SPOSAMI, BUGIARDA di Roberta Ciuffi


Autrice: Roberta Cuffi
Genere: Storico
Pubblicazione: Roberta Ciuffi, 29 giugno 2017, pp. 233
Parte di una serie: No
Disponibile solo in ebook a € 1,99 / Kindle Unlimited diponibile

TRAMA: Cosa farebbe una ragazza del ghetto londinese del Nido dei Corvi per sfuggire al suo destino? Praticamente, tutto. Ma Melly Wotton è diversa, lei ha dei principi… non sufficienti però a impedirle di afferrare una buona occasione, quando se ne presenta una. La vita come assistente alla Casa di Accoglienza per Donne Sole di Clerkenwell è dura e quando una giovane vedova sconosciuta appena arrivata in città le muore tra le braccia, Melly pensa che la sua occasione sia arrivata. Indossare i suoi abiti, appropriarsi del suo nome, dei suoi documenti, della sua vita… della sua famiglia… La tentazione è troppo forte. L’unica cosa di cui non può appropriarsi è la sua educazione, ma Melly non ritiene che sia troppo importante. Ed è così che una sera una sorta di spazzacamina dai disordinati riccioli dorati, i modi di un monello da strada e un accento terribile bussa alla casa della distinta famiglia Jeffer, a Hampstead, annunciando di essere la moglie del defunto Anthony Jeffer. Frederick Jeffer, capofamiglia e titolare – ormai unico – della Ditta di Importazioni Coloniali Jeffer e Figli, ha sempre saputo di non godere dello stesso apprezzamento del fratello minore, Anthony. Lui è la roccia della famiglia (gli altri direbbero: il tiranno), il cavallo da tiro, perennemente caricato dei problemi di tutti, costretto a rimediare ai pasticci del fratello e mettere mano al portafoglio per sistemarli. Anthony, al contrario, era un ‘gentiluomo per le signore’: affascinante, giocatore, dissipato, pronto a ogni rischio. No, Frederick non aveva grandi aspettative su suo fratello, ma di certo non pensava che sarebbe morto giovane in una stupida gara di calessini. E, soprattutto, non si aspettava di trovarsi in salotto una sorta di vagabonda con indosso l’anello della sua bisnonna e la pretesa di essere la vedova di Anthony. Una vagabonda che ha la sfrontatezza di volersi insediare nella sua casa, nella sua famiglia, come una specie di cuculo pronto a distruggerne la serenità e ogni aspirazione sociale. 
Forse non sono mai esistite al mondo due persone meno adatte ad apprezzarsi, a stimarsi o… ad amarsi. Ma si sa, la freccia errabonda di Cupido può colpire e unire chiunque… anche gli amanti meno probabili.


E' il primo libro che leggo di Roberta Ciuffi. Della stessa autrice ho letto ottime recensioni per altri suoi scritti che, in parte, sono elencati in una mia lista personale.
Dopo aver scorso la trama ho storto un po' il naso, ma mi sono detta di non farmi pregiudizi. Purtroppo, quando ho capito, leggendo, quali fossero le intenzioni di Molly, la protagonista, è sopraggiunta una nota di fastidio che mi ha accompagnato per tutto il libro.
Il personaggio principale maschile, Frederick, mi è piaciuto molto, un tipico inglese dell''epoca, compassato, ligio al dovere, che amministra e lavora nella propria azienda e che deve "sopportare" la sua famiglia di quasi solo donne, due sorelle, la mamma, le zie e un marito di una di esse. Inizialmente un po' rigido, dopo tutto il caos che Molly introdurrà nella sua casa, comincerà ad ammorbidirsi, fino a cambiare notevolmente, e ciò mi ha stupito perché si è passati dalla compostezza a una condotta diversa in modo molto repentino ma, si sa, l'amore fa brutti scherzi...
Tutti i personaggi sono molto ben delineati, la mamma di Frederick mi ha ricordato quella di Lizzie in Orgoglio e pregiudizio, e sul mio viso più volte si è stampato un sorriso. Scritto molto bene, il libro si legge velocemente, ma non mi ha entusiasmato.
Molly non mi è piaciuta e in certe situazioni l'ho trovata troppo ingenua e assurda, mentre Frederick è più credibile.
Chi conosce l'autrice può senz'altro fare un paragone tra questa storia e le altre che ha scritto e mi piacerebbe capire come sia sorta, alla Ciuffi, l'idea di scrivere questo romanzo così particolare.
A parte il personaggio chiave che non mi ha attirato, secondo me, al libro mancano degli approfondimenti.


COME INIZIA IL ROMANZO...
1
Londra, 1860

«Melly! Melly!» Mrs. Adams sbirciò in direzione della scala buia, prima di chiamare di nuovo con voce più squillante: «Melly!».
Dove si era cacciata quella dannata ragazza? Se non l'avesse ritenuto al di sotto della propria dignità, avrebbe ispezionato ogni stanza e ogni angolo del St. Peter fino a stanarla, per poi frustarla a dovere e quindi ributtarla sulla strada, cui apparteneva di diritto.
Al momento, però, due cose si opponevano a quell'attraente visione. La prima, che Melodie Wotton non avrebbe mai permesso a nessuno di sottoporla a un simile trattamento senza ribellarsi con forza e una buona dose di violenza. Nel ghetto da cui proveniva, St. Giles, non s'insegnava la necessaria sottomissione ai propri superiori. Sordidi topi, ecco cos'erano gli abitanti di St. Giles, e Mrs. 

Adams talvolta si pentiva del proprio cuore tenero, che l'aveva spinta ad assumerne una. L'altro motivo per cui sarebbe stato preferibile non liberarsi di 

lei, però, era che nessuno aveva il suo tocco, in certe situazioni particolari. Proprio così. Melly aveva il tocco, ed era spiacevole che questo avvenisse in una creatura così fastidiosa, ma non c'era niente da fare.
La giovane nel letto continuava a lamentarsi.
Erano tutte uguali, pensò Mrs. Adams, direttrice della Casa di Accoglienza St. Peter Per Donne Sole di Clerkenwell: prima si mettevano nei guai e poi frignavano, con la pretesa che gli altri cavassero loro le castagne dal fuoco. Anche se non si poteva dire che questa stesse simulando.
L'avevano trovata alla stazione di posta di St. Martin, riversa in stato d'incoscienza sul sedile di una diligenza proveniente dal nord. Nessuno sapeva da quanto tempo fosse in quelle condizioni.
Per fortuna, era il giorno settimanale di visita del dottor Whyte.
«Niente da fare. Il bambino le è morto nella pancia. Non ne ha più per molto neanche lei» aveva dichiarato, dopo averla esaminata per bene.
Certo che il vecchio praticone non peccava di eccessiva delicatezza, pensò la direttrice, scuotendo la testa. Ma dove si era cacciata quell’ingrata ragazza? Irritata, controllò il corridoio che conduceva alla sala dell’infermeria. Quando c’era bisogno di lei... Dei passi affrettati l’avvisarono che la persona che aspettava si era infine decisa a farsi viva.
«Mrs. Adams? Mi stavate cercando?»
«Da ore e ore» esclamò, piazzandosi le mani sui fianchi. «Dove ti eri cacciata, si può sapere?»
La ragazza che le comparve di fronte non aveva l'aria troppo preoccupata, per qualcuno che poteva correre il rischio di finire sulla strada. Probabilmente per quel viso impudente da folletto, che avrebbe espresso vivacità e allegria anche nelle condizioni meno propizie.
«Stavo con la vecchia Nan, signora direttrice» rispose, eseguendo un inchino sbilenco, che avrebbe voluto essere rispettoso e invece risultò soltanto buffo.
Era il guaio di avere un nasino all'insù tempestato d'efelidi e occhi neri altrettanto all'insù, e una bocca che sembrava sempre sul punto di curvarsi in un sorriso. Per non parlare della massa disordinata di riccioli biondi, tanto folti da minacciare la stabilità della cuffietta bianca.
«Oggi Nan era proprio strana, aveva la luna. Non c'era verso di calmarla, ma io ci sono riuscita.»
Certo, Melly ci riusciva sempre. Era l'unico motivo per cui Mrs. Adams non la ricacciava davvero nella fogna da cui proveniva, come minacciava di fare almeno un paio di volte al giorno.
«Meglio così» disse, rimangiandosi gli aspri rimproveri che aveva preparato per lei. «C'è quella nuova che è arrivata ieri: quella giovane. Credo che ci siamo.»
La luce allegra svanì dallo sguardo di Melly. «Oh» commentò, con un sospiro. L'assistenza ai moribondi costituiva uno dei suoi molti compiti, lì all'ospizio, e quello che meno le veniva invidiato. «Va bene. Andiamo.»
La donna occupava l'ultimo letto della fila di sei, nel punto più distante dalla porta. Era un buon posto, riparato dagli spifferi, e l'aveva ottenuto perché al momento era l'unica ricoverata dell'infermeria. Melly si rese conto che la direttrice aveva ragione: sembrava proprio che stesse per rendere l'anima. Si agitava e la sua fronte bruciava come l'inferno.
«Allora, ci stai tu?» chiese Mrs. Adams, quasi le lasciasse altra scelta.
«Certo» rispose, distratta, allontanando i capelli madidi di sudore dal volto della moribonda.
Non doveva essere molto più vecchia di lei: forse di un paio d'anni, a dire tanto. E l'abito che indossava al momento dell'arrivo la identificava per una persona distinta, se non ricca. La direttrice si allontanò, portando con sé la lampada a petrolio. La penombra s'infittì, nella stretta stanza priva di finestre, illuminata solo dalla fiamma di due candele.
«Tony! Tony!» La giovane sbarrò gli occhi, muovendoli poi attorno, spaventata.
Melly le pose le mani sulle spalle, in un gesto rassicurante.
«Shh, shh» disse. «Dovete stare buona, capito? Altrimenti è peggio.»
Lo sguardo dell'ammalata le rivelò che era cosciente. Il cuore di Melly si strinse per la pena. A volte quella lucidità precedeva di poco la fine.
«Dov'è Tony?» chiese l'altra, con un'infantile nota di pianto nella voce.
«Non lo so. Chi è Tony?»
«Mio marito.» Le sue labbra tremarono e quindi gli occhi si riempirono di lacrime. «Ah, ma è vero» bisbigliò, lasciandosi ricadere sul pagliericcio, la testa girata verso la parete. «Tony è morto. È vero, avevo dimenticato.» Cominciò a singhiozzare piano.
Melly le prese una mano e la tenne stretta. Era delicata, morbida, priva di callosità. Così bianca. La mano di una persona perbene.
«Voi siete buona con me.» L'ammalata tornò a guardarla. Sembrava fare uno sforzo per concentrarsi. «Come vi chiamate?»
«Melly... Cioè, Melodie Wotton.»
«Melodie.» Un sorriso le animò il volto. «Che bel nome. Io mi chiamo Charlotte. A volte Tony mi chiamava Charlie. Buffo, vero?»
«Sì, buffo.» Ma non provava la minima voglia di ridere. Anzi, aveva un nodo in gola.
Charlotte sollevò la mano sinistra, che era nuda, priva di anelli. Era possibile che la direttrice Adams c’entrasse qualcosa, pensò Melly, abbassando la testa con aria colpevole. ...



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L'AUTRICE DICE DI SE'...
Ogni volta che parlo di me, inizio dicendo che sono romana. In effetti, uno dei motivi per cui ho cominciato a scrivere è stato proprio il desiderio di raccontare un mondo ormai perduto ma che sentivo ancora vibrare attorno a me, nei suoi vicoli, nelle torri, nelle piazzette incantate tuttora isolate dai rumori del traffico, e cui sembrano talvolta sovrapporsi le immagini di una città scomparsa. E non dimentichiamo i monumenti, che i miei antichi –e odierni- concittadini sono sempre stati così bravi a far… scendere dal loro piedistallo!
Un altro elemento della mia appartenenza romana che ritroverete nei miei romanzi è quel lampo d’umorismo, quell’incapacità di ignorare il lato buffo o ridicolo che sempre fa capolino anche in alcune delle circostanze più amare della vita. L’incapacità di sopportare la boria e la presunzione senza una battuta che ne riduca le dimensioni!
La penna leggera e il sorriso sulle labbra, l’hanno definito alcune delle mie lettrici. E spero che sia proprio così.
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