato proprio nulla.»
Il
sollievo lo invase, anche se l'accenno al fantomatico Finch non gli diceva
nulla.
«Che
significa?»
«È una
storia lunga, te la racconterò. Che hai intenzione di fare?»
Ci aveva
pensato a lungo, ma era l'unica alternativa davvero possibile. «Voglio andare
al locale, stasera, parlare con Roland.»
«Non so
se ci sarà Adonais.»
«Non mi
interessa se ci sarà» ribatté AJ. Appena ebbe formulato la frase, si rese conto
che mentiva. «Mi basta che Roland sappia che io non c'entro. Sarà lui a dirlo a
Malthus, se vorrà.»
«D'accordo.
Cercherò di arrivare il prima possibile.»
«A
stasera.» Chiuse la telefonata, e tornò a guardare i tabulati. Il suo istinto
non si era sbagliato.
Si passò
la mano sugli occhi. Era stanco, dormiva poco. Chissà, dopo aver parlato con
Roland Xavier forse sarebbe riuscito a riposare meglio.
Inoltrò
la mail a Angel. Sperò di convincere Roland, ma i fogli che teneva in mano
erano chiari. Lo avevano messo in mezzo, ma non era l'obiettivo finale. Il vero
obiettivo era Adonais.
C'era
un'altra cosa in cui sperare: visto che lo avevano eliminato dall'equazione, si
augurò che il suo computer non fosse ancora controllato. Se lo fosse stato, non
sarebbe stato un gran male, in fondo. La scoperta della documentazione inviata
da Larry al vero punto di partenza avrebbe potuto costituire un'altra prova
della sua innocenza.
Si alzò
dalla poltroncina. Sentiva il bisogno di scaricare la tensione. Togliendosi il
maglione, uscì dallo studiolo ed entrò nella piccola palestra domestica.
§§§
Le
undici. Il freddo era micidiale, constatò AJ, scendendo dal SUV, parcheggiato a
un isolato dal Club. Raggiunse in fretta il cortile interno dell'entrata di
servizio. Aveva scartato l'ipotesi di utilizzare l'ingresso principale, non
avendo il minimo dubbio che gli uomini della sua ex squadra lo avrebbero
fermato impedendogli di entrare, trattandolo come persona non gradita. Meglio
la via secondaria, oltretutto più vicina
agli uffici.
Attraversò
il cortile e aprì la porta digitando il codice. Il display divenne verde.
Ringraziò il Cielo che nonostante tutto non lo avessero modificato ed entrò.
§
«Sono
felice che tu abbia deciso di venire, stasera, Adonais.» Jules Calleja si alzò
dalla poltroncina, avvicinandosi alla scrivania.
Lui
sorrise appena. Non era altrettanto felice, ma Angel era stato molto
insistente. Aveva acconsentito a malincuore. L'investigatore gli aveva parlato
di una riunione, ma non si era dilungato in spiegazioni, lasciandolo oltremodo
curioso.
Erano
stati giorni difficili, una settimana vissuta tra rabbia per quello che aveva
fatto Andrew e nostalgia di lui.
Quando
era arrivato al Club, Angel non c'era, ma aveva incontrato Jules, bella come
sempre. Aveva dovuto sopportare quelle sue lunghe dita che gli accarezzavano il
petto sopra la seta della camicia nera. Aveva dovuto sopportare la sua
eccessiva vicinanza.
Scacciò
quella strana avversione con fastidio, attribuendola al fatto di non provare
interesse per le femmine. Il profumo della Calleja era piacevole, ma non gli
causava quell'eccitazione che aveva provato vicino a qualcuno. Qualcuno
che doveva a tutti i costi eliminare dai propri pensieri.
«Mi fa
piacere che lo pensi» rispose. Si alzò a sua volta. «È stata una conversazione
interessante, Jules. La Chrome Inc. promette molto bene.»
«Grazie,
Adonais.» Di nuovo quelle unghie laccate di rosso a sfiorare la seta della
camicia. Allontanò il fastidio, mascherando espressione e pensieri.
«Di
niente, mia cara. Che ne dici di un cocktail? Oscar ne prepara per tutti i
gusti.»
«Volentieri.»
§
AJ
attraversò la breve distanza tra l'uscita e il corridoio degli uffici. Dopo il
freddo dell'esterno, il calore lo avvolse. Erano alle ultime battute? Lo
sperava.
Si
introdusse nel passaggio parzialmente illuminato, puntando all'ufficio di
Roland. In mano i fogli che lo discolpavano.
Gli
mancavano quattro passi, quando la porta si aprì e comparve proprio la persona
che cercava.
Appena lo
vide, il direttore si irrigidì. «Che cosa ci fai qui?»
«Salve,
Roland.» Gli fu vicino, avvertendo lo sdegno nella voce dell'altro. «Credo che
Angel ti abbia già avvertito.»
«Angel mi
ha chiesto di indire una riunione» replicò Roland, «ma non ha voluto dirmi
l'ordine del giorno, né mi ha informato della tua presenza.»
«Infatti
non doveva dirtelo» ribatté. Gli allungò i fogli. «Qui è spiegato tutto.»
Roland
prese i fogli e li scorse. La sorpresa venne ben presto sostituita dal furore.
Il mite direttore era capace di emozioni forti, riconobbe AJ.
«Questo
non significa che tu ne sia fuori» disse l'uomo, alzando lo sguardo dalla
documentazione. «Cosa volevi dimostrare?»
«Leggi
l'ultimo foglio» gli suggerì, cercando di mostrarsi pacato.
L'altro
obbedì. Poco dopo, lo fissava a bocca aperta. «È uno scherzo?»
Una porta
si aprì più in là. Adonais e Jules Calleja misero piede in corridoio, la donna
praticamente avvinghiata al miliardario.
AJ serrò
le labbra: Malthus si era ripreso in fretta dalla delusione, cambiando anche
genere di conquista.
Accanto a
lui, Roland sollevò i fogli. «Adonais! Giusto tu. C'è qualcosa che devi farti
vedere.»
«Davvero?»
La voce era gelida. Adonais lo fissava come se fosse un insetto da schiacciare.
Doveva
andarsene. Subito. Cominciò a indietreggiare.
«Te vai,
Andrew?» Di nuovo quel sarcasmo. «Hai già finito di circuire Roland?»
Non
voleva ribattere. Stringendo i pugni, si girò e raggiunse la porta di servizio.
Sentì il
richiamo del direttore, ma non si fermò.
§
Adonai
rimase a guardare il corridoio, di colpo vuoto, nonostante la presenza di
Roland. Quando aveva visto Andrew, i ricordi lo avevano assalito, insieme a
un'ondata di furia. Come si permetteva di farsi vedere al locale, dopo tutto
quello che era successo?
Roland
gli si avvicinò, con dei fogli in mano. «Devi vedere questi.»
«Non ora,
Roland» sbuffò.
Jules gli
strinse il braccio. Era così vicina e soffocante, non vedeva l'ora che se ne
andasse.
«Mi hai
promesso un cocktail, Adonais.» Che voce petulante, non la sopportava.
«Adonais...»
Roland aveva alzato i fogli.
«Ho detto
non ora.»
Il
direttore glieli sventolò sotto il naso, lanciando un'occhiata alla sua ospite.
«Invece ora. Devi leggere cosa c'è scritto.» Forse si sbagliava, ma nello
sguardo dell'amico c'era avversione. Verso la Calleja? La cosa lo sorprese,
come il tono fermo nella voce di Roland.
Prese i
fogli, chiedendosi se quell'atteggiamento avesse a che fare con Andrew.
«Adonais.»
Jules gli strinse il braccio. Attraverso la stoffa sentì le unghie penetrargli
la pelle.
«Un
momento.» L'interesse per quanto era scritto in quei fogli stava aumentando in
maniera esponenziale.
«Siete
qui.»
Alzò la
testa sentendo la voce di Angel e girò appena la testa. L'investigatore si
avvicinò fissandolo, poi osservò Jules.
«Che ne
dici di questa lettura interessante?» gli chiese, continuando a guardare la
Calleja.
Era
arrivato all'ultima pagina. Con un ringhio strappò il braccio dalla presa della
vampira.
«Maledetta»
ruggì. La vide cambiare espressione, da guardinga a sorpresa e infine
impaurita. «Angel, Roland, non fatela allontanare.» Si incamminò veloce verso
l'uscita secondaria.
«Dove
stai andando?» gli urlò dietro Roland.
«A
fermare qualcuno.» Sperò che non fosse troppo tardi. Mentre lo guardava e lo
insultava, non gli era sfuggita l'ombra negli occhi blu. Il dolore che vi aveva
letto non era una menzogna.
§
La porta
si chiuse alle sue spalle. AJ si appoggiò al muro.
Respira,
respira, respira.
Era
difficile, maledizione. Si avviò verso la strada, strofinandosi un pugno sullo
sterno. Stava iperventilando, i polmoni bruciavano per il respiro affannoso.
Quello
sguardo. La crudele freddezza della sua voce. Non avrebbe mai creduto di poter
soffrire tanto.
L'aria
gelida gli penetrò nelle ossa, lo mise in contatto con la realtà, schiarendogli
le idee. Aveva consegnato le prove, Angel avrebbe fatto il resto. A lui bastava
riabilitare il proprio nome. L'amore era sfumato, ma almeno non avrebbe pensato
a lui come un traditore.
Un rumore
alla sua destra, proveniente dal vicolo buio. Si fermò guardingo, ma non udì
altro. Riprese a camminare, la stretta al petto meno opprimente.
In
lontananza il cigolio della porta secondaria, una voce che conosceva bene.
«Andrew!»
Adonais.
Lo stava chiamando. Impossibile. Oppure no?
Si girò
per appurarlo. Era davvero lui, e gli stava andando incontro. Aveva letto i
documenti? Gli credeva? Non voleva muoversi, sembrava inchiodato all'asfalto.
Guardò il vampiro, i suoi lunghi capelli scuri.
Il rumore
di prima si insinuò nella sua testa. Dall'ombra del vicolo vide uscire prima la
canna di una pistola e poi la mano che l'impugnava. Stavano mirando a Malthus.
Dimenticò
tutto, passando in un lampo in modalità azione, come aveva imparato a fare
tanto tempo prima. Una valanga di adrenalina gli inondò le vene.
«Adonais!»
gridò, scattando nello stesso istante. Corse, mentre il chiunque fosse faceva
fuoco. Corse come non gli era mai capitato in vita sua.
Adonais
si era fermato, la sorpresa dipinta sul volto.
«Stai
giù, stai giù!» urlò AJ.
Gli si
parò davanti. Un artiglio gli squarciò la schiena, una vampata di calore gli
ghermì la spalla e il braccio.
Adonais
lo afferrò prima che cadesse. Dopo, solo un susseguirsi di spari.
AJ era
avvolto dalle braccia di Malthus. Lo guardò, ricambiato.
«Non ti
ha toccato, vero?» Faceva fatica a parlare.
Il
vampiro scosse la testa. «Che cosa ti è saltato in testa, Andrew?»
La
freddezza, il sarcasmo non c'erano più. Solo le sue braccia intorno a lui.
«Ti amo»
sussurrò.
Adonais
non rispose, ma gli occhi dorati si incupirono. AJ fu consapevole
dell'aumentare della stretta, e della debolezza sempre maggiore. La presenza di
Seth Rogers accanto a loro.
«Ho fatto
fuori il bastardo» disse il poliziotto.
«Adonais,
AJ!» Questo era Angel.
«Un'ambulanza!»
ruggì Adonais. «Voglio una maledetta ambulanza!»
«L'ho già
chiamata.» Rogers sembrava la quintessenza della calma.
AJ sbatté
le palpebre. Faticava a tenere gli occhi aperti. Il suono delle sirene gli
penetrò nelle orecchie, insieme al bisbiglio di Adonais.
«Sono
qui, Andrew. Sono arrivati. Andrà tutto bene.»
Ne dubitava,
ma non lo disse. Non ne era in grado.
§§§
La sala
d'attesa era vuota, a parte loro. Angel lo aveva raggiunto in ospedale, insieme
a Roland, informandolo che al Club bastava il suo compagno a controllare che
tutto fosse a posto. Adonais non aveva ribattuto, sapendo quanto il mannaro
potesse essere letale.
Appena
arrivati al Pronto Soccorso, il medico che aveva preso in cura Andrew aveva
allertato la sala operatoria. Il suo soldato era grave, se ne era già reso
conto, ma vedere come lo trasportavano in fretta al terzo piano gli aveva dato
una stretta al cuore.
Non si
era seduto, era troppo teso. Camminava avanti e indietro, sotto gli sguardi
preoccupati di Angel e Roland. Rivedeva il volto dell'uomo fra le braccia, il
suo estremo pallore. I suoi occhi mentre gli diceva che lo amava.
Per la
Grande Madre. Lo aveva salvato nonostante gli insulti, le accuse. Malgrado lui
avesse tentato di ucciderlo.
Sopra
ogni altra cosa, desiderava piegare la vera responsabile di quella situazione,
ascoltarla mentre lo supplicava di risparmiarla.
Si fermò
di fronte ad Angel, tornato dopo aver risposto al telefono.
«È stata
lei.»
L'investigatore
annuì. «Seth me l'ha appena confermato. Lei voleva vendicare Finch. Quando il
suo nome è uscito dalla prima ricerca, ho voluto saperne di più. Era la sua
compagna, anche se erano riusciti a tenerlo nascosto.» Gli occhi verdi si
incupirono. «Ha pagato due uomini per ucciderti, a novembre. Non ce lo avevi
detto. Se avessimo saputo dell'aggressione...»
«Non
avreste potuto fare nulla. Sono riusciti a scappare.»
«Però
avremmo tenuto gli occhi aperti. Avremmo evitato che stasera ci riprovasse. Per
fortuna, Seth è arrivato in tempo.»
Adonais
gli gettò un'occhiata. «Non avremmo mai potuto associarli a lei, Angel. È stata
davvero scaltra.»
«Ma
perché hanno coinvolto AJ? Questo non lo capisco.» Roland si rivolse a
entrambi.
«La notte
che mi hanno aggredito, Andrew è corso in mio aiuto,» disse Malthus. «È
probabile che i due lo abbiano riferito. Poi, lei ci ha visto insieme, al Club,
a parlare. Forse ha immaginato che...» Si interruppe. La colpa era sua. Andrew
era stato coinvolto per distruggere lui. In quel momento avrebbe voluto tenere
tra le dita il lungo collo della vampira e stringerlo, stringerlo.
Roland lo
guardava a bocca aperta. «Tu e AJ?»
Annuì,
senza aggiungere altro. Lo infastidiva la compassione che leggeva negli occhi
degli amici. Il suo soldato era steso su un tavolo operatorio a causa sua.
Chiuse
gli occhi. Lui aveva innalzato la Calleja ad Amministratore Delegato di
un'azienda ricostruita sulle ceneri di quella del suo compagno, completamente
all'oscuro del legame che li univa. Era una beffa.
Angel si
sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia. «Si deve essere accorta che fra te
e AJ c'era qualcosa e, mettendolo in mezzo, voleva minare la fiducia che avevi
in lui. Era un modo per vendicarsi anche questo.» Tacque un istante,
fissandolo. «AJ se la caverà. È forte, e non è tipo da arrendersi.»
Cercò di
crederci. L'arrivo del chirurgo lo salvò dal rispondere.
«Siete
qui per il signor Todd?» chiese questi, abbassandosi la mascherina.
Adonais
annuì, imitato dagli altri, che si alzarono in piedi.
«Siete
parenti?» Al loro diniego, li fissò. «Ci sono famigliari da avvisare?»
«AJ non
ha nessuno» disse Angel. «I genitori sono morti da anni, non ha fratelli o
sorelle.»
Adonais
gli diede un'occhiata. Non lo sapeva. Non avevano mai parlato delle loro
famiglie.
«In
questo caso, le decisioni le prenderò io» comunicò il medico. «Ha perso molto
sangue, il proiettile ha intaccato un'arteria e causato diversi altri danni.
Abbiamo bisogno di trasfonderlo. Il signor Todd è un A negativo. C'è qualcuno
tra di voi che può donare il sangue?
«Io.»
Adonais fece un passo. «Posso farlo io.»
Angel gli
mise una mano sul braccio. «Adonais, non sai se...»
Ricambiò
lo sguardo. «Ha bisogno di me.» Senza aggiungere altro, seguì il chirurgo. Non
aveva idea di quale gruppo sanguigno avesse, sempre che ne avesse uno, ma il
suo sangue avrebbe salvato Andrew. Al momento era tutto ciò che gli importava.
15
dicembre
La gola gli
doleva. Gli ricordò quando era stato intubato dopo l'incidente in missione. Il
respiro era faticoso, gli raschiava la trachea come carta vetrata.
L'anestesista
gli aveva rimosso il tubo da poco, spiegandogli con una voce calma quanto era
successo. La gravità della ferita, l'intervento. Avevano dovuto infilargli un
altro tubo nel torace per drenare liquidi e aria. Il proiettile aveva provocato
un danno al polmone.
Un
pensiero cinico gli aveva attraversato la mente, gli eventi non avevano
risparmiato nemmeno la parte sinistra del suo corpo.
«Se
continua a migliorare così, potremmo trasferirla in una stanza di degenza già
domani» aveva terminato il medico. «Per fortuna il suo amico ha potuto donarle
il sangue, eravamo in serie difficoltà con le sacche di negativo.»
Stava
parlando una lingua astrusa. Lo aveva interessato una frase sola. «Un amico?»
«Sì, uno
di quelli che l'ha accompagnata in ospedale.»
L'aveva
lasciato solo, in compagnia dei bip dei monitor, del gocciolio delle
flebo, del lieve dolore al torace, dove era impiantato il tubo.
Angel
arrivò poco dopo, vestito con mascherina, camice e cuffia. I suoi occhi verdi
sorridevano.
«Sono
contento di vederti sveglio.» Picchiò il pugno contro il suo. «E senza quel
tubo in gola.»
Cercò di
sorridere, ma anche quello era difficile. «Anch'io» gracchiò. «Avete...» si
schiarì la voce, senza risolvere granché, «... avete risolto?»
«Non
parlare, AJ. Parlo io.» Si guardò attorno, poi si appoggiò al letto. «Seth si è
rigirato la Calleja come un calzino, anche se lei non voleva saperne di aprire
bocca, e ha anche acciuffato il complice.»
Mason, il
commercialista. Chi meglio di lui poteva fregare i soldi? Aspettò che
continuasse, Angel lo accontentò.
«Quei due
hanno passato un brutto quarto d'ora, ed è stata una fortuna che Adonais fosse
qui, perché non ne sarebbero usciti vivi. Adesso sono da qualche parte nel nord
Europa, devono avere una specie di lager dove rinchiudere i criminali.»
Ammiccò. «Sempre se ci sono arrivati.»
AJ inarcò
un sopracciglio. «Giustizia sommaria?»
«Evitano
che ci possano essere delle recidive.»
Già,
filava, in effetti. L'accenno ad Adonais girava come una trottola nella sua
testa.
«Lui... è
stato qui?»
«Insieme
a me e Roland. Abbiamo aspettato che ti operassero.» Gli occhi dietro la
mascherina erano seri. «Ci hai fatti preoccupare, amico. Lui più di tutti. Poi
ha donato il sangue e...»
«È stato
lui?» Gola dolente o no, lo chiese, afferrando il camice di Angel.
«Beh, sì.
È un negativo qualcosa, ma era l'unico fra noi che potesse farlo.»
Chiuse gli
occhi. Era rimasto ad aspettare, gli aveva dato il suo sangue, ma non si era
fatto vedere.
«Va tutto
bene, AJ?»
I bip
erano aumentati, insieme al suo battito. Guardò Angel, il suo sguardo
preoccupato. Annuì, ma l'arrivo dell'infermiera lo smentì. La donna fece uscire
Angel e girò la rotellina del deflussore. Il sonno se lo portò via.
17
dicembre
Era fin
troppo tranquillo. Confinato a letto, nella sua nuova stanza, con tubi che
entravano e uscivano dal suo corpo, AJ non aveva altro passatempo che fissare
la finestra, il passare delle ore scandito dal cambiamento della luminosità.
Un tempo
interminabile per pensare, ogni tanto interrotto dalle visite di Angel e Seth.
E dal pensiero che la sua confessione avesse fatto fuggire Adonais.
§§§
Lo guardava
dormire, al riparo nell'angolo in ombra della camera. Roland doveva essere
andato via da poco, percepiva ancora l'odore di resina di pino, debolmente
speziato.
Nel
silenzio che lo attorniava sentiva il respiro lento e profondo di Andrew, il
ribollire del tubo che gli usciva dal torace. Il suo soldato aveva rischiato
tutto per salvarlo, e lui non era capace di farsi avanti.
Gli aveva
letto i pensieri, avvertendo il timore che rivelargli i propri sentimenti lo
avesse fatto allontanare. Non era così. Semmai era lui a sentirsi inadeguato, a
non sentirsi degno dell'amore di Andrew.
Se solo
avesse dato ascolto al proprio istinto e non alle parole di altri. Se solo si
fosse dato pena di offrirgli il beneficio del dubbio. Se. Solo. Adesso non
sarebbe stato steso in un letto, indifeso.
Si passò
la mano sul volto. Il suo soldato. Ferito proprio da chi si era ripromesso di
non fargli del male.
Lo sentì
muoversi, un suono in lontananza. La porta socchiusa venne spalancata.
«Signor
Todd, ha chiamato?» La donna vestita di una divisa chiara si avvicinò al letto.
«Mi fa
male il fianco.» La voce era flebile.
«Mi dia
un secondo.» L'infermiera uscì ma fu di ritorno dopo poco, una scatola in mano.
«È
morfina?» chiese Andrew.
Adonais
lo vedeva girare la testa sul cuscino.
«Prescrizione
del medico, sì» confermò la donna. Si chinò sul letto. «Brucerà un po'.»
«Può dare
allucinazioni, vero?»
«È un
effetto collaterale.» Lei si sollevò dritta, rimettendo la siringa nella
scatola.
Una breve
risata. «Bene. Almeno mi farà vedere cose che in realtà non ci sono.»
«Le
capita spesso?» L'infermiera sembrava allarmata.
«Tutte le
notti.»
«Dovrò
dirlo al medico.» Lei uscì.
Adonais
chiuse gli occhi. Avrebbe voluto attraversare la breve distanza che lo separava
da Andrew, ma si trattenne.
«Buonanotte,
Adonais. Ovunque tu sia.» La voce assonnata gli penetrò dentro.
19
dicembre
Era
libero da tubi e tubicini. AJ poteva dirsi contento, ma non era così.
Il medico
gli aveva promesso che avrebbe festeggiato il Natale a casa.
Peccato
che non avesse qualcuno con cui festeggiarlo.
23
dicembre
AJ
aspettava l'arrivo di Angel con un'impazienza che non era da lui. Era
finalmente dimesso, gli ultimi accertamenti fatti il giorno prima avevano dato
gli esiti sperati. Poteva tornare a casa.
L'investigatore
era stato nel suo appartamento per recuperare biancheria e vestiti, che ora
indossava. Non aveva molti effetti personali con sé, il suo bagaglio era
ridotto al minimo.
Angel
arrivò pilotando una carrozzina come se fosse sulla pista di Indianapolis, carrozzina
che lui guardò malissimo.
«Non ho
intenzione di sedermi lì sopra» sbottò.
L'altro
sorrise. «Ordine del dottore.»
«Le mie
gambe sono buone.» Almeno quelle.
Conciliante,
Angel sollevò le pedaline. «Avanti. Si tratta solo di arrivare alla macchina, poi
potrai fare quello che vuoi.»
Si lasciò
convincere. Sedette e tirò giù la pedana con un piede. «Andiamo, pilota da
strapazzo.»
Sorridendo,
Mallory prese il comando e lo spinse fuori della camera. Le infermiere sedute
dietro il bancone si alzarono per salutarlo. AJ ricambiò, agitando la mano
destra. Mentre si dirigevano verso gli ascensori, incontrarono anche il medico
che lo aveva seguito.
«Si
riguardi, signor Todd, e buon Natale. Ci vediamo tra una settimana per
rimuovere i punti.»
«Grazie
di tutto.»
L'uomo in
camice annuì. Angel riprese a muoversi spingendolo lungo il corridoio.
«Andiamo,
vecchio mio. È ora di tornare a casa.»
AJ
sogghignò. Una casa vuota, ma sempre casa.
§
Angel
schiacciò il telecomando e aprì la portiera. AJ si alzò dalla carrozzina e si
sedette sul sedile del passeggero, sistemandosi il braccio sinistro racchiuso
nella protezione di spesso tessuto, tirando appena la cinghia che gli correva
intorno al collo.
Angel lo
raggiunse dopo aver restituito la sedia e mise in moto.
«Siete
riusciti a spostare la mia macchina?» gli chiese, mentre l'altro faceva
manovra.
«La
troverai parcheggiata sotto casa.»
«Grazie,
Angel. Davvero, per tutto.»
L'investigatore
gli scoccò un'occhiata. «Non devi ringraziarmi. Era il minimo che potessi
fare.»
Le parole
non dette rimasero tra loro. AJ non replicò.
«Roland
ci teneva a farti sapere che il posto è ancora tuo, non appena starai bene.»
Guardando
fuori del finestrino, AJ strinse appena le labbra. «Non tornerò più là.»
«AJ...»
«Non
posso, Angel.»
«Non puoi
o non vuoi?»
Girò la
testa per guardarlo. «Ha importanza?»
«E come
farai?» gli chiese l'amico.
Alzò le
spalle, avvertendo una fitta lieve in quella sinistra. «Qualcosa troverò.» La
voce suonava indifferente alle sue stesse orecchie.
«Mai
pensato di fare l'investigatore privato?»
Lo fissò,
sorpreso. Angel teneva lo sguardo fisso sulla strada, ma sorrideva.
«Mi stai
offrendo un lavoro?»
«Le
richieste si stanno accumulando, non riesco a star dietro a tutte. Una mano mi
farebbe comodo.»
Aveva
bisogno di tempo per pensarci, ma la proposta era allettante.
«E come
farò per la licenza?»
L'amico
girò a sinistra. Erano quasi arrivati.
«Diventerai
il mio tirocinante. Lasciami definire alcune cosette e farò di te un segugio di
prim'ordine.»
«Non ho
ancora accettato, Angel» gli rammentò.
Mallory
accostò al marciapiede e si girò a guardarlo. «Beh, pensaci. Io ne sarei
felice.»
§§§
AJ entrò
nel suo appartamento. Lo accolse un piacevole calore, che stemperò il freddo
preso appena sceso dall'auto di Angel.
La
stanchezza gli penetrava nelle ossa, nei muscoli, calando come un velo sugli
occhi.
Aveva
declinato l'invito di Mallory di mangiare una pizza insieme. Non aveva
appetito. Voleva solo andare a letto e dimenticarsi di tutto fino al mattino
dopo.
Invece si
sedette sul divano, lo sguardo fisso sulla porta finestra e sul buio che era
sceso al di là di essa. Stava nevicando, vedeva i fiocchi candidi scendere e
ricoprire il terrazzino.
Nella
solitudine di quelle quattro mura lasciò finalmente libere la sofferenza, la pena
che gli opprimevano il petto. Immagini di quello che aveva vissuto con Adonais,
di quello che aveva perduto gli affollarono la mente.
Reclinò
la testa all'indietro, appoggiandola alla spalliera del divano. Si coprì gli
occhi con la mano destra, bagnandola con lacrime che non riusciva a trattenere.
Si stava
trasformando in una liceale piagnucolosa, ma non voleva interrompere quel
flusso constante che gli inumidiva le ciglia e gli scendeva sulle guance.
Sentiva il bisogno di sciogliere quel nodo alla gola e al petto.
§
Lo guardò
sedersi sul divano, appoggiare la testa all'indietro, coprirsi gli occhi con la
mano. Il brillio delle lacrime su quel viso gli strinse il petto.
Percepiva
la disperazione, la solitudine. Ed era tutta colpa sua.
Adonais
non meritava quell'uomo, ma non riusciva ad andarsene. Voleva restare con lui,
anche se sapeva di non esserne degno.
§
Le
lacrime si asciugarono, la tensione nel suo corpo si era ridotta. AJ sollevò la
testa.
La neve
continuava a cadere. Batté le palpebre.
Chissà se
tutta la morfina che gli avevano iniettato gli causava ancora allucinazioni.
Perché sul terrazzino c'era Adonais. Chiuse e riaprì gli occhi. Allucinazioni,
come pensava. Là fuori c'era solo la neve.
Si alzò
in piedi, raggiunse la porta finestra. L'aprì, facendo entrare il freddo e
rabbrividendo. Uscì, i fiocchi si posarono su di lui. La strada al di sotto era
silenziosa. Percepì un movimento alla sua sinistra, e con la vista periferica
scorse una sagoma.
Il cuore
in gola, voltò la testa e trasalì. Adonais Malthus era lì, appoggiato al muro,
i capelli cosparsi di neve.
«Ciao,
Andrew.»
§
Sorrise,
vedendo la sorpresa e la confusione sul volto dell'uomo.
«Dovresti
rientrare, fa troppo freddo.»
Andrew
sembrò riscuotersi, continuando però a guardarlo fisso.
«Sono
reale» sussurrò Adonais. Si raddrizzò, avanzando di un passo. «Non sono
un'allucinazione.» Allungò la mano e gli sfiorò la spalla destra. «Stai
tremando.»
Si
aspettava di essere cacciato da un momento all'altro, e sarebbe stato nel suo
diritto. Il fatto che non fosse ancora successo non significava niente.
Andrew si
scostò. I suoi occhi blu lo scrutavano.
«Che cosa
fai qui?»
«Volevo
vedere come stavi. Volevo...starti vicino.»
Una
breve, aspra risata uscì dalla gola dell'uomo. «Davvero? Non l'hai mai fatto in
tutto il tempo che sono stato all'ospedale.»
«Ti
sbagli. Sono stato con te tutte le notti. Tu credevi fosse l'effetto dei
farmaci.» Prese una pausa, prima di proseguire. «Ho cercato di restarti
lontano, perché credevo di non meritarmi una persona come te, dopo tutto quello
che ti avevo fatto.»
Andrew
sospirò, chiudendo gli occhi.
«Devi
rientrare, Andrew. Stai gelando.»
Gli occhi
blu si aprirono. Non riusciva a leggergli i pensieri, come succedeva le prime
volte. Si era di nuovo chiuso in se stesso, impedendogli di entrare. Andrew si
girò e tornò in casa. Esitò, chiedendosi se potesse seguirlo. La porta non
venne chiusa. Adonais entrò.
§
Era
consapevole della forte presenza dietro di sé. AJ si arrischiò a guardarlo, ed
era ancora lì.
Si
sedette sul divano, senza smettere di fissarlo.
«Mi
dispiace» mormorò il vampiro. Non si era mosso. Aveva chiuso la porta finestra,
rimanendo distante. «Mi dispiace. Avrei dovuto ascoltarti, prima di arrivare a
conclusioni affrettate. Ma una persona di cui mi fidavo mi ha tradito e quando
Angel e Tate hanno fatto il tuo nome, sono stato travolto dalla rabbia.
Riuscivo solo a pensare che stava succedendo di nuovo, e causato da te, la
persona a cui tenevo di più.» Allargò le mani. «Sarebbe bastato leggere i tuoi
pensieri, ma non l'ho fatto. Ho solo pensato che mi avessi mentito anche tu.»
AJ non
parlò per un lungo momento. Lo aveva ascoltato, avvertendo in ogni parola un
sincero rammarico. «Io non ti avrei mai tradito» mormorò alla fine.
«Lo so.»
Adonais fece un passò avanti. «Mi hai salvato la vita, dopo che avevo tentato
di ucciderti. Mi dispiace per tutto il dolore che ti ho causato, Andrew.»
«È
finita, ora» commentò AJ. Non intendeva farlo suonare come un commiato
definitivo, ma lo sembrò. Più che vederlo, lo sentì irrigidirsi. Gli occhi
ambrati si incupirono, dandogli l'impressione che stesse cercando di
controllarsi.
Malthus
fece un passo indietro.
«Mi ero
ripromesso di non farti del male, di non comportarmi come quel tuo ex. Invece
ho fatto di peggio.» Si passò la mano fra i capelli, un gesto che non gli aveva
mai visto fare. Sapeva di frustrazione, rimpianto, tristezza.
«Che cosa
vuoi davvero, Adonais?» gli chiese.
Un
sospiro. «Vorrei solo che tu potessi perdonarmi.»
Perdonarlo.
AJ lo fissò a lungo, mille risposte nella testa. Nessuna era quella giusta,
tranne una.
«Ti
perdono» disse, la voce fredda.
L'espressione
di Malthus cambiò. Sul volto sembrò calare una maschera, impedendogli di capire
il suo stato d'animo. «Bene. Grazie, Andrew.»
Fece un
brusco cenno col capo, voltandosi per andarsene. Non ci sarebbe stato nessun
vincitore in quella storia. Solo perdenti. Era esattamente quello che avrebbe
voluto la Calleja, distruggere Adonais e chi gli era vicino.
E lui? Lo
amava, era certo di questo. Voleva davvero che se ne andasse?
Ancora un
passo e sarebbe uscito dalla sua vita, per sempre.
«Adonais.»
Il
vampiro aveva già la mano sulla maniglia. Girò la testa sulla spalla.
AJ si
alzò in piedi. «Mi avevi chiesto di darti un'occasione, te lo ricordi?»
Adonais annuì.
Lasciò andare la maniglia, voltandosi verso di lui.
«Me lo
ricordo.»
«Potremmo
farlo a vicenda.» Alzò una spalla, con finta noncuranza, l'emozione pronta a
ballare dentro il suo torace. «Per vedere come va a finire.»
Malthus
si avvicinò, lento. «Magari parlare un po' di più.»
«Non
sarebbe una cattiva idea.» Sorrise appena, imitato dall'altro.
Gli occhi
dorati brillarono, mentre le sue lunghe gambe divoravano la distanza che li
separava. Si fermò a pochi centimetri, fissandolo con intensità.
«Ne sei sicuro,
Andrew?» gli chiese. Il vampiro sembrava ansioso di conoscere la risposta.
Sapeva
solo che Adonais gli era mancato come l'aria che respirava. Certo che era
sicuro. Annuì.
Un
brontolio sommesso, seguito da un ringhio che gli fece scorrere brividi lungo
il corpo. Le dita di Malthus gli sfiorarono il viso, quasi intimidite. Timido,
il suo vampiro? Impossibile.
Annullò
la distanza, aderendo a lui dal petto ai fianchi. Il braccio in mezzo non
facilitava il compito, ma poteva accontentarsi.
«Ti amo,
Andrew» sussurrò Adonais, prima di posare la bocca sulla sua. «Mi sei mancato.»
Anche
tu, pensò. Anche tu.
25
dicembre
Si girò
nel letto, al buio. Il posto vicino al suo era vuoto, ma sul cuscino era ancora
presente il profumo di Adonais. Inspirando a fondo, AJ lo tirò e lo abbracciò.
La notte
passata era stata un'esplosione di passione e gioia. Adonais aveva voluto che
fosse lui a prendere il comando. Non era mai successo. Lo aveva accontentato,
regalando a entrambi un orgasmo senza paragoni. Poi il vampiro lo aveva morso,
con delicatezza, nel punto d'incontro tra spalla e collo. Un lieve dolore,
subito sostituito da scosse di squisito piacere.
Dormire
tra le sue braccia, dopo l'amore, era stata la naturale conclusione.
AJ aprì
un occhio: chissà che ora era. La sveglia sul comodino con le sue cifre rosse
segnava le nove. Il mattino di Natale.
Si alzò
dal letto, accendendo la lampada sul comodino. Prese dal cassetto della
biancheria una maglietta e una paio di boxer e li indossò.
Un rumore
proveniente dalla cucina gli fece drizzare le orecchie. Silenzioso, uscì dalla
camera e si diresse verso la zona
giorno. Le tende erano tutte tirate, l'unica luce proveniva proprio dalla
cucina. Un profumo di pancake lo accolse ancora prima di oltrepassare la
soglia. Sbirciò, e vide Adonais, vestito solo di un paio di pantaloni della
tuta, armeggiare con le pentole, impilando i pancake cotti su un piatto e
cospargendoli di sciroppo. Il suo cuoco-vampiro sexy.
«Buongiorno
Andrew.» Malthus si girò a guardarlo, un sorriso dolce sul bellissimo volto.
«Buon Natale.»
Gli si
avvicinò. «Buon Natale.» Gli diede un bacio sulla guancia, annusando il profumo
di sapone, poi si spostò sulle labbra, ricambiato. Un braccio lo cinse e si
lasciò attirare contro il petto di Adonais.
«Voi
festeggiate il Natale?» gli chiese AJ, tenendolo stretto.
«No, ma
mi fa piacere trascorrerlo con te.» Malthus lo lasciò e scostò una sedia.
«Vieni, il caffè è pronto.»
Gli mise
davanti un piatto con i pancake e una tazza colma di caffè nero.
«Hai
preparato la colazione per me.»
Adonais
gli si sedette accanto, servendosi. «Un piccolo regalo.» Mentre beveva il
caffè, il vampiro si sporse verso di lui. «Trovo molto intrigante la tua
cucina. Credo che saresti molto sexy disteso sul tavolo.»
La
bevanda gli andò di traverso. Tossì, ma l'altro rideva, accarezzandogli la
schiena. Un pacchettino scivolò verso di lui.
«Cosa...»
«Aprilo»
sussurrò il vampiro, facendosi più vicino e baciandolo sul collo.
AJ
sciolse il fiocco e sollevò il coperchio. L'anello con sigillo brillava sul suo
letto di raso nero. Spalancò gli occhi, cercando quelli di Adonais.
«Un
anello.»
Malthus
annuì. «Stanotte ti ho marchiato, ti ho reso mio. Tu mi hai donato il tuo
amore. Volevo suggellare la nostra relazione con un simbolo, sempre se sei d'accordo.»
AJ
fissava l'anello. L'oro brillava sotto la luce. Allungò la mano e lo trasse
fuori.
Le dita
gli tremavano, e Adonais lo prese con gentilezza, infilandolo al suo anulare
sinistro. Era perfetto.
Alzò lo
sguardo sul vampiro. «E tu sei mio?»
«Lo sono
stato da quando ti ho visto la prima volta, e tu eri così indifferente che ho
desiderato sbatterti contro un muro e baciarti.»
AJ
sorrise. A proposito... Si sporse e lo baciò, lasciandosi avvolgere dalle sue
braccia, con una certa attenzione alla spalla ferita.
«Ti amo,
Adonais.»
«Anch'io
ti amo.» Malthus lasciò una scia di baci sul suo volto e sul collo. «Ti ho
detto che appena sveglio e in questa... tenuta, sei molto sexy?»
«Vuoi
dire mezzo nudo?» ribatté lui, ridacchiando. «Senti chi parla.»
Adonais
sparecchiò alla velocità della luce, poi lo fece alzare, baciandolo.
«Che ne
diresti di testare la robustezza di questo tavolo?»
Per tutta
risposta, AJ lo abbracciò.
Epilogo.
31 dicembre
Il locale
era pieno. AJ sostava accanto al bancone circolare, mentre Oscar il barman
preparava cocktail con una rapidità che avrebbe fatto impallidire una catena di
montaggio.
«Spero
che tu beva almeno mezza coppa di champagne» gli disse Oscar. «Il signor
Malthus ha fatto arrivare quattro casse direttamente dai suoi vigneti in
Francia.»
«Addirittura.»
AJ si appoggiò con il fianco al bancone. «Non bevo, Oscar, lo sai.»
«Neanche
per festeggiare la mezzanotte?»
Lui alzò
gli occhi al cielo. «Te lo dirò quando sarà il momento.»
Angel e
Seth lo raggiunsero e li salutò pugno contro pugno, congratulandosi per il
fidanzamento.
«Sono
così felice!» esclamò Angel, mostrandogli la mano sinistra dove brillava una
fede sottile. «Non ero sicuro fosse una buona idea, ma questo vecchio lupo non
voleva saperne di lasciar perdere.» Lanciò un'occhiata al compagno. «Ho dovuto
capitolare.»
«Non mi
sembra che tu abbia dovuto pensarci tanto» lo rimbeccò Seth. Lo sguardo
amorevole nei suoi occhi smentiva il tono burbero.
«Ma sì,
invece. Ci ho pensato per cinque minuti» replicò Angel. Stava già ridendo.
AJ
sorrise. Era più probabile fossero cinque secondi. Quei due si amavano alla
follia.
«Sei
andato a controllo, ieri?» gli chiese Mallory, cambiando argomento.
Annuì.
«Il chirurgo non si capacita della mia eccezionale ripresa.»
«Una
fibra notevole» commentò Angel.
«Io
un'idea ce l'avrei» si intromise Seth. Lo guardò perplesso, ma l'arrivo del
compagno gli impedì di chiedere spiegazioni.
Adonais
salutò gli amici e gli passò un braccio intorno alla vita. Non mostrava alcun
imbarazzo nel manifestare il suo attaccamento. AJ si appoggiò a lui.
«Bella
festa.» Malthus fece un cenno a Oscar.
«Grazie,
Adonais.» Angel sorrideva. «Non pensavamo di riuscire a organizzare tutto in
così breve tempo. Regalarci questa location è stato davvero stupendo. Ci
saremmo accontentati anche di una cena con i nostri amici più vicini.»
Cioè
loro, pensò AJ.
«Possiamo
brindare a voi e al nuovo anno» ribatté Malthus, bevendo un sorso dal
bicchiere. La stretta intorno alla sua vita aumentò. AJ sentì il calore e
l'eccitazione del vampiro. Lo stava già contagiando.
«Beh, in
questo caso...» Seth alzò il bicchiere. «Grazie. A noi e al nuovo anno.»
«Ecco
Roland» ammiccò Adonais.
Si
girarono a guardare il direttore del Club, che si stava avvicinando con una
bellissima bionda a braccetto.
«La sua
compagna, Adenore» aggiunse il vampiro.
«È
davvero bella» sussurrò AJ.
«Sono
insieme da decenni, innamorati come la prima volta.» Gli occhi dorati
brillavano. «Mi piacerebbe che per noi fosse lo stesso» aggiunse Adonais.
Gli
sorrise. «Lo faremo durare.»
Roland e
la sua compagna li raggiunsero e seguirono le presentazioni. Quando fu il suo
turno, AJ si stupì che la donna – la vampira – lasciasse il braccio del
marito per abbracciarlo.
«Roland
mi ha parlato tanto di te, e di quello che hai fatto» gli disse Adenore. «Sono
davvero felice di conoscerti e che, grazie a te, il nostro Adonais sorrida.»
«Mia cara
Adenore...» iniziò il chiamato in causa.
Lei lo
lasciò andare, e AJ si rese subito conto del cambiamento, tanto in Roland
quanto in Malthus. Possessivi, eh?
«Mio caro
Adonais» replicò la vampira, «non c'è niente come l'amore, ricordalo.»
«Basta
con la filosofia, tesoro» la richiamò Roland. «Stanno suonando la nostra
canzone, vieni.» Il direttore salutò e trascinò via la compagna.
«Donna
interessante» riconobbe AJ, sorridendo.
«Vampira,»
lo corresse l'altro.
«È lo
stesso.» Gli gettò un'occhiata. «Roland ha buon gusto.»
Una
risata accolse le sue parole. Seth e Angel si allontanarono e loro rimasero
soli.
Adonais
gli sfiorò il collo con le labbra. «Che ne diresti di sparire per qualche
tempo? C'è un certo ufficio ancora deserto.»
«Non
manca molto alla mezzanotte» obiettò AJ, ma già pensava ai baci e agli abbracci
del compagno.
«Cosa
posso fare per convincerti?» lo stuzzicò Malthus.
«Mi hai
già convinto.»
§
Adonais
percepiva il turbamento avvolgere il suo uomo. Una preoccupazione. Tuttavia,
non aveva cercato nei suoi pensieri, il suo soldato era piuttosto diretto.
Nel
corridoio degli uffici, lo fece addossare al muro e lo baciò fino allo
sfinimento.
«Mi sei
mancato, Andrew» sussurrò.
«Anche
tu.» L'uomo lo abbracciò stretto, aderendo a lui.
«Che cosa
c'è? Ti sento inquieto, come se volessi chiedermi qualcosa.» Nella luce fievole
del passaggio vedeva gli occhi blu brillare, le labbra gonfie per i baci.
«Un dubbio»
mormorò il suo compagno. «Mi domandavo se la mia veloce guarigione possa essere
dipesa dal tuo sangue.»
Adonais
si staccò da lui e lo prese per mano. «Vieni, entriamo.»
Poco
dopo, al riparo da sguardi e orecchie, riprese fra le braccia l'uomo e posò la
fronte contro la sua.
«Se fosse
così, ti disturberebbe?»
«No,
Adonais. Ero solo curioso di saperlo.»
«A dire
la verità, non lo so. Non ho mai dato il mio sangue ad altri. Tu sei il primo.
Essendo umano, non so quali effetti possa avere su di te.»
«Ieri il
dottore sembrava sorpreso di questa ripresa rapida.»
«Allora,
forse, il mio sangue c'entra» sorrise Adonais. «Ma non è tutto qui, vero?»
«No.»
Andrew lo fissò con i suoi bellissimi occhi blu. «Tu ha dei secoli sulle
spalle, Adonais. Se sono fortunato, potrò vivere con te una cinquantina d'anni,
poi ti lascerò solo.»
Lo
allontanò per guardarlo. «Perché questi discorsi così seri, Andrew?»
«Ho
pensato parecchio in questi giorni. L'ultima cosa che voglio è abbandonarti.»
«Non lo
farai, tesoro.» Gli prese il volto fra le mani. «Vivremo ogni giorno nel
miglior modo possibile. Inoltre, se davvero il mio sangue ti ha aiutato a
guarire, allora potrebbe anche rallentare l'invecchiamento delle tue cellule.»
«Parli
come un biologo» rise Andrew. Sembrava più sollevato.
«Un
biologo molecolare, per l'esattezza» replicò lui. «Ho conseguito la laurea nel
1979.» Omise di dire che l'aveva ripetuta pochi anni prima. Il mondo cambiava
alla svelta.
«Pensa,
prima che io nascessi.» L'uomo lo stava prendendo in giro, e si lasciò trasportare
dal divertimento.
«Davvero
tanto tempo fa.» Si sporse per baciare quelle labbra sorridenti. «Sei
bellissimo quando sorridi, Andrew.»
Le
braccia di lui gli cinsero la vita. «Con annessi e connessi?»
«Tutto
quanto.» Sentì le grida attraversare i muri. «Buon Anno, amore mio.» Lo baciò a
lungo, prima di staccarsi. «Scrivania o divano?»
«Dove
vuoi. Basta che tu sia con me» fu la risposta di Andrew.
Il suo soldato. Il suo compagno.
Adonais
sorrise. Era davvero fortunato.
FINE
CHI E' L'AUTRICE...
Nata in Svizzera nel 1971, Sarah Bernardinello vive in Veneto, in provincia di Rovigo, a pochi chilometri dal mare. Laureata in Infermieristica nel 2003, lavora come infermiera presso il reparto di Oncoematologia dell'Ospedale di Rovigo.
Lettrice vorace fin da piccola, con un'immaginazione fervida, ha cominciato a scrivere da ragazzina. Vince il Premio Romance 2013 dei Romanzi Mondadori con il racconto storico La signora del mare, e pubblica diverse opere in antologie. Il suo racconto Chicago Summer presentato alla rassegna Summer Loving 2015 è risultato il preferito dalle redattrici di questo blog. A giugno 2015 è uscito il suo primo romanzo, Soltanto tu, edito da Delos Digital.
PUOI TROVARE IL SUO LIBRO QUI
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Una bellissima riconferma. Mi era davvero dispiaciuto che mr malthus fosse rimasto solo...e sono più che lieta di aver letto un epilogo rosa anche per lui! Raramente mi intriga una storia m/m, ma questa serie è davvero bella...sarà per la presenza del paranormal?? Grazie mille Sarah!
RispondiEliminaGrazie a te, Alessandra. Sempre carinissima.
EliminaMi stupisco di me stessa e tutto merito della Bernardinello. Leggere un racconto paranormal ed m/m contemporaneamente è stata per me una bella esperienza. Dopo aver iniziato a scorrere le prime righe, stavo abbandonando la lettura perchè mi son detta che è un genere che non mi piace... ma poi ho voluto continuare e ne sono contenta. Una bella storia che mi ha tenuta attaccata al PC fino alla fine. Complimenti a Sarah!!!!
RispondiEliminaSono lieta di averti stupito, cara Iaia. E grazie per avermi letta.
EliminaComplimenti, consorella Sarah! Finalmente anche Adonais ha avuto il suo happy end... Che la Dea lo benedica
RispondiEliminaGrazie, cara Strega. La Dea ha benedetto di sicuro Adonais, dalle sue parti si venera la Grande Madre, e gli ha dato una bella occhiata :-)
EliminaUn abbraccio.
Mi è piaciuto molto! Una bella riconferma
RispondiEliminaGrazie!!!
EliminaUn racconto lunghissimo, evvai!!!
RispondiEliminaAh, Adonais!!!
Mi togliete un dubbio? Ma il nome Adonais si pronuncia così come si legge?
Grazie, Nimue! Per il nome Adonais, bisognerebbe chiederlo a Shelley.
RispondiEliminaL'ho letto due volte! Impossibile accontentarsi di una sola, anzi penso che lo leggerò anche una terza volta. Bellissimo!
RispondiEliminaGrazie, Fernanda!!!
EliminaFarmi amare un MM e in più paranormal? Vuol dire che è scritto proprio bene!
RispondiEliminaMichi
Allora grazie di cuore, Michi.
EliminaQuesto racconto, innanzi tutto, è scritto molto bene, con una buona proprietà di linguaggio, i verbi alloro posto, i termini usati a proposito e non per assonanza ... in poche parole: corretto.
RispondiEliminaLa caratterizzazione dei personaggi è davvero eccellente: io non sopporto i racconti che iniziano con "... era bello, biondo e con gli occhi dorati" o di qualunque altro colore, quindi scoprire le sembianze man mano che si scopre il carattere del personaggio e la sua storia personale per me è davvero stimolante.
Ho trovato la trama molto avvincente e mi ha tenuta con il fiato sospeso più di una volta, regalando comunque momenti di eccitazione, di emozione, di timore, di preoccupazione per i personaggi che sono diventati presto "persone" nel mio immaginario.
Ho sofferto insieme a AJ, mi sono arrabbiata profondamente con Adonais, ho disperato alcuni minuti tra me e me nell'affanno di non trovare un lieto fine, ma poi magicamente tutto è tornato al proprio posto, forse addirittura meglio di prima.
Quindi ringrazio l'autrice per aver reso disponibile questo bell'esempio di letteratura M/M, la persona, Laura, che lo ha pubblicizzato su Facebook nel gruppo cui appartengo, a voi per averlo pubblicato.
Grazie
Milly
Grazie, Milly, a te per averlo apprezzato.
Eliminahai ringraziato pure me? prego io sono solo l'umile Spammer di questi pregevoli lavori
EliminaDavvero bello! Sono contenta che anche l'affascinante e malinconico Adonais abbia avuto la sua occasione per trovare l'amore <3
RispondiEliminaGrazie, Emy. Adonais approva ;-)
EliminaComplimenti!!! Scorrevole, delicato al punto giusto, sexy... Mi è piaciuto moltissimo!
RispondiEliminaGrazie per averlo condiviso.
Ah, buon Natale!!!
Grazie, Maya! Buon Natale anche a te.
EliminaIl primo racconto, "Chicago Summer", mi era piaciuto molto e aveva stuzzicato la mia curiosità per Malthus Adonais. Ora questo lungo brano si è rivelato ancora più intrigante senza dubbio per il fascino dei due protagonisti. Ho semplicemente adorato Andrew.
RispondiEliminaComplimenti all'autrice.
Grazie per l'apprezzamento. AJ si fa volere bene, quando lo si conosce un po' ;-)
EliminaCredo che questo sia uno dei più bei racconti che io abbia letto.Sei riuscita a scrivere una storia m/m di una dolcezza incredibili. Spero di poter ancora leggere qualcosa su questi personaggi perchè mi sono piaciuti veramente tanto.
RispondiEliminaGrazie infinite!
EliminaMolto molto dolce. Una storia interessante con un finale carinissimo
RispondiEliminaGrazie davvero!
Eliminaè bello leggere le continuazioni di storie precedenti. non amo gli M/M o F/F ma questa è un mix anche di paranormal e la lettura è stata molto piacevole... è quasi un romanzo da quanto è lungo e io amo le storie lunghe ....
RispondiEliminaGrazie, Isabella!
EliminaHo aspettato che passasse il delirio natalizio per leggermelo con calma. E' lungo, ben strutturato, e con personaggi davvero approfonditi e affascinanti. Complimenti Sarah!
RispondiEliminaOrnella Albanese
Grazie, Ornella, sono felice e onorata! Grazie di cuore.
EliminaSarah
Non amo gli M/M ma sono davvero contenta che questo personaggio abbi avuto il proprio lieto fine. Mi aveva fatto tenerezza del racconto estivo! :D
RispondiEliminaBrava Sarah!
Grazie, Eiry! AJ e Adonais concordano in pieno :-)
RispondiEliminaMi è piaciuto tantissimo e detto da me che non seguo i paranormal o gli M/M è un vero complimento Sarah credimi,il tuo racconto estivo seguito da questo sono i soli che ho letto di questo genere.Mi farai sicuramente "allargare" i miei gusti. Grazie Sarah per la piacevole lettura
RispondiEliminaGrazie a te, Antonella, sono contenta che ti sia piaciuto.
EliminaMi piacerebbe continuare a leggere di loro in un romanzo :) grazie hai creato un mondo
RispondiEliminaGrazie a te, Vega :-)
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCongratulazioni all'autrice che riconferma il suo talento!
RispondiEliminaIl racconto mi è piaciuto davvero tanto!
Sono una fan di Sarah!
Grazie, Lorangela! :-*
EliminaOddio, pure l'M/M! E così ho sdoganato pure questa! Come primo approccio avrei gradito qualcosa di più romance e meno erotico, ma è un problema mio. In realtà era tutto molto intrigante ^_^
RispondiElimina"Bellissimo, stupendo, meraviglioso" sono aggettivi troppo banali per descrivere questo racconto *-*
RispondiEliminaAmo il genere m/m e in questo racconto c'è tutto *-* purtroppo ho letto questo per primo invece che quello di Angel e non ho il coraggio di farlo ora :/ però leggerei di sicuro un altro racconto di questo genere *-*
Esistono?
Cara Nikita, grazie per le tue parole gentili e l'entusiasmo. Puoi leggere benissimo Chicago Summer a prescindere da questo, è la storia di due diversi protagonisti e Adonais compare per poi diventare protagonista nel secondo. C'è la possibilità che diventi una trilogia, anche se non rispetta le quattro stagioni canoniche , visto che Chicago Winter raggruppa in realtà sia l'autunno che l'inverno.
RispondiEliminaSpero di accontentarti presto.
Un abbraccio
Sarah