...Il portone si aprì. Comparve una signora matura, grassoccia, con due spalle robuste e ampie e due occhietti infossati che si puntarono subito su Jane. «È questa qui?» domandò.
L’uomo la scostò per entrare. «Sì. Fammi passare. Fa un freddo dannato».
La donna prese Jane per un braccio e la tirò all’interno, spingendola di lato con poca delicatezza, quindi sprangò di nuovo il portone. «Venga dentro anche lei, è congelata. Se vuole può togliersi subito il cappotto, ma non glielo consiglio, se ci tiene a scaldarsi».
«Sto benissimo, grazie» rispose Jane, e senza perdere tempo inziò a guardarsi intorno. Si trovava in una hall molto spaziosa, e illuminata da una calda luce soffusa. C’era un divano davanti a lei, di un porpora sanguigno con cuscini in tinta, e alcuni mobili in legno, e un tappeto sotto i suoi piedi, anch’esso sulle tinte del rosso, e alle pareti molti quadri raffiguranti paesaggi, vedute di città, e anche un…
«Mi segua» disse la donna, prendendola di nuovo per un braccio, e nel giro di pochi passi ebbe modo di farsi venire in mente una fila di domande. «Quanti anni ha? Ha mai lavorato? Conosce il padrone? Abita nelle vicinanze?»
Jane inciampò sull’angolo del tappeto. «Venti. No. Sì. E… ancora sì».
La donna si fermò davanti a lei, scrutandola da capo a piedi. «È un po’ gracilina, ma vedremo di rimediare. La porto dal padrone, che ha chiesto espressamente di vederla non appena fosse arrivata».
La precedette su per una scalinata dalle dimensioni enormi, di fronte alla quale Jane rimase profondamente sorpresa.
«Il mio nome è Teresa Gable. Mi chiami signora Gable, finché non saremo in confidenza. Sono la governante». Saliva gli scalini con compostezza e senza un minimo di fatica. Probabilmente li aveva percorsi talmente tante volte da non prestare più caso al loro numero imponente. «Il padrone è un uomo molto corretto. Sono certa che le spiegherà bene in cosa consiste il suo nuovo lavoro. In caso ci fossero dubbi, glieli chiarirò io».
Jane affrettò il passo e si affiancò a lei nella salita, finché giunsero al pianerottolo, dove la donna svoltò bruscamente a destra.
«Le fornirò i grembiuli e tutto l’occorrente. La taglia più piccola, immagino. Lei è così minuta. La nutrivano abbastanza, a casa sua?»
Jane sorrise nella penombra. «La taglia più piccola andrà bene».
La signora Gable aveva un fare burbero e uno sguardo fuggente, ma non c’era ostilità nella sua voce: solo la consapevolezza di avere un posto di comando fra tutti i servitori del padrone.
«Il padrone è qui». Le indicò una porta davanti a sé. «Quando ha finito, mi raggiunga al piano di sotto. Si ricorda la strada?»
Jane annuì. «Grazie» disse piano, mentre la donna spariva di nuovo nella penombra. Quindi bussò senza indugiare, perché sapeva che se avesse atteso anche solo qualche secondo, sarebbe stato tutto più difficile.
«Avanti» disse una voce maschile al di là della porta.
La riconobbe senza esitazioni. L’aveva sentita due volte, e ciò le era bastato per imprimersela a caratteri indelebili nella memoria.
Aprì piano la porta e fece un piccolo passo all’interno: davanti a lei si svelò un mondo che le sarebbe diventato molto familiare, nei mesi a venire. Si trattava di uno studio, piuttosto arioso anche se, come il resto della casa, non illuminato a sufficienza. La prima cosa che notò fu l’abbondanza di mobili e di oggetti di arredamento, che a una seconda occhiata giudicò sfarzosi e opulenti, in perfetto stile Luigi XIV. Tre sofà al centro della stanza, disposti a ferro di cavallo, circondavano un basso tavolino intarsiato con piano in marmo, e lasciavano aperto il passaggio verso un ampio scrittoio collocato vicino alle finestre della parete di fondo. Le altre pareti offrivano l’appoggio a numerosi armadi e stipi in legno. La scarsa illuminazione non le impedì di notare l’incredibile abbondanza di dipinti e, in ultimo ma non per splendore, l’imponente affresco che ricopriva tutto il soffitto, con una scena che non le fu permesso di riconoscere.
Mentre stava col naso all’insù, infatti, la stessa voce di prima le ricordò che tra tutte le cose non aveva ancora individuato dove fosse il signor Hench.
«Apprezzate l’arte, signorina Leighton?» disse la voce, questa volta molto vicina.
Si voltò immediatamente e se lo trovò lì, a due soli passi, con gli occhi scuri puntati nei suoi.
«Ve lo chiedo perché non posso non notare l’interesse che traspare dal vostro volto nell’osservare questo luogo per voi sconosciuto». A Jane tornò in mente l’ultima occasione in cui aveva parlato con lui, al modo con cui l’aveva insultato. Non riuscì a tenere salda la voce. «Sì. Per mia fortuna sono riuscita a studiare qualcosa, quand’ero a Isherwood».
Pronunciare il nome di quella che era stata la sua casa per vent’anni e che non avrebbe più potuto chiamare “sua” fu ciò che di più sbagliato potesse fare. La stanchezza e la commozione l’assalirono, bloccando del tutto i suoi già deboli tentativi di fare una tranquilla conversazione.
Il signor Hench mosse qualche passo nella stanza, come per studiare la prossima frase da dire. Jane non trovò nulla di meglio da fare che rimanersene lì, immobile e silenziosa vicino alla porta, quasi sperando di essere dimenticata.
«Avete freddo? Volete che faccia accendere il camino?» chiese lui dopo un po’.
Jane scosse la testa. Non aveva nemmeno notato che ci fosse un camino in quella stanza. Poi lo riconobbe, in un posto dove non aveva fatto in tempo a guardare.
«Vi confesso che non pensavo accettaste l’offerta».
Qualcosa nel tono del suo interlocutore le fece riprendere un po’ del suo coraggio. «Sono stata costretta. Non l’avrei scelto se fosse dipeso da me».
Il signor Hench si affacciò alla finestra e le diede le spalle, senza dire altro, come in attesa di ulteriori parole da parte della ragazza. Attese almeno un minuto, incurante del silenzio. Infine si decise a riprendere il discorso.
«Bene, allora inizierò a esporvi le regole per lavorare qui. Prima di tutto, i miei ordini non si discutono. Secondo, dopo di me dovete obbedire alla signora Gable, che avete già conosciuto. Terzo, non dovete fare di testa vostra. Pensate di riuscirci?»
Jane si prese qualche secondo di riflessione, prima di rispondere. «Non lo so. Non sono abituata a prendere ordini».
«Vi abituerete».
«E nel frattempo?»
Il signor Hench si voltò. «Sarà meglio per voi se vi abituerete in fretta».
I suoi occhi erano nascosti in due pozze scure create dall’ombra, e a Jane parve più grottesco di quello che ricordava.
«Se non avete altro posso andare» concluse, spinta da una improvvisa e pressante voglia di sparire dalla sua vista.
«Non volete discutere del compenso?»
«Riguardo quello, mi affido a voi e agli accordi che avete preso con mia madre».
«Questa vostra fiducia nei miei confronti mi sorprende».
«Sorprende anche me, ma le emozioni di questi giorni stanno cominciando a rendermi instabile e vorrei ritirarmi».
«Siete sicura di non voler interporre un altro po’ di tempo tra la vostra condizione attuale e l’inizio del vostro nuovo lavoro? Perché non appena uscirete da quella porta abbandonerete il vostro passato e inizierete a essere una cameriera a tutti gli effetti».
«È un passo che prima o poi dovrò compiere e preferisco farlo avvenire subito».
Il signor Hench la fissava senza scomporsi. «Come volete. Andate pure. Comincerete domani mattina, quando vi sarete riposata».
Jane non se lo fece ripetere. «Con permesso». Sgusciò fuori dalla stanza con più impellenza di quella che avrebbe voluto mostrare, fermandosi solo un istante per chiudere la porta alle proprie spalle.
Bello! Anch'io abito a Verona e sono contenta che una scrittrice romance sia della mia città. Erica
RispondiEliminaGrazie Francy!
RispondiEliminaE grazie anche alla mia concittadina Erica ;-)
Cara Sara, ti faccio i miei più vivi complimenti. Ho letto con molto interesse l'estratto più lungo trovandolo veramente ben scritto; vi è solo qualche piccola incertezza e ingenuità nello stile, ma sei talmente giovane da avere tutto il tempo per maturare e acquisire sicurezza. Di contro, ho notato delle notazioni sulla psicologia umana molto perspicaci, x cui la bilancia pende indubbiamente a tuo favore. Molto coinvolgenti le descrizioni degli ambienti e degli stati d'animo di Jane, in alcuni momenti siamo proprio lì con lei (ad esempio quando bussa alla porta dello studio, appena arrivata in casa del signor Hench e, senza fallo, la scena finale dell'estratto). Molto interessanti e originali (nn ne ricordo di simili in altri romance) anche le conversazioni dei due protagonisti su arte e bellezza e sulla filosofia; un metodo innovativo, da parte del protagonista, di indagare la psicologia di chi gli sta di fronte, si vede che gli interessa capire come lei ragiona. Auguri x il tuo libro e x il lavoro futuro.
RispondiEliminaL'unica notazione negativa è che 'sti libri costano troppo!
Ciao a tutte e grazie.
Ladymacbeth, grazie per le tue bellissime parole! Sono davvero molto contenta che tu abbia letto tutto l'estratto con così tanta attenzione. Sì, il mio stile deve ancora maturare ma spero che continuando ad esercitarmi anche le piccole incertezze di cui parli si sistemino (a proposito, mi farebbe piacere sapere più precisamente cosa secondo te va migliorato, se ti va puoi lasciare un commento qui sotto o magari contattarmi via e-mail...sarebbero consigli molto preziosi per me!). Per quanto riguarda i tuoi commenti sulla psicologia dei personaggi e sulle descrizioni, ti ringrazio di cuore! E' bello vedere il proprio lavoro ripagato da osservazioni così positive!
RispondiEliminaE condivido la tua notazione negativa sul costo dei libri :( tanto più che, nel mio caso, si tratta di un libro d'esordio e -per me- è strano vederlo allo stesso prezzo dei libri di altri autori ben più famosi. Spero almeno che chi deciderà di comprarlo sarà poi pienamente soddisfatto di quello che leggerà ;-)
Ancora grazie per il tuo commento, a presto!
Sara
Ciao Sara, preferirei mandarti una email, xché i commenti qui nn li prende se superano un certo numero di battute (già provato!). Posso chiedere il tuo indirizzo a Francy, sempre x email? A presto.
RispondiEliminaPer me va benissimo. Il mio indirizzo mail lo trovi nel mio profilo o nel mio blog.
RispondiEliminaGrazie, a presto! :-)