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Isola di Poros, mar
Egeo - 802 a.U.C. Maius, Idi (49 d.C., 7 maggio)
In piedi sulla scogliera Brinnone ascoltava la voce sensuale
del mare.
Si era sempre considerato come qualcuno di ragionevole,
nonostante fosse un guerriero che portava su di sé le cicatrici di molte
battaglie ma, per una ragione inspiegabile, in quel pomeriggio di sole, sentiva
i suoi istinti riprendere il sopravvento.
Non andava bene.
Fece un passo indietro e rimirò la scultura raffigurante una
sirena, che aveva incastrato in un anfratto di roccia rivolto verso
l’orizzonte.
Modellare il metallo era una passione, uno sfogo. Se anni
prima aveva temprato le armi dei romani, adesso si riteneva un artista e qualcuna
di quelle sculture, ricavate da lastre di ferro e bronzo, decoravano il
sentiero che dalla villa conduceva al mare.
L’odore
della salsedine e quello della resina scaldata dal sole gli solleticarono le
narici, mentre regolava, con un ultimo tocco, la posizione della mitica creatura
di metallo sull’orlo del precipizio.
Quando
fu soddisfatto, osservò dall’alto la superficie azzurra macchiata da pennellate
di candida spuma.
La voce del senatore Marco Quinto Rufo, amico fraterno e compagno
di molte battaglie, a un tratto gli parve risuonasse ancora nitida nella sua
testa:
«Nei prossimi mesi non avremo bisogno di te qui a Roma,
batavo.»
«Potrei tornare in Germania» aveva risposto lui, tranquillo.
«Quinto Decio Aquilato ha qualche noia con le tribù confinanti.»
Il romano si era alzato, scuotendo il capo.
«No,
andrai in Grecia. Da qualche tempo i ricchi mercanti di ceramica delle isole di
Poros ed Egina sono vittime dei pirati.»
Non
era stato facile organizzare la flotta difensiva, tantomeno conquistare i rudi
e sospettosi greci che, da secoli, solcavano il mare con le pesanti navi
mercantili. Ma col passare dei mesi, la cattura di predoni e in particolare, la
crocifissione di uno dei capi, era riuscito a scalfire la loro diffidenza e a
conquistarsi un posto d’onore tra l’aristocrazia isolana.
Poche
settimane prima aveva finalmente inviato una missiva a Rufo, in cui lo
informava di aver portato a termine la missione con successo.
Osservò
gli scalini intagliati nella roccia che, ripidi, portavano all’insenatura.
La
vista era mozzafiato, l’acqua calma dai riflessi verde-azzurri risplendeva quasi
fosse uno smeraldo racchiuso tra pareti di roccia, così limpida da distinguere
i pesci e i coralli del fondale.
Il sole gli riscaldò le spalle nude mentre scendeva deciso a
fare un bagno, e fu in quel momento che dal basso udì provenire il canto. Si
fermò e un brivido gli attraversò la pelle.
Limpido, dolcissimo, sfuggente.
Lo ammaliò, lo disorientò, gli fece provare inaspettate e
sensuali emozioni. Gli parve di essere Ulisse legato con solide cime all’albero
maestro eppure desideroso, anche a costo della vita, di gettarsi in mare per afferrare
finalmente l’inafferrabile.
Alzò il volto cercando con lo sguardo la sirena che aveva forgiato.
La individuò a stento tra i cespugli di mirto, immobile guardiana
dell’orizzonte.
Non era lei che cantava ovviamente eppure, per un istante, visse
quell’illusione poiché la voce portata dal vento sembrava scaturire dalle
rocce, provenire dal mare e dalla terra scaldata dal sole.
Un’allucinazione?
Non ci credeva più, non era possibile.
«Questa volta non mi sfuggirai» mormorò tra sé e sé,
riprendendo la frettolosa discesa dei gradini sconnessi. «Non sei un fantasma,
né una sirena.»
D’accordo, viveva come un recluso in quella villa, inaspettata
ricompensa dei mercanti per averli liberati dalla calamità, ma non poteva
essere diventato folle in quei giorni di solitudine.
Si era rilassato, aveva scolpito nella sua fornace,
esercitato col gladio, le serve lo avevano massaggiato, vezzeggiato, aveva
fatto sesso e si era nutrito dei cibi migliori. Era in perfetta forma fisica,
ma la sua mente?
Si lasciò sfuggire una roca risata.
La sua mente stava benissimo, perché quella voce l’avrebbe
riconosciuta tra mille. Certe persone non dimenticavano mai un volto ma lui,
Brinnone, non dimenticava mai una voce.
L’aveva udita nei momenti più disparati della giornata,
senza riuscire a capire da dove provenisse, se da un luogo reale o dalla sua immaginazione.
Mentre poggiava i piedi sugli scogli bagnati dal mare, si
convinse che il canto apparteneva non a una mitica creatura dei mari, né a una
ninfa dei boschi, ma a una donna in carne e ossa, viva e reale.
Percepì le ultime note prima che si dissolvessero nell’aria.
Il silenzio si protrasse per un lungo momento poi, a un tratto, vide qualcosa dall’altra
parte dell’insenatura: un paio di braccia lisce che fendevano la superficie
trasparente del mare.
La sua nuca fu percorsa da un pizzicore, che proseguì lungo
la schiena e si irradiò in tutto il suo corpo. Seppe per istinto che era lei.
La nuotatrice si avvicinò tanto da permettergli di
distinguere le caviglie e le cosce tornite, mentre nuotava con bracciate
energiche e regolari. Riuscì a vedere anche i globi tondi e chiari delle
natiche, scintillanti sul pelo dell’acqua.
Il suo sesso reagì in qualche modo, un crampo gli strinse
l’inguine e la voglia di ascoltarla ancora e ancora quasi lo sopraffece. Avrebbe
voluto tuffarsi e raggiungerla, strapparla al mare per farla sua, soggiogato
dalla voce mentre ne possedeva il corpo, ma la tempra guerriera ebbe ragione sull’istinto
predatore.
Si limitò a osservare, nascosto dall’anfratto roccioso.
C’era qualcosa in quei movimenti graziosi ed eleganti che lo
attraeva, qualcosa gli diceva che in quel corpo snello e femminile si
nascondeva il segreto del canto.
La misteriosa fanciulla nuotò fino a un punto in cui le
rocce scendevano dolcemente nell’acqua e, sotto il suo sguardo affamato, emerse
come doveva aver fatto Venere da quello stesso mare millenni prima.
Incantato, fissò i capelli lunghi e neri da cui colava un
ruscello d’acqua sulle spalle rotonde, sui capezzoli rosa scuro, sul ventre
piatto. Costellata di goccioline scintillanti brillava sotto i raggi del sole e
lui si beò tentando, non solo di catturarne l’immagine per le sue notti
solitarie, ma anche la purissima essenza, la voce, i pensieri.
Sapeva bene di violare la sua intimità, ma gli sarebbe stato
impossibile distogliere lo sguardo; quasi non riusciva a respirare, figuriamoci
muoversi.
Indovinò persino il momento preciso in cui lei si accorse di
essere osservata. Aveva forse sentito il peso del suo avido sguardo?
La fanciulla si voltò lentamente e Brinnone si concentrò sul
suo viso, poteva essere l’unica occasione per osservarla così da vicino. Vide
le labbra bagnate di mare schiudersi nella sorpresa e gli occhi d’ambra fissarsi
su di lui.
Nelle fitte foreste germaniche in cui era nato, aveva avuto
occasione di cacciare molti animali selvatici. Era sempre un momento quasi
magico quando un cervo o un lupo lo scorgevano per la prima volta e, per
qualche istante non misurabile, la coscienza della bestia si fondeva con la sua.
Un’unione quasi mistica, ultraterrena.
La visione della fanciulla uscita dal mare provocò in lui la
stessa sensazione: come se, attraverso i reciproci sguardi, l’esistenza di
entrambi prendesse d’un tratto un significato nuovo, profondo.
Tuttavia non si mosse, perché catturare l’essenza di una dea
o la sua voce, era un’impresa impossibile per lui, Brinnone, guerriero batavo
civilizzato dai romani che possedeva poco di più di uno stallone, qualche
sesterzio e una modesta casa su uno dei colli di Roma.
*
L’odore del mare era intorno, dentro di lei.
Eumelia amava il profumo salato delle alghe cotte dal sole,
degli scogli bagnati, della spuma frizzante che scivolava sui ciottoli e, in
quei momenti, cantava la sua gioia agli dèi che avevano creato tanta bellezza.
Amava la sua isola, sentiva di appartenerle, conosceva ogni
angolo di terra e di mare e avrebbe dovuto sentirsi felice e appagata.
Eppure, da qualche tempo, non riusciva a godere come sempre di
tutto ciò. Dormiva pochissimo. La mente concentrata su ciò che l’aspettava,
sentiva il petto schiacciato da un peso di cui non riusciva a sbarazzarsi: la
consapevolezza di doversi piegare alla volontà del padre.
Nulla, da quando le aveva annunciato il nome del suo
promesso sposo, sembrava più renderla serena: né le lunghe nuotate, il canto e
neppure il mare, l’amico di sempre.
Uscì dall’acqua, lasciò che le scorresse come un fluido
benefico sulla pelle e rivolse il viso verso il sole. Rimase così, desiderando
di poter fermare il tempo.
Fu una sensazione inafferrabile e indefinibile a farle
correre un brivido d’allarme lungo la schiena ed ebbe paura che Myron l’avesse seguita,
scoprendo la baia segreta.
Ma non era il suo promesso.
Là, dove il sole del tardo pomeriggio accarezzava l’acqua con
riflessi argentati, vide lo straniero. L’uomo venuto dalle foreste, da un luogo
così lontano e inimmaginabile da non riuscire a pronunciarne il nome.
L’uomo dagli occhi azzurri come il mare.
Eumelia
lo aveva notato la prima volta nella villa di suo padre, sapeva che era un
guerriero venuto da settentrione, mandato da un senatore di Roma. Un uomo che
aveva dimostrato di avere una mente acuta, coraggio e onore.
La
confraternita dei mercanti di ceramica che dapprima aveva dubitato delle
capacità e dell’ingegno del potente germano, ormai pendeva dalle sue labbra e anche
Demostenes, il più scettico, il più ricco e potente commerciante di Poros, aveva
cambiato idea sul grosso germano. Non lo aveva fatto per quanto riguardava lei,
l’unica figlia rimastagli, che avrebbe dovuto unire il nome e le fortune di due
delle più illustri famiglie di Poros.
Eumelia
pronunciò il nome del guerriero con un sussurro interiore, gustandolo quasi
fosse un frutto maturo.
Brinnone.
Una
sera lo aveva spiato nascosta tra le ombre del giardino mentre discuteva con
suo padre dei pirati che infestavano le acque del golfo: nei suoi occhi
orgogliosi e freddi aveva visto brillare una scintilla di violenza e si era
detta che avrebbe dovuto temerlo, ma il mistero che lo avvolgeva, il corpo
statuario modellato dalla guerra e quelle cicatrici che parlavano la lingua
comune di tutti gli eroi, la affascinavano e la atterrivano allo stesso tempo.
Il
volto squadrato, il naso diritto, con le narici che sembravano tagliate con un
coltello; tanto alto da sovrastare la folla che si apriva al suo passaggio, quasi
dovesse cedere il passo a un immortale.
Brinnone,
lo sguardo severo, i muscoli forgiati dal fuoco della guerra.
Quando quel volto si volse nella sua direzione e la
fissò, a Eumelia parve di essere diventata di marmo e poi di morbida cera.
Le batteva il cuore eppure sembrava volesse
fermarsi. Quando i denti bianchi di lui balenarono in un sorriso, si rituffò tra
le onde.
Adesso aveva davvero paura, più di se stessa che di
lui.
2
Quattro settimane dopo
Stringendosi nel chitone di lino finissimo, Eumelia si
avvicinò alla balaustra e contemplò la distesa spumeggiante del mare. Il
fidanzamento con Myron era stato un errore fin dagli inizi.
In parte era anche colpa sua, ammise fra sé. Aveva accettato
di fidanzarsi con un uomo che conosceva fin da bambina, per il quale non
provava che un blando affetto, soltanto per accontentare il padre.
Se il vecchio amico d’infanzia con cui aveva condiviso
segreti e avventure era l’uomo sbagliato, quale poteva mai essere quello
giusto?
L’immagine di un uomo dagli occhi penetranti e dal capo
rasato le balzò alla mente, come per incanto. Il fisico possente emanava
un’energia virile così intensa che, nel percepirla quel giorno alla baia,
Eumelia aveva provato un vuoto allo stomaco. Vuoto che provò anche in quel
momento, al solo pensiero.
Ridacchiò.
Come avrebbe reagito il grande mercante Demostenes, se
avesse saputo che la figlia era attratta da uno straniero? Di certo sarebbe
andato su tutte le furie.
Qualcuno bussò alla porta e Ores entrò, aiutata da due serve.
La sua nutrice adagiò sul letto la tunica di seta color panna cucita con
sottilissimi fili d’oro.
Eumelia osservò a lungo la prova tangibile che la faccenda del
matrimonio era concreta e si sarebbe realizzata in pochi mesi.
«Non ti piace, Chará
mou?»
La voce della nutrice era carezzevole, gentile. Avrebbe
potuto mentirle ma non lo fece, perché la rispettava ed era affezionata a colei
che la chiamava gioia mia come fosse stata la madre che non aveva mai
conosciuto.
«È bellissima, Ores. Davvero, mi piace molto.»
La donna si avvicinò, le accarezzò un braccio.
«Non lo ami, vero?»
Non c’era bisogno di specificare il soggetto, entrambe
sapevano il nome dell’uomo che le era stato destinato. Eumelia abbassò gli
occhi, sentì le guance infiammarsi.
«No, Ores. Per me è stato un buon amico d’infanzia, ma
nient’altro. Non ho mai sognato di fondare una famiglia o dare dei figli a quel
buono a nulla capace solo di amare fanciulli.»
Ecco, lo aveva detto a voce alta.
L’altra non ebbe esitazioni né negò, si limitò a prenderla
tra le braccia proprio come avrebbe fatto una madre.
«Non dirlo a Demostenes. Crede di fare il tuo bene dandoti
in sposa a un giovane che stima e ama, come quel figlio che ha perso tanti anni
fa.»
«Lo so, Ores. Ma per il resto della mia vita dovrò
rinunciare all’amore.»
La donna le sollevò il mento, ne cercò lo sguardo.
«Gli dèi ti hanno amata davvero quando hanno ispirato il tuo
nome a Demostenes,» le disse con un sorriso dolce e sereno. «La melodia è nel tuo
cuore e nella voce, oltre che nel significato del tuo nome. Usa questo dono
meraviglioso, chiedi di poter andare dall’oracolo di Apollo, molte fanciulle lo
hanno fatto prima del matrimonio. Convincerò tuo padre a farti accompagnare con
una scorta adeguata e una della sue più agili bireme.»
«Riusciremo a convincerlo?» sospirò lei, disillusa.
«Ci penserò io, Chará
mou. Lui ti ama molto e di certo non vorrebbe mai renderti infelice, ma gli
uomini vanno convinti con le carezze, non con le parole.»
Eumelia sapeva che Demostenes e Ores erano amanti da anni.
«Seguirò il tuo consiglio, mia saggia amica» mormorò con una
nuova speranza nel cuore.
La nutrice sorrise.
«Sono sicura che né lui, né gli dèi, vorranno privarti del dono
meraviglioso di un consorte innamorato e che tu stessa potrai ricambiare.
Ascolta le parole del vaticinio, a volte i disegni degli Immortali sono
tortuosi e impervi come i sentieri che, dalla scogliera, scendono al mare.
Quando tornerai da Delos con il responso, quale che sia, penseremo insieme cosa
fare.»
*
Le notti greche hanno una loro poesia, pensò Brinnone scendendo fino
a metà della scalinata di roccia.
Intorno non c’era che natura selvaggia, i profumi sparsi
nell’eco della risacca che arrotolava i ciottoli della spiaggetta, il sole
scomparso oltre l’orizzonte che aveva lasciato sul cielo pennellate di rosso e
arancio.
Quella sera, nel canto meraviglioso e ipnotico che stava
ascoltando, colse una nota struggente. Sembrava una preghiera, la melodia si
alzava dal mare fino alle rocce e ai pini, avvolgendolo con una carezza
delicata e triste.
Lui, guerriero che aveva visto sangue e sofferenza sui campi
di battaglia, che aveva bevuto coraggio insieme al vino annacquato di Roma, si
commosse a quel suono incantevole.
Quelle note di sicuro glorificavano gli dèi o rivolgevano
loro una accorata preghiera e, con grande sconcerto, i suoi occhi divennero
lucidi, gli stessi che avevano guardato morte e distruzione e che credeva
incapaci di pietà o commozione.
La sua pelle vibrò, tremò e lui pianse cullato dalla voce di
una fanciulla ma quando il canto ebbe fine, si sfregò le guance con il pugno
serrato, un gesto repentino, quasi rabbioso.
«Mi sono rammollito stando in questa stramaledetta isola di
mercanti» borbottò tra i denti, incapace però di tornare verso la villa dove non
avrebbe udito le note di quella canzone.
Che stupida idea quella di andare a fare un bagno dopo il
massaggio eppure, quando riuscì a scendere un altro gradino, smaniava di
rivedere la misteriosa fanciulla dai capelli neri e dal corpo sensuale. Aguzzò
la vista tra le ombre ingannevoli del crepuscolo e a un tratto, un formicolio
di premonizione gli percorse la pelle.
Nient’altro che un riflesso argentato, il guizzo di una
fiamma nell’acqua calma e cristallina.
Era pazzo.
Poi notò la barchetta che galleggiava, ancorata alle rocce e
quasi gli sfuggì un gemito di sollievo.
Una pescatrice di perle o di corallo, ecco chi era la sua misteriosa
sirena.
Un attimo prima la barca stava dondolando vuota, un attimo
dopo la giovane si era arrampicata a bordo con l’agilità di un furetto. La
vista di quelle membra pallide, di quel corpo sinuoso e bagnato, di quei
capelli che sognava di poter sentire su di sé ogni notte, lo turbò, gli tolse
la voce e il respiro.
Come uno sciocco incapace, cadde col sedere su uno scalino,
ma non sentì sulle cosce possenti il graffio brusco della pietra.
La sua mente, i suoi occhi, il suo cuore di soldato erano in
adorazione della fanciulla dalla voce divina che sfidò l’incessante movimento
del mare dosando il peso a ogni minima oscillazione dello scafo.
Con grazia, o almeno così gli parve, avvolse i fianchi in un
lembo di stoffa e salpò la piccola àncora avvolta da strisce di alghe brune senza
nessuno sforzo, fissandola a prua.
Le braccia tornite, che Brinnone bramava avere attorno a sé,
afferrarono le estremità dei remi e la barchetta girò su se stessa, fino a
sparire al di là del costone di roccia che delimitava la baia verso il mare
aperto.
Solo quando fu scomparsa ricominciò a respirare come sempre
e, finalmente, riprese a scendere.
Arrivò alla spiaggia e si gettò in quelle onde che avevano
stretto in un sensuale abbraccio il corpo femminile e ammaliante.
Si sentì come se avesse violato un territorio proibito.
3
Julius
Brinnone
si presentò poco dopo l’alba alla villa di Demostenes, ordinò ai portatori di
fermarsi e scivolò a terra con un tonfo possente.
I sandali
alzarono uno sbuffo di polvere, la stessa che aveva ricoperto i cespugli di
mirto e corbezzoli lungo il viale. Julius volgeva al termine, nell’isola la siccità
cominciava a farsi sentire e tutti erano nervosi, persino i gatti randagi
sonnecchiavano ansimanti per tutto il giorno rifiutandosi di cacciare i topi.
Si
guardò attorno.
La
convocazione del mercante era inaspettata, misteriosa. Cenava spesso con lui da
quando la diffidenza si era tramutata in amicizia, ma prestare ascolto ai
discorsi sui prezzi della ceramica e sugli antenati fondatori della più grande
città dell’isola lo annoiava fino alla morte.
Lui
era un uomo d’azione, stare seduto per ore davanti a un banchetto di ostriche,
pesci e frutta, anche se provenienti da ogni angolo del mondo conosciuto, era
un sacrificio quasi inumano.
Ormai
amava la solitudine, e stava seriamente pensando fosse arrivato il momento di tornare
a Roma.
Le
cicale si chiamavano dall’alto dei pini e in quel punto, sotto il sole, gli parve
di entrare in una fornace ma ben presto si ritrovò all’ombra dell’arioso
portico di colonne.
D’un
tratto, in quella frescura, osservando il didietro tornito della servetta che
lo stava scortando dall’ospite, ricordò la bocca della prostituta attorno al
suo sesso, il piacevole contatto con la lingua, i lievi graffi dei denti, le
labbra che si chiudevano su di lui in un erotico massaggio. In quell’afoso
pomeriggio, con quella donna accovacciata tra le cosce, si era abbandonato
all’orgasmo con un canto melodioso che gli risuonava nelle orecchie, frutto
della sua immaginazione. Non andava bene.
Non
andava affatto bene.
Il
sudore gli colò lungo la schiena, dalle tempie lo asciugò col dorso della mano.
Lui,
che aveva forgiato le armi dei prodi legionari di Roma, non sapeva come arginare
le proprie voglie, si sentiva insoddisfatto, scontento e anche un po’
sconcertato, come se avesse avuto un gladio sospeso sopra la testa pronto a
calare un mortale fendente.
Le
mura bianche, il viale lastricato, le statue colorate delle divinità dell’Olimpo,
lo accolsero con la stessa benevolenza di Demostenes calvo, panciuto e
sorridente, le braccia aperte in un fraterno benvenuto.
«Brinnone,
amico caro! È sempre un onore godere della tua imponente presenza.»
Il
guerriero ricambiò il caloroso sorriso e si rassegnò, sarebbe stata una lunga serata
di bagordi.
Si
consolò pensando alla baia dove nuotava e cantava la sua sirena: più tardi
avrebbe cancellato il ricordo del cibo e della noia gettandosi ancora una volta
nelle sue acque cristalline.
*
Tornò
a notte fonda nella villa sulla scogliera dove ormai si sentiva a casa, molto
di più che nel villaggio nascosto nelle fredde foreste germaniche così vaste da
non aver fine.
I
suoi servi ancora svegli gli andarono incontro con una ciotola di acqua fresca,
da cui trangugiò lunghi sorsi. Uno di loro era pronto a svestirlo della tunica,
ma li congedò tutti avviandosi a grandi passi verso la scalinata che scendeva al
mare.
Aveva
voglia di purificarsi, togliersi di dosso l’odore del sesso di quel pomeriggio,
quello del cibo, dei profumi orientali che lo avevano avvolto e stordito alla
tavola di Demostenes.
Era
pronto a rinascere e l’acqua cristallina mantenne la promessa:
fresca, salata, amarognola sulla lingua lavò via ogni traccia indesiderata e si
rilassò, si abbandonò, trovò requie alla giornata bruciante.
Chiuse gli occhi con il segreto
desiderio di udire una magica voce ma, quella notte, solo il mare cantava.
Nuotò come avrebbe fatto un possente
tritone: con lunghe bracciate, fendendo le onde col cranio lucido, le spalle
ampie, provocando una piccola tempesta in quella baia altrimenti tranquilla.
Quando uscì dall'acqua, si sdraiò sui ciottoli
che ancora conservavano il calore del sole. Sulla sua pelle, che in quei mesi
aveva acquistato una sfumatura dorata, brillavano goccioline argentate dalla
luna.
Sospirò e poggiò la nuca sulle braccia
piegate. Il cielo era ammantato di stelle, sentieri luminosi in cui aveva
imparato a orientarsi. Non sarebbe stato difficile né impegnativo accompagnare la
figlia del mercante a Delos.
Una fanciulla che non aveva mai visto,
di cui conosceva la fama: capricciosa, dall’umore mutevole e bellissima, a
sentire il parere degli abitanti di Poros, pettegoli quanto quelli della
Suburra.
Demostenes aveva esultato, compiaciuto
e felice di poter trarre un sospiro di sollievo e attenuare così la sua ansia
paterna:
«Con mia figlia sotto la tua protezione
potrò dormire sonni tranquilli, amico mio» aveva ridacchiato alzando il calice
nell’ultimo brindisi.
Brinnone aveva accettato solo per una
ragione: quando gli avesse detto della decisione di tornare a Roma, il mercante
non avrebbe potuto obiettare visto il grande favore che gli stava facendo.
*
Eumelia si sporse oltre la barriera di roccia, scostando le
pungenti fronde del rosmarino. Socchiuse gli occhi e ringraziò Selene, la dea
della luna piena, per averle permesso di vederlo anche da quella distanza.
Si era emozionata alla vista del corpo nudo da guerriero, grosso
e impressionante, già dal suo aspetto si capiva che non era greco. A Poros
tutti ne parlavano con rispetto, persino Demostenes che gli aveva chiesto,
meglio: lo aveva supplicato di scortare l’unica figlia all’Oracolo di Apollo. Eumelia
sorrise tra sé, compiaciuta che il padre avesse avuto quell’imprevedibile illuminazione.
Era felice, non solo di avere l’occasione di mutare il
proprio destino visitando l’isola in cui erano nati Apollo e Artemide, ma lo
avrebbe fatto accompagnata dal batavo bello e forte, tra le cui braccia sognava
di trovare rifugio.
Grandi battaglie scorrevano nel sangue di quell’uomo ed era
curiosa di ascoltare le avventure che aveva vissuto, i paesi e le città che
aveva visto e conquistato.
Non si accorse di stringere con bramosia il ramoscello profumato,
nel tentativo di vedere meglio la sagoma distesa sui ciottoli.
4
Quando si girò di nuovo verso la banchina del porto, vide
avvicinarsi le portantine ondeggianti sorrette da uomini seminudi dai corpi
muscolosi e dai bicipiti gonfi, accompagnate da una folla curiosa.
Demostenes, la figlia e il seguito dei servi, una parte dei quali
si sarebbero imbarcati sulla Nereide per accompagnare la fanciulla, stavano
arrivando sulla banchina.
L’animata processione si fermò proprio davanti alla
passerella e Demostenes sgusciò fuori per primo, appesantito dal ventre
prominente.
Brinnone udì tintinnare i bracciali e gli anelli di cui si
era adornato la mano grassoccia, che sventolò con allegria.
A quel punto, si decise ad andargli incontro.
A metà di quel percorso, gli parve di essersi addormentato a
propria insaputa, perché credeva di sognare, oppure di avere una visione.
Davanti a lui, sbucata dai veli della portantina, era
apparsa una creatura con una veste d’oro e il capo velato. La stoffa traslucida
e trasparente celava i lineamenti, ondeggiava sfiorando le caviglie; una
cintura di cuoio modellato le circondava i fianchi e ne sottolineava la vita
sottile mettendo in risalto i seni.
«Mia figlia Eumelia» gli disse il mercante tronfio
d’orgoglio, invitando la fanciulla a sollevare il velo.
No! Non farlo, gridò interiormente Brinnone, ma il suo
desiderio non venne esaudito.
«È un onore conoscere il grande guerriero che ha liberato la
mia isola dai pirati» disse l’apparizione con voce flautata.
Bellissima, aveva sentito dire. Ebbene, l’aggettivo non le
rendeva giustizia.
Quando incrociò il suo sguardo sentì come una scossa
interiore, simile al colpo di uno scudiscio, non doloroso ma inaspettato.
Si riscosse come la vittima di un incantesimo. Altro che
pescatrice di corallo.
Eumelia, la figlia di Demostenes che avrebbe dovuto scortare
fino a Delos, altri non era che la misteriosa cantante della baia, che lo aveva
ammaliato e gli aveva incatenato cuore e mente al melodioso incantesimo.
I lunghi capelli bruni adesso erano legati in una treccia adorna
di fili di perle e scendevano sulla spalla scoperta, accanto al volto luminoso,
bello come un’alba d’inverno. Per un uomo che nella sua vita aveva visto poco
altro che sangue e combattimenti, quel sorriso era come l’acqua fresca di una
sorgente per un assetato.
«Ti affido il cuore del mio cuore, Brinnone. Scortala fino a
Delos, al tempio di Apollo e dopo il responso riportala da me sana e salva.»
L’incarnato chiarissimo che scorgeva tra le fessure del
chitone lo conosceva, lo aveva sognato molte volte e a stento il batavo, pronto
a salpare, trovò la voce per rispondere al mercante:
«La proteggerò a costo della vita» promise serio, incantato
dal fascino di quello sguardo del colore di una pietra preziosa.
Quando Eumelia fece allontanare le serve che l’avrebbero
seguita, si piegò verso il padre per salutarlo e lui poté sbirciarle il seno attraverso
la scollatura.
Quasi arrossì quando si rese conto che era stato scoperto,
ma gli occhi scuri della fanciulla incatenarono i suoi in uno sguardo sospeso,
senza tempo.
*
Si udirono gli sbuffi, i forti sospiri e i bassi lamenti di
coloro che avevano spinto la Nereide con la sola forza delle braccia nel porto
di Delos con efficienza e un addestramento perfetto.
La bireme, dopo quattro giorni di navigazione sulle acque propizie
e scintillanti del Mar Egeo, scivolò nello specchio di mare piatto e limpido
evitando, con la grazia di un’esperta navigatrice, gli isolotti sabbiosi dell’insenatura
naturale.
Volgendo lo sguardo a occidente si scorgeva il monte Cinto, più
a settentrione le sagome dei tre templi dedicati ad Apollo, nitide nella
limpidezza dell’alba.
Eumelia affiancò Brinnone che, appoggiato al parapetto, si
protendeva dalla fiancata per controllare il fondale. Sotto di loro, a macchia
di leopardo, ondulavano alghe verde scuro sulla sabbia altrimenti bianchissima.
«Scogli pericolosi?» gli chiese fissandogli le spalle leggermente
arrossate e pensò, con un certo languore, che posandovi le labbra avrebbe
potuto sentire il calore del sole e il sapore del salino.
Batté le palpebre cercando di recuperare un contegno, mentre
iridi di cristallina purezza la scrutavano interdette.
Ancora una volta si compiacque del silenzio che aleggiò tra
loro. Il germano, al contrario di molti, non rispondeva mai alle domande con
leggerezza o superficialità. Valutava, rifletteva e infine parlava con un tono
fermo e volitivo che la faceva emozionare.
Si capiva che era pieno di forza e passione, intelligente,
riflessivo e che suo padre Demostenes non aveva sbagliato nel giudicarlo,
neppure nell’affidargli la vita della propria figlia.
«No, controllo soltanto che non ci siano scogli nascosti,
non vorrei ci incagliassimo» le rispose tranquillo, indicando il fondale
punteggiato di pericoli sommersi.
Parlare con lui, in quei pochi giorni, aveva alimentato le
sue emozioni più nascoste, fisiche e sensuali. Dapprima con molto riserbo, poi
con più scioltezza, il germano si era reso disponibile a rispondere a tutti i
quesiti che gli aveva posto, perché quello era il suo primo viaggio per mare
lontano da casa ma, soprattutto, perché amava ascoltarlo.
Come avrebbe voluto chiedergli se l’avesse udita cantare ma,
fino a quel momento, non aveva osato.
Si era accontentata di stargli vicina, udirne il respiro, osservare
il corpo guizzante di energia, studiareil piacevole disegno dei suoi
lineamenti, la vigorosa elasticità del suo passo, la nobiltà del suo
portamento. E aveva sognato di baciargli la bocca, incorniciata da un accenno
di barba incolta perché non si radeva da quando erano salpati. Aveva il labbro
inferiore carnoso ed Eumelia era convinta che sarebbe stato piacevole godere
della sensualità che prometteva.
Se in un primo momento aveva desiderato solo ammirarlo,
adesso anelava a tutto: essere toccata, diventare il centro del suo mondo,
appartenergli e perché no, essere amata da un uomo come quello. Non ne era
innamorata, non ancora, ma sarebbe stato così facile abbandonarsi al suo potere
di seduzione, così diverso da quello dei suoi pretendenti greci.
Oltre alla questione del matrimonio, che ogni giorno di più diventava
impensabile, c’erano anche le sensazioni conturbanti che suscitava in lei: un
intenso desiderio di appagamento fisico con cui avrebbe voluto sfogare la sua
inquietudine.
Le fremevano le punte delle dita per il desiderio di
sfiorare il suo stomaco piatto con i muscoli ben delineati, la pelle dorata dal
sole, ma si trattenne e sospirò afflitta.
Fraintendendola, Brinnone la rassicurò:
«Non temere kyría,
ormeggiata la Nereide organizzerò la scorta per condurti al tempio di Apollo. Non
dovrai aspettare troppo.»
«Non era per questo che sospiravo» gli rispose, guardandosi
bene dal confessargli i veri motivi del suo turbamento. «È la felicità di aver
avuto l’occasione di conoscere un uomo importante come te.»
L’espressione di lui divenne indecifrabile ma le parve di
cogliere, nello sguardo di solito distaccato, una scintilla di puro
divertimento.
«Sono solo un uomo al servizio di Roma e, negli ultimi mesi,
dei mercanti di Poros.»
Eumelia abbassò la mano sulla sua spalla quasi volesse
fargli una carezza appena accennata. Provava l’impulso irresistibile di toccarlo,
per verificare fino a che punto fosse intensa e travolgente la passione che gli
sentiva ribollire dentro, ma evitò di cedere alla tentazione.
«Non è per quello che sei interessante» gli rispose
sibillina.
*
Davanti a lui camminavano cinque donne vestite di bianco, il
capo velato. La sesta era Eumelia, che svettava su di loro con la sua inconsueta
altezza.
A parte gli arti meravigliosamente proporzionati e quelle
iridi di un colore così raro, non differiva molto dal resto delle donne greche:
capelli neri, seni prosperosi, sguardo profondo, ma in lei palpitava un’energia
singolare, una grazia vivida che la rendeva diversa.
O forse quella sua convinzione dipendeva dalla voce
armoniosa, profonda e leggermente roca, che usava come un mirabile strumento?
Brinnone non lo sapeva, non capiva neppure perché il suo
cuore, ogni volta che la fissava dritta negli occhi o ne spiava le mosse a
bordo, saltava un battito.
Aveva smesso di cercare una spiegazione, arrendendosi
all’evidenza: gli dèi avevano incrociato le loro strade per una sconosciuta
ragione che, prima o poi, avrebbe scoperto.
Doveva solo attendere che la volontà degli Immortali si
manifestasse e lui era pronto a ogni evenienza, sul mare come sulla terraferma,
vigile e guardingo più del solito.
Lo doveva a Demostenes che gli aveva affidato il bene più
caro, lo doveva a se stesso perché non si sarebbe mai perdonato se fosse
capitato qualcosa alla sua preziosa passeggera.
Il solo pensiero di lei in pericolo lo rendeva rabbioso come
un toro da monta. Persino le occhiate innocenti dei guerrieri e dei marinai
della Nereide gli accendevano nel petto intense vampate di gelosia, come mai prima
per nessun’altra donna.
Una sera avevano dato fondo all’ancora in una baia
tranquilla, ed Eumelia aveva cantato una canzone triste a Ecate, dea della luna
calante. Lo spicchio dell’astro notturno sostava sopra di loro nel buio, ravvivando
il mare e il chitone della cantante di riflessi argentati.
Era bellissima appoggiata all’aplustro della ninfa Nereide
scolpito nel legno: era ninfa lei stessa, una magica creatura dalla voce
carezzevole, appassionata, che aveva coinvolto tutti i suoi sensi.
Alla fine del brano un silenzio solenne, ammirato, era calato
sull’equipaggio e lui, se avesse potuto, sarebbe corso a prenderla tra le
braccia per stringerla commosso e adorarla per ogni istante della sua vita.
Invece era rimasto inchiodato alla tolda mentre Eumelia augurava
buon riposo a tutti e si eclissava in cabina.
In quel momento, seguendo la processione diretta al maestoso
tempio di Apollo, provò un amaro risentimento per le proprie origini. Avrebbe
dovuto nascere principe per poter aspirare a una fanciulla così raffinata e baciata
dagli dèi con un dono così singolare.
I passi della scorta risuonarono dietro di lui come a
ricordargli che era un volgare soldato, un sopravvissuto di violente battaglie,
indegno di colei che celava, nella palpitante luminosità dello sguardo, una
passione ardente capace di risvegliare il suo istinto virile.
Quando arrivarono nell’ampio cortile del tempio, dopo avere
precorso un viale di allori, le ancelle offrirono le libagioni ai sacerdoti che
le avevano accolte. Costoro riscossero la consueta tassa e, ottenuto il
pagamento, sacrificarono una capra bianca davanti alla statua di Apollo.
Per tutta la durata del rito necessario per accedere
all’Oracolo, Brinnone non perse di vista la sua protetta e quando la vide
entrare scalza nel tempio, il volto coperto dal velo e l’atteggiamento dimesso,
sentì impellente l’esigenza di seguirla.
Conscio che avrebbe commesso un grave sacrilegio, dominò il
suo istinto e attese.
5
Tornati a bordo dopo il responso sarebbero dovuti ripartire all’alba,
ma Eumelia aveva chiesto di rimanere sull’isola un giorno in più: l’Oracolo le
aveva dato un compito affinché si compisse il suo destino. Come resistere a una
tale richiesta?
Diede un’occhiata in coperta dalla panca su cui sonnecchiava.
C’era uno strano, profondo silenzio e, silenziosa, un’ombra avanzò verso di
lui.
«Brinnone» fece la voce sommessa di Sophos, la sentinella
del secondo turno. «Ho visto la kyría scendere a terra.»
Il significato di quella frase penetrò nella sua coscienza
come la punta di una freccia.
«Ne sei sicuro?» chiese sollevandosi e afferrando gladio e
pugio da cui non si separava mai.
«È lei ti dico, l’altezza e il portamento sono
inconfondibili. Dove starà andando senza scorta?»
Brinnone rifletté per qualche istante, nel frattempo si
svegliò del tutto e sistemò le armi nella fascia di cuoio che portava in vita
come i legionari romani.
«L’Oracolo le ha ordinato di fare qualcosa» spiegò
dirigendosi a grandi passi verso la passerella.
Sophos sollevò un sopracciglio.
«Sarà andata a compiere un sacrificio?»
Una morsa gli stringeva lo stomaco, sentiva il sangue
pulsargli impetuoso nel collo e teneva l’elsa del gladio, che lui stesso aveva
forgiato molti anni prima, con tale impeto che l’acciaio gli penetrò nella
carne del palmo.
Strinse le palpebre per scorgere, nella flebile luminosità della
falce di luna, la sagoma della fanciulla. Vide qualcosa muoversi tra i cespugli,
un riflesso lattiginoso.
«Laggiù ho visto qualcosa» confermò la vista acuta della
sentinella.
«La seguirò di nascosto» decise, ben sapendo che le
richieste degli Oracoli erano singolari ma esigevano, il più delle volte, la
solitudine dell’officiante.
Dopo aver dato ordini a Sophos, scese a terra, gli occhi sul
punto del sentiero dove aveva visto brillare il chitone della sua sirena.
*
Il lago dei cigni sacri ad Apollo. Lo specchio d’acqua era
calmo, oscuro come l’occhio di un veggente, nessun candido volatile era visibile
ma, tra le canne, danzavano le lucciole e il canto dei grilli faceva da
contrappunto al gracidare delle rane.
Non era stato difficile trovarlo, aveva seguito alla lettera
le istruzioni del sacerdote che aveva fatto da tramite con l’Oracolo.
Eumelia tirò fuori dalla sacca di juta le foglie di alloro, il
sacchettino di farina d’orzo e la strisciolina di tessuto, tagliata da una
tunica del germano. Strinse la stoffa nel pugno quasi fosse stato un gioiello
prezioso e la tensione, provata nel compiere il gesto imprudente, cominciò a
sciogliersi.
Secondo le indicazioni, avrebbe dovuto aggiungere alla
farina le foglie e il tessuto, chiuderli in un sacchettino di lino, lanciarlo nell’acqua
sacra e poi bagnarsi lei stessa nel lago.
Con dita tremanti e l’emozione che le chiudeva la gola,
eseguì tutto alla lettera e quando il piccolo involtò sparì nell’acqua scura,
trasse un sospiro di sollievo e cominciò a sganciarsi le fibule che sostenevano
il chitone.
Affondò le dita dei piedi nell’erba che lambiva la riva, poi
nella sabbia umida e avanzò cauta, con la sensazione di essere osservata.
Doveva solo bagnarsi fino alla vita, non nuotare fino al centro
del lago, ma l’acqua fresca era un balsamo per i suoi nervi tesi, così si immerse
completamente.
Quando riaffiorò si guardò intorno e si rese conto che quel
luogo era davvero magico, i suoi sensi si erano risvegliati, attenti e
ricettivi.
«Sono pronta per la mia nuova vita» bisbigliò sollevando il
viso al cielo stellato e si convinse che tutto, con la benevolenza di un dio, sarebbe
stato possibile. La sua vita poteva davvero cambiare per cui, nuotando, si
abbandonò all’abbraccio delicato dell’acqua e cancellò dalla mente ogni
pensiero.
*
L’urlo femminile gli ghiacciò il sangue nelle vene e gli
parve, con ogni evidenza, una disperata invocazione d'aiuto.
Brinnone si immobilizzò dove si trovava e in un lampo i suoi
occhi perlustrarono tutto ciò che potevano vedere attorno al sentiero, percorso
quella mattina in direzione del tempio.
Il grido si ripeté, pieno di sgomento, e il batavo concluse
che doveva provenire dal lago dei cigni sacri.
Aveva sottovalutato
la velocità con cui era sparita la figlia di Demostenes, ma la giovane aveva
gambe lunghe e agili come quelle di una cerbiatta.
Si era diretto al tempio perché aveva supposto fosse quella
la sua destinazione: un’offerta notturna al dio o meglio, qualche gioiello lasciato
nelle mani avide dei sacerdoti. Ma a udire quelle grida, le sue supposizioni si
stavano dimostrando del tutto errate.
Cominciò a correre come un Titano sul sentiero di guerra, con
potenti falcate, animato da un fuoco guerriero che avrebbe carbonizzato un
avversario al solo vederlo, figuriamoci se lo avesse sorpreso nel compiere una
qualche nefandezza sulla sua sirena.
Giunse sulla riva e si arrestò di botto.
Più o meno al centro dello specchio d’acqua, immersa fino
alla vita, c’era Eumelia che invocava soccorso.
La sua pelle riluceva lattea sullo sfondo oscuro del lago,
ma non riuscì a scorgere la sua espressione. Intuì solo che era in pericolo e
quasi subito comprese, dai movimenti sconnessi, che la minaccia era molto più infida
di qualsiasi essere umano.
Era intrappolata nella mota del fondo e gli energici
strattoni che dava con le gambe e il bacino, non soltanto non l’aiutavano a
trarsene fuori, ma la facevano affondare ancor di più.
Un lungo brivido di apprensione gli attraversò la nuca e la
schiena. Anche nella sua terra esistevano le sabbie mobili, molti impavidi
guerrieri avevano lottato a lungo, inutilmente, catturati dalle loro spire ed
erano scomparsi ingoiati dalla trappola mortale.
La giovane non lo aveva ancora notato, presa com’era a
divincolarsi e lui non poteva entrare di slancio in acqua come avrebbe voluto,
il rischio di restare intrappolato era troppo grande.
Con un'occhiata raggelante attorno a sé, comprese che il
tempo a sua disposizione non era molto, non sarebbe mai potuto tornare alla
nave per chiedere aiuto ma, soprattutto, non voleva abbandonare a se stessa
Eumelia o perderla di vista.
Si mosse fragorosamente tra le canne, aggirò una spiaggetta
e quasi calpestò quello che riconobbe come il chitone di cui si era liberata
prima di entrare in acqua.
«Kyría!» gridò e gli rispose un roco gemito, un suono
diverso dalle urla disperate che erano risuonate fino a un attimo prima.
Da dove si trovava poté scorgere il moto di stupore e la
speranza, che illuminò il suo volto bellissimo.
«Brinnone?» fece incredula e lui pensò di non aver mai udito
pronunciare il suo nome con così commovente sollievo.
Fu tale l’emozione che giurò, a una delle sue divinità
germaniche lontane e spietate, che l’avrebbe salvata o sarebbe morto nel
tentativo.
«Sono io, Kyría. Non muoverti, ti scongiuro o affonderai più
in fretta.»
Dentro di sé tremava, ma la sua voce risuonò decisa come un
ordine.
«Non riesco a uscire da qui» mormorò la fanciulla. «Ho
appoggiato i piedi sul fondo e mi sono sentita risucchiare.»
«Lo so, conosco le sabbie mobili, ma non temere: ti tirerò
fuori di lì.»
Tendendo verso di lui una mano, lo implorò in un gesto quasi
commovente.
«Non rischiare la vita per me, guerriero.»
Brinnone si immobilizzò.
«Mio dolce tesoro, morirei per salvarti» dichiarò con
slancio, senza rendersi conto di aver pronunciato le parole che venivano dal
cuore e non dalla mente, intenta a vagliare una possibile soluzione.
«È solo colpa mia, il sacerdote mi aveva raccomandato di
bagnarmi vicina alla riva.»
«Non ha importanza, non pensare a ciò che hai fatto. Cerca
di restare calma e ascolta le mie istruzioni. Ce la faremo.»
Tastò il terreno molle col piede, poi avanzò di un passo
nell'acqua torbida muovendosi con circospezione nella fanghiglia più prossima
alla riva. Si immerse fin sopra le ginocchia, il fondo sostenne il suo peso e
avanzò ancora un poco.
Li separavano poche bracciate, il volto della fanciulla era
così pallido che Brinnone provò una fitta nel petto.
«Sei arrivata fin lì nuotando, kyría?»
«Sì» le rispose con voce tremula e, con sgomento, realizzò
che il panico la stava divorando.
«Non ci metterò molto a venire da te,» mentì «ma il tempo
per chi aspetta è più lungo di quanto sembri. Perché non canti con la tua
bellissima voce, come fai sempre prima di tuffarti nella piccola insenatura di
Poros?»
«Mi hai udita cantare prima della notte sulla trireme?»
Brinnone si era intanto diretto verso le canne che
crescevano lungo la riva. Sguainò il gladio e le osservò con occhio esperto.
«La tua voce mi ha fatto sognare ogni notte, kyría,» le
rispose abbattendone alcune. «Ascoltarti dall’alto delle rocce è stata per me
una grande emozione.»
Non stava mentendo adesso e, con un deciso fendente, recise quella
che gli parve la più lunga e robusta, mentre alle sue spalle si levava una voce
malferma. Era diversa, più intensa, con una nota impellente intervallata da uno
sciacquio, un sospiro su una strofa; gli ricordava quale sarebbe stato il suo triste
destino se lui non si fosse affrettato.
Quella melodia tremula gli permise di concentrarsi su ciò
che stava facendo: si era spogliato, la tunica di foggia romana era ormai a
brandelli grazie all’affilatissima lama del gladio che aveva sventrato nemici,
squarciato gole, sezionato arti. Quell’arma che adesso eseguiva, con micidiale
precisione, il lavoro di un sarto.
«Tra un attimo sarò da te» le gridò e accostò, legò, saggiò
la robustezza dei nodi poiché dalla sua abilità dipendeva la vita di Eumelia.
La pertica, due lunghissime canne tenute insieme dai resti
della tunica, sarebbe stata sufficiente a raggiungere la fanciulla, ma lei
doveva essere abbastanza forte e coraggiosa da non mollare la presa.
*****
Straordinario bellissimo racconto. Adoro il guerriero batavo Brinnone...
RispondiEliminaGrazieeee Adele Vieri Castellano❤
Grazie a te Gianna, un abbraccio e buon proseguimento con le tue letture!
EliminaUAUUUUUUUUUUUUUU : ho il cuore a 1000 battiti, se non diecimila !!! Fremerò d' impazienza sino al 25 Agosto ;) ACCIDENTI A TE, mia carissima Adele :-*
RispondiEliminaGrazie Mirella! ;)
EliminaHo adorato questo racconto! I personaggi sono intriganti e la storia molto appassionante e coinvolgente, tra l' altro mi sembrava mentre leggevo di essere lì con Brinnone e Eumelia, adesso aspetto con ansia venerdì anche perché ci hai lasciate sul più bello!
RispondiEliminamannaggia la pupazza! bellissimo *^*
RispondiEliminaMa come fai? Sei forse una maga?.....nutro seri dubbi sulla tua natura umana..mi sembrava di essere lì, su quell'isola greca bagnata dal mar Egeo e la cosa magica che avviene quando una certa scrittura mi attraversa è che ne percepisco gli odori ed i colori.....magica,forse è l'unica parola che definisce la tua scrittura.grazie Adele...
RispondiEliminaFantastico!come tutti gli altri libri della serie è coinvolgente ed emozionante! Veramente bellissimo!
RispondiEliminaChe meraviglia!!! La scrittura di Adele Vieri Castellano è magia! Bellissimo!!!!
RispondiEliminaGrazie a tutte, sono felice vi sia piaciuto!
RispondiEliminaAdele non ci delude mai, favoloso! non vedo l'ora sia il 25
RispondiEliminaDi solito non amo i racconti storici... e sinceramente ero in dubbio se leggerlo oppure no... dopo le prime 20 righe non sono però più riuscita a smettere...veramente un bel racconto che ti coinvolge... mannaggia ma come faremo ad aspettare fino a venerdì per la seconda parte?!
RispondiEliminaStupendo! Grazie Adele per questo magnifico regalo, aspetto con ansia la seconda parte :)
RispondiEliminaNo ..
RispondiEliminaVabbeee...così una potrebbe morire nell'attesaaaa������
Grande Adele ho letto tutti i tuoi romanzi storici e questo racconto è bellissimo come tutti quelli che hai scritto,attendo la tua prossima uscita se non sbaglio settembre,nel frattempo aspetto venerdì per la seconda parte...Grazie e spero che presto oltre che continuare con la serie su Roma"la rileggerei mille volte" tu abbia una buona aspirazione per un nuovo romanzo ambientato nel"700 "800 ho amato moltissimo "la notte degli inganni"e "il canto del deserto"Grazie ancora per questo regalo!!!:)
RispondiEliminaGrazie Nicky! Il romanzo ambientato a ine '700 inizio '800 è quasi pronto, la storia di un corsaro francese... può andare bene? Un abbraccio!
EliminaAdele, con le tue parole, ci fai entrare nei tuoi sogni. E sono sogni che fanno bene al cuore!!
RispondiEliminaGrazie Katia! E' anche per questo che scrivo, per regalarvi qualche momento di serenità in questa vita reale così complicata...
EliminaVolevo aspettare la seconda parte ma sono caduta in tentazione! E ora ho l'amaro in gola e un violento batticuore! Bellissimo racconto e strepitosa la Castellano!
RispondiEliminaanche io non sono molto di romanzi storici (regency soprattutto), per questo della Castellano ho letto poco, ma il suo stile è accattivante in qualsiasi genere si cimenti.
RispondiEliminail racconto è bellissimo e sensuale ed è stato talmente travolgente che non vedo l'ora di leggere anche la seconda parte.
Ciao Isabella e grazie della lettura! Ti consiglio di leggere i miei libri sui romani, sono molto lontani dall'epoca regency e molto diversi... un abbraccio e buone letture!
EliminaAdele superlativa come sempre!
RispondiEliminaSto contando i giorni che mi separano dall'uscita del "Leone di Roma" ma ho gradito immensamente il felice intermezzo riguardante Brinnone............ non vedo l'ora che arrivi il 25 per la conclusione di questa storia che, seppur troppo breve per i miei gusti, è stata come una boccata d'ossigeno in una di queste giornate troppo afose.
Grazie carissima
P.S. per tutte quelle che hanno scritto di non essere appassonate agli storici ............ leggete i romanzi di Adele, tutti, dalla saga sui Romani agli altri due ambientati a Venezia e in Egitto ........... avrete modo di ricredervi e vi si creerà una dipendenza tale che la metà basta.
Troppo buona Giusyfo, grazie per il commento e... i consigli di lettura! Un abbraccio e allora ppuntamento il 26 di settembre!
EliminaDa Eva Kant.
RispondiEliminaCon i suoi romanzi Adele riesce a risvegliare tutti i sensi e tutte le emozioni. Mi fa "vivere" dentro le sue storie.
WoW Brinnone e Eumelia.
Che l'amore trionfi <3
Anche io volevo aspettare la seconda parte, ma come tante ho ceduto :-)
RispondiEliminaNon vedo l'ora di sapere come finisce fra i due ;-)
Bellissimo :D Complimenti speriamo arrivi presto venerdì ...
RispondiEliminaGrazieeee!!!Contentissima per la notizia e va benissimo un romanzo sui corsari mi piacciono molto...devo dire qualunque cosa scrivi è perfetto per me purché storico...ancora complimenti davvero i tuoi romanzi sono dei veri best seller nulla da invidiare alle tue colleghe straniere!!!:)
RispondiEliminaAdele se mi puoi rispondere ho dimenticato di chiederti "Il leone di Roma"uscirà vero anche in cartaceo?come gli altri?per ora su Amazon c'è solo il formato Kindle...scusa per il lapsus sul titolo del romanzo "il gioco dell'inganno"
RispondiEliminaCerto che uscirà in cartaceo, Nicky! Penso lo aggiungeranno a ridosso della data di uscita. Buone letture!
EliminaBellissimo questo racconto, come tutti i racconti della Castellano!
RispondiEliminaCome sempre Adele regala grandi emozioni ti fa sentire parte del racconto, vivi la storia dei protagonisti.
RispondiEliminaLe storie coinvolgenti di Adele sono una garanzia! Amo i suoi personaggi maschili, questi guerrieri rudi ma tanto sexy e all'occorrenza dolci e innamorati *_*
RispondiEliminaMi immergo subito nel seguito!
Che belloooooo!!! In giornata passerò alla seconda parte.
RispondiEliminaWooowwww....racconto bellissimo riletto per la seconda volta...ora aspettiamo il "leone"
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