NEW PENS FOR ROMANCE: presenta estratto di ALICE QUARANTA




L'estratto che New Pens for Romance vi propone questa settimana ci è stato inviato da ALICE QUARANTA ed è parte di un suo romanzo già pubblicato, AIUTAMI A VOLARE ( ed. Anordest,2009) che l'autrice ha piacere di fare conoscere alle lettrici del nostro blog ...buona lettura!


Questo romanzo è una moderna storia d’amore tra Laura e Giuliano, ambientata in una provincia italiana nel passaggio al nuovo millennio.

I due protagonisti lottano con sé stessi prima di lasciarsi travolgere dalla passione.

Giuliano deve superare il dolore della morte improvvisa dell’adorata moglie e, quando l’amore gli si ripresenta, scappa in missione in Africa per paura di una nuova relazione.

Laura viene lasciata dal marito che la tradisce con una donna che gli dà il figlio che lei ha sempre rimandato. Deve affrancarsi dalla rabbia per non aver capito che stava perdendo la tranquilla esistenza a cui era abituata. Un susseguirsi di emozioni da assaporare fino alla fine.


Alice Quaranta

Aiutami a volare
di
ALICE QUARANTA

Nessun sogno è mai solamente un sogno. (Tom Cruise in "Eyes Wide Shut")

Prefazione

Chi non ha mai desiderato di evadere dalla propria “normale” esistenza non legga questo libro. Il pensiero di vivere qualcosa fuori dal comune, per molti rimane per sempre un sogno, per altri diventa realtà. Laura e Giuliano superano questo limite invisibile lasciandosi trascinare dagli eventi che travolgono le loro vite, scoprendo che ogni fine, per quanto dolorosa, è seguita sempre da un nuovo inizio.


Estratto dal Capitolo 1

“Laura, dai, sbrigati! Sono già quasi le otto!”

Furono le prime parole che sentii riemergendo da un sonno profondo. Non avevo voglia di aprire gli occhi. La stoffa fresca del cuscino mi teneva ancorata ad una sensazione di benessere difficile da abbandonare.

Volevo rimanere lì, non muovere neanche un muscolo e ritornare alla sensazione di leggerezza che mi dava il mondo fantastico in cui ero immersa fino a un secondo prima. “Vuoi alzarti, tesoro, faremo tardi. Tuo padre ci aspetta tra venti minuti…”.

Accidenti! L’appuntamento per la partecipazione dello Studio Legale de Nardis & Associati al Congresso Nazionale per il Notariato di quell’anno. Me ne ero completamente dimenticata o, probabilmente, l’avevo rimosso non avendo la minima voglia di passare un intero giorno ad ascoltare le noiosissime relazioni dei più importanti notai di Perugia.

Ma Sandro ci teneva tanto, lo sapevo. Erano giorni che con mio padre allo studio non facevano altro che preparare il discorso, organizzare l’evento, perfino gli abiti da indossare. Dovevo andarci, come figlia del notaio de Nardis e moglie del suo pupillo, non potevo mancare.

Vinsi la resistenza al sonno che ancora mi avvolgeva e aprii gli occhi. Con precisione millimetrica, il primo raggio di sole mi ferì lo sguardo impreparato: Sandro aveva tirato su la persiana e inondato di luce la camera da letto… che tesoro!

Al mattino la finestra della camera da letto, orientata ad est, era un’autentica sorgente di luce. Era il mio angolo di pace, il luogo dove mi rifugiavo per ritrovare ordine nei miei pensieri. La prima cosa che guardavo ogni mattina al risveglio e mi bastava per calmare ogni inquietudine. Una fonte di energia per affrontare ogni nuova giornata.

Dalla porta finestra scorrevole si accedeva ad un balcone, il mio piccolo giardino privato: lì davo sfogo alla mia passione per le piante: gelsomini, gerani, surfinie, piante aromatiche di ogni tipo ma soprattutto il mio orgoglio, una meravigliosa pianta rampicante di rose. Era Ottobre. I rami erano scarichi della potenza della fioritura che quell’anno era stata grandiosa. I robusti rami erano cresciuti liberamente in ogni direzione riempiendo omogeneamente la struttura di legno che avevo scelto come supporto. Fino a poche settimane prima avevo goduto della visione di boccioli di incredibile bellezza, di un rosso così scuro da apparire quasi nero. A guardarle mi si riempiva il cuore di gioia, la mia anima mi ricordava che la vita è bella.

Peccato dover aspettare la nuova primavera per godere nuovamente di un tale spettacolo. Senza rose l’inverno sarebbe stato più lungo e difficile da superare.

Va bene, decisi di alzarmi. Trascinai le gambe e una volta toccato il pavimento freddo, ogni mia cellula ormai era pronta ad affrontare qualsiasi prova.

Sandro era già a mille. Entrava ed usciva dallo spogliatoio aggiungendo freneticamente strati di vestiti. Si stava annodando la cravatta davanti allo specchio e sbirciava nel riflesso per calcolare mentalmente quanto ci avrei messo a prepararmi, sperando di contenere in non più di un quarto d’ora il solito ritardo.

La camera era satura del suo profumo. Gliel’avevo regalato io il precedente sabato per il nostro anniversario.

Già, otto anni! Mi sembrava solo ieri di aver incrociato lo sguardo emozionato di mio padre mentre mi ammirava nel mio abito nuziale all’interno dell’auto scura che ci avrebbe lasciato davanti alla chiesa. Una piccola folla ci aspettava tra curiosità e mal di piedi delle donne nelle loro scarpe da cerimonia con i tacchi alti che affondavano nel piazzale fatto di rocce di fiume, niente di più scomodo! Tra gli altri anche mia madre, in un perfetto completo blu notte con un sorprendente quanto raro sorriso. Lo intravidi con sorpresa, tra la nuvola bianca del mio velo. Avrà pensato "Finalmente sistemata anche questa seconda figlia, dopo tutta la fatica per convincerla a sposarsi...". Certo, se avesse immaginato che dopo otto anni ancora non ci sarebbe stato nessun nuovo erede, quel raro sorriso sarebbe scomparso repentinamente dal suo volto.

“Ti aspetto di sotto. Devo fare una telefonata e… sbrigati!”

Il getto di acqua fredda della doccia mi riportò alla realtà. Avevo dieci minuti per ritornare presentabile ed entrare nel tailleur grigio appeso all’armadio. Triste quel vestito! L’aveva scelto Sandro per me. Almeno le scarpe, volevo prenderle seguendo il mio gusto. Un decoltè con tacco a spillo da sette centimetri. Le infilai al volo con movimento sensuale e fui dispiaciuta che lui non mi avesse visto.

Ero pronta. Un attimo e sarei stata giù da lui. Non volevo che Sandro mi richiamasse per la terza volta. Me lo immaginavo già con un piede fuori la porta di ingresso.

Imboccai la scala lasciandomi alle spalle la camera da letto insieme ai sogni di pochi minuti prima. Avevo nove scalini che mi separavano dal mio dovere e solo cinque minuti di ritardo, ma in un istante tutto si fermò. Tac, l'inconfondibile, sinistro rumore di un sottile tacco che si incastra e si rompe, non avendo appigli a cui aggrapparmi, caddi nel vuoto con un’espressione stupita sul volto.

Un istante che sembrò un’eternità e finì solo col rumore sordo del mio corpo che sbatté a terra in fondo agli scalini.

Non ci credo! Non può essere! Sono veramente caduta? Il dolore intenso che improvvisamente si impossessò di me concentrandosi sulla mia spalla destra, mi rispose di sì.

“Che diavolo fai? Che succede? Aspetta, non ti muovere! Dove ti fa male?” La voce di Sandro mi arrivò ovattata come da dietro una parete di materassi, ma di morbido non c’era proprio nulla.

Sentii il mio viso appoggiato sul duro del pavimento. Il resto del corpo non sapevo dove fosse. La mente riempita del solo dolore che stava diventando insopportabile. “Portami all’ospedale.” Fu l’unica frase che riuscii a pronunciare.

Mi sentii avvolta in un abbraccio possente. Era lui che mi sollevava per portarmi in macchina. La corsa all’ospedale cominciò con il rombo del suo BMW che partì a folle velocità, lasciando una scia sul vialetto di casa.

Lo guardai. Aveva l’espressione seccata e preoccupata mentre era concentrato nella guida. Mi sentii in colpa. Mi sentivo responsabile del ritardo del suo appuntamento. Non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento mi stava odiando. Riuscivo a fare casini sempre nei momenti meno indicati. Pensai di essere una stupida e quel maledetto vestito che mi soffocava… lo avrei stracciato in mille pezzi.

“Ci siamo. Ecco il Pronto Soccorso. Ce la fai?

Ti aiuto a scendere”. Come una bambina che aveva combinato un pasticcio, ero pronta a ricevere ogni forma di rimprovero, invece non disse una sola parola, né di conforto per me, né di sfogo per sé stesso. In ogni caso pensai che avrei trovato il modo di farmi perdonare quando tutto quel trambusto sarebbe passato.

Mi sedetti su una sedia nella sala d’attesa del Pronto Soccorso mentre Sandro parlava all’infermiera dietro il banco di accettazione. Mi dava le spalle. Era impeccabile nel suo gessato scuro. Gesticolava con fare manageriale. Un leader in ogni cosa che faceva anche se si trattava di chiedere informazioni sul reparto ortopedia.

Mi sembrava di conoscerlo da sempre. La prima vera storia d’amore a partire dai tempi del liceo. Forse l’unica della mia vita. Aspettammo la maturità per metterci insieme, dopo cinque anni di comune vita scolastica in cui avevamo condiviso momenti terribili e meravigliosi di un’adolescenza che allora mi appariva lontana, di un vita precedente.

Ci chiamavano “la coppia di belli”. Laura e Sandro Forever. L’avevo scritto mille volte nel mio diario. Sapevo che era l’uomo della mia vita, perfetto per me e soprattutto per le nostre rispettabilissime famiglie.

Non ricordo grossi litigi nella nostra storia a parte quando scelsi di studiare lingue. Ma in quell’occasione il litigio si estese a tutto l’Universo.

Lui no, era sempre stato perfetto anche nella scelta della Facoltà di Giurisprudenza che l’aveva portato naturalmente a fare praticantato nello studio notarile di mio padre.

Un marito perfetto, forse troppo per me. Perché se mi soffermo a pensare, credo di essere stata principalmente io la causa di diversi suoi dispiaceri, in primis la mancanza di un figlio.

Aveva insistito molte volte, specialmente nei primi anni dopo il matrimonio. Non mancava occasione per manifestarmi la sua voglia di paternità. Bastava incrociare una mamma col passeggino per strada o ricevere l’invito di amici al Battesimo del proprio piccolo che lui mi lanciava quegli sguardi carichi di tenera disapprovazione a voler dire “Perché non lo facciamo anche noi?”

Ma io non ce l’avevo fatta. Nonostante mi fossi detta tante volte che era giusto, naturale, che era quello che in fondo volevo anche io, che non potevo privare Sandro di un sacrosanto diritto, non ero riuscita ancora a trovare il coraggio di una maternità. Qualcosa mi bloccava dal profondo di me stessa e non mi permetteva di regalare la vita ad una nuova persona. I rimorsi erano tanti e non mi lasciavano mai. Ma i sensi di colpa in questo caso non avevano ancora avuto la meglio sulla mia decisione ed a fatica tiravo avanti anno dopo anno, sperando che arrivasse presto il punto di non ritorno.

Lo sentii alzare la voce con la solita infermiera che stava dicendo qualcosa a proposito di posti in reparto non disponibili al momento, di sistemazioni temporanee nelle stanze accanto alla terapia intensiva. Non avevo voglia di ascoltare, ero stanca e la spalla mi faceva male. Quanto tempo ero stata seduta su quella sedia dura? Desiderai un caffè e di tornare a dormire nel mio letto.

“Ho chiamato tua madre, sta arrivando. Intanto ti hanno assegnato un letto accanto alla terapia intensiva ed ho fatto rintracciare il dott. Saviani, darà un’occhiata alla tua spalla. Lo conosco, ha operato il figlio di un cliente ai legamenti crociati. Il miglior chirurgo ortopedico dell’ospedale”.

Sandro aveva pensato a tutto. Aveva sistemato tutto, come sempre si prendeva cura di me nel modo migliore. Ma, mia madre, perché aveva chiamato mia madre? Non volevo vederla. “Rimani tu con me” gli dissi, cercando l’espressione più supplichevole che riuscii a trovare.

Troppo tardi. La vidi entrare con passo sicuro all’ingresso del Pronto Soccorso. Un rapido sguardo in giro e mia madre mi aveva già individuato: piccola, seduta nella mia sedia di plastica dura, raccolta intorno alla spalla dolorante.

Nello stesso momento entrò anche il dottore. Seguito da un’assistente e da un’infermiera, aveva l’atteggiamento di tutti i primari di ospedale, quell’aurea quasi mistica di onnipotenza tipica dei chirurghi, salvatori di vite altrui. Tutta questa gente per me! Ed io volevo solo andarmene via.

“Prego, Signora de Nardis, venga!” Il dottor Saviani mi intimò, indicando la porta bianca dell’ambulatorio. Mi fece sdraiare sul lettino coperto di un telo di carta. L’infermiera mi aiutò a sfilare la giacca dell’odiato tailleur e la camicia bianca. Bianca. Bianca la camicia, bianco il telo di carta sul lettino. Mi guardai intorno e non vidi altro colore. Tutto intorno a me era di un bianco accecante. Per un attimo ebbi la sensazione di essere in cima ad una montagna ricoperta di neve in una mattina assolata con un cielo completamente privo di nuvole ed ovviamente priva di occhiali da sole. Mi riparai gli occhi chiudendoli in un abbandono sospirato. Facessero in fretta, pensai, così avrei potuto tornare a casa a riposare.

La diagnosi fu pressoché immediata: frattura della clavicola destra. Il dottor Saviani non perse tempo. Gesticolò qualcosa all’infermiera organizzando all’impronta un intervento. Che fosse preparata la sala operatoria 2C. Convocati anestesista e ferrista in men che non si dica: quando Saviani ordinava, tutti eseguivano!

Dal lettino dell’ambulatorio passai su una barella spinta da due braccia robuste di un giovane portantino. Uscendo dalla porta bianca, notai un’assenza. Non vidi Sandro. Al suo posto in sala di attesa c’era solo mia madre. La interrogai con lo sguardo. “E’ scappato al convegno, era in ritardo! Ha detto che avrebbe chiamato per avere notizie”. Certo, era in ritardo per colpa mia. Sperai che fosse arrivato comunque in tempo per tenere il suo discorso.

Mi trovavo all’ingresso della sala operatoria. Un viso magro in camice azzurro, pochi capelli brizzolati che uscivano dal bordo del copricapo mi si materializzò davanti e cominciò a farmi domande: nome, età, tolleranza ai farmaci, anestesie precedenti… tutte informazioni che riportò scrupolosamente su dei fogli di carta fermati da una molletta di ferro alla cartellina.

“Stia tranquilla, tra un po’ sentirà solo la puntura dell’ago. Faccia un respiro profondo…”

Subito dopo mi assentai temporaneamente dalla realtà. Il buio. L’oblio. Il nulla.

L'AUTRICE

ALICE QUARANTA è lo pseudonimo con cui scrivo. Sono una grafologa di Roma e da pochi anni ho scoperto la passione di scrivere. Questo è il mio primo romanzo. Inoltre ho scritto due racconti (“5 Passi” e “Stella di mare”) che ho prodotto da me. I miei libri sono acquistabili direttamente da me, ma anche online su www.ibs.it ( e i principali bookshops online) oppure sul sito della casa editrice.(www.edizionianordest.com). Potete contattarmi, per qualsiasi commento o informazione, scrivendo a: ali.quaranta@gmail.com


AIUTAMI A VOLARE , ed. Anordest, 2009, pp.206, ISBN: 8890420456



Vi è piaciuto questo estratto? Questo spazio è dedicato sia alle scrittrici che alle lettrici, perciò i vostri commenti sono più che benvenuti!


8 commenti:

  1. E' scritto molto bene. Mi è piaciuto!

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  2. Cara Alice, ho letto solo ora, ma con molto piacere, il tuo estratto: è veloce, agile nel descrivere una situazione di disagio e i sentimenti di una donna che fa di tutto, mi sembra, per tentare di essere o di sembrare felice, ma che non lo è. L'unico appunto, legato solo al mio gusto personale, bada bene, riguarda l'uso forse eccessivo di descrizioni particolareggiate, come quelle delle scarpe scomode delle signore o della spalliera per le rose rampicanti.
    Personalmente quando la frase si sviluppa in spiegazioni continue preferisco tagliarla drasticamente. Ma ripeto, è solo questione di gusto personale.
    Non ci hai detto se stai scrivendo un nuovo romanzo. Siamo curiose di saperlo.
    Congratulazioni ancora
    Viv

    RispondiElimina
  3. Grazie dei commenti. é sempre molto piacevole riceverli. Sì, il secondo romanzo è già scritto e si trova in fase di editing. Anche quello dedicato alle donne. Un saluto e a presto. Alice

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  4. Complimenti!
    Mi è piaciuto molto anche perchè buona parte dei tratti della protagonista mi riportano alla mia realtà (soprattutto quella della mancanza di un figlio ancora)..svelta e ben delineata la scrittura. Mi è piaciuto davvero tanto, nel giro di poche righe si capisce già una sofferenza di fondo della protagonista dietro un mondo ovattato. Scrivi molto bene!
    Samanta

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  5. Io l'ho trovato un estratto molto verosimile e realistico nella descrizione delle sensazioni della protagonista, quindi, ti faccio i miei complimenti... anche se avrei voluto qualche notizia in più sulla trama dell'intero romanzo che invece resta sul vago...
    Cristina

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  6. Cara Samanta,
    uno degli obiettivi che avevo quando l'ho scritto era proprio quello di descrivere le emozioni delle donne e trovare donne che si riconoscessero in esse.

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  7. Ciao, Cristina. Grazie del commento. Più dettagli sulla trama? Ma poi ti tolgo il bello di leggerlo, no?

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  8. Brava, di nuovo perchè essendo anche io una scrittrice amo chi sa trasmettere emozioni...

    Samanta

    RispondiElimina

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