Sono sul gradino più alto della scala e mi sporgo per riuscire a mettere la stella sulla cima dell’alto abete sistemato, come ogni anno, nel salone.
Questo non è mai stato il mio compito, ma da quando la guerra ha portato lontano gran parte degli uomini… a noi donne non è rimasto che adattarci. Scendo e noto che Steve mi tiene forte la scala e Giuliette e Georgette si tengono per mano. Hanno un’espressione estasiata e questo mi ripaga di ogni sacrificio. Per avere questo abete ho ricamato una tovaglia natalizia per la famiglia Bennet, ma loro non sanno che il lavoro è stato eseguito da me… Camille è stata così cara da coprire le mie difficoltà economiche ed è rimasta in questa casa anche se io non mi posso più permettere di pagarla, da quando Andrew è stato dichiarato disperso. Si è tutto così complicato ultimamente, ma per i bambini voglio che questo Natale sia un momento di serenità, per quanto possibile.
«Mamma, è… bellissimo!». Gli occhi di Georgette risplendono di gioia.
«Venite, ho preparato della cioccolata calda con i biscotti» ci chiama Camille.
«Evviva, ora sì che è Natale, con l’albero e la cioccolata!» esplode l’esuberante Steve, ma subito dopo aggiunge: «Manca solo papà…». Nella stanza cala il silenzio, finchè Giuliette, la più piccola dei miei tre figli, interviene con l’ingenuità dei suoi quattro anni: «Ma papà tornerà presto, sapete, mamma? Ne sono certa: ogni Natale le mie richieste sono state tutte ascoltate. Dio è buono e anche quest’anno lui mi accontenterà; e io ho chiesto papà…».
Come posso dirle che suo padre non trascorrerà più il Natale insieme a noi? Come faccio io stessa ad accettarlo? Spero sempre sia da qualche parte, impossibilitato a tornare, ma vivo…
«Suvvia, bambini, godiamoci questo momento, dai! Finite le vostre tazze di cioccolata, da bravi, che ora usciamo per ascoltare i canti intorno all’albero della piazza. Ve li ricordate i canti di Natale?» li cerca di distrarre Camille.
«Sì, io sì! Che bello!» e Steve contagia con il suo entusiasmo le sorelline.
Cosa farei senza Camille? È al nostro servizio da sempre, prima ancora era stata la tata di Andrew. Lei è una di famiglia, lo è sempre stata, in effetti.
«Venite anche voi, Mrs Elisabeth?»
«No, cara, andate voi, se non vi spiace, io non sono dell’umore adatto e poi vorrei preparare quel…» e faccio cenno verso la cucina.
In pochi minuti i bambini, ben avvolti nelle loro mantelline e sciarpe, sono in strada con Camille. E io sono libera di dar sfogo alle mie lacrime, mentre preparo con cura il pudding natalizio. Sono quasi tre settimane che lavoro a questo dolce, come ogni anno: i dolci sono la mia passione e non ho mai rinunciato a prepararli.
Sento la porta d’ingresso aprirsi, dev’essere Camille.
«Cosa avete dimenticato?» chiedo asciugandomi le lacrime con il grembiule.
Nessuno risponde. Allora allarmata appoggio il cucchiaio di legno ed esco dalla cucina. E in entrata davanti a me, come un sogno o un fantasma che temo quasi si dissolva, c’è Andrew. Mi fermo, incredula. Lui rimane a fissarmi sulla porta. Ci scambiamo degli sguardi che non abbisognano di parole. Temo che nell’avvicinarmi a lui tutto possa svanire e forse è quello che prova anche lui che non si muove.
«Andrew… sei davvero tu?»
«Oh, sì, Elisabeth, puoi giurarci. E sono davvero a casa, cara?»
«Sì, amore mio, io ti vedo e ti sento…».
«Bene, allora non corro il rischio che tu scompaia come fossi un’apparizione, se mi avvicino a te, vero?»
«Io non vado da nessuna parte…» e nel pronunciare queste parole mi precipito verso a lui e lo abbraccio forte. Un abbraccio caldo che ricambia con vigore. Poi mi solleva il mento e mi bacia delicatamente quasi potessi infrangermi come un prezioso cristallo al primo si bemolle di un eccellente soprano.
Lei mie gambe barcollano e lui mi sorregge premuroso.
«Dammi un pizzicotto, ti prego…» gli dico d’un tratto.
«No, tesoro mio, nessun pizzicotto» e mi bacia nuovamente, con ardore questa volta.
Dai miei occhi chiusi scendono lente e calde perle di gioia e rigano il mio volto illuminato dalla meraviglia.
Quando li riapro vedo intorno a noi i bambini abbracciati a Camille commossa.
Entriamo nel salone e sotto il nostro grande abete ci abbracciamo tutti. In questa vigilia di Natale nessuno di noi potrà essere più felice e appagato di così. La famiglia è finalmente riunita e ora sono certa: ogni difficoltà sarà facilmente superata, insieme.
Quando mio marito prende in braccio la nostra Giuliette, lei, con aria saggia, gli dice: «Io sapevo, padre, che sareste ritornato… siete voi il dono che ho chiesto per questo Natale al buon Dio!».
La magica atmosfera della festa ci avvolge senza eguali e in lontananza i canti coronano questo nostro indimenticabile Natale…
che bella storia! molto commovente! complimenti all'autrice! giusy74
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