Christmas in Love: MILLE PICCOLE LUCI di Velo Nero


DOPO I PIACERI MA ANCHE LO STRESS DEL NATALE SIAMO SICURE CHE VI STATE GODENDO UN GIORNO DI MERITATO RIPOSO...COSA C'E' DI MEGLIO DI UN NUOVO RACCONTO AMBIENTATO PROPRIO A SANTO STEFANO PER FARVELO TRASCORRERE ANCORA MEGLIO?

IN MILLE PICCOLE LUCI DI VELO NERO, LA GIOVANE CORINNE COURBET, VETRINISTA PRESSO I GRANDI MAGAZZINI DUPREZ DI BORDEAUX, SI TROVA ALLE PRESE CON UNA NUOVE VETRINE DA ALLESTIRE PER L'IMMINENTE CAPODANNO E UN CAPO INSOPPORTABILE E SCHIAVISTA CHE HA PURE L'ARDIRE DI ASSOMIGLIARE ALL'ATTORE MICHAEL VARTAN...ASPETTATEVI UN BEL PO' DI SCINTILLE! BUONA LETTURA!

"Ci avete fatto caso o no, che non usa mai più di quattro parole filate? Solo quando è arrabbiato tira giù dei pistolotti che non finiscono più.E poi va a finire sempre allo stesso modo: non so dirgli di no.So che cosa state insinuando, ma siete in errore: avete preso un’enorme cantonata! Innamorata di lui? Io?! Come dite? Non parlo d’altro? Questo lo dite voi!"
Vetrina n°1.
Ecco, sono riuscita a entrare. Mi vedete?
Sono qui, seconda vetrina alla sinistra dell’entrata principale dei Magazzini Duprez.
No, non la nuova sede di Nantes! Ma che domande fate? Siamo a Bordeaux!
Sì, lo so che oggi è Santo Stefano e la maggior parte degli abitanti del mondo emerso è stravaccata sul divano a digerire il pranzo di Natale, cani gatti e criceti compresi.
Io no.
Ah, scusate, per chi non mi conoscesse, sono Corinne Courbet. Courbet, per gli amici… anzi, sarebbe più corretto dire per i colleghi, giacché io praticamente vivo qui. Da che ho cominciato a lavorare per Duprez, non ho più una vita privata.
No, non sono uno di quegli allestimenti viventi che fanno prendere un colpo apoplettico ai passanti! Scusate, ma vi sembro un manichino? Non sono neppure una ladra, anche se sono vestita come Eva Kant nell’esercizio delle sue funzioni, con chignon biondo e annessi e connessi.
Vi state chiedendo che cosa faccia dentro la vetrina, vero?
Ovvio: sto smontando il Natale per approntare il Capodanno. I tempi sono strettissimi e il mio capo è una iena.
Non sono la vetrinista, come qualcuno di voi sta biecamente insinuando: io sono il DVM/CC.
Avete capito bene: sono il Director of Visual Merchandising and Creative Coordinator, nonché Floorset Supervisor di tuuutte le sedi, di tuuutte le filiali, di tuuutte le succursali dei magazzini Duprez.
Come dite? Beh, se la mettete così… sì, sono la vetrinista.
Certo, avete ragione voi, non posso negare: tuuutti i Grandi Magazzini Duprez sono solo due, uno a Bordeaux e quello nuovo di Nantes. Contenti, ora?
Voi la fate semplice, ma provate un po’ a rifarvi tutte le vetrine e gli infiniti corner interni qui e a Nantes, ogni santa settimana!
E non è finita: siccome sono stata assunta con la qualifica di DVM/CC nonché FS, mi tocca programmare la sistemazione delle merci del negozio, compresa la sezione articoli sportivi e il luxury food, preparare bozzetti, coordinare la disposizione degli articoli, sia col personale che con le ditte che vogliono da me un posizionamento speciale e un trattamento di riguardo per il loro brand – e qui sono liti, soprattutto col capo – infine organizzare ogni singolo evento e manifestazione… Chi più ne ha…
Vi sembra poco? Pensate che esageri? Non sono io quella che esagera: è LUI!
È lui che esagera!
Tutti i colleghi assunti con qualifiche impiegatizie hanno un ufficio – o almeno una scrivania – all’ultimo piano con vista sulla Garonna, io no!
Io sono relegata nello scantinato, perfino un piano sotto a quelli della sicurezza che, poverini, mi aiutano sempre: sono confinata nelle “segrete” con manichini, pitture, attrezzi, sagome di polistirolo e altre cianfrusaglie, ma lui lo chiama atelier, LUI!
Persino le capo-commesse hanno assistenti, collaboratrici e si scambiano i turni, io invece sono SOLA! 
Ogni singola persona assunta presso i Magazzini Duprez dipende dal direttore del personale, io no! Io dipendo direttamente da LUI!
Anche oggi: ho le chiavi e c’è Gustave, il custode, ma lui è venuto a ispezionare, lui!
Non lo avete visto? Di solito passeggia avanti e indietro… consuma il selciato, ma deve controllare tutto quello che faccio io!
Non è lì fuori? Allora è qui dentro da qualche parte e tra poco arriverà a sbraitare… eccolo!
«Courbet, oscura quella vetrina! Ti vedono tutti. Quante volte te lo devo ripetere?», gracchia.
«Non ci vedo, capo. E poi è questione di pochi minuti». È possibile che quest’uomo non capisca che ho bisogno della luce naturale per avere una visione d’insieme? Lavoro spesso di notte, per cui, quando c’è un po’ di luce, la sfrutto.
«Allora togli quel benedetto martello che t’infili nei calzoni: c’è la fila che sbava a guardarti quell’attrezzo piantato nel sedere!».
Ah!... Oh mio Dio!”.
Ora ho capito perché me lo ripete tutte le volte!
Ma non poteva dirlo prima?!
Comunque è arrabbiato, e vi spiego il perché: lui non spiccica mai più di quattro parole di fila, fateci caso, tranne quando è furioso. Quando sbraita così, meglio obbedire.
Tiro giù la tenda grigia e ricomincio a piantare spilli e puntine al soffitto; senza la luce del giorno è molto più difficoltoso annodare il sottilissimo filo da pesca ai chiodini e appendere le decorazioni. Impiego il doppio del solito e sembro Mission Impossible che evita i laser, ma ovviamente il lavoro è perfetto.
Quest’anno ho deciso che il leit motive per Capodanno saranno minuscole lucine, applicate a sottili supporti metallici a forma di stella. Ne ho preparati duecento. Duecento! Per qui e per Nantes!
Sono bellissime: mi sono superata e la vetrina abbigliamento donna è splendida. Una stella gigante e luminosissima mette in risalto l’abito da sera di Lanvin, un vestito da urlo di seta bianca e iridescente con due fusciacche che si uniscono sul collo. Un capo così scollato avanti e dietro, per di più di quel colore, può indossarlo solo una modella.
Una modella ricca, visto il cartellino dei prezzi che sto posizionando con attenzione accanto alle scarpe di Ferragamo. Sistemo le pochette, ritocco anche gli accessori dell’altro abito, un Rochas nero al ginocchio laminato di strass con cappottino e collo di volpe coordinato. Tiro su la tenda ed esco da una vetrina per cui due dei miei stipendi e la gratifica di Natale non basterebbero a pagarne il contenuto… e io guadagno bene, perché il capo sarà pure un negriero che mi segrega negli scantinati e mi sfrutta anche di notte, ma paga ogni singolo minuto di straordinario.
Eccolo, lo schiavista! Mi sta aspettando fuori con le braccia conserte.
È ancora arrabbiato.
Non avrà digerito il pranzo di Natale”.
Mi ronzava intorno con quella faccia solo quando stava divorziando. La moglie lo ha piantato perché lavorava troppo e la trascurava: per forza, era sempre qui a controllare me!
Ma la signora si è già consolata con gli alimenti e con l’amica che la scortava in tutti i suoi lussuosi viaggi intorno al mondo. Peccato che l’accompagnatrice – come risultava dai documenti di viaggio che Vicky del travel corner mi ha mostrato in confidenza – risultasse essere un uomo. E tutto a spese del capo!
Ma non sono affari miei.
Comunque lui ha trovato conforto in tutte quelle signore sciccose che vengono qua apposta per stanarlo.
Come dite?
Bello?
Mah, non direi… Voi lo trovate bello?
Bellissimo?!
Addirittura! Non esageriamo!
Boh, sarà che mi piacciono i mori… Sì, è affascinante, non lo nego.
Toh, avete ragione: assomiglia a quell’attore… il nipote di Sylvie Vartan… Michael, quello di Alias. Però il capo ha quel neo sul labbro che…
«Ora tu mi spieghi!», sbraita non appena esco dalla vetrina.
«Giorno, capo. Passato bene il Natale? Direi di no… Che cosa le dovrei spiegare», chiedo con uno dei miei famosi sorrisi, sperando di evitare la sgridata.
«Hai ordinato centomila luci!», sbotta.
«Sì, ma metà sono per Nantes». Mi guarda con sufficienza. «Vuole sapere se sono arrivate? Sì, tutto a posto».
«È arrivata la fattura!». Ecco qua uno dei nostri brainstorming,  lui chiama così in nostri scontri di cervelli, perché secondo lui è più professionale e sa di creativo, flussi d’idee che ci arricchiscono; io, invece, le chiamo litigate.
Continuo a spiegare e mi giustifico per un bel po’, mentre mi guarda severo e contrariato.
Non capisco perché si lamenti: è lui che vuole sempre qualcosa di nuovo, che attragga lo sguardo del cliente, che sia segno di quella classe e raffinatezza che solo i magazzini Duprez sono in grado di offrire, bla bla bla... bla bla bla…
Però è vero che offriamo sempre il meglio, infatti qui in città già da qualche stagione abbiamo rubato il primato ai Lafayette.
Ora apro una parentesi e spezzo una lancia in favore del mio capo: non vi ho detto che il mio capo è il signor Duprez in persona, Antoine Duprez. Sì, proprio lui, quello delle cantine Château Lussac, che da qualche anno ha deciso di variare le attività della famiglia e si è lanciato in questa impresa. Io sto con lui fin dal primo giorno, e ci ho sputato il sangue proprio come lui: i risultati sono sotto gli occhi di tutti, al di là di ogni più rosea previsione. Non lo nego, siamo una gran squadra, anche se si comporta da schiavista disumano e disquisisce su ogni mia iniziativa, proprio come in questo momento che sto facendo il mea culpa, mi umilio e mi pento per aver sforato il budget.
«Ah, Courbet?», mi blocca prima di congedarmi, «il trentuno vai a Lussac». Se non lo sapeste a Lussac c’è la dimora del capo, cioè la sua tenuta con le vigne e le cantine.
«Come, scusi?», domando.
«Devi sistemare per Capodanno».
«Io?!»
«Sì, tu».
«Ma io sono stata invitata da Marie Legr…»
«Ho già disdetto», m’interrompe.
«Ma…», biascico perplessa. Ora lo strozzo! So di essere paonazza, sono tentata di saltargli alla giugulare come un vampiro, e aspirane il sangue finché non lo vedo stramazzare al suolo. Ritiro tutto quello che di buono ho detto di lui: è solo un “@#?#!!!” e anche un “§#@°%&!!§”!
«Anzi, parti il trenta», conclude.
Serro le palpebre per cercare un po’ di quella calma zen, quella vena stoica che pervade lo spirito ultraterreno di Yoda e Obi-Wan Kenobi, perfettamente conscia che i loro poteri mistici siano solo potenzialità fantastiche impossibili da raggiungere nella realtà, anzi molto meglio così, perché se possedessi la Forza, in questo momento passerei al Lato Oscuro solo per teletrasportarlo sulla Morte Nera al momento dell’esplosione. Se avete visto Guerre Stellari, sapete di cosa sto parlando, altrimenti accontentatevi di sapere che sono molto arrabbiata.
Vorrei dirgli tutto quello che gli viene e chiedergli con quale diritto si sia permesso di mandarmi a monte la serata, ma so che se cominciassi il discorso ora finirebbe molto male, per cui scelgo la via zen e sussurro a occhi chiusi: «Perché?».
«Devi aiutarmi per Capodanno».
Chiaro!
L’avevo capito.
Taccio.
«Bisogna preparare i saloni», m’informa.
Taccio ancora.
«Organizzati!», ordina e se ne va.
Si ferma di botto, gira sui tacchi, torna indietro, scava nel taschino interno della giacca e ne estrae un minuscolo pacchetto. Si avvicina, mi consegna l’involucro e io mi fisso stranita il palmo aperto su cui ha posato il suo regalo, mentre lui mi stampa un veloce bacio su una guancia.
«Per te, in ritardo», mormora e se ne va di nuovo, lasciandomi inebetita.

Vetrina n°2
Avrei dovuto ribellarmi, vero?
Avrei dovuto rifiutarmi di fargli da schiava anche a casa sua, al “Château”, come lo chiama lui.
Ma avete visto gli orecchini che indosso? Sì, proprio questi qua: le stelline di brillanti. Ora non posso girare il capo per mostrarveli meglio perché sto guidando ed è quasi buio. Me li ha regalati lui. Bellissimi, non trovate? È il suo modo per farsi perdonare per essere uno sfruttatore.
Come facevo a dirgli di no?
Sono quasi arrivata a Lussac, anzi sono già entrata nella sua tenuta, se ho letto bene le indicazioni.
Oh, mamma, mia!”. Mi sporgo meglio sul volante per guardare. “È una piccola reggia!”.
Imbocco il viale d’accesso che come per magia s’illumina al mio passaggio, regalando ai miei occhi incantati  la vista spettacolare di una dimora da sogno; non è tanto grande, ma è talmente perfetta da sembrare finta: è tutto così bello che pare il set di un film.
C’è persino un laghetto.
E quelli, che cosa sono? Non ci credo, anche i cigni! Sono certa di non essere a Versailles, ma sembra proprio il Trianon.
Mi sento come Cenerentola che scende dalla zucca… io invece smonto dal mio Berlingo d’oro.
No, che sciocchi! Non è una moneta magica e neppure un galeone pirata: è la mia auto.
Sì, è gialla metallizzata, e allora?
Apro la portiera e un signore vestito come un pinguino mi corre incontro.
«Mademoiselle Courbet?», mi domanda. Annuisco. «La stavamo aspettando», dice e mi aiuta a scendere.
«Faccio io», esclama solerte e apre lui il portellone posteriore.
Mossa incauta.
«Attento!», lo avviso, ma è troppo tardi e uno scatolone enorme pieno lucine e decorazioni casca dal pianale schiacciandogli un piede. Il premuroso signore lancia un grido.
«Perdon, Monsieur», mi scuso e trattengo a stento il riso.
«Non fa niente, signorina», biascica, mordendosi le labbra.
Intanto, da dietro la casa, spunta un omone con una camicia a scacchi e si avvicina a passo svelto, mentre dal grande portone a vetri esce una bella signora di mezz’età, che si sta asciugando le mani nel grembiule.
Hanno visto la scena e ridono entrambi.
«Finalmente la conosciamo, Mademoiselle», mi accoglie la signora.
Mi guardo dietro le spalle per controllare se nel frattempo, per caso, fosse giunto qualcuno e non me ne fossi accorta.
Sembra proprio che stia parlando con me. Mi avrà confusa con qualcun’altra”, penso e non indago oltre.
«Venga dentro, fa freddo», mi esorta premurosa. «Io sono Jeanette e lui è Gustave, il giardiniere e capo-vigna. Quello invece è Monsieur Martignon, il maggiordomo», mi delucida, indicandomi il pinguino. «Nonché mio marito», aggiunge.
Entriamo in casa seguite dai due uomini che portano dentro gli scatoloni e il mio borsone: ho messo nel bagaglio solo un cambio, sono venuta un giorno prima così domattina mi alzo presto e mi metto sotto. Se mi sbrigo, me la svigno e magari riesco anche ad andare alla festa di Marie.  
«Le ho preparato la quarta stanza del primo piano, signorina. È la più bella e la più calda. La cena sarà servita fra mezzora, ha tutto il tempo per sistemarsi». ...

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