CHRISTMAS IN LOVE 2010 : TRE nuovi racconti...ambientati in altre epoche!

Oggi vi proponiamo altri tre nuovi racconti ,di genere storico questa volta, per guardare romanticamente alle feste natalizie con un tocco d'amosfera d'epoca! Anche per questi la pagina dei commenti è aperta! Esprimete i vostri punti di vista e non dimenticatevi di firmare, così potrete partecipare all'estrazione dei nostri regali il 6 gennaio 2011! ...BUONA LETTURA !
(Se ancora non sapete le modalità per partecipare alla nostra gara di racconti leggete qui.)

ECCO IL DECIMO RACCONTO...



Parigi, 1918-1919
“Mi chiamo Emile e sono stato inviato qui per visitarvi e decidere se potete essere dimessa da questa struttura.”

“Finalmente mio fratello si è deciso a tirarmi fuori da qui.”

“No, non è vostro fratello che mi ha inviato qui, ma i vostri amici parigini… pensavano che la vostra permanenza qui sarebbe durata solo qualche mese e, invece, sono già trascorsi cinque anni.”

“Qualcuno a Parigi si ricorda ancora di me?”

“Ma certo…”

“E allora portatemi via da qui…”

“Voi non siete un pacco, Camille, ma una persona e come tale dovete essere trattata… quindi ora vi lavate e vi cambiate e, poi, noi andiamo a parlare in un luogo dove possiate sentirvi più libera.”

Mezz’ora dopo Camille era seduta con Emile in un caffè.

“Perché mi avete portata qui? Ma siete sicuro di essere un medico?” Gli aveva chiesto, lei sorpresa dal suo comportamento.

“Certo che sono un medico e quello che sto facendo ora io con voi, l’ha già fatto un mio collega con una sua paziente diversi anni fa… in ospedale si rifiutava di parlare non sono con lui, ma anche con gli altri degenti… e allora l’ha portata fuori per qualche ora ed è riuscito a farla aprire con lui… la medicina è una scienza in continua evoluzione e la psichiatria più di altre branche…”


Quando erano tornati in ospedale, Emile aveva completato la visita di Camille e aveva, quindi, compilato il suo foglio di dimissione, spiegando perché, secondo lui, non era necessario che continuasse ad essere rinchiusa in quella struttura, dove era stata internata cinque anni prima per volontà della madre e del fratello di lei.

Emile era stato all’ospedale parigino della Salpetrière un allievo del dottor Gachet che quasi vent’anni prima aveva avuto in cura il pittore Vincent Van Gogh. E così, mentre tornava in treno verso Parigi, con Camille seduta accanto a lui, pensava dentro di sé: “Devo dare fiducia a Camille, ma devo anche controllarla, per evitare che in un momento di rabbia o di sconforto, possa commettere qualche gesto pericoloso.”

Il flusso dei suoi pensieri era stato, tuttavia, interrotto da Camille che gli aveva detto: “Ma cosa è accaduto in questi cinque anni? Intorno ci sono case devastate e campi abbandonati.”

“E’ accaduto che la Francia purtroppo è stata un paese in guerra.”

“Anch’io sono stata in guerra, ma come si ricostruiscono le macerie?”

“E’ difficile, ma vale la pena provarci.”

“Io non ho più né un atelier né una casa a Parigi.”

“Lo so, ma mia zia fa l’affittacamere e, anche se ho dovuto insistere parecchio, ha accettato di darvi una stanza.”

Un anno dopo, presso una nota galleria parigina campeggiava un manifesto che pubblicizzava l’apertura di una mostra di sculture di Camille e prometteva la presenza dell’artista all’inaugurazione.

Mancavano, però, pochi minuti all’ora prevista per l’inaugurazione, ma Camille ancora non si vedeva.

Camille Claudel
“Io ho investito dei soldi su questa esposizione e, se Camille fa una delle sue alzate di ingegno, non ci vorrà molto a farla tornare da dove è venuta.” Si era lamentato il proprietario della galleria con Emile, aggiungendo: “Siete voi che mi avete assicurato che ormai stava bene e che non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad affrontare il pubblico di una mostra.”

“Non temete, vedrete che arriverà.” L’aveva rassicurato Emile, che, per un istante, era stato tentato di andarla a prendere a casa di sua zia, ma, poi, si era trattenuto, pensando: “Camille deve imparare ad affrontare da sola le proprie paure, altrimenti non guarirà mai davvero.”

Quando Camille era arrivata, però, Emile non aveva potuto fare a meno di lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo.

Lei, tuttavia, l’aveva colto di sorpresa, prendendogli una mano e appoggiandosela sul petto: “Ho il cuore che batte all’impazzata, non ce la farò mai ad affrontare non tanto il pubblico dei visitatori, quanto i critici d’arte che si staranno chiedendo se, dopo cinque anni di inattività, sono ancora capace di combinare qualcosa di buono.”

“Siediti, allora e cerca di respirare lentamente, poi, chiudi gli occhi e pensa a qualcosa di piacevole… io sono nato in Normandia e per calmarmi di solito penso al mare e in particolare alle onde che lambiscono la sabbia perché è un’immagine che mi ricorda la mia infanzia.”

Camille aveva sì chiuso gli occhi, ma, nello stesso tempo, aveva infilato le mani sotto la camicia di Emile e aveva iniziato ad accarezzarlo sul petto.

“Ti avevo detto di pensare soltanto a qualcosa di piacevole, non di farla… e poi cosa accadrà se ci vede qualcuno?”

“Abbracciami, altrimenti non ce la farò mai ad affrontare quelle belve che mi aspettano di là.”

“Non posso, non adesso…”

Camille ed Emile si erano separati appena in tempo per non essere scoperti.

L’inaugurazione si era svolta regolarmente e, due ore dopo, mentre gli ultimi visitatori se ne andavano, il gallerista aveva detto a Camille con un’aria tra l’ironico e il minaccioso: “Madame Claudel, la prossima volta siate più puntuale, perché la quotazione delle vostre sculture non è così alta da meritare che io rischi un infarto per colpa vostra.”

Camille, però, invece, di ascoltarlo, gli aveva chiesto: “Ma Emile dov’è?”

“Il dottor. Boulanger sarà andato via insieme agli altri, perché me lo chiedete?”

“Perché io dovevo parlargli, è importante.” Gli aveva risposto Camille, prima di infilarsi il cappotto e uscire di corsa.

Andava così di fretta che era andata a sbattere contro un passante senza rendersi conto di chi era: “La mia sorellina sempre di corsa e sempre in disordine, ma quando ti deciderai a crescere?”

“Non sei venuto neppure alla mia mostra! Anzi, da quando sono tornata a Parigi, non mi sembra che tu ti sia preoccupato molto di me!”

“C’ero stasera, ma tu eri troppo presa dal tuo ultimo amante per accorgerti di chi avevi attorno.”

“Ma quale amante?! Se, da quando sono tornata a Parigi, non ho fatto altro che cercarmi un nuovo atelier e lavorare dalla mattina alla sera per allestire questa mostra!” Si era difesa Camille.

“Nostro padre ha fatto finta per dieci anni di non vedere che eri l’amante di Rodin, ma io non sono cieco come lui… da quando sei tornata a Parigi stai a pensione dalla zia del tuo medico e i tuoi vecchi amici sembra che ti vogliano proteggere da te stessa e anche da me. Me ne sono accorto da come qualcuno di loro mi fissava stasera alla mostra.”

“Emile non è il mio amante, ma anche se lo fosse la cosa non ti riguarda… ho più di quarant’anni e so badare a me stessa, anche se tu non ne sei mai stato convinto… e poi, visto che, secondo te, sono malata, cosa c’è di meglio che avere un medico come amante?! Almeno, ogni volta che ne ho bisogno, si prenderà cura di me.”

“Finché avrà la pazienza di sopportarti… comunque, visto che è lui che stavi inseguendo, ricordati che, se ha un turno di notte in ospedale, non puoi andarlo a disturbare sul lavoro…”

Tornai a casa in preda allo sconforto. In poche ore ero riuscita non solo a far fuggire Emile, ma anche a litigare per l’ennesima volta con mio fratello.

Mi chiusi nella mia camera e mi stesi sul letto, ancora vestita, con la sensazione di aver gettato al vento un anno di paziente lavoro.

Mancavano pochi giorni al Natale e, mentre tornavo a casa, cominciò anche a nevicare fitto, fitto, finché i fiocchi bianchi non riempirono tutta l’aria, posandosi lievemente sui tetti e sulle strade.

La mattina seguente decisi, tuttavia, di fare forza su me stessa e così mi alzai, mi lavai, mi vestii e andai ad aprire il mio atelier. Non so per quale ragione, ma una parte di me era convinta che davanti alla porta avrei trovato Emile.

Emile, invece, non c’era e al suo posto trovai una ragazza che si sfregava le mani per il freddo e che mi disse: “Madame Claudel, ieri sera ero all’inaugurazione della sua mostra e sono rimasta colpita dalle sue sculture… mi piacerebbe imparare qualcosa da lei, ma non so se accetta ancora allievi nel suo atelier…”

“Perché non dovrei accettarli? Non so se ho davvero qualcosa da insegnarti, ma per me sei la benvenuta.”

Lavorai con la mia nuova allieva fino alla vigilia di Natale, pensando che, anche se Emile purtroppo era fuggito di fronte al mio amore, avevo sempre la mia arte a cui dedicare tempo ed energie.

Il pomeriggio della vigilia, tuttavia, trovai una sorpresa inaspettata ad attendermi al ritorno a casa: nella mia camera c’era, infatti, un pacco, posato ai piedi del letto.

“Madame Boulanger, siete stata troppo gentile a farmi un regalo, anche perché io non so come ricambiarvi.” Dissi pensando che fosse stata la mia padrona di casa a farmi quel gesto di gentilezza.

“Non è il mio questo regalo: non sono abituata a fare regali alle persone a cui affitto le camere… stamattina un corriere ha suonato alla porta e ha lasciato questo pacco per voi, io mi sono soltanto limitata a prenderlo.” Rispose tuttavia madame Boulanger, stupita dal fatto che io l’avessi potuta ritenere l’autrice di quel regalo.

Curiosa, ma anche un po’ intimorita dalla mole di quel pacco che troneggiava nella mia stanza, ricoperto di una carta rossa, decorata da motivi natalizi, lo scartai, scoprendo che si trattava di un grammofono, corredato da un disco con una scelta di musiche di Chopin.

Purtroppo non c’era nessun biglietto che potesse rivelarmi chi era stato l’autore di quel prezioso regalo, ma, visto che era senza alcun dubbio destinato a me, lo presi come il segno di una nuova fase della mia vita che si stava aprendo proprio in quel Natale del 1919, perciò, misi su il disco, chiusi gli occhi e mi abbandonai al piacere della musica, pensando che quello era dopo tanto tempo il mio primo Natale da persona libera.

NOELLE BONHEUR (*)



(*) Questo è uno pseudonimo, il vero nome dell'autrice che verrà svelato a fine concorso.


...E L'UNDICESIMO RACCONTO...



25 Dicembre 1812

Caro Diario,

eccomi qui a scriverti, di nuovo, per la terza volta questa notte.

Lo so, se tu ora potessi parlare mi diresti “Spegni immediatamente quella candela, signorina, e cerca di riposare”, ed avresti ragione, solo Dio sa quanto le tue parole sarebbero sagge ed appropriate, soprattutto considerato il mio recente stato di salute, ma mio caro amico anche in quel caso la mia mano non potrebbe smettere di scrivere, ed io non potrei smettere di sorridere.

Da ore, ormai, cerco invano le dolci braccia di Morfeo, le chiamo, attendendole con impazienza, ma nulla. Questa notte lunghissima sembra non voler passare mai, ed io non posso far altro che ritornare con la mente al meraviglioso giorno appena vissuto. Sento ancora un leggero brivido di eccitazione solleticarmi il collo, se solo permetto alla mia mente di ripercorrere i brevi momenti trascorsi in biblioteca con lui.

Oh mio caro, fedele amico, come posso dormire quando in realtà ogni parte di me vorrebbe soltanto correre, cantare ed urlare al mondo intero quanto è grande la felicità che sente, quanto è profondo il sentimento che prova.

L’amore, come per magia è giunto, ed ha portato nuova aria a questi miei polmoni affaticati dalla malattia, rinfrancandomi nel corpo e nello spirito.

Questi ultimi mesi sono stati i più duri della mia giovane vita, tu lo sai, troppe le disgrazie che hanno investito la mia famiglia: la morte del mio adorato fratello John, così piccolo ed innocente, mia madre, resa folle dal dolore, ed infine il mio povero padre, improvvisamente vecchio e solo. Non conoscevo la pena, prima che la sua furia si abbattesse sulla nostra casa, mai un solo giorno avevo dubitato che il mio futuro fosse altro che splendido, mai una sola preoccupazione aveva abitato nel mio cuore spensierato.
Io, la giovane Miss Brown, ammirata figlia del più ricco mercante di Great Bardfield, snella ed educata, non sapevo che cosa volesse dire sentire il cuore spezzarsi dentro al petto, quasi fosse un ciondolo di finissimo cristallo, non immaginavo che l’aria potesse fermarsi nella gola come un urlo disperatamente soffocato! No, io tutto questo non lo sapevo, non ero preparata. La mia era una vita felice, facile forse: avevo il calore di una famiglia, avevo la giovinezza dei miei sedici anni, avevo la bellezza dei miei riccioli biondi e della mia pelle diafana; nessuna inquietudine, nessun problema aveva albergato tra le spesse mura della nostra casa vittoriana. Avevo sentito la governante parlare con le cameriere dell’ondata di morbillo che aveva invaso la scuola del paese vicino, portandosi via decine di piccoli bambini; avevo visto giovani donne sfregarsi con forza le mani l’una con l’altra, nel disperato tentativo di scaldarsi, strette nei loro miseri scialli lisi e rammendati; sì, avevo visto ed avevo ascoltato, ma io non avevo mai messo piede in una scuola, un precettore si curava della mia istruzione, ed i miei polpastrelli non erano mai diventati bluastri per il freddo, coccolata com’ero dalla viva fiamma del fuoco, che forte ardeva in ogni stanza. Il mio era un mondo pieno e caldo, colorato dall’amore e dalla gioia, come potevo dunque anche solo immaginare che la disgrazia con la sua mano fredda e scura potesse giungere fino a qui. Povera illusa che ero, vivevo felice senza sapere quello che mi attendeva, senza nemmeno sospettare la furia del destino che si stava per abbattere su di noi! Un fratello di soli sette anni rimasto vittima di una caduta da cavallo, una madre improvvisamente cupa ed iraconda, ed un padre ormai troppo vecchio per affrontare tutto quel dolore, capace solo di attendere in silenzio il giorno della sua fine.

Tutto è diventato così difficile da quel maledetto giorno in cui John morì. Se ne andò portando via con sé tutta la nostra famiglia.

Perdona queste mie stanche parole dunque, caro Diario, perché anche se già mille e più volte le hai dovute sentire, io lo so che mi capirai, e forse così potrai comprendere la profonda gioia che di nuovo sento nel cuore, ora che ho incontrato Daniel. I mesi passati sono stati bui, tristi, ed hanno inciso su di me, rendendomi esile nel corpo ed incerta nello spirito, ma l’amore è arrivato, e come il sereno che inaspettato giunge dopo la tempesta, Daniel ha saputo tramutare il dolore in maturità e la rabbia in compassione. Il cielo ha riacquistato le sue mille sfumature, da quando posso ammirarlo attraverso i suoi bellissimi occhi verdi, e la vita è di nuovo degna di essere vissuta, da quando lui cammina accanto a me.
L’estate ha portato con sé il più dolce dei regali, permettendomi di conoscere Daniel McBright, permettendomi di innamorarmi di lui perdutamente, completamente. La sua vicinanza è stata così preziosa in questi mesi, aiutandomi a superare il dolore e spronandomi a cercare il bello della vita. Non vedevo più nulla, caro Diario, la pena che mi affliggeva il cuore mi aveva resa cieca, ma lui ha saputo prendermi per mano ed insegnarmi nuovamente e vedere, a sentire. La tiepida carezza del sole sulla pelle, il profumo delle viole in giardino, il rosso rovente di un tramonto. Immagini, suoni, sensazioni che non ricordavo più, pezzi di vita che lui ha saputo donarmi di nuovo.
Ricordo perfettamente il nostro primo incontro, era il tre giugno ed io stavo passeggiando in giardino con la mia cara amica Penny, venuta a farmi visita dopo la malattia. Il sole splendeva alto in cielo, dovevano essere le dieci e trenta, o le undici, non saprei dire con certezza. Indossavo l’abito rosa di organza che mio padre mi aveva regalato solo un anno prima, quando ancora il suo mondo non era stato spezzato, quando ancora un simile dono sapeva illuminarmi il volto. Reggendomi appena al braccio della mia dolce amica, camminavo tra le siepi ben curate e le rose che rigogliose come sempre sbocciavano in quel periodo. Era una bellissima giornata, tutto intorno a me era vivo e ricco di colori, ma il mio cuore era fermo, congelato, e tutto ciò che potevo fare era mettere un piede davanti all’altro e tentare di ricambiare le parole gentili che Penny sussurrava.
Giunte alla parte più settentrionale del giardino, ci fermammo per un momento vicino al grande faggio: il sole doveva aver accaldato le robuste spalle ricoperte di pizzi e merletti della mia giovane amica, aveva bisogno di un po’ d’ombra. Ci sedemmo sulla panchina in pietra, e mentre lei si godeva rinfrancata quella ritrovata frescura, io sentivo il gelo della pietra penetrarmi nelle ossa. Il sole non aveva scaldato la mia pelle, né il mio cuore. La guardai, così florida e bella, e per un momento ne fui quasi invidiosa: quanto avrei voluto potermi sentire di nuovo così, serena, leggera.

Stupita dei miei stessi pensieri distolsi lo sguardo e mi voltai verso il cespuglio di rose bianche che mi stava accanto, tentando di scacciare quella sensazione di inadeguatezza che come una serpe mi stava divorando, quando ecco la dolce voce della mia amica richiamare la mia attenzione.
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HOLLY BRIGHT (*)

(*) Questo è uno pseudonimo, il vero nome dell'autrice verrà svelato a fine concorso.


...E IL DODICESIMO RACCONTO...




Sono sul gradino più alto della scala e mi sporgo per riuscire a mettere la stella sulla cima dell’alto abete sistemato, come ogni anno, nel salone.

Questo non è mai stato il mio compito, ma da quando la guerra ha portato lontano gran parte degli uomini… a noi donne non è rimasto che adattarci. Scendo e noto che Steve mi tiene forte la scala e Giuliette e Georgette si tengono per mano. Hanno un’espressione estasiata e questo mi ripaga di ogni sacrificio. Per avere questo abete ho ricamato una tovaglia natalizia per la famiglia Bennet, ma loro non sanno che il lavoro è stato eseguito da me… Camille è stata così cara da coprire le mie difficoltà economiche ed è rimasta in questa casa anche se io non mi posso più permettere di pagarla, da quando Andrew è stato dichiarato disperso. Si è tutto così complicato ultimamente, ma per i bambini voglio che questo Natale sia un momento di serenità, per quanto possibile.

«Mamma, è… bellissimo!». Gli occhi di Georgette risplendono di gioia.

«Venite, ho preparato della cioccolata calda con i biscotti» ci chiama Camille.

«Evviva, ora sì che è Natale, con l’albero e la cioccolata!» esplode l’esuberante Steve, ma subito dopo aggiunge: «Manca solo papà…». Nella stanza cala il silenzio, finchè Giuliette, la più piccola dei miei tre figli, interviene con l’ingenuità dei suoi quattro anni: «Ma papà tornerà presto, sapete, mamma? Ne sono certa: ogni Natale le mie richieste sono state tutte ascoltate. Dio è buono e anche quest’anno lui mi accontenterà; e io ho chiesto papà…».

Come posso dirle che suo padre non trascorrerà più il Natale insieme a noi? Come faccio io stessa ad accettarlo? Spero sempre sia da qualche parte, impossibilitato a tornare, ma vivo…

«Suvvia, bambini, godiamoci questo momento, dai! Finite le vostre tazze di cioccolata, da bravi, che ora usciamo per ascoltare i canti intorno all’albero della piazza. Ve li ricordate i canti di Natale?» li cerca di distrarre Camille.

«Sì, io sì! Che bello!» e Steve contagia con il suo entusiasmo le sorelline.

Cosa farei senza Camille? È al nostro servizio da sempre, prima ancora era stata la tata di Andrew. Lei è una di famiglia, lo è sempre stata, in effetti.

«Venite anche voi, Mrs Elisabeth?»

«No, cara, andate voi, se non vi spiace, io non sono dell’umore adatto e poi vorrei preparare quel…» e faccio cenno verso la cucina.

In pochi minuti i bambini, ben avvolti nelle loro mantelline e sciarpe, sono in strada con Camille. E io sono libera di dar sfogo alle mie lacrime, mentre preparo con cura il pudding natalizio. Sono quasi tre settimane che lavoro a questo dolce, come ogni anno: i dolci sono la mia passione e non ho mai rinunciato a prepararli.

Sento la porta d’ingresso aprirsi, dev’essere Camille.

«Cosa avete dimenticato?» chiedo asciugandomi le lacrime con il grembiule.

Nessuno risponde. Allora allarmata appoggio il cucchiaio di legno ed esco dalla cucina. E in entrata davanti a me, come un sogno o un fantasma che temo quasi si dissolva, c’è Andrew. Mi fermo, incredula. Lui rimane a fissarmi sulla porta. Ci scambiamo degli sguardi che non abbisognano di parole. Temo che nell’avvicinarmi a lui tutto possa svanire e forse è quello che prova anche lui che non si muove.

«Andrew… sei davvero tu?»

«Oh, sì, Elisabeth, puoi giurarci. E sono davvero a casa, cara?»

«Sì, amore mio, io ti vedo e ti sento…».

«Bene, allora non corro il rischio che tu scompaia come fossi un’apparizione, se mi avvicino a te, vero?»

«Io non vado da nessuna parte…» e nel pronunciare queste parole mi precipito verso a lui e lo abbraccio forte. Un abbraccio caldo che ricambia con vigore. Poi mi solleva il mento e mi bacia delicatamente quasi potessi infrangermi come un prezioso cristallo al primo si bemolle di un eccellente soprano.

Lei mie gambe barcollano e lui mi sorregge premuroso.

«Dammi un pizzicotto, ti prego…» gli dico d’un tratto.

«No, tesoro mio, nessun pizzicotto» e mi bacia nuovamente, con ardore questa volta.

Dai miei occhi chiusi scendono lente e calde perle di gioia e rigano il mio volto illuminato dalla meraviglia.

Quando li riapro vedo intorno a noi i bambini abbracciati a Camille commossa.

Entriamo nel salone e sotto il nostro grande abete ci abbracciamo tutti. In questa vigilia di Natale nessuno di noi potrà essere più felice e appagato di così. La famiglia è finalmente riunita e ora sono certa: ogni difficoltà sarà facilmente superata, insieme.

Quando mio marito prende in braccio la nostra Giuliette, lei, con aria saggia, gli dice: «Io sapevo, padre, che sareste ritornato… siete voi il dono che ho chiesto per questo Natale al buon Dio!».

La magica atmosfera della festa ci avvolge senza eguali e in lontananza i canti coronano questo nostro indimenticabile Natale…
JOELLE LANEIGE (*)




(*) Questo è uno pseudonimo, il vero nome dell'autrice verrà svelato a fine concorso.






Vi sono piaciuti questi nuovi racconti dal sapore retrò? Non dimenticatevi di lasciare un vostro commento così potrete partecipare all'estrazione dei nostri premi di Natale.

Appuntamento a lunedì 27/12 per i prossimi TRE racconti di Christmas in Love!
Non mancate!
E ricordatevi che potrete iniziare a votare per i vostri racconti preferiti a partire dal 29/12!


17 commenti:

  1. Li trovo tutti e tre molto carini. Quello che però preferisco è il secondo che mi sembra molto ben strutturato e scritto particolarmente bene. Anche la storia, secondo me, è meglio narrata e i protagonisti sono più approfonditi. Complimenti davvero all'autrice. Brave però anche alle altre due amiche.
    Delfina

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  2. Stavolta mi è un po' difficile fare una scelta. Carini tutti e tre. Del primo mi piace l'accurata ambientazione storica ed il personaggio di Camille Claudel, realmente esistito. Del secondo mi ha colpita lo stile molto accurato ed il romanticismo. Forse, quello che mi ha entusiasmata meno è il terzo, ma questo non vuol dire che non sia scritto bene. I miei complimenti alle autrici.

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  3. Il diario di una volta (finalmente) molto bello e ben scritto.

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  4. Molto carino il secondo è quello che ho preferito. Niki

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  5. sono carini tutti e tre ma forse quello che mi e piaciuto di più è stato il secondo.
    complimenti comunque a tutte e tre
    daniela

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  6. Una piccola spiegazione storica... avendo a disposizione lo spazio breve di un racconto ho semplificato un po' le cose perché Emile prima fa trasferire Camille alla clinica universitaria della Salpetrière dove lavorava e poi la fa dimettere definitivamente...
    Comunque quella di Camille è una storia affascinante e complicata su cui sto lavorando da un mese circa per documentarmi...

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  7. Molto belli questi tre, di ognuno mi piace qualcosa, tanto che mi è difficile scegliere. I personaggi del primo, l'accuratezza del secondo e la trama del terzo.
    Davvero complimenti!

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  8. Questa volta la scelta è più difficile. Sono tutti e tre molto ben scritti anche se ho preferito la trama del terzo!!! Per me è la classica storia di natale:-)) a cui io non rinuncerei mai...Mi è piaciuto anche lo spunto storico e del carattere dei personaggi..Bravee comunque a tutte e tre!!
    Juliet

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  9. ladymacbeth24/12/10, 23:25

    Sinceramente qs volta nessuno dei 3mi convince pienamente, anzi direi che finora si tratta di quelli che mi piacciono meno. Nel primo non ho capito bene la scelta stilistica di passare dal racconto in terza persona, a quello in prima persona di Camille. Su qs racconto, forse, pesa anche il mio ricordo, un po' confuso onestamente, della storia di Camille Claudel e Rodin; se non sbaglio lei morì prima dei 50 anni, pazza (o dichiarata tale), in manicomio e abbandonata da tutti, compreso Rodin che, se non ricordo male, si appropriò anche indebitamente di alcuni suoi lavori (anzi, secondo alcuni critici recenti, il verio genio era lei, non lui); diciamo che mi sembra un soggetto poco adatto per un racconto romance.
    Lo stile del 2° racconto non rientra nelle mie corde in assoluto, un po' troppo ridondante e arzigogolato per i miei gusti, molto descrittivo e lungo tanto da risultare, alla fine, anche leggermente noioso. Vi è una piccola imprecisione cronologica: avendo luogo nel 1812 la casa vittoriana è un anacronismo perché la regina Vittoria regnò dal 1837 al 1901 (controllato le date su Wikipedia).
    Per quanto riguarda il 3°, prometteva bene, ma il finale è assolutamente troppo buonista per me: avrei preferito qc di romantico sì, ma non zuccheroso e più realistico.
    Spero che le autrici, a cui cmq faccio sempre i miei complimenti per l'impegno e il lavoro profusi, non me ne vogliano per la sincerità. Saluti a tutte e grazie.

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  10. Il primo non mi è piaciuto affatto, con uno stile troppo scarno e privo di sentimento. Il lettore fatica a seguire l'evolversi di questa vicenda, che probabilmente soffre troppo i limiti di un racconto breve.
    Del terzo racconto apprezzo lo stile e l'atmosfera calda e ricca di sentimenti, ma la trama avrebbe dovuto essere ampliata ed approfondita maggiormente, così come i personaggi.
    Di questi, quindi, preferisco nettamente il secondo. Giulia

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  11. Complimenti all'impegno delle autrici nel cercare di trasmettere delle emozioni e sentimenti nelle loro storie anche se brevi purtroppo,e non me ne vogliano per questo, questi ultimi tre racconti non mi sono piaciuti, nel descriverli concordo con quanto dice Ladymacbeth. Cmq come ho detto, premio l'impegno. Saluti. Anna B

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  12. Camille in realtà è morta a quasi 80 anni in una clinica psichiatrica poco fuori Parigi, ma io sto cercando di raccontare in un romanzo, di cui questo racconto è solo l'incipit (e quindi probabilmente trasmette per questo un senso di incompletezza) il periodo dal 1919 al 1929 in cui lei ha fatto dentro e fuori da quattro cliniche diverse, tre private ed una pubblica che è quella poi dove lavorava all'epoca il dott. Emile Boulanger che aveva perso la testa per lei e voleva provare a curarla da fuori...
    E' una storia quasi sconosciuta che io ho scoperto facendo delle ricerche tra lettere dell'epoca e archivi delle diverse strutture dove lei è stata ricoverata...
    Non è un romance, però, in senso stretto, è più un romanzo storico vero e proprio...

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  13. ladymacbeth27/12/10, 02:57

    Grazie x la precisazione sulle circostanze della morte di Camille, l'avevo detto che i ricordi erano piuttosto imprecisi.
    Romanzo storico e nn romance, allora la questione cambia completamente aspetto. Il dettaglio del medico innamorato della paziente mi ricorda un film visto nn molto tempo fa, forse quello sulla vicenda di Ida Dalser e Mussolini, però nn son sicura.

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  14. "Il Natale del 1919" è un racconto scritto bene (anche se risente del passaggio dalla 3a alla 1a persona), ma triste per i miei gusti, preferisco le storie d'amore a lieto fine.
    "25 Dicembre 1812": devo ammettere che non amo molto i diari e ho trovato la prima metà piuttosto ripetitiva. La storia è carina e mi è piaciuta molto la scena della biblioteca, davvero romantica.
    "Il Natale di Elizabeth": è un grazioso omaggio a "Orgoglio e pregiudizio" (che però non ho letto, ho visto solo il film). Il ritorno di Andrew è davvero commovente.
    Complimenti alle autrici.

    Emy

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  15. La scena del caffè somiglia a quella che si vede in Prendimi l'anima dove c'è un Jung ancora abbaatanza giovane che si innamora di una sua paziente, ma, siccome è sposato, poi si tira indietro... in questo caso però Emile non era giovane, era nato nel 1867, quindi, nel 1919 aveva 52 anni (se non ho fatto male i conti!!!) ed era vedovo da alcuni anni quindi era libero... Camille nella foto che ho spedito via e-mail a Francy da mettere insieme al racconto era giovane, ma all'epoca in cui è ambientata questa storia aveva 54 anni... non era più bella come a vent'anni, però, ancora si difendeva...

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  16. Sono tutti e tre dei bei racconti ma quello che preferisco maggiormente è il secondo. Innanzitutto perchè è scritto sotto forma di diario e poi perchè è ambientato nell'800.Ho una passione per questo genere di romanzi. Ho apprezzato anche il primo per l'ambientazione parigina e per i personaggi interessanti. Infine anche il terzo è molto carino e dolce. Ricrea l'atmosfera natalizia dell'attesa della realizzazione del desiderio espresso. Inoltre ne apprezzo anche il lieto fine. Complimenti a tutte e tre le autrici!!!
    Tricheco.

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  17. Una piccola indicazione bibliografica per chi volesse saperne di più:

    Type document
    Livre

    Auteur secondaire
    Galerie Durand-Ruel. , Imprimeur

    Titre
    Catalogue des tableaux modernes, aquarelles, pastels, dessins... sculptures par Camille Claudel, Aristide Maillol, Rodin [82 nos] composant la collection Octave Mirbeau. - Vente : Galerie Durand-Ruel, 16 rue Lafitte, 24 Février 1919

    Langues
    Français

    Titres associés
    Vente art (1919) 0216 (Paris) (Galerie Durand-Ruel.)

    Publication
    , 1919 (Paris : Galerie Durand-Ruel.)

    Pays
    France




    Exemplaire(s)

    Cote
    Bibliothèque
    Notes Exemplaire

    CV 256
    Ventes
    PARIS - Bibl.Forney

    Il resto lo scoprirete tra qualche mese!!!

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