SAN VALENTINO STA ARRIVANDO... E ARRIVANO NUOVI RACCONTI ROMANTICI!


SAN VALENTINO E' ALLE PORTE E A NOI PIACE FESTEGGIARE LA SETTIMANA  PIU' DOLCE DELL'ANNO A  MODO NOSTRO. PREPARATEVI: SONO IN ARRIVO NUOVE STORIE TUTTE DA GUSTARE...PERCHE' I RACCONTI ROMANTICI SONO COME I CIOCCOLATINI, UNO TIRA L'ALTRO.. E NON NE ABBIAMO MAI ABBASTANZA!

QUELLO DI OGGI, LA STAGIONE DEI GLICINI,  E' UN RACCONTO DI MONICA LOMBARDI, CONTENUTO NELL'ANTOLOGIA 'C'E' AMORE NELL'ARIA' USCITA QUALCHE TEMPO FA. E' UNA STORIA SENSUALE, DOLCE E COMMOVENTE AL TEMPO STESSO, UNO DEI SUOI RACCONTI MIGLIORI . ECCO QUI SOTTO UN BELL'ASSAGGIO CHE, SONO SICURA, VI FARA' VENIR VOGLIA DI LEGGERLO TUTTO! 

LE VIE DEL CUORE SONO INFINITE...QUANDO UNA PORTA SI CHIUDE IN MODO DRAMMATICO...NON E' DETTO CHE UNA FINESTRA NON POSSA SPALANCARSI E FARE ENTRARE NUOVA ARIA FRESCA NELLE NOSTRE VITE! BUONA LETTURA!


Il dipinto era appeso di fronte al suo letto, così da riempirgli lo sguardo. La stagione dei glicini, e in basso a destra la sua firma: Samuel Kershaw.
Una scala che si inerpicava tra due case fiancheggiata da vasi di fiori, foglie bagnate dal sole in primo piano, l’ombra del glicine e la cascata di boccioli color lavanda a creare un tetto naturale sui gradini. Attraverso e oltre le pennellate con le quali aveva cercato di ricreare la magia di luce e colori rivedeva lo scorcio, così come se l’era trovato davanti diciotto anni prima, quando era arrivato a Bormes les Mimosas come turista e si era imbattuto in quel momento perfetto che aveva cercato di catturare sulla tela. Il momento in cui si era innamorato di quel luogo e aveva deciso di restarvi.
Aveva già cinquantasei anni allora eppure, guardando indietro, pensava a se stesso come ancora giovane. L’anno dopo aveva incontrato Annelise durante un viaggio in Italia e si era accorto all’improvviso che stava invecchiando, che era avviato verso il declino mentre lei si era appena affacciata alla vita adulta. Annelise con i suoi ventisei anni lo aveva fatto sentire vecchio, ma era stato un misero scotto da pagare per tutto quello che gli aveva donato. La sua gioventù, la sua lealtà, un viso e un corpo da ritrarre ancora e ancora. Da accarezzare. La sua fedeltà, quasi totale. Le aveva perdonato l’unico tradimento nel momento stesso in cui aveva capito di essere stato tradito. Aveva sofferto per i sensi di colpa che le aveva spesso letto nello sguardo, lei troppo severa con se stessa quando era sempre stato lui l’egoista dei due: Kershaw, il vecchio pittore con la bella moglie giovane.
Il respiro, a dispetto dei tre cuscini che lo sostenevano in posizione semi-seduta, era faticoso, come se invece di trovarsi fermo in un letto stesse salendo la ripida scala che aveva di fronte, e la situazione non avrebbe fatto altro che peggiorare. Enfisema polmonare. A settantaquattro anni c’era di meglio ma c’era anche di peggio. Spostò lo sguardo verso la finestra dove le tende raccolte ai lati lasciavano entrare la luce calante del tardo pomeriggio. Avrebbe voluto poter inspirare il profumo di fiori ed erba umida che saliva dal loro giardino. Gli odori, almeno quanto i colori, lo avevano fatto innamorare di quel luogo, creando dei legami invisibili che lo avevano fatto restare, ora lo sapeva, per sempre.
Se la finestra fosse stata aperta, anche solo un po’, si sarebbe sfilato la maschera per l’ossigeno e avrebbe inspirato con tutta la forza che la malattia gli consentiva. Forse era per questo che Annelise l’aveva chiusa prima di andare in paese a spedire una lettera, non solo per proteggerlo dall’aria fresca della sera come aveva detto.
Tornò a guardare il dipinto, il primo del suo periodo francese, come già lo chiamava la critica. Non se ne era mai voluto separare anche se le offerte non erano mancate e non ne era pentito. La Costa Azzura con il suo sole, i suoi fiori e i suoi odori era lì, davanti a lui. Chiuse gli occhi e gli parve di sentirli. Tra quelli si insinuò quello familiare, delicato eppure inconfondibile di Annelise e una fitta di rabbia e nostalgia lo trafisse al pensiero che presto l’avrebbe lasciata. Si chiese come sarebbe stato lasciarla, rendersi conto che guardava il suo viso quasi perfetto per l’ultima volta. Aveva già avuto paura di perderla in passato e non per quella stupida infedeltà, quella fiammata dei sensi dove il pentimento doveva aver bruciato in lei qualsiasi ricordo piacevole come un foglio gettato nel fuoco di un camino. No, aveva avuto paura di perderla quando aveva visto il modo in cui l’aveva guardata un uomo molto più giovane, un uomo che, chi meglio di lui poteva saperlo, aveva tutte le carte in regola per farla innamorare. Il panico si era impossessato di lui e aveva fatto in modo che non si incontrassero mai più.
Era un boccone amaro da digerire, forse più ancora della malattia, ma ormai aveva accettato l’idea che per Annelise la sua morte sarebbe stata una liberazione e quella consapevolezza aveva finito per diventare quasi consolatoria. Annelise lo aveva amato e ancora lo amava, ne era sicuro, non di un amore appassionato forse ma per lui ugualmente caldo come il sole estivo del sud della Francia. Sam aveva goduto di quell’amore per molti anni, ora era un dono che Annelise avrebbe potuto fare a qualcun altro.
Ecco come sarebbe stato, ecco come voleva andarsene. Di notte, senza disturbare nessuno. Si sarebbe tolto la maschera per l’ossigeno e sarebbe stato come il lento spegnersi di una candela che aveva consumato tutto il suo stoppino e la cui fiamma veniva bagnata dalla cera fusa.
Aveva vissuto la sua vita in modo intenso e pieno ed era stato più fortunato di molti altri. Un fortunato bastardo, gli ricordava spesso Michel e aveva ragione. Michel, l’amico fedele con cui si capiva a sguardi più che a parole, sarebbe stato al fianco di Annelise nei primi momenti di dolore. Poi sua moglie avrebbe rialzato la testa e avrebbe continuato a vivere, come aveva sempre fatto. Era una combattente, la sua Annelise, e aveva l’istinto dei combattenti per la vita.
Sam riaprì gli occhi e li trovò puntati sulla firma sul dipinto. Samuel Kershaw. Il suo nome era lì e nessuno l’avrebbe cancellato.
Per l’uomo in carne e ossa, per quel che era rimasto della sua carne e delle sue ossa, era ora di andarsene.
In pace.

Prima parte

Quando vide la Mercedes nera varcare il cancello di Villa des Glycines, Annelise Kershaw nata Jones fece fatica a domare il panico. Era sola e stava per affrontare i due figli di Samuel mentre dietro di lei, nel salone di quella che per più di 16 anni era stata la casa sua e di Sam, gli addetti dell’impresa di pompe funebri nei loro abiti scuri erano in attesa dell’arrivo degli altri due membri della famiglia per chiudere la bara dove riposava suo marito.
La famiglia. Niente di più lontano da quel termine. Da quando conosceva Samuel aveva visto Nicholas e Patrick Kershaw due sole volte: quando erano nati i figli di Nick e durante una delle rare visite dei due fratelli a quel padre reo di avere abbandonato loro, la prima moglie e l’azienda di famiglia per seguire la sua vera passione, la pittura. E colpevole soprattutto di essersi risposato con una donna che aveva più o meno la loro età.
L’unica cosa che Annelise aveva in comune con i due figli di Sam era il cognome, ecco la verità. Se fino a due giorni prima avevano condiviso a distanza l’amore di un uomo straordinario, ora i loro nomi sarebbero apparsi sullo stesso testamento, solo in quello erano “famiglia”. Tre nomi sullo stesso pezzo di carta, ogni altro legame spezzato.
La Mercedes si fermò a pochi metri dai gradini sui quali li attendeva da quando l’avevano chiamata dall’auto pochi minuti prima. Intrecciando le mani davanti a sé si accorse di averle ghiacciate nonostante la tiepida temperatura primaverile e quando le portiere si aprirono, la sensazione di gelo aumentò. Non erano arrivati con un autista come aveva pensato. Nick emerse per primo dal posto del guidatore. Più ancora di come lo ricordava, sembrava una versione giovane di Samuel e una nuova ondata di dolore le strinse il petto in una morsa, facendole dimenticare il nervosismo. Dall’altro sportello vide emergere i corti capelli biondo scuri di Patrick, ma il primogenito stava già venendo verso di lei. Dritto, senza esitare, come si conviene a un uomo di successo che da anni guida un’azienda di discrete dimensioni.
Poi Nick Kershaw la stupì. Aprì le braccia e, senza darle tempo di muoversi, se anche lo stupore per quello che stava per accadere non l’avesse trasformata in una statua di sale, la strinse in un abbraccio.
«Annelise» si limitò a sussurrarle all’orecchio.
Quell’uomo era uno sconosciuto, eppure le era così familiare.
Famiglia. Possibile?
Si rese conto di essere rimasta rigida come un tronco tra le sue braccia e si impose di rilassare la tensione che le raddrizzava la schiena come un fuso.
Quando Nick si ritrasse i suoi occhi azzurri erano umidi e lei gli appoggiò le mani sulle braccia, in una rapida e amichevole stretta, come per farsi perdonare l’abbraccio non restituito. Forse era stanco, forse gli anni stavano semplicemente passando per tutti loro ma notò delle rughe sulla fronte alta e ai lati della bocca che non aveva, cinque anni prima.
Cogliendo l’ombra che si avvicinava ai margini del suo campo visivo, Annelise volse lo sguardo verso quello che Samuel aveva sempre considerato il suo secondogenito, anche se non era suo figlio naturale. Patrick era nato Kershaw, figlio di un cugino di Samuel, e quando era rimasto orfano, prima ancora di compiere un anno, era stato adottato e cresciuto da Sam e Sarah, la sua prima moglie. Occhi azzurri anche lui, ma la somiglianza finiva lì. Dove il fratello era alto e longilineo lui era più basso e muscoloso, i capelli più chiari, le labbra più piene e la forma del volto più squadrata rispetto a quella allungata di Sam e Nick.
Patrick si limitò a una lunga, salda stretta di mano.
«Annelise, come stai?»
La sua voce bassa e profonda, come la ricordava dai loro due incontri e dalle volte che le era capitato di sentirla al telefono quando chiamava suo padre. I suoi occhi erano asciutti, ma non voleva dire niente. Ognuno reagisce alla morte in modi diversi. Chissà che cosa stavano pensando i due uomini che aveva di fronte del suo completo color lavanda?
«Era il colore preferito di vostro padre» si trovò a giustificarsi a voce alta.
«Come dici?» chiese Nick, confuso. Aveva lo stesso modo di storcere la bocca di Sam, quando non capiva qualcosa.
«L’abito. E’ del colore dei nostri glicini».
Detto questo si girò e li precedette nell’atrio, i tacchi delle sue scarpe l’unico rumore sul pavimento in cotto. La casa era già cambiata, senza Samuel. Era diversa, vuota.
Nonostante la presenza dei due uomini che la seguirono silenziosi, Annelise si sentì all’improvviso ancora più sola.

Dal giardino, il frinire delle cicale e l’umidità della notte entravano dai vetri aperti a rompere solo in parte il silenzio e l’immobilità della sua stanza, rischiarata dal lume sul comodino. Seduta sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini fissati alla testata in legno di ciliegio, Annelise guardò a lungo la scatola che aveva in grembo, sfiorandone gli angoli di cartone un po’ usurato, gli occhi fissi sulle delicate decorazioni floreali.
Finalmente si decise a sollevare il coperchio, rivelando la pila di fotografie delle dimensioni più diverse. Le vecchie foto di famiglia dei Kershaw. Le sollevò una a una, appoggiandole nell’incavo del coperchio, finché non arrivò a quella che cercava. Samuel Kershaw con i due figli, appena prima di lasciare Londra, vent’anni prima. Un uomo nel fiore degli anni e due ragazzi per i quali, era chiaro anche in quell’immagine, lui era un punto di riferimento. Nick guardava verso l’obiettivo, sorridente e spavaldo. Patrick fissava un punto a destra della madre che aveva scattato la foto, lo sguardo assorto. Sam non le aveva parlato spesso di loro ma, quando lo faceva, trovava sempre con facilità le parole per descrivere Nick. Con Patrick era diverso. Era come se Patrick sfuggisse a ogni definizione.
Pescò altre due foto. Nick e la sua famiglia, la bionda moglie e i due gemelli che ora dovevano avere... sette anni. Annelise aveva accompagnato Samuel a Londra quando erano nati. Sarah era ancora viva allora e le visite all’ospedale erano state orchestrate in modo da evitare l’incontro tra la prima e la seconda moglie, tutti avevano ritenuto meglio così. Anche Patrick era sposato allora, aveva divorziato l’anno seguente, ma Annelise non aveva incontrato sua moglie né ne aveva mai visto una foto. Le era rimasta la curiosità di vedere la donna che aveva conquistato, anche se per poco tempo, il cuore di quell’uomo così difficile da leggere, la cui intensità era però palese come un fuoco che trasmetteva il suo calore alla superficie.
Annelise posò la scatola ancora aperta sul copriletto e si alzò, di nuovo preda del sottile, vischioso stato d’ansia che le afferrava lo stomaco in una morsa, spingendola a volte ad accoccolarsi sotto alle coperte come se volesse proteggersi dal mondo, in altri momenti a muoversi nervosamente senza una meta precisa. Il dottore le aveva lasciato delle gocce per riuscire a riposare ma si era rifiutata di prenderle. Le sembrava che Sam fosse ancora lì con lei eppure sapeva che non c’era più, era un ottovolante emotivo che la faceva sentire come un debole arbusto aggredito dal Mistral, come una bussola impazzita.
Avanzò decisa verso la finestra, inspirando i profumi della notte, fiduciosa nella loro capacità di calmarla. Fece scivolare lo sguardo sulle luci che si riflettevano sull’acqua immobile della piscina e quando arrivò al parapetto affacciato sulla collina lo vide, una sagoma contro lo scuro cielo notturno. Era in piedi, le mani appoggiate alla ringhiera. Annelise sapeva bene che cosa poteva vedere da lì, conosceva ogni dettaglio di quel panorama, a qualsiasi ora del giorno e della notte, in qualsiasi stagione. In una notte limpida ma senza luna, davanti a sé avrebbe avuto le luci di Bormes che digradavano lungo la collina e, se solo avesse alzato lo sguardo come fece anche lei in quel momento, una meravigliosa stellata, di quelle che ti fanno sentire in contatto con l’universo e con te stesso, un ponte impensabile eppure diretto tra l’immensamente grande e l’immensamente piccolo. Un po’ della pace di quella visione arrivò fino a lei.
Nonostante il buio, nonostante fosse di spalle, Annelise non aveva dubbi su quale dei due fratelli fosse e seguendo l’istinto che l’aveva sempre guidata nella vita, nel bene e nel male, afferrò un grande scialle colorato dalla sedia e uscì in corridoio. Passando davanti alla porta chiusa della camera occupata da Nick gli arrivò la sua voce, leggermente alterata. Proseguì oltre senza rallentare, percependone il tono ma non le singole parole.
Nel pomeriggio, il funerale li aveva messi tutti alla prova o almeno così le era parso. Tantissima gente, soprattutto gli abitanti del paese che si erano stretti attorno a lei, perché se anche Sam non faceva molta vita sociale, gli abitanti di Bormes lo consideravano da tempo uno di loro. Persone che avevano guardato di sottecchi i due uomini stranieri come se fossero alieni invece che inglesi. Come se lei e Sam fossero stati dei francesi DOC e non inglesi a loro volta. E poi c’erano stati i galleristi e qualche amico di Parigi, tanti curiosi e tanti giornalisti, troppi giornalisti, molti con fotografo al seguito e due stazioni televisive francesi. Samuel Kershaw era una figura che sembrava interessare più ai francesi che non ai suoi compatrioti che forse si sarebbero riappacificati solo con il tempo con la sua decisione di abbandonare la madre patria.
Uscì in veranda dalla porta finestra della sala da pranzo che trovò socchiusa e immaginò che Patrick avesse fatto lo stesso. Il profumo inebriante del glicine che ricopriva la veranda come un tetto verde e viola risvegliò in lei mille ricordi. Lei e Samuel mangiavano sempre in veranda durante la bella stagione. Il profumo del glicine era quello delle loro chiacchiere, dei loro silenzi. In veranda aveva posato per lui per diversi bozzetti due dei quali si erano trasformati in tele, entrambe vendute ormai.
Tornò a guardare l’uomo che le voltava ancora le spalle, al di là della superficie vetrosa della piscina, e pensò che forse non dovevano essere per forza soli con il loro dolore. Sebbene Patrick fosse il più taciturno dei due, la intimidiva meno di suo fratello. Mentre il primogenito di Sam sembrava sempre avere tutte le risposte, Patrick era più un tipo da domande. C’erano sempre domande nel suo sguardo, uno sguardo attento che aveva spesso sentito su di sé, sia durante i loro incontri che in quella lunga giornata che non voleva finire mai.
Senza fretta, girò intorno allo specchio d’acqua silenzioso, macchia di luce nel giardino buio, stringendosi lo scialle intorno alle spalle per proteggersi dall’aria pungente della notte. Quindi si rituffò nell’ombra, avanzando verso di lui. Annelise vide la sua schiena irrigidirsi quando la sentì avvicinarsi ma non si mosse.
«Non riesci a dormire?» gli chiese.
Solo allora Patrick voltò la testa, le mani ancora strette attorno alla ringhiera.
«E tu?»
«E’ stato peggio ieri notte» confessò Annelise.
Non ci fu alcuna risposta. Forse Patrick, forse entrambi i fratelli erano tra i molti che pensavano che, vista la differenza di età, il suo matrimonio con Samuel fosse di convenienza più che d’amore. Annelise gli si affiancò, lasciando un buon metro tra loro, e percorse con gli occhi il panorama che aveva osservato lui fino a quel momento. Le luci del paese, la piscina dell’albergo e le due più piccole di Villa Lumière e del Bed and Breakfast, perle azzurre nella notte.
«Anche a me piace molto questa vista» sussurrò. «Dà molta tranquillità, anche di giorno».
«Tornerò domani mattina, allora». La voce di Patrick era bassa, profonda. Calda e piena come un sorso di rhum. «O forse potrei rimanere direttamente qui fuori fino all’alba».
Annelise scorse il mezzo sorriso amaro che gli piegò le labbra solo perché si voltò a guardarlo proprio in quel momento. Non avrebbe saputo spiegarsi come ma intuì l’origine di quell’amarezza come se gliel’avesse appena spiegata.
«Non voleva che lo vedeste ammalato» gli confidò, sempre a voce bassa. «Voleva che il vostro ultimo ricordo di lui fosse di un uomo sano e felice».
Patrick annuì, ma c’era fredda rabbia repressa in quel piccolo cenno del capo. Una rabbia che rese le sue parole gelide e dure.
«Siamo i suoi figli e non ci ha detto che lo stavamo perdendo».
Lo sguardo di Patrick e le parole inespresse che vi leggeva le fecero male. “Contavamo davvero poco per lui”.
«Vi voleva bene» aggiunse allora. «Ve ne ha sempre voluto».
Solo parole, che Annelise sapeva non avrebbero potuto riempire il vuoto che l’uomo al suo fianco sentiva.
Un sospiro, un impercettibile rilassarsi dei muscoli tesi delle braccia, e Patrick cambiò discorso.
«Ho visto il tuo ritratto, quello fotografico in sala da pranzo».
Annelise non riuscì a trattenere un sorriso.
«E’ una bellissima foto» continuò Patrick.
«E’ stata scattata da un fotografo di Cannes, tuo padre l’aveva fatto venire apposta. Poi ha usato la foto come base per un ritratto che fu acquistato un paio d’anni fa da un collezionista americano».
Era stata l’offerta più alta che Samuel avesse mai ricevuto per una sua opera, ma questo Annelise non lo disse.
«Così ora il tuo viso fa bella mostra di sé in un lussuoso appartamento newyorkese».
«In una villa a Miami, a dir la verità».
«Che effetto ti fa?»
Annelise scosse la testa guardandolo di sottecchi. La sua espressione non rivelava altro che mite curiosità.
«Non è il mio viso, è un’opera di Samuel Kershaw. Conosci poco l’arte di tuo padre se non sai la differenza». Non voleva offenderlo ma si accorse che il suo tono era difensivo, polemico.
Non doveva usare l’arte di Samuel per fare a gara con loro. Sam non l’avrebbe voluto.
«Probabilmente hai ragione» rispose Patrick in tono secco, sferzante prima che lei potesse porre rimedio alla propria brusca affermazione.
«Siete lì tutti e due?»
La voce di Nick arrivò chiara dalla veranda.
La figura alta e longilinea li raggiunse rapidamente ed entrambi si voltarono verso di lui e la casa. Nick indossava ancora l’abito scuro ma si era tolto la cravatta. Se avesse potuto vederli nella penombra, Annelise sapeva che i suoi occhi sarebbero stati dello stesso esatto colore della piscina illuminata.
Patrick irradiava tranquillità laddove Nick emanava energia, ecco la principale differenza tra loro. Erano entrambi uomini affascinanti, come lo era stato Samuel. Anche a settant’anni, con il viso ormai segnato dal tempo.
In quel momento però Nick appariva chiaramente alterato.
«Sono riuscito a parlare con il notaio» esordì con tono asciutto. «Il testamento potrà essere aperto solo tra una settimana».
«Come mai?» gli chiese Patrick.
«Per volere di nostro padre» rispose secco Nick parlando solo a suo fratello.
Loro sono la famiglia, io sono l’intrusa. Il pensiero le attraversò la mente veloce e inarrestabile come un lampo ma Annelise cercò di relegarlo in un angolo.
Poi Nick la fissò interrogativo.
«Non ne sapevo niente» replicò lei con calma. «Se volete restare fino ad allora, siete i benvenuti».
«In effetti sembra che fosse questo che nostro padre voleva» commentò Nick con tono piatto.
Annelise si strinse ancora di più nello scialle. «Se volete scusarmi, io rientro. Fa un po’ freddo qui fuori».
E li lasciò a passi più veloci di quando era arrivata.
«Dio mio, è ancora più bella di quanto non ricordassi» commentò Nick quando fu scomparsa oltre la porta a vetri della veranda.
«Che cosa pensi di fare?» volle sapere Patrick.
«Io? Martha sta dando in escandescenza. Due settimane fa sembrava decisa a lasciarmi, ora è furiosa perché non ho portato qui lei e i bambini. Penso che il mio matrimonio abbia all’improvviso ripreso vita dopo la morte di papà. Dio, che squallore». Si passò rabbiosamente una mano tra i folti capelli. «Ho bisogno di un whisky. Ci sarà un whisky in questa casa?»
Patrick gli batté la mano sulla spalla.
«Andiamo a cercarlo».
«E tu che farai?» gli chiese Nick mentre riattraversavano il giardino.
«Rientro con te. Devo sistemare la questione con i giapponesi poi torno appena possibile. Se papà voleva che stessimo qui, ci sarà un motivo».
«Non capisco quale. Farci fare amicizia con la sua giovane moglie?»
Trovarono il whisky nella vetrinetta della sala da pranzo. Mentre Nick versava una dose generosa in due alti bicchieri, Patrick si fermò ancora una volta davanti al primo piano di Annelise. Era ritratta di tre quarti, il capo leggermente piegato all’indietro, metà del viso in ombra, l’atra metà con la pelle talmente liscia e chiara da sembrare un disegno più che una fotografia. I capelli erano più lunghi di come li portava ora, tirati indietro e fissati in modo da ricadere morbidi sulla nuca e in mezzo alle scapole. La bocca appena più rosa della pelle diafana, un pendente di brillanti e cristallo che dall’orecchio le sfiorava il collo, la foto aveva colori talmente tenui che avrebbe potuto sembrare in bianco e nero se non fosse stato per il biondo cenere dei capelli, l’accenno più rosso sullo zigomo alto e l’azzurro perfetto degli occhi, soprattutto di quello più vicino all’obiettivo.
In quel vivido ritratto così come dal vero, con la pelle resa più rosea dal sole, i capelli più corti e più biondi e il neo sopra il labbro che nella foto rimaneva in ombra, Annelise era esattamente come l’aveva ricordata in quegli anni.
Bellissima. Perfetta.
Irraggiungibile.

Era meglio svegliarsi in una casa in cui dormivano altre persone piuttosto che in una casa dominata dal silenzio di un’assenza, scoprì Annelise la mattina dopo. Anche se le persone in questione non la consideravano propriamente un’amica. Anche se avevano il dubbio che lei nascondesse loro delle cose.
Si fece una doccia veloce, asciugandosi i capelli senza preoccuparsi di metterli in piega. Si infilò una semplice maglia bianca con le maniche a tre quarti e i morbidi pantaloni blu di una delle sue tute preferite. Si guardò allo specchio e decise di non truccarsi. Il giorno prima, Nick e Patrick avevano incontrato una vedova che si doveva presentare al mondo, oggi avrebbero incontrato la donna che abitava in quella casa.
Lasciò la sua camera decisa a prepararsi subito un caffè ma si bloccò dopo aver fatto un paio di passi in corridoio. La porta della camera di Samuel era aperta.
Si avvicinò alla soglia e trovò Patrick seduto in fondo al letto, gli occhi fissi su La stagione dei glicini.
«E’ splendido» le disse senza distogliere lo sguardo dalla tela.
Annelise entrò nella stanza sentendosi mancare il respiro, la presenza di suo marito lì dentro era quasi soffocante. Le sembrava di vederlo nel letto, dove aveva passato troppo tempo in quelle ultime settimane.
«Mio padre dormiva qui?» chiese Patrick, alludendo al letto alla francese dalla semplice testata in ferro battuto.
Annelise annuì.
«Da quando era malato ha preferito così» rispose a fatica, sperando che lui non si accorgesse di quanto la sua gola fosse chiusa. «Diceva che mi avrebbe disturbato con il respiratore».
«Non devi darmi spiegazioni».
Una frase semplice ma stranamente intima, familiare, che gli fece guadagnare punti. Sebbene avessero parlato da soli la sera prima, in giardino, per la prima volta Annelise si rese conto di trovarsi davvero sola con lui. Anche Patrick aveva scelto un abbigliamento casual quella mattina, con jeans neri e un girocollo grigio. Era ancora più bello senza il tocco formale di giacca e cravatta e la sua virilità la colpì a tradimento, come se da lui si fosse alzata un’onda invisibile che la travolse al suo impatto.
Perdonami, sussurrò dentro di sé all’uomo che sentiva ancora lì con lei.
«Ci sono altri suoi dipinti in casa?»
Il tono era di nuovo freddo, la familiarità sparita e Annelise pensò di avere solo immaginato quel momento di contatto tra loro.
Come la sera precedente, l’arrivo di Nick interruppe la loro conversazione. Si affacciò alla porta, diversi giornali in mano. Come nel fratello, le guance e il mento erano spruzzati dalla crescita della barba ma sul volto di Nick Annelise colse del grigio che non c’era in Patrick. Samuel era già brizzolato quando lo aveva conosciuto.
Alzò il plico di giornali verso di loro.
«Ci sono foto del funerale ovunque, ne parlano tutti». Avanzò nella stanza e il suo sguardo venne catturato dalla ricca macchia di colori alla sua destra. La osservò senza dire nulla.
«Parlano anche del suo ultimo dipinto, C’è amore nell’aria. E’ questo?»
Annelise scosse la testa. «Questo è La stagione dei glicini, il primo che dipinse qui a Bormes, prima ancora di comprare questa casa». Prima di incontrare me.
«E l’altro di cui parlano? I giornali dicono che avrebbe dovuto presentarlo a breve».
«Ne aveva parlato nel corso di un’intervista a Paris Match, qualche mese fa. Per questo si è creata l’attesa».
«E dov’è?» insistette Nick.
Il volto che tanto le ricordava Samuel poteva assumere una durezza che era stata estranea a quello più maturo e sereno del padre.
«Nel suo studio, credo. Era lì l’ultima volta che Samuel me l’ha mostrato». Spostò lo sguardo dall’uno all’altro. «Volete vederlo?»
Senza risponderle si prepararono entrambi a seguirla.
Percorsero l’intero corridoio del primo piano fino alla porta di legno bianco in fondo. Annelise appoggiò la mano sulla maniglia poi si fermò, lanciando uno sguardo agli uomini alle sue spalle.
«Questo era il regno di Sam. Io ci entravo solo quando posavo per lui o quando voleva mostrarmi qualcosa e non ci ho ancora messo piede da quando è mancato» spiegò a voce bassa.
Non mi credono, pensò, aprendo finalmente la porta.
L’ampia stanza dove Samuel dipingeva era uno dei motivi per cui il pittore aveva scelto quella casa. Si affacciava a sud e la lunga vetrata che dava sull’unico terrazzo del primo piano forniva luce in abbondanza da mattino a sera, catturando il sole dall’inizio alla fine del suo percorso nel cielo.
Annelise avanzò verso il grande cavalletto, collocato di fianco a un ripiano ancora ricolmo di colori e pennelli, sul quale era appoggiata una tela.
«C’è amore nell’aria», disse Nick leggendo il piccolo testo in nero nell’angolo in basso a destra. «E’ lui».
Annelise si stupì della sua ingenuità. Nei dipinti quello era l’angolo dove Sam metteva la sua firma.
«No, questo è solo il primo schizzo che aveva realizzato» spiegò. «Non ci lavorava più da un pezzo».
E allora perché è qui sul cavalletto? si chiese perplessa. Da quanto non entrava in quella stanza? Quand’è che Sam gliel’aveva mostrato? Riusciva ancora a lavorare anche se con la maschera dell’ossigeno a portata di mano.
Mentre nella sua mente rimbalzava la raffica di domande Annelise aveva lo sguardo fisso sul disegno ma si accorse che i due fratelli stavano guardando lei. Si voltò allora verso di loro.
«Non so dove sia» ammise candidamente. Poi si mosse verso la porta, all’improvviso desiderosa di lasciare al più presto quella stanza. «Vado in cucina a farmi un caffè, ne volete anche voi?»

E così se ne erano andati. Dopo una rapida colazione e un’altrettanto rapida prenotazione aerea di cui si era incaricato direttamente Nick, avevano lasciato la casa e Annelise, senza trovare risposte sul misterioso ultimo dipinto sparito.
Stringendo in mano il bicchiere di vetro del suo Martini, seduto accanto al finestrino nelle comode poltrone di prima classe di un volo Air France, Patrick fece vagare lo sguardo all’esterno accarezzando le forme in continuo mutamento delle nuvole, anche se in realtà l’immagine che aveva di fronte era un’altra. Era ancora seduto sul letto che era stato di suo padre, un momento prima gli occhi catturati dalla magia di luce e colore a cui Samuel in qualche modo aveva saputo dare vita, il momento dopo persi in un altro tipo di magia: gli occhi blu mare di una donna, il viso struccato, bello come solo la natura sa fare, i capelli ancora umidi dalla doccia. Gli era arrivato il suo profumo ma non era stata la delicata fragranza a bloccargli il respiro in gola: non l’aveva mai vista così, senza la formalità di un abito dal taglio perfetto, senza il velo protettivo di un trucco ben applicato. Quella era la vera Annelise, la donna, non la moglie di suo padre, così come si era alzata dal letto. A quel pensiero aveva dovuto cambiare posizione, perché il suo corpo aveva reagito.
«Hai idea di quanto varrà quel dipinto?» gli giunse la voce del fratello alla sua sinistra. «Tutti i giornali che ho aperto nella sala d’attesa ne parlavano. Ogni giorno che passa la sua stima cresce ».
«Stai parlando di nostro padre».
«Appunto. Ne sarebbe orgoglioso e felice anche lui, non ti pare?»
Patrick si voltò a guardarlo. Anche Nick aveva in mano un bicchiere e aveva gli occhi piccoli e stanchi, doveva aver dormito ancora meno di lui quella notte.
«Se sapesse dov’è non ci avrebbe detto che quello era solo lo schizzo» commentò placido.
Nick fece un mezzo sorriso.
«Mi conosci bene, sai a che cosa penso senza che io debba parlare. E’ pratico. Guardami e dimmi che cosa sto per risponderti».
Patrick sospirò e si concesse un sorso di Martini prima di replicare.
«Che in ogni caso l’avremmo scoperto presto, anche solo parlando con il primo scalcinato gallerista che ci fosse capitato a tiro».
Nick socchiuse gli occhi soddisfatto.
«Se torni a Bormes prima di me, forse riuscirai a scoprire qualcosa».
«Non è per questo che ci tornerò».
Nick avvicinò il bicchiere al suo e li fece tintinnare piano.
«Ma è questo che puoi fare». ....

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10 commenti:

  1. Penso che dopo aver riletto questa prima parte andrò a riaprirmi il libro e mi rieleggerò tutti e quattro i racconti.
    Questo in particolare è proprio la storia che non ti aspetti, sia per i protagonisti che per la trama va fuori da tutti gli schemi. E' un amore che non dovrebbe nascere in teoria, ma invece c'è e ti travolge. L'ho amato tantissimo. Stasera vado a riscoprirne i colori e i profumi.

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  2. Grazie Marti!
    E' stato così anche per me. Un amore che non doveva essere eppure c'era, non succede in fondo anche nella vita? Una sfida, per un romance, ma quando ho capito chi erano i miei due innamorati non ho avuto il coraggio di tirarmi indietro. Ora sono felice di non averlo fatto perché amo molto questo racconto anch'io, perché Bormes-les-Mimosas mi è rimasta nel cuore e perché l'amore permea i rapporti tra tutti i personaggi - una delle mie scene preferite è quella tra i due fratelli, a bordo piscina.
    Buon San Valentino a tutte!

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  3. Ebbene sì, quattro racconti romantici da quattro penne romantiche (io sono la penna Giulia d'Alessandro, per la cronaca...) un'occasione per sognare e per augurarvi buon San Valentino e ringraziare Francy della Rosa perché ci ricorda sempre quanto sia romantico... l'Amore! Un abbraccio a tutte!

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  4. anch'io ho l'ebook di cui e tratto questo magnifico racconto e devo dire che rileggendolo mi ha fatto ricordare le belle emozioni che questa autrice è riuscita a trasmettere è veramente uno dei racconti più belli che io abbia letto complimenti ancora

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  5. Bellissimo...vado di corsa a comprare l'ebook! Una abbraccio a due delle mie scrittrici preferite.

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  6. Per me il racconto più bello dei quattro!

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  7. Ognuno a modo suo è indimenticabile, una bellissima raccolta da regalarsi non solo a s . Valentino! ♥

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