LMBR presenta...ADELE GAMBELLI

ARRIVA IL TEMPORALE 
Ada e Leo hanno un progetto: trasferirsi al sole. Per realizzarlo si lasciano tutto e tutti alle spalle e compiono il grande salto. Un salto nel vuoto, poiché il paese di Acquaverde gode di una magnifica posizione, ma sta scomparendo. Hanno acquistato un faro, per abitarci, con un edificio complementare che sistemano perché si trasformi in un delizioso bed & breakfast. La rete cattura un cliente speciale che approda nel nulla con intenzione e senza neppure immaginare le conseguenze della sua scelta. Sulla scena si presentano certi curiosi personaggi che vivono sul posto e vi si aggiungono familiari e conoscenti di Ada con le loro valigie e i loro problemi. Non sono solo le onde che si infrangono contro la costa a mostrarsi agitate, si mette in moto un meccanismo che agita le pagine di questa storia, intreccia le vicende personali di coloro che si ritrovano al faro di Acquaverde e decide in un finale dolceamaro le sorti del paese. 

ESTRATTO:

DJ Rob noleggiò  un’auto sportiva all’aeroporto più vicino ad Acquaverde e si fece ore di strada per arrivare alla fine del mondo. Non riuscì a pensare a un nome più appropriato e sperò di non pentirsi di quella fuga. L’eremitaggio desiderato doveva servire a ritemprare lo spirito e a ritrovare l’estro, non a deprimersi. 
Attraversando la città, che anticipava Acquaverde di diversi chilometri, si rese conto, meglio che dalle sue parti, di quanto i ragazzi fossero invaghiti della sua musica. DJ Rob temette di essere scoperto. Ai semafori che via via affrontò, tremò al pensiero di essere riconosciuto. Si nascose dietro lenti scurissime e grandi, i Ray-Ban più grossi che avessero mai prodotto; e sotto un cappello di paglia da contadino postmoderno, calzato fin sopra gli occhiali, tanto che a fermarlo poteva essere la polizia, dal momento che non sembrava che vedesse la strada uno conciato in quel modo.
Lo superarono auto coi finestrini bassi che vomitavano la sua hit sparata a tutto volume e quasi se ne vergognò. Invece di inorgoglirsi, lui provò  vergogna e una paura fottuta che quegli scellerati in pieno giorno fossero capaci di provocare incidenti. Figuriamoci di notte!
Un altro motivo per cui aveva deciso di separarsi dal mondo materiale, senza però  entrare in convento, che era troppo di moda e rischiava di trovarci gente conosciuta o che l’avrebbe riconosciuto e tormentato di conseguenza: DJ Rob stava diventando paranoico e ossessionato dalla prudenza. Temeva il superamento del limite di velocità, come se sopra i 50 o i 70, ad esempio, ci fosse ad attenderlo un vigile urbano vestito da wrestler con la corporatura da wrestler e il ghigno da wrestler, che l’avrebbe accoppato. Temeva i rapporti non protetti e faceva bene, ma non voleva più farlo perché il profilattico poteva rompersi anche se usava l’extrastrong longlasting supersicuro di ultima generazione. Risultato: per strada andava piano come il pensionato dell’immaginario collettivo, e DJ Rob ne indossava persino il cappello!; e s’era votato alla castità.
Doveva proteggere la sua privacy e la sua immagine pubblica, correre ai ripari al più presto o l’intera carriera sarebbe finita alle ortiche ed era troppo giovane perché finisse così, miseramente, in tutti i sensi. Fino a quel giorno non aveva messo un soldo da parte, non aveva investito, aveva sperperato anche i centesimi e a iniziare una vita da ragioniere coi serpenti, i dragoni e gli ideogrammi stampati sul corpo non ci si vedeva proprio. 
Arrivò  al faro per mezzogiorno; Ada attendeva l’ospite per la tarda mattinata, pur non così tarda.
S’era alzata presto, tutta eccitata, e aveva fatto la spesa per la colazione del giorno dopo. Aveva dato aria alla stanza gialla che odorava ancora di legno nuovo e di pittura murale stesa da poco. Lasciò accesa la radio a volume moderato su una stazione che trasmetteva musica etnica commerciale e che faceva tanto pendant col luogo. Ada si legò i capelli, sapendo che la coda la rendeva più professionale e meno selvaggia. Si sedette nella calda ombra del portico con un libro, che per l’agitazione non riuscì a leggere. Finalmente arrivava un cliente e il set da portico: un divano, due poltrone, un tavolo basso in rattan furono portati alla luce, dalla cucina ammassati alla veranda ordinati, con stile. Sparse cuscini bianchi e intimò a Jazz di non salirci sopra a sporcarli. Il micio non trovò di meglio che farsi le unghie sulle gambe del tavolino. Quella mattina Ada cercò di insegnare a Pop a odiare i gatti. Non era normale, secondo lei, un’amicizia tra cane e gatto, come tra uomo e donna. Nel primo caso prima o poi doveva finire in un’azzuffata e nel secondo caso a letto. Per seminare odio gli diede da mangiare in momenti separati. Provò col micio, lo distrasse con bacini da richiamo e crocchette appena scartate. Il cane drizzò le orecchie ed espresse del disappunto in una sorta di lamento sbadiglio. Un lampo di malvagità attraversò lo sguardo di Ada. Il gatto si allontanò dalla nuova entusiasmante novità, grattare le gambe del tavolino, e corse ad assaggiare il cibo. Il cane non resistette e a sua volta si avvicinò alla ciotola. Gli giungeva un odorino irresistibile e non trovava giusto che quello spudorato piantagrane mangiasse e lui no. Bene, bene. Il muso del cane gli fu sopra e il gatto si voltò come la posseduta nel film ‘L’Esorcista’ ed iniziò a sbuffare e il cane indietreggiò. A distanza di sicurezza rispose abbaiando e lo mise in fuga. Una volta partito, lo inseguì, Ada mise da parte la ciotola e tornò a sedersi e ad aspettare comodamente l’arrivo del signor Mela. Il signor Mela non era uno qualsiasi.
Con Leo discussero a lungo sull’identità di questo personaggio, il loro primo cliente, che intendeva trascorrere ad Acquaverde un periodo indefinito. Poi si fecero prendere dallo sconforto e si dissero che se ne sarebbe andato molto presto, una volta resosi conto in che razza di posto dimenticato era capitato… E se si fosse trattato di un omicida? O comunque di un ricercato? O forse era un artista e aveva solo bisogno di recuperare le energie. Bingo!
Internet li aiutò e li illuminò più del sole che in quei giorni bruciava le pietre. Non appena digitarono il nome dell’ospite finirono dentro la pagina che il suo fan club gli aveva tributato. Una foto di DJ Rob, in posa artistica per il fotografo che gli aveva fatto davvero un bel ritratto!, campeggiava sovrana nella home page. 
“Ma è proprio lui, DJ Rob di ‘Take ‘em up’ e ‘Dark blue spanish night’!”
Ada non era appassionata di dance music, ma certi tormentoni li avrebbe ricordati persino nonno Mano, se non fosse stato tanto impegnato a sognare poppe e deretani del personale femminile che disgraziatamente per loro gli capitava a tiro. Ada mosse dei passi di danza spontanea e intonò accenni dei rispettivi ritornelli.
Leo la guardò  di sbieco. Un ospite di tale livello rappresentava una tremenda opportunità  per il loro bed & breakfast. Se DJ Rob avesse acconsentito a comparire nel loro sito, per Ada e Leo si sarebbe aperta una stagione infinita di prenotazioni, almeno finché durava il successo di DJ Rob, dal capo lustro quanto una palla da bowling… Leo iniziò ad odiarlo da quel preciso istante e considerò estremamente pericoloso lasciarlo da solo con Ada. Provò una fitta allo stomaco per il nervoso e si augurò che Acquaverde gli facesse una pessima impressione da farlo scappare in meno di mezza giornata.
Andò  al lavoro e lasciò Ada in fibrillazione, bastarda! Pensò, ma la baciò e la pregò soltanto di accogliere DJ Rob senza isterismi.
Lo vide arrivare sollevando polvere a nugoli, come nei film western al sopraggiungere della cavalleria. Non voleva fare scena come quelli della cavalleria, era inevitabile alzare la polvere, cioè la terra finemente sbriciolata da settimane di siccità. Da quando approdarono al faro non era mai piovuto e le poche nubi avvistate stazionarono al largo, sdraiate su un fondale celeste a specchiarsi in acque turchesi.
L’auto presa a noleggio non era la solita macchina, il modello di utilitaria che di regola affitta il turista che si spinge verso luoghi desertici e avventurosi, considerate le strade strette, tortuose e sterrate, ma DJ Rob era uno che maneggiava denaro e lusso e non doveva farci caso. 
Si alzò  in piedi, il cuore le scese all’altezza delle caviglie, e si avvicinò all’uomo che non si decideva a scendere. Ada gli sorrise e quello, finalmente, aprì lo sportello e fece uscire la sua persona pubblica camuffata da individuo ordinario, ma alla moda, non gli mancavano di sicuro le griffe. Sparite l’aria da duro che esibiva ai concerti e in foto, e quelle espressioni da essere superiore, più simile a un dio che a un comune mortale, ecco colui che nacque Roberto Mela a Segrate MI da Olga Cipicchia, domestica emigrata, e Carlino Mela, portinaio emigrato. Ada non vide il fumo che di norma l’avvolgeva e che faceva di lui un mito del momento: DJ Rob aveva il sorriso cordiale che la ricondusse a proprio agio con un delicato movimento delle labbra e un: “Ciao, sono Roberto, Roberto Mela.”
Ada rimase estasiata dalla bellezza dell’artista R. Mela, in arte DJ Rob, che in fondo non conosceva; come tutti sul territorio nazionale credeva di conoscerlo, lui era uno che appariva, appariva dappertutto, peggio di un fantasma. Il fantasma è schivo, il dj è protagonista o non è nessuno. Gli erano note, per vie occulte, la musica e la voce di DJ Rob, gli erano entrate nei circuiti a furia di ascoltarle seppur passivamente, ma non aveva fatto caso, neppure sfogliando certi giornali di gossip dalla parrucchiera, di quanto fosse alto e prestante ‘sto tipo.
Le tornò  in mente la faccia di Leo. Leo era geloso, lo aveva capito da quella battutina acida sulla crapa pelata di DJ Rob. In effetti non si rasava il bel giovane, i capelli erano un lontano ricordo, ma stava da dio! Sì, perché tolse il cappello quando le porse la mano, da autentico gentiluomo.
“Sono Ada, piacere mio… E’ un vero onore averla qui… Prego, quando vuole.”
Gli indicò  l’ingresso e lo guardò sperando che capisse che s’era scelto un bed & breakfast piccino e sperduto e che aveva ben poco personale a disposizione, quindi nessuno si sarebbe fatto avanti a scaricargli le valige. Provvide da sé e fece due viaggi. Per essere uno di bagagli ne aveva fin troppi, ma lui era DJ Rob e non sapeva quanto sarebbe rimasto.
La stanza gialla gli strappò un grido di stupore, ma gli parve troppo angusta e Ada si morse il labbro per non averci pensato prima. Gli propose subito la blu, la più bella, che gli piacque enormemente e le confessò che quello era il suo colore preferito.
“Ha fame?”
“Puoi darmi del ‘tu’, se non ti dispiace.”
“Va bene… Okay… Hai fame?”
DJ Rob doveva essere abituato al rossore della gente, almeno Ada lo sperò. Era invece abituato all’esaltazione della folla dei fan, che saltavano e gridavano come forsennati ai suoi concerti; ed era abituato a persone spavalde, interessate ai soldi oltre ogni limite e a donne che avrebbero fatto carte false per farsi fotografare con lui e che non possedevano il dono di arrossire. Ada lo fece sorridere.
“Ho fame… Un po’.”
Aveva scelto un bed & breakfast e la formula non prevedeva un pasto al di fuori della colazione, ma Ada volle presentarsi al meglio e DJ Rob non ebbe nulla in contrario.
Lo riaccompagnò nella sala della colazione, vale a dire che chiusero la porta della stanza blu ed erano già nel posto giusto per mangiare. La blu dava direttamente sulla sala, le altre rimanevano più defilate; si affacciavano sullo stretto corridoio che costeggiava il muro.
“Ti faccio stare qua dentro; sotto il portico a quest’ora fa troppo caldo.”
Non ci fu comunque bisogno di accendere l’aria condizionata; il vento, libero di entrare dalla porta e dalle finestre aperte, gli arrecò un immenso sollievo e non desiderò essere altrove nell’istante in cui chiuse gli occhi e Ada gli voltava le spalle.
La pace aveva dunque quel sapore, un odore di mare mescolato al sole disseminato nel vento…
Non riconobbe la musica di sottofondo. Avrebbe voluto chiederle di spegnere la radio o avrebbe rischiato di ascoltarsi, ma non lo fece. Era una squisita ragazza sposata, piena di attenzioni e buon gusto. Si domandò se il paese di Acquaverde fosse altrettanto accogliente.
Ada gli presentò  un piatto freddo che consisteva in formaggio, olive, fichi, miele, pane: il pasto degli antichi, lo definì in questi termini senza inventarsi niente e DJ Rob, che volle farsi chiamare Roberto quando la sorprese in difficoltà, giurò di non aver mai mangiato meglio. Aveva apparecchiato anche per lei e gli si era seduta di fronte, ehm!, dopo avergli chiesto il permesso. Roberto, rilassato e vulnerabile, non le disse di no. In altri frangenti il gesto di Ada, la locandiera presso la quale era ospite di riguardo, sarebbe risultato inopportuno.
“Come avete scoperto chi sono?”
“Avevamo letto il tuo nome da qualche parte, non eri esattamente uno sconosciuto e neppure uno che pensavamo di aver conosciuto, così lo abbiamo digitato su internet. La sorpresa è stata grande, credimi.”
“Immagino…”
Gli venne da ridere; mordicchiò i rebbi della forchetta e volse lo sguardo di lato, poi lo abbassò. Quando tornò su Ada, questa per poco non svenne: sedeva al cospetto di una celebrità, erano soli, in quieta compagnia, complici cibo e vino, e lui era bello che non poté fare un paragone con Leonardo, perché erano due modelli di fascino assai diversi ed entrambi irresistibili. Ada li valutò in generale, restandone distaccata… Un vago senso di disagio interruppe la conversazione e per non far pesare ulteriormente la sua presenza, Roberto le raccontò com’era giunto al ‘Fino alla Fine del Mondo’ e perché aveva scelto proprio Acquaverde.
La solita storia, in fondo, che ammaliò Ada, ma che, se ci avesse riflettuto con maggiore lucidità, non era affatto una vicenda originale.
“Soltanto il mio manager sa dove mi trovo, ma è un grande, Hoctavio, difenderà la mia privacy con le unghie e con i denti... Starò qua finché non mi sentirò pronto a tornare… Ho bisogno di alleggerire il carico, ritrovare la passione nel mio lavoro… Conto di riuscirci in breve tempo… Sono una macchina per fare soldi e se non sto nel giro sono fottuto.” 
Il vino lo annientò. Era stanco dal viaggio e aveva la mente piena, un solaio in cui aveva archiviato troppe cose e che doveva sgombrare in fretta o gli sarebbe crollato in testa.
Ringraziò  Ada per la compagnia e si assentò per qualche ora. Si chiuse in camera e, senza prima passare dalla doccia, si buttò sul letto e si addormentò prono, come un bambino, senza togliere le scarpe.
Dormì  fino al pomeriggio inoltrato, poi Leonardo rincasò e se lo ritrovò a un palmo dal naso.  


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LE INCANTATRICI 
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Colette diventerà hippy suo malgrado per accontentare l’amica del cuore e la sua vita prenderà una piega inaspettata.
Marie passerà  dalla disperazione più cupa a una realtà  che la lascerà senza fiato.
Amelia ne pagherà le conseguenze.
Una saga familiare al femminile che vedrà  il suo epilogo con la fuga di Amelia, che ritroverà tutti in mezzo al mare, là dov’era iniziata, per chiudere un cerchio imperfetto.
By Anita G. 2009 Y
Amelia nella grande casa faceva risuonare alta la sua voce e correva lungo i corridoi senza incontrare anima viva, ad esclusione di Aisha. Al di là di Aisha, infatti, presente a ogni angolo come se Amelia indossasse un rilevatore costantemente acceso, Amelia non aveva contatti con i domestici; quando li incrociava, questi svanivano, impalpabili, si dissolvevano. Eppure esistevano. La biancheria era pulita, il prato veniva rasato con regolarità, la tavola era apparecchiata, la tavola era sparecchiata, le stanze erano silenziose finché non vi giungeva Amelia; la servitù indiana si muoveva come un clan di fantasmi; senza sferragliare e ululare abitava in gran segreto nelle stanze a piano terra, lavorando per Amelia sfruttando un universo parallelo.
Amelia e Aisha dialogavano per piacere reciproco; non c’era argomento che non potesse esaminare superficialmente con la sua dama di compagnia. Quando Aisha non sapeva cosa rispondere, si limitava ad ascoltare fingendo di capire. Amelia faceva altrettanto.
La giovane Dupont non strinse amicizia con la popolazione locale, che già mormorava che su alla villa abitava un’eccentrica ereditiera in lutto. Non frequentava pubs, non andava al cinema; Giacomo le portava le cassette del Blockbuster e le guardavano insieme.
Giacomo era il professor Lanna. Da quando le aveva dimostrato di essere stato un dark, il passo a ‘Giacomo’ era stato breve.
“Il cinema è un ottimo insegnante.”
Le raccomandava. Ma a volte Amelia si addormentava sul divano.
Amelia usciva con Giacomo, ma più spesso Giacomo si recava alla villa e mangiava con lei le prelibatezze indiane che la cucina sfornava per la principessa di un racconto gotico.
Se Amelia aveva visite (Giacomo), allora Aisha spariva e si presentava un cameriere piccolino e scuro che nella livrea bianca e lucente pareva arrivasse da un pianeta lontano. Era molto professionale. Amelia tentò di sorridergli e di ringraziarlo la prima volta che lo vide, ma quello rimase impassibile e portò a termine il proprio dovere. Quando si allontanava dalla tavola lo faceva con un inchino.
A sentirsi a disagio era Giacomo, non certo il cameriere, per niente abituato a consumare pasti con posate d’argento, candelabro e atmosfere da residenza estiva dell’imperatore.
Inoltre Amelia lo faceva aspettare. Agli appuntamenti si presentava con regolare ritardo; non volendo apparire scortese, Giacomo si presentava all’orario concordato, scambiava due parole con Aisha e si metteva in attesa.
Aisha lo invitava ad accomodarsi e il cameriere basso di statura gli serviva un aperitivo e si inchinava.
I minuti che trascorreva in compagnia degli stuzzichini e del prosecco erano eterni. Una volta attese quasi venti minuti.
Amelia arrivava tutta felice, con la gonna corta, sempre corta, in modo da mettere in evidenza le calze a rete strappate e le gambe slanciate su scarpe dal tacco vertiginoso. Una sera era cattiva, le mancava il frustino; e un’altra era Lolita, tutta pizzo e trasparenze.  
Era una patita della rete: diari, social networks, communities; navigava spedita come l’Olandese Volante, aveva rari amici veri e vari artificiali sparsi dappertutto; non aveva un flirt, non aveva un animale domestico, i suoi armadi e i cassetti dei comò traboccavano di indumenti, scarpe e suppellettili da vestire una baraccopoli di una megalopoli indiana, che da un giorno all’altro poteva svegliarsi in pieno delirio dark. Rigorosamente firmato.
Trovava frequenti messaggi di Marie e di Mira e le incontrava sullo schermo, ma mai una parola da Rajesh. Se con madre e ‘zia’ era spesso telegrafica, col resto della rete conversava amabilmente versando fiumi di inchiostro virtuale. 
“Non ci posso credere! Ma questo, prof, sei tu?”
Giacomo Lanna si sporse su quello scatto che, stropicciato a dovere, dava l’impressione che fosse vecchio di vent’anni.
“Sì, Amelia, che ti dicevo?”
Amelia era estasiata e contenta, aveva bisogno di un amico per quei tre mesi di confino e Giacomo conquistò così la sua fiducia. Prevedendo che Amelia avrebbe imparato in fretta, pregustava la vittoria sui colleghi invidiosi.
Amelia iniziò  a studiare con profitto. Era attenta, concentrata, svolgeva i compiti assegnati e passò qualche tempo con lui in giro per borghi e città, visto che i giorni si rincorrevano e quella ragazza stravagante non si faceva amici giù in paese.
In compenso si appiccicò a Giacomo.
Amelia era tranquilla e ingrassò quel tanto che le servì per riempire il viso e fugare l’aspetto da salma.
Si rilassava con Giacomo nel parco della sua casa di villeggiatura. Aspettavano la sera sorseggiando un cocktail e spiluccando bocconcini salati. Ben disposta nei confronti dell’apprendimento, finalmente impegnata in attività che la stuzzicavano, si colorava di luce serale che rifletteva la bellezza lunare e fulva che le apparteneva e che tentava di celare ad ogni costo.
“Non abbiamo mai fatto un bagno in piscina.”
Commentò  Amelia.
“Non c’è una piscina qua.”
Amelia si guardò  attorno, sorpresa.
“Sai che non l’avevo notato? Davo per scontato che dovesse esserci una piscina.”
Giacomo restò  in silenzio, ma Amelia aveva voglia di insistere.
“Potremmo andare al mare uno di questi giorni.”
“Ti ho portato a Portovenere e a Lerici; e con il trenino sei stata alle Cinque Terre.”
“Mi sono venuti i calli ai piedi… No, volevo dire: perché non ce ne andiamo un po’ in spiaggia?”
“E’ troppo presto, l’acqua è fredda.”
“Scommetto che non è vero.”
“Fidati. Prima che arrivassi tu qua è stato rigido; le temperature erano basse come d’inverno. Abbiamo pensato che la natura si fosse dimenticata di portare l’estate. Praticamente non abbiamo avuto la primavera.”
Giacomo si portò alla bocca una specie di vol-au-vent ripieno di non sapeva cosa e non osò chiedere, tanto non lo sapeva neanche lei.
“Ti sei adattata bene a questa cucina… La conoscevi?”
“No. Mia madre vuole che l’apprezzi. Sai, per quando andrò in India… Non è male, solo che non so cosa ci sia dentro.”
Tirò  su un bocconcino e lo rigirò con sospetto e curiosità clinica.
“Un sacco si spezie.”
“Dici che ci mettano la carne di cane?”
“Dove?”
“Nelle polpette.”
“Ci metteranno la carne di cane!”
“E perché no? Non uccidono le vacche.”
“Chiedi ad Aisha.”
“Mi ha detto che non cucinano i cani, che quello lo fanno in Cina, ma che schifo!, però io sono scettica per natura.”
“Perché non viaggi. Ancora devo capire come mai non sei ancora stata in India… Vivresti in un palazzo più bello di questo, Mira mi ha mostrato delle foto, e non ci sei mai voluta andare.”
“Tu saresti già partito?”
“Mille volte… Ma quando pensi di andarci?”
“Non lo so, mica ho deciso. Forse mai, chi lo sa?”
Amelia era sfuggente quando si toccava il tasto della sua famiglia, preferiva parlare di sé al presente. Non rivolgeva domande inopportune o comunque personali a Giacomo, quindi Giacomo era invitato a non insistere.
“A te piace la cucina indiana?”
Amelia glissò  e inforcò un boccone.
“Buona, sì.”
Giacomo rivelò  una leggera titubanza.
“Non ti piace… Si capisce da come l’hai detto.”
“Non è vero.”
“Guardami…”
Giacomo aveva lo stomaco in subbuglio e non per colpa del contenuto dei bocconi all’’indovina cosa?’.
“Pensavo alla carne di cane.”
Amelia rise e quasi cadde dalla sedia.
“Giacomo, ce l’hai un tatuaggio?”
“No, non mi piacciono.”
Un’ombra di delusione calò sul viso della streghina tatuata. Fece una smorfia e continuò a mangiare.
Giacomo stava pensando al momento in cui l’avrebbe vista nuda. Perché prima o poi sarebbe successo, no? E cosa dovevano fare due etero tre mesi a stretto contatto se non insegnare/imparare l’italiano e un po’ di sano sesso? C’erano talmente tante stanze che avrebbero potuto farlo ovunque. Che importava se era tenuto a rispettarla per dovere professionale. Lui era più vecchio di lei, non tantissimo, però la differenza d’età si notava. E lei era un fiore nero, da cogliere; una caramella da scartare. Ma se aborriva la pittura corporale, come poteva desiderare un corpo irreversibilmente e implacabilmente marchiato dall’inchiostro indelebile? Possibile che fosse tanto contrario al linguaggio del corpo? Anche quella era una manifestazione del proprio essere e magari non sapeva ancora quanto potesse essere eccitante giacere con una ragazza bianca come la neve su cui incisero righe tratte dai Fiori del Male di Baudelaire. Ci avrebbe fatto l’abitudine, ci avrebbe preso gusto e finiva che se ne faceva fare uno sulle chiappe, così non glielo vedeva nessuno, però ce l’aveva e poteva sentirsi fico.
Ma cosa avrebbe dovuto pensare se avesse continuato a respingerla, perché l’avrebbe respinta di sicuro, il signorino preciso e soggiogato dai soldi di Rajesh? Per caso che fosse gay? No, non era gay. Lo capiva dal suo modo di abbassare gli occhi e da come li usava quegli occhi quando voleva che la smettesse di civettare e di aprirsi la scollatura e di scoprire le cosce fino ad arrivare alle mutande!
Giacomo giunse alla conclusione che era il momento di rallentare con le allusioni o qualcuno si sarebbe fatto male.
“Domani o appena mi sarà possibile cambierò look.”
“Uh?”
Il cibo masticato non aveva più sapore. Giacomo si decise a mandarlo giù. 
“Voglio tornare a com’ero prima.”
Amelia aveva inaspettatamente preso una decisione storica di cui voleva che lui fosse partecipe.
Non gli sembrò  possibile. Certo, pensò, che la fantasia produce mostri, se non tenuta a freno. E lui che s’era fatto l’idea che Amelia volesse sedurlo! Si soffermò su quella fanciulla, aggressiva solo in apparenza, tenera e disperatamente sensuale nello stuzzicarlo un po’ più del consentito. Era mancanza di affetto, non doveva travisare. E se necessario doveva essere perentorio. Ognuno al suo posto e se le mancava l’affetto, beh allora esistevano dei medici per risolverle il problema o poteva salire su un aereo e raggiungere l’India.
Non avrebbe dovuto accettare quei frequenti inviti fuori programma. Bastava diradarli, senza troncarli, diradarli. Erano pur sempre occasioni per fare pratica linguistica, erano incontri interessanti e proficui. Era andato oltre, come al solito. Amelia aveva annunciato un cambiamento e sicuramente sarebbe stato in meglio.

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