Rimase
nell’ombra, spettatore impotente di quell’ ingiustizia, di quella vergogna. La
gola serrata da un assurdo senso di colpa, attese impaziente di vederla uscire
dalla locanda come una ladra, scortata dal padre e da Archie Campbell. Nella
luce opaca della sera camminava col capo chino, rassegnata. Un attimo prima di
salire in carrozza si voltò. I suoi occhi, affogati nelle lacrime, si posarono
su di lui e le sue labbra si aprirono appena, ma non emisero suono. Edward
Ashley, nero come la furia che lo divorava, invocò i demoni della vendetta. E
poco dopo li scatenò.
Una settimana prima
Tutto
era cominciato da White’s, dove Edward Ashley quella sera non si sarebbe recato
se un suo lontano cugino non avesse insistito tanto. Sì, quella sera se ne
sarebbe rimasto volentieri a casa, perché non c’era per lui nulla di più
fastidioso che presentarsi in pubblico prima che l’eco della sua ultima,
vittoriosa impresa si fosse spenta. Ed era palese che tutta Londra parlasse
ancora di come il Duca di Bennington, detective per diletto, avesse portato i runner alla cattura del famigerato
assassino di Southwark.
Edward
Ashley era il Duca di Bennington.
Così,
pur con aristocratica riluttanza, aveva fatto il suo ingresso nel prestigioso
club di St James Street dove al suo passaggio parecchi bicchieri si erano
levati. E a causa del troppo brandy,
cui non era avvezzo, era caduto come un principiante nell’agguato del conte di
Hartford, Fitzwilliam Coolidge.
“Bennington,
una parola, vi prego!” lo aveva apostrofato mentre già stava lasciando il club.
Per
un istante Edward aveva pensato di fingersi talmente ubriaco da non aver
compreso: cosa poteva mai volere quel vizioso, arrogante bastardo da lui? Ma
poi, per non finire la serata con un guanto sbattuto in faccia, respirò
profondamente e...
“Hartford…”
disse.
“Vostra
Grazia…Avrei una questione della massima importanza da sottoporvi.”
“Che
non può attendere sino a domani?”
“Ahimè,
no.”
Edward
lo aveva guardato sospettoso e irritato.
“Va
bene, ma siate breve.”
“E’
a causa di mia figlia se vi importuno.”
“Voi
avete una figlia?” All’improvviso si ricordò di una ragazzina spaurita
incontrata molti anni prima e di uno scandalo che l’aveva coinvolta.
“Sì,
l’unica gioia della mia vita.”
Alzando
un sopracciglio, e pensando che le gioie di Hartford fossero ben altre di
quelle della famiglia, Bennington gli fece cenno con la mano di proseguire.
“Olivia,
la mia dolce bambina…Scomparsa, da due settimane.”
Lo
sguardo di Edward si era fatto ancora più irritato. A conti fatti, la ragazza
non doveva proprio essere una bambina…
“Avete
considerato la possibilità che sia fuggita con un amante?”
“Sulle
prime, in effetti, ho temuto che fosse stata irretita da un cacciatore di
dote…”
Gli
occhi di Edward si alzarono di nuovo al cielo. Considerati i debiti del padre,
poteva con facilità prevedere che la dote di Lady Olivia non fosse così
appetibile.
“…ma
poi ho capito che se ne era semplicemente andata.”
Edward
corrugò la fronte.
“Avete
avvisato le autorità?”
“Per
far scoppiare uno scandalo? No! A dire il vero non sono preoccupato per la sua
salute: Olivia mi ha scritto, so che sta bene.”
Edward
stese una mano e Hartford, dopo qualche resistenza, gli porse un foglio
stropicciato.
“Leggete
voi stesso,” disse.
Bennington
lesse. Poi gli restituì la lettera e si massaggiò la fronte.
“Perché
non la lasciate in pace, Hartford? Da quanto scrive, lady Olivia vuole solo tornare nel Devonshire a vivere
con gli zii.”
L’altro
tacque e scosse la testa. “Si vede che non avete figli, vostra grazia. Come può
un padre non preoccuparsi della propria bambina? Io desidero il meglio per lei.
Che futuro potrebbe mai avere nel Devonshire?”
Bennington
si massaggiò ancora la fronte, incerto. Ed Hartford portò l’affondo.
“Se
voi, con le vostre straordinarie capacità d’investigatore, poteste aiutarmi a
ritrovarla… Siete la mia sola speranza per risolvere la cosa con discrezione.”
Infastidito,
più che lusingato da quelle parole, Edward tentò di rifiutare, ma Hartford si
esibì in un altro colpo maestro: sfoderò con un sospiro una fedele miniatura
della figlia. Bennington la guardò e seppe di essere spacciato.
“Premiata Ditta Davidson,
librai e tipografi in Richmond dal 1775”, diceva l’insegna.
Già.
Dopo
aver sottoposto il giorno precedente la camera di Lady Olivia ad una minuziosa
perquisizione e la servitù ad uno scrupoloso interrogatorio, Lord Bennington se
ne era andato da Hartford House alquanto deluso e con in mano solo quel misero
indizio: l’indirizzo della libreria da cui provenivano tutti i libri della fuggiasca. L’appellativo, come
Bennington scoprì poco dopo, era stato affibbiato alla ragazza da Lady
Hortensia Ashley, vera autorità in materia di pettegolezzi, nonché sua
zia.
Quando,
quello stesso giorno, Edward si era presentato da lei, Lady Hortensia
era
apparsa sorpresa che il nipote fosse interessato alla giovane. Poi aveva
ammesso che la ragazza le andava a genio, a dispetto del padre odioso e del
fatto che non avesse un piffero di
dote. “Hai il mio permesso di corteggiarla,”
aveva concluso con enfasi.
Lui
aveva scosso la testa.
“No,
ma chère tante. Il mio interesse per
la ragazza è solo professionale.” Davvero
lo è?
Zia
Hortensia gli fece segno di proseguire.
“Lady Olivia è sparita e il padre mi ha pregato di
riportarla a casa.”
“La
fuggiasca non ha perso il vizio, dunque…”
“La
fuggiasca?”
“Già,
glielo diedi io quel nome. Dopo la morte della madre, nel 1816, quella povera bambina divenne famosa
per le sue fughe da casa! Dissapori con il padre, si diceva. Finì a vivere con
gli zii materni nel Devonshire e non si è saputo più nulla di lei sino al
giorno in cui, qualche mese fa, è ritornata a Londra. Non hai letto di lei
sulle pagine mondane? Possibile che tu non l’abbia mai incontrata?”
Edward
pensò alla miniatura di Olivia e sentì il sangue scorrere più veloce nelle
vene. Si alzò di scatto e cominciò a camminare nervoso. “Dovreste sapere
che di rado frequento gli eventi mondani…”
“Lo
so fin troppo bene, Bennington, ed è per questo che mi domando dove speri di
poter trovare una moglie. In una bettola di Southwark?”
Edward
alzò gli occhi al cielo. Come se non avesse cose più importanti di cui
occuparsi, in quel momento. Si schiarì la voce, a disagio.
“Che
voi sappiate, la ragazza ha un corteggiatore? Magari qualcuno che il padre non
approva?”
Lady
Hortensia scosse il capo.
“Semmai
credo si tratti di qualcuno che il padre approva,
ma lei no. Qualcuno come… Sir Campbell.”
Solo
a sentire pronunciare quel nome, Bennington si irrigidì.
“Un
paio di settimane fa, al ricevimento di Lady Maylon, al quale tu naturalmente mancavi, non le ha mai
tolto gli occhi di dosso. E neppure le mani, se ben ricordo.”
Una
fitta di rabbia attraversò il volto di Bennington, mentre le dita si
stringevano intorno al pomolo del bastone, quasi fosse il collo di Campbell.
Che fosse fuggita a causa
delle avances di quel verme?
Cercando
di ostentare indifferenza, disse:
“Dovreste
lavorare con me, cara zia. Avete la stoffa dell’investigatore.”
Lady
Hortensia sorrise.
Il
campanello tintinnò quando Bennington entrò nella bottega dei Davidson, accolto
da un commesso dall’aria timida. Il negozio era luminoso e pulito, con un lungo
banco e molti scaffali zeppi di libri. Alcune file di sedie erano
disposte a semicerchio contro la parete di fondo. Senza perdersi in
preamboli, come era nel suo stile, chiese: “Sapete dove posso trovare una
vostra cliente, Miss Olivia Coolidge?”
Il
commesso lo aveva fissato con sospetto.
“La
conoscete personalmente, signore?”
“Certo!”aveva
risposto Bennington con fare oltraggiato.
“Capisco…Potrete
incontrarla oggi pomeriggio, durante la riunione,” aveva ribattuto il commesso.
Di che accidenti parla
quest’uomo?
Al
contrario del commesso, Edward non capiva affatto. “Già, dimenticavo, la
riunione!” rispose battendosi la fronte con enfasi. “E…a che ora sarebbe?”
“Alle
cinque precise. Ma venite prima, se volete trovare posto. Miss Coolidge,
pardon, Mademoiselle Dorée, ha moltissime ammiratrici.”
Ammiratrici?E chi sarebbe
questa Mademoiselle Dorée?
Bennington
brancolava nel buio più totale. Stava per chiedere delucidazioni, quando il
commesso gli venne in aiuto:
“Avete
già letto il suo ultimo romanzo, signore? E’ bellissimo! Se ne volete una
copia, fanno 30 scellini.”
La
bocca di Bennington si aprì di scatto, rischiando una slogatura alla mandibola.
Per Giove!
Lady
Olivia non era solo una lettrice accanita. Era una scrittrice conosciuta con lo
strampalato pseudonimo di Mademoiselle Dorée.
Il
commesso prese il libro dalla vetrina e glielo porse.
“Trenta
scellini, sir!”
Con
il volume in mano Bennington uscì strabiliato dal negozio, sicuro di avere già
risolto il caso.
Lady
Olivia, una scrittrice! Chi l’avrebbe mai detto?
In
quello stesso momento Mademoiselle Dorée, ovvero Olivia Coolidge, guardava il
mondo da una finestra del Leone Blu, la locanda al lato opposto della strada.
Un uomo elegante e di bell’aspetto stava uscendo dalla bottega dei Davidson con
Lo spettro di Mrs Minniper sotto il
braccio.
Un
suo lettore! E maschio per
giunta! Un maschio alto, robusto e distinto, da quanto le era dato di vedere. I
capelli erano forse biondi? E gli occhi, verdi? Per un istante lo sconosciuto
aveva alzato lo sguardo e lei subito si era nascosta dietro la tenda, il volto
in fiamme e una strana sensazione nel cuore. Si sporse per dargli un’altra
sbirciatina, ma lui non c’era più. Sospirando si allontanò dalla finestra e
sorrise a Miss Davidson.
“Non
sapete quanto apprezzi l’amicizia vostra e dei vostri fratelli, signora. E non
solo perché avete pubblicato i miei due romanzi…”
“Con
profitto, mia cara, con molto profitto…E ora saremmo felici di vederti
sistemata. In una casa tutta tua. Magari qui a Richmond…”
Olivia
scosse la testa.
“Dopo
l’incontro di oggi, andrò al Nord dove mio padre non potrà trovarmi. E il
giorno del mio venticinquesimo compleanno, esattamente fra quattro mesi e sei giorni,
sarò finalmente libera…” e sola pensò
con un fremito di malinconia. Respirò profondamente e per scacciare ogni
timore si mise a volteggiare per la stanza, i lunghi capelli neri sciolti sulla
schiena.
Chissà
come sarebbe stato danzare tra le braccia di quello sconosciuto?
Alle
cinque meno dieci di quel pomeriggio, Lord Bennington entrò nella bottega dei
Davidson e prese posto nell’ultima fila di sedie, sollevando un certo trambusto
tra le molte signore presenti.
Nelle
ore precedenti aveva passeggiato al sole di aprile lungo la sponda del Tamigi,
mangiato pesce fritto e divorato, in senso metaforico, “Lo spettro dell’impareggiabile Mrs Minniper”, romanzo gotico di
Mademoiselle Dorée.
Dannazione! Si era detto sulle prime.
Di
tutti i generi, proprio il gotico?
Tanto strampalato da essere alla moda? Sbuffando si era rassegnato al suo
destino e, cullato dal suono dolce delle acque del Tamigi, aveva cominciato a
leggere.
Dannazione! Aveva ripetuto a pagina
quindici.
Il
romanzo non era affatto male. Anzi, era ironico e divertente e poi… non così gotico. E celava tra le righe un
disprezzo altezzoso per il bel mondo che sua grazia non poteva che condividere.
Oltre
ad essere incantevole, Olivia Coolidge era pure intelligente, arguta e
spiritosa. Ed esperta nell’arte della fuga. Una donna perfetta? Forse. Più
probabilmente, una donna pericolosa.
Ed
era a lei che stava pensando, gli occhi socchiusi e un sorriso ebete sulle
labbra, quando fu riportato alla realtà dalla gomitata che la sua vicina di
posto gli rifilò nelle costole per avvisarlo dell’arrivo di Mademoiselle
Dorée. Bennington alzò lo sguardo e la
vide.
Entrando
nella bottega dei Davidson, Olivia Coolidge non poteva certo sapere che la sua comparsa avrebbe provocato
nel duca di Bennington, dodicesimo in linea di successione al trono
d’Inghilterra, un attimo d’improvviso stordimento. Per la verità sulle prime
neppure si accorse di lui. Fu solo dopo, quando già aveva cominciato a
raccontare dell’impareggiabile Mrs Minniper, che lo notò. E in quello stesso
momento il suo cuore mancò un battito.
Non è forse là, nell’ultima fila, il gentiluomo di questa mattina?
Per
qualche istante Olivia non riuscì a riprendere il filo del discorso, la sua
attenzione totalmente calamitata da quello sconosciuto.
In
lontananza i suoi capelli le erano apparsi più scuri e gli occhi, che aveva
creduto verdi, erano in realtà nocciola. Ma furono le labbra dell’uomo che le
provocarono un fremito inconfessabile e il desiderio del tutto inappropriato di
sfiorarle con le dita, se non con la sua stessa bocca. Si erano aperte
all’improvviso rivelando denti bianchissimi e un sorriso tanto attraente quanto
pericoloso. Un sorriso che era certa di avere già visto. Ma dove?
Quando,
dopo le dediche e gli abbracci, i saluti e le congratulazioni, le ultime
appassionate lettrici di Mademoiselle Dorée se ne furono andate, Edward trasse
un profondo respiro, si alzò dalla sedia e con passo elastico, da predatore, le
si avvicinò. Per tutta la durata dell’incontro non era riuscito a toglierle gli
occhi di dosso e neppure ad elaborare un pensiero sensato, né un piano
d’azione, se è per quello. No, l’unico pensiero che in quei cinquantacinque
minuti l’aveva ossessionato era il modo in cui avrebbe potuto averla. In ogni
dannatissimo senso. Non appena i suoi occhi si erano posati su Olivia Coolidge
ogni fibra del suo corpo aveva reagito in modo bizzarro e insensato: il cuore
battendo con forza inusitata nel petto, i polmoni impedendogli di
respirare e altre parti imbarazzandolo come un ragazzino.
Desiderava
quella donna.
Non
tanto per la sua bellezza, quanto per la luce che si rifletteva dai suoi occhi
grigi, per la fierezza del suo portamento, per la deliziosa timidezza che certi
suoi atteggiamenti rivelavano, per la sua capacità di ironizzare su tutto con
quella sua lingua affilata. Per i suoi lucenti capelli neri raccolti da un
semplice nastro, azzurro come l’abito quasi virginale che indossava.
Come, in meno di un’ora, un uomo intelligente e smaliziato quanto il duca di
Bennington potesse essersi rimbecillito a tal punto rimane un mistero. Forse un
fulmine, in quel cielo sereno d’aprile, lo aveva trapassato. Forse una freccia
di Cupido. Il risultato, in ogni caso, era preoccupante.
Gli
dava le spalle, intenta a sistemarsi il cappellino, e fu solo quando lui
pronunciò con un tono di voce troppo intimo e profondo il suo nome -Mademoiselle Dorée- che si accorse
della sua presenza. Lì per lì sussultò, poi si girò piano piano, inspirò
profondamente e chiuse per un istante gli occhi. Fu in quell’attimo che lui
le catturò la mano per portarsela alle labbra. Un gesto sensuale, rapace e possessivo che scatenò in
lei un brivido inatteso e inopportuno. Spalancò gli occhi, sorpresa da tanta
impudenza.
Ancora
quella sensazione di avere già visto quel volto, quegli occhi indagatori color
nocciola…
Indagatori?
“Permettete
che mi presenti, signora,” fece lui continuando a stringerle con dolcezza le
dita nelle sue.“Edward Ashley. Sono un vostro fervente ammiratore.”
Lei
rispose prima con un semplice “oh” e con un goffo tentativo di riprendersi la
mano, poi il volto le si imporporò e la temperatura intorno a lei si alzò fino
a quasi impedirle di respirare.
Era
in trappola. Senza scampo. Senza più un futuro.
Edward Ashley!
Si
sforzò di riconquistare il suo aplomb e
sorrise.
“Sono
onorata di fare la vostra conoscenza, Mr Ashley. E dite, cosa esattamente ammirate in me?”
Una
replica sfacciata e irriverente che gli provocò un brivido di anticipazione e
un imprevisto disagio. Percepì un netto cambiamento in lei. Sembrava essere
diventata all’improvviso più cauta.
Spaventata?
Cercando
a sua volta di nascondere le proprie emozioni, Edward rispose.
“Ammiro
la vostra schiettezza, tanto per cominciare, e il vostro indubitabile talento.”
“Oh!
Siete il primo uomo che non ammira i miei occhi, o miei capelli, o il mio
portamento…Mr? Ho già dimenticato il vostro nome, perdonatemi.”
Perché questa messinscena,
Olivia?
“Edward
Ashley, Mademoiselle, al vostro servizio.”
“Davvero?”
“Davvero
cosa?”
“Davvero
siete al mio servizio, signore?”
Non provocarmi, ragazzina!
“Non
parlo mai a vanvera. Il mio davvero è
un vero davvero.”
“Sono
davvero stupita, allora” replicò lei,
sarcastica.
Lui
alzò un sopracciglio, quasi per intimidirla.
“In
quanto ai vostri occhi,” continuò con il sopracciglio sempre più sollevato, “mi
è parso pleonastico dirvi che sono incantevoli, dal momento che ne siete
perfettamente conscia. Così come lo siete dell’eleganza del vostro…mmm,
portamento.” Lo sguardo di Bennington scese lentamente dagli occhi sino ai
piedi di Olivia, provocandole un’involontaria ondata di piacere.
Assaporando
quella piccola vittoria, lui continuò:
“Se
solo voleste concedermi una dedica, qui sulla prima pagina del vostro
romanzo...”
Fu
Olivia questa volta a sollevare un sopracciglio. Anzi due.
“Lo
farei con gioia, signore, se potessi tornar padrona della mia mano.”
Già,
la mano. L’aveva tenuta stretta nella sua infischiandosene delle buone maniere.
“Avete
ragione, Mademoiselle Dorée. Perdonate, la mia grave impertinenza.” Lasciò la mano, ma non
prima di aver posato le sue labbra sul polso di lei, dove il sangue pulsava più
forte. La sentì trattenere il respiro e poi emettere un suono sottile, un sì forse, straordinariamente sensuale.
Sua
grazia vacillò.
Senza
mai distogliere gli occhi dal suo collo sottile, seguì Olivia sino al bancone
in preda a pensieri non riferibili che gli provocarono non riferibili reazioni
fisiche. Quella donna era una vera
minaccia.
“Prego,
Mr Ashley,” disse la minaccia
allungando una mano.
Lui
le porse il libro, senza una parola, per timore che anche la sua voce, come il
suo corpo, lo potesse tradire.
Lei
lo aprì e intinta la penna nel calamaio cominciò a scrivere, dandogli le
spalle, in modo da impedirgli la visuale. Edward, molto più alto di lei,
allungò il collo, non tanto per spiare, ma per bearsi del profumo dei suoi
capelli, e…
“Mr
Ashley, non sbirciate, per favore,” lo apostrofò lei. “Siate invece così
gentile di andare nel retro e di procurarmi un bicchier d’acqua. Muoio di
sete.”
Un
impercettibile tremolio nella voce e nelle spalle di Olivia gli suggerì che
fosse nervosa, ma non vi diede peso. Così scivolò nel retrobottega
e, mentre aspettava il commesso con il bicchiere, sentì il campanello
della porta tintinnare.
Maledizione!
Con
un brutto presentimento, corse nell’altra stanza.
Olivia
non c’era più.
Sparita,
svanita nel nulla, fuggita.
Ancora
una volta!
Si
precipitò fuori e si guardò intorno. Destra, sinistra. Nessuno. Imprecando, tornò al bancone, afferrò il libro e lesse la
dedica:
“Vostra
Grazia, mi avete scovata, ma non riuscirete a riportarmi a casa. Riferite
a mio padre che non sposerò mai quel porco. Con riconoscenza…Mademoiselle
Dorée.”
Quel porco?
Era
dunque quello il motivo della fuga di Olivia Coolidge? Un matrimonio forzato
con Sir Campbell? Come biasimare la poveretta se non per avergli fatto
fare la figura del cretino? Infilandosi il libro in tasca, uscì in strada nella
luce del tramonto e cominciò a cercarla.
Dalla
sua finestra del Leone Blu, Olivia lo vide precipitarsi fuori dalla
bottega, il volto stravolto dalla collera. Si concesse un risolino fiero,
soddisfatto.
Se
era riuscita a farsi beffe del famoso Duca di Bennington, allora sarebbe
riuscita a far perdere le tracce anche a suo padre e a quell’essere disgustoso
di Archie Campbell. Non doveva resistere che quattro mesi, poi sarebbe stata
libera.
Se
solo Bennington…
Si
appoggiò al muro e avvampò ripensando a come i suoi occhi l’avevano con
impudenza accarezzata, a come le sue labbra sensuali avevano assaporato
l’interno del suo polso, a come quelle sue belle mani avrebbero potuto toccarla
se solo... Rabbrividì, in preda a sensazioni che mai e poi mai avrebbe dovuto
provare per un traditore che stava per venderla a suo padre.
L’aveva
cercata per tutta Richmond, senza trovarla, commettendo l’errore più comune
dell’investigatore principiante.
Aveva
usato le gambe e non la testa.
Imbecille!
Perché
Lady Olivia – per quanto fosse una minaccia- di sicuro non poteva essere
sparita nel nulla. Doveva essersi nascosta nelle vicinanze, probabilmente nella
locanda dirimpetto alla libreria.
Per
la terza volta Edward si batté una mano sulla fronte e di corsa, borbottando
contro la sua dabbenaggine e l’astuzia di quella femmina, raggiunse il Leone Blu.
Troppo
tardi.
Nella
strada ormai buia e deserta due uomini stavano smontando da una carrozza. Non
ebbe bisogno di guardarli in faccia per capire chi fossero.
“Lord
Hartford,” urlò Bennington raggiungendolo. “Che diavolo ci fate a Richmond?”
“Vostra
Grazia,” fece quello inchinandosi con fare irridente. “Sono venuto a
riprendermi mia figlia, che voi avete
ritrovato in soli due giorni. La vostra fama é del tutto meritata!”
Seguendo
l’istinto, più che la ragione, Bennington fece per scagliarsi contro l’uomo, e
non con le migliori intenzioni, ma fu trattenuto all’ultimo da Sir Campbell.
“Levatevi
di torno,” abbaiò, liberandosi di lui senza fatica.
Campbell
alzò le mani, in segno di resa. Non era certo il caso di cominciare a fare
l’eroe con un individuo pericoloso come Bennington.
Rimanendo
a debita distanza, Hartford chiese: “Perché ve la prendete tanto, Bennigton?”
“Perché,
chiedete? Perché avete abusato della mia fiducia facendomi seguire da un vostro
scagnozzo, tanto per iniziare.”
Hartford
alzò le spalle. “E’ vero, l’urgenza a volte ci fa agire in modo disdicevole.”
“E
in secondo luogo, perché avete venduto vostra figlia a Campbell.”
“La
vostra perspicacia è davvero rimarchevole, my lord...”
Bennington
vide nero. Gli parve di soffocare quando l’altro aggiunse beffardo:
“Forse
avrei fatto meglio a valutare altre offerte, prima di prometterla a Campbell.
Sareste per caso interessato, vostra grazia?”
Bennington vide
ancora più nero. Fece per slanciarsi su Hartford, quando due uomini si
materializzarono al suo fianco. Uno stringeva una pistola.
“Che
uomo siete, che padre siete?”sibilò Bennington, traboccante di disprezzo.
“Cosa
c’è di tanto terribile nel dare la propria figlia in sposa a un gentiluomo, per di più proprietario di mezzo Oxfordshire? Siate ragionevole, Bennington, e non vi
verrà torto un capello!” Poi si girò e seguito da Campbell entrò nella
locanda. Bennington guardò i due ceffi e invitandoli con entrambe le mani
ad avvicinarsi fece furioso: “Chi
di lor due signori vuol essere il primo?”
Suo
padre e Campbell la presero per le braccia e la trascinarono giù dalle scale,
con l’arroganza e la vigliaccheria dei potenti.
Nessuno
li fermò. Nessuno si sporse da una porta per rispondere alle sue invocazioni
d’aiuto.
Appena
fuori dalla locanda, lei alzò il capo. E lo vide, nascosto nell’ombra,
l’espressione del volto di chi è colpevole e sa di esserlo. Bastardo, sibilò tra i denti, come solo ho potuto pensare che tu, che noi…”
“Vieni
bambina, torniamo a casa,” mormorò Hartford spingendola sulla carrozza.
Demoralizzata, Olivia montò, ignara dei lividi sul volto di Bennington e della
pistola puntata tra le sue costole.
Quando
la carrozza fu lontana, i due ceffi commisero l’errore di credere Bennington
ormai battuto e docile. Come si accorsero poco dopo, si erano sbagliati.
Bennington
li lasciò a terra, poi cominciò ad organizzare la sua vendetta.
Una settimana dopo.
Così
era quella la chiesa dove a mezzogiorno Olivia Coolidge e Archie Campbell si
sarebbero sposati.
Bennington
fissò le pareti di pietra, pregustando il sapore degli eventi che si sarebbero
svolti da lì a poco. Sempre che tutto fosse andato liscio e che Olivia avesse
acconsentito al suo piano. Il che era tutto da vedere.
Perché
era un piano a dir poco folle.
Edward
girò il cavallo e si diresse al fiume, dove i cinque runner che lo avevano accompagnato nell’Oxfordshire lo aspettavano.
Dal
primo mattino una pioggia inclemente aveva reso le strade quasi impercorribili
e la visibilità scarsa. Il tempo ideale per il suo piano.
“Arriva!”
urlò una voce.
“Ai
vostri posti, signori!” fece eco Bennington. Un carro carico di tronchi e
sacchi di sabbia cominciò a muoversi con estrema lentezza sull’unico ponte che
attraversava il fiume, tagliando la strada
alla carrozza di Archie Campbell, lo sposo.
Il cocchiere rallentò, imprecando contro il carrettiere.
Il
carrettiere si girò e lo guardò, rispondendo all’insulto, e proprio in quel
momento una sponda del carro - per un caso davvero
sfortunato - cedette e i tronchi rotolarono giù e sopra di loro caddero i
sacchi di sabbia, rendendo il ponte impraticabile.
Il
carrettiere scese, il cocchiere e il suo vice pure. Tutti urlarono, tutti si
sbracciarono e minacciarono. Poi giunsero altri uomini, amici del carrettiere,
e il cocchiere si fece piccolo piccolo e andò a riferire l’accaduto al suo
padrone, Campbell. Questi smontò dalla carrozza, con pantaloni al
ginocchio, calze e scarpini di seta che in pochi secondi si riempirono di
fango. Anche la giacca e il panciotto a strisce verdi e rosse fecero quella
fine quando il carrettiere, sempre per caso, gli rovesciò addosso un sacco di
sabbia fradicia.
In
preda a un attacco isterico, Sir Campbell risalì in carrozza sbraitando contro
il cocchiere: “Maledetto idiota, a casa, presto!” No, non poteva certo sposarsi
in quello stato pietoso.
Soddisfatto
che tutto fosse andato liscio, Bennington ripercorse il cammino inverso sino
alla chiesa.
“Che
diavolo aspetta ad arrivare, quell’imbecille di Campbell?” sbraitò Hartford,
suscitando la disapprovazione del vicario.
“Spero
sia affogato! O che si sia strozzato con una salsiccia!” sibilò Olivia, camminando in su e giù per la chiesa come una
leonessa in gabbia. “Non lo sposerò. Mai!”
Il
vicario emesse un desolato oh e
si accasciò su una sedia.
“Eccome
se lo sposerai!” la rimbeccò il padre.
“Una
possibilità alquanto remota, Lord Hartford,” echeggiò nella chiesa una voce
profonda. E non era la voce di Dio.
Con
il cuore in gola, Olivia si girò di
scatto e fissò a bocca aperta l’uomo che avanzava lungo la navata.
“Bennington…” mormorò con un filo di speranza.
“Bennington…” mormorò con un filo di speranza.
“Bennington!”
le fece eco suo padre, furioso.
“Chi
sarebbe questo Bennington?”chiese il
vicario, confuso.
“Zitto,
voi!” fece Olivia al vicario, mentre Hartford sbraitava contro il nuovo arrivato, minacciava di farlo uccidere e chiamava a
raccolta i suoi uomini.
Bennington
scoppiò in una fragorosa risata.
“Temo
che i vostri sgherri siano…impegnati.
E poi, my lord, non pensate al dolore che dareste a vostra figlia uccidendole
lo sposo?”
“Cosa?”
balbettò Olivia arretrando di un passo e cadendo senza grazia su una panca.
“Come
osate solo pensare di sposare mia figlia quando ho stretto un patto con
Campbell?” urlò Hartford, sempre più rosso.
Edward
non lo degnò di risposta e consegnò un foglio al vicario.
“Una
licenza speciale?” fece quello meravigliato.“Non capisco.”
“Non
dovete capire, ma solo sposarci. Subito.”
Olivia
parve finalmente risvegliarsi dal suo stupefatto torpore.
“Io
sposare…voi?” disse, per nulla
rassicurata dal suo stesso sarcasmo. Perché le ginocchia le tremavano? Perché
sentiva il cuore esplodere di gioia? “Potete sempre scegliere Campbell, se
preferite. Avete trenta secondi per decidere, my lady.”
Tutti
gli occhi si puntarono su di lei.
Si
alzò, pregando che le gambe la reggessero, e a testa alta fece un passo verso
Bennington.
“Venti
secondi…”
“Non
direte sul serio, Bennington?” chiese Hartford pieno di sdegno.
“Mai
stato più serio in vita mia, my lord. Dieci secondi, Olivia.”
Stese
una mano verso di lei.
Un
altro passo, meno incerto stavolta.
“Senza
il mio consenso, il vicario non vi sposerà!”
“Volete
scommettere?” Edward lanciò un’occhiataccia al prete che cominciò a pregare.
Oliva
mosse un altro passo, lo sguardo fisso alla mano tesa di Bennington.
“Questa
è una congiura!” urlò Hartford fuori di sé.
“Tre
secondi…”
Quando
fu di fronte a Bennington, Olivia si fermò, gli occhi colmi di speranza e di
incertezza.
“Cosa
accadrà se non accetto?” chiese con un filo di voce.
“Io
me ne andrò e fra un’ora circa sarete costretta a sposare Campbell. Lui e il
suo panciotto a righe rosse e verdi.”.
“Un panciotto a righe rosse e verdi?” domandò lei esibendosi in una buffa smorfia.
Lui
le sfiorò il viso con le dita. “Siete bella anche quando fate le boccacce,”
mormorò, resistendo alla tentazione di baciarla.
“Datemi la vostra risposta, Olivia, ora,” la sua voce la sfiorò come una carezza.
“Datemi la vostra risposta, Olivia, ora,” la sua voce la sfiorò come una carezza.
Lei
si guardò intorno e sorrise al vicario, e a suo padre. Orgogliosa e sicura di
quanto stava per dire. Di quanto stava per fare.
“Sì,
vostra grazia, vi sposerò!”
I
loro occhi rimasero incatenati per un istante infinito. Poi lui la prese per
mano e un po’ tremando, un po’ sorridendo la condusse all’altare.
“Vicario,
io vi impedisco di…”
“Chiudete
il becco, Hartford,” fece Bennington.
Hartford
si accasciò come un fantoccio su una sedia e le nozze ebbero inizio.
“Volete
voi, Edward Ashley, Duca di …?”
“Sì
lo voglio,” tagliò corto Bennington.
“E
volete voi….
La
sposa alzò una mano. Poi si girò verso Bennington: “Perché lo fate? Perché
volete sposarmi?”
Lui
sorrise e la guardò con quei suoi profondi occhi nocciola. Olivia avvertì un
brivido caldo percorrerla, forse cherubini cantare e un’insulsa felicità
devastarle il cuore.
“Non
so rispondervi, Olivia. So solo che per tutta la vita ho ascoltato la ragione,
ora voglio seguire il mio cuore.”
Lei
gli sorrise e una lacrima le rotolò sul viso.
“Procedete
pure, vicario” disse.
”E in fretta,” aggiunse Bennington.
”E in fretta,” aggiunse Bennington.
La
cerimonia durò tre minuti esatti. Poi gli sposi salirono su una carrozza e per
molte settimane nessuno seppe più nulla di loro.
Dopo
l’estate, qualcuno notò che la casa di Mayfair del Duca di Bennington era stata
riaperta e qualcun altro giurò di aver visto la coppia degli scandali
passeggiare per Hyde Park: “Camminavano abbracciati, chiaccheravano, ridevano e
si baciavano come due popolani!” rivelò la testimone dell’increscioso episodio
una sera da Almack. “E Sua Grazia sembrava non riuscir a tenere le mani a
posto!”
“Oh!”
commentarono scandalizzate le altre matrone portandosi le mani alla bocca.
“Si
comportava come uno stallone in calore!” bisbigliò la testimone.
“Oh!”
fecero eco di nuovo le matrone con occhi sgranati.
“Con
sua moglie. In che tempi depravati
viviamo?”
FINE
VI E' PIACIUTO QUESTO RACCONTO? COSA NE PSNATE? ASPETTIAMO I VOSTRI COMMENTI.
Davvero bello!
RispondiEliminaMi è piaciuto molto, brava Georgette... o Viviana... non so più come chiamarti! ;)
Complimenti e buon anno, a te e alle altre bibliotecarie!
Cassie
grazie del regalino capodannesco!!! buon anno!
RispondiEliminaUn bel racconto, ma non è davvero possibile continuare con un suo seguito? Ammetto che non sarebbe male vedere il duca Edward fare i salti mortali per proteggere la sua bella e, a quanto pare, bollente moglie... o viceversa!
RispondiEliminaDavvero carino! Il mio preferito del premio romance.
RispondiEliminabellissimooo!! :)
RispondiEliminatantissimi auguroni di un buon anno nuovo!!! che sia ricco di cose belle e belle letture
Che bella lettura!Complimenti a G. Grig, bravissima!
RispondiEliminaMi è piaciuto molto !!
RispondiEliminaBrava !!
Auguri a tutte e grazie per il regalo di inizio anno!
RispondiEliminaComplimentissimi a Georgette.
Grazie Ladies, sono felice che il racconto vi sia piaciuto.
RispondiEliminaAncora tanti cari auguri di Buon Anno!
Viv/Georgette
ps @Alexa. Ho già un'idea in testa...
Non amo molto i racconti. Troppo brevi. Troppo vuoti. Invece...
RispondiEliminaE, invece, questo è piacevole e bisogna proprio esser brave per riuscire a dare una forma armoniosa ed interessante ad una piccolissima storia.
E, non è la prima storia che leggo di questa scrittrice, piena di verve e di simpatia. Brava nelle descrizioni e, soprattutto, nei dialoghi, che adoro quando sono scoppiettanti e pieni di brio.
Brava davvero
Maria