SUI PASSI DELL'ESTATE PERDUTA di Patrizia Ferrando (Eidon edizioni)



QUANDO DECIDIAMO DI LANCIARE PER UN ATTIMO LO SGUARDO OLTRE LA STACCIONATA DELLA NOSTRA AMATA CASETTA ROMANCE, LO FACCIAMO PERCHE' CI SONO PUBBLICAZIONI CHE ATTIRANO LA NOSTRA ATTENZIONE, COME QUESTO LIBRO DI PATRIZIA FERRANDO, GIORNALISTA E SCRITTRICE, APPASSIONATA DI ARTE DECORATIVA, INTITOLATO SUI PASSI DELL'ESTATE PERDUTA.
IN QUESTO BEL TITOLO MOLTO EVOCATIVO PATRIZIA HA RIASSUNTO IL FOCUS PRINCIPALE DELLA SUA INDAGINE: LA VILLEGGIATURA, QUEL 'RITO' SOCIALE CHE ALL'INIZIO DEL '900  ERA TUTT'ALTRO CHE UN FENOMENO DI MASSA E A CUI SOLO  POCHI FORTUNATI POTEVANO DEDICARSI, LASCIANDOSI ALLE SPALLE LE CITTA' PER RAGGIUNGERE AMENE RESIDENZE DI CAMPAGNA E COLLINA, PIU' CHE DI MARE,  IN CUI PASSARE LE VACANZE ESTIVE. L'AUTRICE RIPERCORRE SUL FILO DELLA MEMORIA COMPORTAMENTI, USI E COSTUMI DI  UN'ITALIA CHE NON C'E' PIU', CHE SEMBRA LONTANISSIMA,  MA CHE MANTIENE INTATTO TUTTO IL SUO FASCINO E SI FA RICORDARE NELL'ARCHITETTURA DI CERTE CASE, NELLE CARTOLINE, NELLE VECCHIE RIVISTE DI LIFESTYLE, NELLE PAGINE DEI DIARI, NELLE LETTERE E NELLE FOTO INGIALLITE DELLE VACANZE DI OLTRE UN SECOLO FA. 
UNA LETTURA ACCATTIVANTE CHE, CON L'ESTATE ALLE PORTE, CI PORTA INEVITABILMENTE A FARE RAFFRONTI FRA PASSATO  E PRESENTE E UN BRICIOLO DI MALINCONIA PER UN MONDO CHE NON C'E' PIU' E' INEVITABILE.

Villeggiare: un verbo ormai anacronistico, dotato, però, di grande potere evocativo.
Questo libro è un viaggio sentimentale tra edifici, aneddoti, costumi e curiosità delle stagioni in cui, complici l’amenità dei paesaggi e i comodi collegamenti, Arquata Scrivia, come altre località dell’entroterra genovese e delle limitrofe campagne piemontesi, divenne meta estiva della borghesia cittadina e delle sue nuove abitudini.

Il ventesimo secolo, da poco cominciato, portò, tra gli alberi e le strade bianche, torrette, facciate dipinte, bovindi di gusto inglese. I giardini si popolarono di signore in abiti raffinati, ragazzini vestiti alla marinara e bambinaie con impeccabili grembiuli, austeri anziani assisi nelle poltrone di vimini e giovani in tenuta da tennis.
Stagioni destinate a una breve parabola, presenze effimere di un tempo perduto, restano tuttavia leggibili nella realtà odierna, non solo come tocco di leggiadria conferito dai villini, ma anche come testimonianza di lunghe estati in cui concetti come “turismo di massa” e “vacanza” non occupavano i pensieri fra arrivi e partenze.



LEGGENDO QUI E LA' NEL LIBRO...

... Nell’era in cui, ormai incolmabile, divampava il contrasto fra urbanistica e spontaneità, nello spezzarsi della mimesi fra architettura e paesaggio, nacquero non solo case, ma enclave minute di cui, forse, nemmeno progettisti e proprietari che anelavano all’immersione nella natura, seppero valutare la capacità di fondersi col genius loci. L’estate perduta diviene una sola, con l’aroma di settimane senza fine e la gioia di vivere sempre attribuita agli imperi, pur se minimi, rutilanti sull’orlo di un abisso. Dove langue una poltroncina di vimini, ingrigita da inverni imprevisti, nella poesia delle cose impoverite, nello sgretolarsi di una balaustra, come nella risonanza smorzata di un vecchio muro ridipinto con vernici squillanti, aleggiano stagioni senza età.  Avanza una lunga estate d’eterna, incipiente fine, e ha il suono di fini scarpette, di biciclette sulla ghiaia, di tintinnar di calici; le sue fronde stormiscono col fruscio delle gonne di una signorina sempre in abiti candidi, con l’ansia del vento che penetra tra imposte deteriorate, col ritmo del cerchio spinto da una bambina vestita alla marinara. Un profumo di fiori, sapone e biscotti è pronto a sprigionarsi come da un cassetto lungamente chiuso, mentre dietro alle vetrate fluttua il ricordo di una qualche essenza, come tra i pizzi di camicette lasciate nell’armadio ad attendere il ritorno di una padrona di cui nessuno ricorda più nemmeno il nome.
Suggestioni: eppure nell’assecondarle i passi ritornano sulle strade del tangibile, tra il ferro delle cancellate, il legno degli spioventi, i cespugli fioriti, le torrette, la pietra e le decorazioni. ...

**********

Se, ai tempi nostri, c’è chi si angustia per la “prova costume” e le riviste dedicano pagine e pagine alle tendenze per la stagione estiva, anche un secolo fa la scelta di abiti e accessori da portare in villeggiatura era presa molto sul serio: anzi, da un lato l’idea di allontanarsi dalle comodità domestiche, dall’altra l’esigenza di reperire capi meno elaborati rispetto alle toilette indossate nei salotti, eppure al passo coi dettami parigini, pongono dilemmi alle signore, alle sarte, alle domestiche incaricate di preparare bauli e ceste. Se i primi
potevano essere di pelli pregiate tinte in vari colori, piuttosto che in più robuste doppiature lignee o metalliche con borchie e rinforzi, e le seconde erano spesso destinate a biancheria “andante” e oggetti d’uso, nel novero dei bagagli apparivano comunque le valigie, simili per forma alle attuali, però immancabilmente rigide e con angoli rinforzati, ormai diffuse da più di un secolo e anch’esse realizzate come gioielli da raffinati artigiani o assemblate più poveramente con cartone, vimini, tessuti “verniciati”. Per i corredi da toilette esistevano ancora elaborazioni del settecentesco necessaire, talvolta composto da due contenitori di pelle da porre l’uno dentro l’altro: destinati a boccette, scatolini per le creme, spazzole e pettini, profumi, spesso differivano in versione femminile e maschile solo perché l’una conteneva uno scomparto per i ferri da ricci e l’apposito scaldino, l’altra lo spazio per l’occorrente per radersi. A chiudere il variegato corteo dei contenitori da viaggio sfilavano le caramellose e ingombranti cappelliere.
Nel 1900 Hoepli pubblica “Come devo governare la mia casa”, manuale in cui l’autrice, Giulia Ferraris Tamburini, nota anche per i suoi volumi di ricette e cucina, si cimenta in uno schema dei bagagli necessari per una “signora agiata” che si appresta a viaggiare o a spostarsi in campagna. Se gli abiti da mettere nei bauli saranno suggeriti sia dal clima della località sia dalle occasioni mondane o sportive in vista, una serie di oggetti risulta indispensabile. Si va da un bauletto dedicato alla cura della persona, che conterrà acqua di

colonia e lavanda, polvere per denti, “bastoncini con spugna per le orecchie”, boccette dei profumi, “catinella intima di guttaperca su telaio mobile”, salviette, forbici, forcine e lampada e ferri per arricciare i capelli, al sacco da lavoro con aghi, nastri, ditale, fili e l’intero armamentario per cucire, ricamare, rammendare. Viene consigliata una ricca scorta di cancelleria, carte e inchiostri, e molta cura, e una chiusura con lucchetto, sono raccomandate per quello che oggi definiremmo bagaglio a mano: una borsa che custodisce il “portaorologio”, il libro da messa, il libro degli indirizzi, i portaritratti con le effigi dei familiari, e una coperta da viaggio. Chissà se l’inquietudine provata dalle signore dell’epoca, nel sapere caricati sui vagoni bauli e valigie da portare alla villa, era affine a quella di chi, oggi, in un aeroporto, si chiede se il trolley arriverà davvero a New York e non finirà, magari, a Tunisi…
Le vesti muliebri inseguono il compromesso fra esigenze di relativa semplicità e schemi sartoriali  complicati: all’inizio del secolo si afferma un nuovo modello di busto che spinge in fuori il seno, appiattisce lo stomaco e irrigidisce la schiena, conferendo alla figura alterigia e slancio. Sensazione data anche dai colletti steccati che costringono a mantenere la testa ben eretta.
Le gonne fasciano i fianchi, e sono più larghe sul fondo, talvolta culminando in un corto strascico. I corpini, aderenti sulla schiena, sul petto diventano voluminosi, con pieghettature, ornamenti e merletti. Per aumentare ulteriormente quest’effetto a curve, le cinture assecondano la forma dei corpini, abbassandosi sul davanti. Per l’estate, con l’eccezione dei modelli per balli o garden party eleganti, pronti a trasferire all’ombra degli alberi e sui prati tutta la sovraccarica plasticità delle linee “di tendenza”, vengono consigliati vestiti simili a quelli da passeggio, un poco alleggeriti nei tessuti ( batiste, crespi, garze, foulard, tussor, chiffon) e nei decori. Le bluse, proposte in batista, con “tramezzi e guarnizioni”, non eludono comunque l’altissimo colletto, e si accompagnano a gonne “importanti” e cinture strette. Complementi irrinunciabili sono colletti e jabots di pizzo, scialli di seta, cappelli e spilloni per fissarli, merletto spagnuolo ( la mantilla che alcune portano durante le funzioni religiose). Le più giovani, se non proprio le più spregiudicate, cominciano comunque a ispirarsi ai completi d’oltreoceano, con giacche e gonne dritte, portate dalle americane fin da metà’800, o a quella che fu all’inizio la tenuta delle suffragette, gonna scura semplice e camicetta chiara, completata da solino e cravattina. Le scelte più innovative, anche quelle signore e signorine poco inclini a osare, finiscono per compierle nel nome dello sport. La rivista “La
Stagione” fin dall’ultimo scorcio del diciannovesimo secolo, proponeva il look perfetto della giocatrice di tennis: gonna a pieghe, “blusa increspata”, giacchettina, “berretta di stoffa”, guanti bucherellati. Gli stessi guanti forati sono indispensabili per andare in bicicletta, come la paglietta col velo.

Nel 1905, un altro giornale di moda, “Regina”, proponeva una variante della “combinazione” (nome di solito utilizzato nell’ambito della lingerie per indicare una sorta di sottoveste intera comprendente il copribusto), chiamato “piccola tenuta”: corpetto e calzoni alla zuava in un unico pezzo, raccomandati per le attività all’aria aperta, inclusi gli esercizi ginnici di cui l’articolista evidenzia i benefici. L’anno successivo, le pagine de “L’arte e la moda” suggerivano completi più tradizionali, col solo capriccio di cappelli e dettagli “alla tirolese”, dalle penne di gallo cedrone, ai bottoni metallici, ai ricami con stelle alpine, alle villeggianti intenzionate a compiere passeggiate ed escursioni; la giornalista raccomandava anche di munirsi di un bastone, magari con pomo grazioso, ornamenti civettuoli (mentre sorpassata definiva la foggia alta e settecentesca) perfino per i semplici “quattro passi”. Lo scopo? Difendersi da “cani e importuni che abbondano per le vie di campagna”, tanto che, a chi si fosse trovata sprovvista di un proprio bastone, consigliava di prenderne in prestito uno del marito o del fratello. Del resto, per la vita di ogni giorno in campagna, veniva suggerito di utilizzare gli immancabili ombrellini parasole, ma in materiali semplici e con manici robusti, pronti come arma impropria in caso di spiacevoli incontri: i modelli di trina, con impugnature sottili d’avorio, osso, legno istoriato, erano riservati a percorsi
sicuri, feste del paese cui partecipare in gruppo e sofisticati trattenimenti all’aperto. Per le signore che non si limitavano a piccole passeggiate, ma salivano in collina e non esitavano a superare ruscelli, strade erte o steccati, le sarte approntavano “uncinelli” o ganci sulle cinture, cui fissare un lembo della sottana per oltrepassare gli ostacoli senza difficoltà.
E poi, c’era il femminile vezzo, oltre che la difesa dal caldo, del ventaglio, quello di piume o sete pregiate per le grandi occasioni, come quelli semplici: “in campagna tutti i capricci sono permessi, e si può servirsi indifferentemente della foglia di palma, del tessuto di paglia, fatto dalle brune mani di qualche artista selvaggio, del ventaglino giapponese, di quello di semplice carta bianca, destinato a raccogliere il nome ed un pensiero delle infinite, e qualche volta interessanti conoscenze dei ritrovi estivi” Queste considerazioni vengono dettate ne “Le buone usanze” di Mantea, alias Gina Sobrero, e, datate 1904, richiamano l’abitudine di raccogliere firme e dediche, amichevoli o galanti, proprio facendole scrivere sul ventaglio. ...

L'AUTRICE
Patrizia Ferrando, è nata a Genova nel 1974 e vive ad Arquata Scrivia.
Giornalista pubblicista, collabora a riviste femminili e blog dedicati a libri e decorazione d’interni, alternando articoli e scrittura narrativa, sempre all’insegna del desiderio di raccontare. Appassionata di storia e di storie, adora inseguire entrambe fra romanzi, arte, cinema e teatro. I suoi luoghi preferiti sono librerie, mercatini, dimore eccentriche e botteghe insolite.



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VI PIACCIONO QUESTI TIPI DI LETTURE DI RICERCA STORICA CHE VI FANNO RIPERCORRERE CHE INDAGANO SU COMPORTAMENTI E COSTUMI DI UN'EPOCA?

8 commenti:

  1. Patrizia sa essere davvero evocativa, perciò sono certa che queste pagine avranno la capacità di trasportare il lettore in un altro tempo!
    E poi è ligure come me, perciò... ;-)
    Complimenti e in bocca al lupo!
    Cassie

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  2. Libro interessante, forse un filo malinconico.
    Nn c'entra niente, ma l'accenno al tennis mi ha fatto pensare alla famosa scena della partita a tennis de "Il giardino dei Finzi-Contini", libro e film, forse x lo stesso senso di ineluttabilità e di fine incombente di un mondo, cosa di cui i protagonisti nn si rendono conto, ma noi lettori/spettatori sì.
    Mia nonna era originaria di un paesino del Triangolo Lariano dove, fino a circa 35/40 anni fa, i "signori" milanesi di una certa età venivano ancora in villeggiatura.
    Adesso tutti qs posti sono pieni di antiche ville liberty in disuso e chiuse da anni, dato che i discendenti di quei signori se ne vanno in vacanza alle Maldive.

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    1. Che la crisi contingente riporti ad aprire le ville e lasciare le spiagge esotiche a tempi migliori?
      Qualcosa mi dice però che la manuntezione di certe ville sia più costosa e quindi meno praticabile di un biglietto andata e ritorno per le Maldive.

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    2. Hai ragione Francy. Con le Maldive niente tubi dell'acqua dei tempi della regina Elena che perdono e allagano il parqué!

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  3. Cara Lady, sai che nel libro ho proprio inserito un riferimento ai Finzi Contini nello stesso senso da te indicato, ovvero la grazia formale di un mondo al crepuscolo, anche se in questo caso non incombe la tragedia dell'Olocausto ma solo un crudo cambiamento di costume? Nel frattempo vi ringrazio, e rivolgo un grazie speciale alle bibliotecarie!
    Patrizia

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    1. Allora siamo telepatiche! Giuro, nn so xché, ma leggendo l'estratto m'è venuta l'associazione d'idee! :-)

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  4. Da piccola andavo in vacanza con mia nonna a Val Madonna, un ameno paesino nelle campagne alessandrine, in cui lei ( di Alessandria) per anni aveva passato le vacanze estive e mia mamma con lei. Pensare ora che si possa 'andare in vacanza' a pochi chilometri dalla città sembra un po' strano, ma un tempo, come racconta il libro di Patrizia, era in effetti così, e personalmente ho ricordi bellissimi di quelle estati a Val Madonna (riuscivo a sopportare anche mia nonna, con la quale non ho mai avuto un rapporto idilliaco) e di recente ci sono voluta tornare. L'ho trovata al contempo molto cambiata ma anche, in molte cose, uguale a quella che mi ricordavo, quella delle estati dei mie quattro, cinque, sei anni. La stessa casa con il giardino che confinava con l'asilo delle suore da cui io spiavo i bambini durante la ricreazione, la stessa strada con la chiesa poco distante e davanti la panetteria, dove compravamo quei meravigliosi grissini torinesi; il bar di fronte alla casa dove andavo da sola a prendermi il gelato o la gazzosa. E il viale alberato 'delle rimembranze' che con una dolce salita porta al cimitero del paese. Un 'ritorno al passato' che mi ha fatto bene al cuore, perchè quelle estati della mia infanzia in villeggiatura a Val Madonna non le ho mai dimenticate. Lo stesso non posso dire di molte vacanze più recenti.

    Francy

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    Risposte
    1. Anch'io da piccola andavo in vacanza con mia nonna al paesello, d'estate arrivavano sempre le giostre e i pomeriggi duravano un'eternità. Mi ricordo le visite alle sue amiche e il loro chiacchierare fitto in dialetto e tutte le mattine si usciva a far la spesa, che si segnava sul "libretto" e si pagava a fine mese. Anni luce fa.

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