Oggi terminiamo in bellezza la settimana quasi tutta dedicata al libro della 'nostra' Adele Vieri Castellano ( uscito il 31 gennaio) con un altro esclusivo estratto del libro in cui appare un nuovo personaggio che...ha già tutte le caratteristiche del futuro eroe! Massimo Valerio Messalla, è un giovane scapestrato dell'aristocrazia romana che, vedrete, ci darà grandi soddisfazioni!
ESTRATTO DA ROMA 42 DC - CUORE NEMICO (Leggereditore)
ESTRATTO DA ROMA 42 DC - CUORE NEMICO (Leggereditore)
Massimo Valerio Messalla era
sdraiato in una delle cubicola più eleganti del lupanare di Calpurnia Gioviale,
il corpo magro abbandonato sopra alle coltri. Unico segno di vita, poiché
teneva gli occhi chiusi, il pene vigoroso e lucido di saliva che due lupe si contendevano, entrambe a quattro
zampe sopra al corpo del giovane.
Erano nude e alticce visto che al
giovane Messalla non piaceva sbronzarsi da solo e i suoi amici dividevano con
lui i dolci momenti della gloriosa gozzoviglia.
C’erano Ottavio Coedio Proculo
del ceto equestre e Paolo Fabio Sertorio. Paolo era accomodato su una
poltrona, un vero trono degno di re Mida con
cuscini e un drappo che ben si accordava ai suoi riccioli dorati. La sua pelle
lattea contrastava con quella nera e lucida della giovane che faceva il suo
dovere, davanti alle virili cosce spalancate.
Ottavio Coedio Proculo, allungato
sul divano, si sollevò d’un tratto sui gomiti e diede un’occhiata ai suoi
amici. Afferrò un lembo del panno di lino che pendeva dalla spalliera e si pulì
degli umori appiccicosi emettendo un sonoro sospiro.
«Ho bisogno d’aria.» Si lamentò.
Il corpo nudo di Messalla vibrò
nell’orgasmo accompagnato da un basso lamento mentre una delle due lupe chine
su di lui dirigeva il getto di sperma sulla faccia dell’altra, ridendo
sguaiata. Egli sussultò ancora per qualche istante poi il lamento mutò in una
risatina soddisfatta, una palpebra si aprì e l’iride esaminò la stanza
posandosi su Proculo, che si stava dirigendo barcollante verso la porta.
«Ottavio, dove vai?» Gracchiò con la voce così roca da essere
irriconoscibile.
Massimo si costrinse ad aprire
anche l’altro occhio, sospirò ancora un po’ tremante e si guardò il pene ormai
moscio che una delle due non aveva smesso di trastullare.
«Piantala!»
Comandò con un tono perentorio che sarebbe piaciuto a suo padre, posto che
fosse usato sul fronte di qualche provincia dell’Impero e non nei ranghi osceni
di un lupanare.
La giovane si rifugiò spaventata
in un angolo del grande letto insieme alla compagna e Massimo si sollevò cauto
per non tormentare né la testa che girava né lo stomaco, che sembrava in
procinto di precipitare dal Saxum Tarpeium.
Si ritrovò seduto, i piedi nudi
sull’irritante ruvidezza della stuoia.
Massimo aveva gli zigomi rilevati
intorno a un naso aquilino che non stonava affatto con la bocca carnosa, in
quel momento storta in una piega scontenta. Le sopracciglia erano spesse sopra agli
occhi azzurri, la sinistra resa imperfetta da una piccola cicatrice frutto
della bacchettata di un arcigno maestro dell’infanzia.
I capelli ondulati erano neri
come carbone e si sarebbero conservati così fino alla tarda età, com’era
capitato al famigerato nonno, arricchitosi a spese dei Numidi.
In piedi si stiracchiò sfiorando
il soffitto di travi e gesso, le braccia indietro, le costole in evidenza e poi
camminò fin sulla soglia curioso di scoprire dove fosse finito Ottavio, di
tutti i suoi compagni quello che preferiva, con cui era cresciuto.
Il giardino era ben curato e se
non fosse stato per i gemiti, le donne nude e gli uomini che entravano e
uscivano dalle numerose stanze avrebbe potuto pensare di essere a casa sua.
Il senatore Gaio Valerio Messalla, padre di Massimo |
Il vecchio rompiscatole sarebbe
morto di crepacuore ma lui si sarebbe divertito eccome a trasformare l’avita
villa degli antenati adagiata sull’Aventino, una delle più grandi di Roma, in
un gigantesco, orgiastico lupanare.
In fondo lui sapeva fare solo
quello e solo quello lo divertiva. Sesso, bevute e ozio possibilmente in
compagnia di qualche attore comico o qualche musico, giusto per riempire le
lunghe ore della notte.
Attraversò un filare di cespugli
dove una coppia si stava sollazzando al ritmo cadenzato di un amplesso. Non si
voltò neppure a guardare le cosce filiformi di lei, per quella sera si sentiva
esausto e anche un po’ schifato. Gli capitava sempre più spesso così pensò che
per dimenticare i ricordi avrebbe finito di ubriacarsi appena scovato l’amico.
Ed eccolo là, piegato sopra alla
vasca tonda al centro della quale un trittico di ninfe mostrava le grazie,
eccolo il più bel sedere virile di Roma a detta di Marcello Manio Lucinio e l’amico,
di quel particolare dell’anatomia maschile, se ne intendeva eccome.
«Se ti vede Marcello in questa posizione stavolta non
gli scappi. Per fortuna stasera non è della partita.» E gli schioccò di piatto una manata sulla natica
dal colorito lunare.
Ottavio Coedio Proculo si girò
con una smorfia e con un balzo gli saltò addosso. Rotolarono sull’erba densa di
rugiada come giocosi cuccioloni, le membra nude attorcigliate, le mani che
mollavano pugni e sberle più rumorose che offensive fino a quando l’impeto si
smorzò e si ritrovarono viscidi, raffreddati e col fiato corto a braccia
spalancate, a fissare il cielo.
«A Marcello Manio piacciono le donne.» Puntualizzò Ottavio posando la mano sul cuore impazzito nel petto.
«Sì, e io domattina parto per il
fronte germanico.»
Scoppiarono a ridere sguaiati. La
storiella di suo padre che voleva spedirlo come giovane tribuno fin sul Limes
li aveva divertiti per tutto l’inverno.
Che idea ridicola.
Tra loro calò il silenzio,
colmato dagli schiamazzi incessanti del lupanare. Massimo sollevò un braccio come
per toccare le stelle.
«Li vedi laggiù Orione e il Cane
Maggiore?» disse puntando un dito sull’angolo di cielo a oriente «quella
luminosissima è Sirio e là c’è l’Auriga, a forma di pentagono.»
Si udì un fruscio. Ottavio aveva
piegato un ginocchio e si era messo comodo, un braccio sotto la testa. Lui
invece si sollevò sul gomito.
«Quella è l’Orsa Maggiore e sopra
alle nostre teste c’è il grande quadrilatero di Pegaso e poi Andromeda e Perseo
e lassù il più bello: il triangolo incompiuto di Cassiopea.»
«Quando parli così sembri un astronomo. Fai paura,
Massimo. Troppa scienza, troppa solennità.»
Il braccio del giovane Messalla
calò brusco e il suo naso aquilino puntò l’amico.
«Sono solo vaghi ricordi. Non leggo più di
astronomia, da tempo. Non leggo più niente.»
«Già, lo so bene.»
Massimo levò lo sguardo da sotto le ciglia aggrottate e
fissò Ottavio.
«Sono affari miei.» Rispose.
Ottavio avrebbe voluto dirgli qualcosa ma si trattenne.
L’ultima volta che aveva tentato di consolarlo e dirgli che la vita continuava,
che un giorno avrebbe trovato un’altra donna da amare, che era così per tutti,
Massimo lo aveva quasi strangolato e non si era fatto vedere per settimane.
Tacque, era meglio averlo sottocchio e divertirsi con lui piuttosto che
perderlo.
«Amico, un tempo avevamo altri sogni.» Si limitò a sussurrare.
Massimo Valerio Messalla arricciò
il labbro e si lasciò cadere di nuovo nell’umidità fragrante del prato.
«Ora preferisco le cosce delle donne e un buon
bicchiere di Falerno.»
Dichiarò convinto.
«Non hai tutti i torti.» Sghignazzò Ottavio.
Quando
tornò a guardare gli astri piantati nel cielo, Massimo sospirò e ripensò al
poema di Manilio che aveva letto
tante volte alla donna amata, che gli era stata strappata per sempre, e alla
frase rimasta impressa nella sua memoria: “…su
un carro solitario solcherò il cielo, con una barca tutta mia fenderò le onde.” ....
COME AVETE TROVATO QUESTO NUOVO ESTRATTO DI ROMA 42 DC E IL PERSONAGGIO DEL GIOVANE MASSIMO?
Posto solo ora.
RispondiEliminaNon posso fare che complimenti all'amica Adele. Brava, veramente brava.
Miriam
Grazie Miriam, un abbraccio virtuale che spero di rendere reale alla Vie en Rose a Firenze... ma ho avuto brave maestre! E mi sfugge un veloce consiglio a tutte le aspiranti scrittrici: leggete, leggete e leggete... soprattutto le italiane, imparerete molto perché NON sono traduzioni!
RispondiEliminaUn bacio a tutte!