Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock
Jingle bells swing and jingle bells ring
Snowing and blowing up bushels of fun
Now the jingle hop has begun
Jingle bells swing and jingle bells ring
Snowing and blowing up bushels of fun
Now the jingle hop has begun
«Uffa. Se mettono ancora una volta questa canzone giuro
che vado a staccare la presa dell'impianto stereo» borbotto a denti stretti. Di
solito non sono una scorbutica degna del racconto di Natale di Dickens, ma
sfido chiunque a mantenere una atteggiamento zen dopo una giornata trascorsa a fare pacchetti mentre in sottofondo passano
le stesse canzoni a ripetizione.
Alzo gli occhi dalla carta rosso lacca e concedo un
sorriso tirato alla matrona imbrilloccata come l'abete nell'atrio del centro
commerciale che mi tiene sotto tiro da quando mi ha messo in mano il suo
prezioso carico, raccomandandosi: «Faccia un bel lavoro. Sa... è per la madre
di mio marito.»
Detto fatto. Comunque, anche se le confeziono un
pacchetto al pari di uno dei più esclusivi negozi di via Condotti la suocera
non si accorgerà del fatto che dentro ci ha messo tre miseri pacchi di caffè in
offerta, vero? Naa.
Una nuvola di Candy di Prada mi avvolge come
zucchero filato attorno a uno stecco e la mia amica Giulia si avvicina
bisbigliandomi all'orecchio: «Carlotta!
Ma come? Non avevi detto di apprezzare Michael Bublé? E io che ti ho pure
comprato il suo ultimo CD.»
«L'ho
detto stamattina alle nove, dopo il primo ascolto. Ora voglio una cosa sola: il
silenzio delle distese artiche.»
«Dai,
su che abbiamo quasi finito. Tra una ventina di minuti ci potremo togliere di
dosso queste scomodissime divise da elfette e andare a casa a strafogarci di
pandoro e mascarpone.»
Sospiro
e mi rimetto all'opera. Giulia ha ragione. Venti minuti possono bastare per
smaltire la fila di clienti che ancora attendono di farsi incartare i regali
dell'ultimo minuto. Rimango attaccata a questo pensiero per qualche istante,
sentendomi come un uccello che sta per spiccare il volo dalla sua gabbietta
rimasta aperta. Fiduciosa e gaia, nonostante i piedi doloranti.
Una
sensazione che dura poco. Troppo poco.
Giusto
il tempo di allungare il pacco perfetto alla megera e guadagnare la visuale
libera sulla galleria. Il tempo
sufficiente a realizzare che in venti minuti non ce la potremo mai fare.
Perché? Perché sta arrivando un Babbo Natale.
Non
l'omone vestito di rosso dalla candida barba riccioluta che raccoglie letterine
scritte con calligrafia tremolante e che ci saluta ogni volta che va a fumarsi
una sigaretta nel retro.
Quello
che arriva è l'antitesi del Natale. È uno di quei clienti che lasciano tutto,
ma proprio tutto per l'ultimo minuto, arrivando con una pila di cose da
impacchettare alta quanto la torre di Pisa e dieci volte più sghemba, cose
prese a casaccio tra i giocattoli rimasti lungo le corsie ormai saccheggiate.
«No!»
gemo, afferrando il bordo del bancone di fronte a me. «Dimmi che è troppo tardi
e che possiamo riferirgli che i regali se li deve impacchettare da solo, perché
noi abbiamo finito.»
Giulia
sbircia l'orologio e scuote i lunghi boccoli dorati. «Purtroppo no. È ancora
nei tempi regolamentari e a noi toccano i supplementari.»
«Lo
scaraventerei volentieri fuori bordo con un colpo del boma» mugugno, voltandomi
verso di lei e appoggiando la fronte sulla sua spalla. Io e Giulia siamo due
amanti dello sport e non è difficile sentirci parlare in gergo calcistico
(lei), o velistico (io). Vestitini verde acceso e tacchi alti non fanno parte
del nostro abbigliamento abituale, di solito optiamo per vestiti comodi e
discreti, tessuti naturali e soprattutto scarpe basse.
Gli sguardi inquieti degli sparuti avventori, rimasti
in fila con i loro regali, mutano lentamente da allibiti a compassionevoli
quando lo stronzo entra nel loro campo visivo, sciogliendo il loro sensi di
colpa come la temperatura sahariana del centro commerciale ha sciolto la neve
che prima ricopriva i loro cappotti.
Che vuoi che sia una scatola del Monopoli di fronte a
quattro Barbie, quattro scatole di perline per fare i gioielli, sei scatole
formato maxi di Lego, due di Playmobil, un Cluedo e svariati aggeggini che a
distanza non riesco a identificare?
Prendo in mano l'astuccio che mi porge il cliente di
turno e inizio a ritagliare la carta. Questa volta vado di fiocchi di neve
baluginanti, di quelli che a seconda dell'umore sembrano giochi di luce di un
caleidoscopio, o un l'effetto di un acido. «Stasera il Rum non lo metto solo
nella crema al mascarpone. Voglio almeno tre tazze di Punch con le spezie. Come
quello che fa mia nonna, che ti stende già a metà della seconda» sussurro a Giulia,
tutta intenta ad intrecciare fiocchi dorati attorno a una scopa a vapore. Chi
cavolo regala una scopa a vapore a Natale?
Lei annuisce decisa. «Approvo in pieno. E se il tipo
laggiù non ci permetterà di essere a casa prima delle dieci per rivederci le
repliche di Arrow sin dall'inizio, ti autorizzo a scartare gli addobbi di
cioccolato del mio albero.»
«Giulietta, tu sì che sei un'amica.»
«Tesoro, se ci fa saltare la scena di Amell che si
allena con la sbarra non avremo altro rimedio per consolarci che esagerare con
Rum e cioccolata.»
«Giusto. Ma in ogni caso diamoci una mossa. I miei
piedi stanno pianificando un ammutinamento.»
Dieci minuti e tra noi e la colonna infame sono
rimasti due signori di una certa età armati di una tombola classica. «Tenga» dice
con tono mesto uno dei due, porgendoci il dono d'altri tempi.
«La Teresa ha perso le cartelle di quella che avevamo
al bar del circolo e gliene regaliamo una nuova. Le pare che si possa stare
senza tombola sotto le feste?»
Con tutta probabilità la Teresa ha deliberatamente mal
collocato le cartelle della tombola per non doversi sorbire la litania delle
estrazioni, ma non ha tenuto conto di
questi due furbacchioni.
Furbi come la mia amica Giulia che afferra la sottile
scatola rettangolare e mi lascia a fronteggiare lui. L'ultimo della fila.
L'uomo dai mille pacchetti.
Anche se non riesco a scorgere i suoi connotati so che
si tratta di un uomo per due motivi: primo, una donna avrebbe messo le scatole
in un carrello e non sarebbe stata in fila con una montagna di scatole in
bilico una sull'altra come una torre di legno di Jenga; secondo, le sue mani.
Sono mani grandi e forti dalle lunghe dita affusolate.
Sono mani abituate a lavorare.
Sono mani che conosco e che riconoscerei tra mille.
Sono mani che conoscono me.
Ogni centimetro del mio corpo, ogni reazione al loro
contatto... il battito del mio cuore.
«Carlotta.»
Le scatole di giocattoli ora giacciono sul bancone e
da dietro quel muro dai mille colori emerge lui.
Non più un Babbo Natale fasullo. No, lui non andrebbe
mai a comprare i regali all'ultimo minuto. Lui non dimentica mai nulla. Lui
valuta, pianifica ed esegue qualsiasi attività con cura maniacale.
Lui non è
qui per farsi incartare i regali.
Gabriele è qui per me.
I suoi occhi verde giada sfavillano. Sarà trionfo?
Rabbia? Orgoglio ferito?
Scommetto che i miei in questo momento ardono come la
fiamma del gas. «Chi ti ha detto dov'ero?»
Distoglie lo sguardo e fissa un punto lontano mentre
ride. Lo sa. Sa che in questo momento sono furibonda che se potessi lo ridurrei
in cenere. Lui e la serpe che si annida nella mia famiglia. Perché solo loro
sanno dove sono andata a rintanarmi fuggendo da lui.
«Carlotta.» Il
mio nome sulle sue labbra è dolce e speziato come il Rum di cui tanto avevo
voglia pochi minuti fa. Mi vergogno a pensarlo, ma anche in questo momento la
voglia di lui è mille volte più potente, mille volte più inebriante di
qualsiasi cocktail.
«Sono contento di vederti così in forma.»
Bastardo.
Pensava forse che sarei rimasta a nascondermi sotto le coperte con gli occhi
rossi di pianto per un mese intero?
No. L'ho fatto per tre giorni, poi sono scappata a La
Spezia da Giulia.
«Che ci fai qui?» gli chiedo in modo brusco tirando su
il mento in segno di sfida.
«Non lo vedi? Sono venuto a comprare i giocattoli per
i miei nipoti.»
Esprimo il mio scetticismo con un suono poco elegante
e poi sbotto: «E ti saresti fatto centottanta chilometri fin quassù per fare i
regali di Natale? Cos'è? A Piombino hanno già finito tutto?»
Lui scrolla il capo e si passa una mano sulle labbra
incorniciate da una barba corta ma ben curata.
La cosa che noto subito è che la sua mano trema. Quella mano forte,
capace di una presa d'acciaio, di tenere saldo il timone di una barca in piena
tormenta, di ammainare una randa col mare forza otto che ruggisce tutto
attorno. Quella mano. Quella mano sta tremando.
E io non posso fare a meno di preoccuparmi. «Che hai?»
«Lotte, hai bisogno davvero di chiedermelo?» mi chiede
con voce roca che trasuda tensione.
Lotte. Solo
lui mi chiama così. Anche per mia nonna che è la persona che più amo al mondo
sono Carlotta. Sto mentendo. Lui è la persona che più amo al mondo e lo sa
bene. Ma non posso stare con lui alle sue condizioni e non ho intenzione di
tornare indietro sulle mie decisioni. Non sarò la parte cedevole nella nostra
coppia.
Siamo uguali noi due. Anche troppo. Forse è per questo
che il nostro rapporto è scoppiato.
Gli opposto si attraggono e i simili si respingono. Lo
dice la Fisica, no?
Ecco, io e Gabriele siamo simili, emotivamente uguali
come lo sono esteticamente due gemelli monozigoti.
Esternamente siamo agli antipodi. Proveniamo da due
famiglie completamente diverse. Lui ricco e io povera. Lui quinto figlio di una
famiglia stabile, gente per bene che si ama e si rispetta per davvero e non per
convenzione sociale. Io figlia unica, nata per sbaglio da una coppia di hippie
svalvolati che si erano fumati troppa erba per ricordarsi di usare il
preservativo. Io cresciuta sballottata da un estremo all'altro della penisola fino
a che ho raggiunto la maggior età e ho deciso di andare per la mia strada; lui
nato e cresciuto sempre nella stessa casa, imboccato con un cucchiaino
d'argento.
Ma alla fine siamo venuti su forti e caparbi,
inarrestabili nel nostro cammino verso gli obiettivi che negli anni ci siamo
fissati. Università, gare, equipaggi blasonati, quello che abbiamo voluto lo
abbiamo ottenuto.
Siamo stati il punto di forza l'uno dell'altro, il
porto sicuro nella tormenta, la mano tesa a risollevare chi era caduto. Ma
anche il punto debole nei lunghi periodi in cui siamo dovuti stare lontani, la
nebbia che rischiava di far infrangere sugli scogli i nostri sogni perché
troppo presi dalla nostra relazione, la bussola impazzita che ci faceva
sbagliare strada nella nostra ricerca di una dimensione individuale.
Dal primo istante in cui i nostri sguardi si sono
incrociati si è formato un legame inscindibile. Avevamo sedici anni io e
diciotto anni lui, quell'estate in cui ci siamo conosciuti durante un campo di
vela a Caprara. Ora Gabriele ne ha trentuno e io ne ho appena compiuti trenta,
e in tutti questi anni Madre Natura non ha mai ammesso il suo sbaglio: ha fatto
innamorare due esseri simili, due mezze metà della mela che vanno incastrate
dallo stesso lato. E più passa il tempo più continua a rinvigorire il legame.
Anzi, ogni qual volta uno di noi ha tentato di
liberarsi, la stretta si è fatta più serrata. Forse è per questo che la mano di
Gabriele trema, forse gli manca l'aria.
Gli manco io.
Giulia si schiarisce la voce e in un batter di ciglia
mi ritrovo catapultata nel mondo reale, circondata da addobbi natalizi, negozi
che chiudono e l'immancabile Michael Bublé, che questa volta invoca la presenza
della neve. «Carlotta, se volete andare... qui ci penso io» mormora prendendo la
mia mano stratta a pugno tra le sue.
Sbatto le palpebre realizzando che la mia miglior
amica non è affatto turbata dall'arrivo di Gabriele, né accenna a protestare
per la sua intrusione. «Sei stata tu. L'hai chiamato tu!» esclamo puntandole
l'indice al petto.
La sua espressione mi ricorda quella volta in cui
prese una pallonata in pieno viso mentre giocavamo a beach-volley. Ma so che
non si tratta di dolore fisico a distorcerle i lineamenti e a farle strizzare
le palpebre, bensì la consapevolezza di avermi tradita.
«Come hai potuto?»
Giulia sospira e socchiude un occhio per controllare
la mia reazione. Qualche anno fa quel pugno che poco prima teneva tra le sue
mani sarebbe partito dritto dritto verso il suo bel nasino all'insù.
Lo sa bene
perché quando eravamo ragazzine ha avuto più di un assaggio del mio
temperamento impetuoso. Lei e Gabriele sanno che quando mi arrabbio dico e
faccio cose di cui poi mi pento amaramente. Sarà per questo che si sono
coalizzati?
Mi sforzo per contenere la collera. Non voglio far del
male a nessuno, neanche verbalmente. Forse perché negli ultimi giorni sono
stata io a soffrire.
Gabriele fa il giro del bancone e io retrocedo fino a
trovarmi con le spalle al muro, in trappola. «Lascia stare. Giulia l'ho
chiamata io. Non viceversa. Credevi davvero che non ti avrei trovata?» La sua
voce sensuale è come la melodia del pifferaio magico, mi rende incapace di
intendere e volere. Anzi mi fa volere solo una cosa: lui.
Non riesco a
distogliere lo sguardo dal suo volto segnato dal sole e dal vento, dai piccoli
e grandi cambiamenti che lo rendono diverso dall'ultima volta che ci siamo
visti due mesi fa. «Ti sei tagliato i capelli» mormoro. Mi ha mandato in pappa
il cervello. I capelli? Sul serio, Carlotta?
Il sorriso che mi rivolge rischia di far sciogliere il
vestito di poliestere che sono stata costretta a indossare. E tutto per dare
una mano a una amica di Giulia che si è ammalata all'improvviso. «Aspettate un
attimo!» esclamo posando entrambi i palmi sudati sui suoi pettorali duri come
il marmo. Spingo e lui non cede di un millimetro, così mi chino di lato a
fissare la mia amica-traditrice. «Elena non sta affatto male, mi hai trascinata
qui per farmi trovare da lui.»
Lei scuote la testa. «Messa così sembra che tu sia
l'agnello sacrificale… no, non ti ho teso una trappola. Ti ho tirata fuori di
casa con una scusa. Ti ho portato in territorio neutro.» Poi abbassando la voce
aggiunge: «Speravo che di fronte a degli estranei ti saresti comportata in modo
civile.»
Se gli sguardi fossero dardi, Giulia in quel momento
sarebbe stata l'incarnazione di San Sebastiano.
«Lotte, dobbiamo parlare. Per favore.» La sua voce fa
vibrare le mie mani ancora incollate al suo torace. Le abbasso lentamente,
accarezzando il morbido cachemire di cui è fatto il maglioncino con lo scollo a
V che indossa sopra una t-shirt bianca. Fuori nevica ma Gabriele non ha bisogno
di giacca a vento e guanti, la vita da lupo di mare l'ha reso resistente alle
intemperie.
Prima che io possa replicare Giulia mi tira per una
manica e mormora: «Andiamoci a cambiare. Gabriele, prendi le tue cose e
aspettaci laggiù.»
Ho bisogno di una pausa, di prendere una decisione in
fretta e lei lo sa. «Va bene» le dico.
La seguo nello spogliatoio dove a malapena scambiamo
due parole mentre rientro nei miei leggins neri e maglione extra-large dello
stesso colore. Sospiro di piacere riappropriandomi dei miei indumenti, fare
l'elfo mi ha stancata anche cromaticamente. Quando mi sono infilata sciarpa e
cappotto Giulia mi stringe in un abbraccio. «Ti voglio bene. Lo sai, vero?»
All'inizio rimango tesa come una tavola da surf, ma
poi mi sciolgo e ricambio il gesto e le parole. «Però tu non dovevi...»
Lei non mi lascia finire. «Non ho la presunzione di
sapere quello che è meglio per te. Ma vi conosco, so quanto sei stata male.
Ascoltalo. Ti chiedo solo questo.»
Piego il capo all'indietro per guardarla negli occhi.
«Avete fatto le prove insieme?»
«Scema!» mi dice facendomi girare e spingendomi verso
la porta.
Esco e mi ritrovo davanti la torre di giocattoli che
ora so essere destinata ai sei nipotini di Gabriele. È una famiglia numerosa la
sua. «Lo sai che te li dovrai impacchettare da solo, eh?»
Lui sporge il capo da un lato e sghignazza. «Non c'è
problema. Sai che nessuno sa maneggiare un fiocco come me.»
«Andiamo.» Accenno col capo verso l'uscita e lui mi fa
strada. Lo seguo in silenzio, ammirando il suo fantastico posteriore fasciato
da un paio di jeans scuri. Ricordo benissimo quando li abbiamo comprati, perché
mentre li stava provando li macchiai col tè freddo che tenevo in mano. Non proprio un piccolo incidente innocente.
Persi la presa nel momento in cui mi ritrovai una mano di Gabriele sotto la
gonna e la sua bocca incollata all'orecchio mentre mi sussurrava di essere
eccitato e sul punto di esplodere.
Mi tolgo la sciarpa. All'improvviso
sento caldo. Colpa della mia memoria fotografica che rievoca dettagliatamente
ciò che accadde in quel camerino dopo che mi chinai a raccogliere la
bottiglietta da terra.
«Premi il bottone.»
«Eh?» Faccio fatica a ritornare al presente.
Gabriele si è fermato davanti agli ascensori e mi
guarda curioso. «Il pulsante per scendere.»
«Capito.» Mi affretto a fare quanto richiesto. Nel
mentre scorgo il mio volto riflesso sulla porta scorrevole dell'ascensore, la
momentanea deviazione su per il viale della memoria mi ha fatto arrossire.
«Entra prima tu» gli dico, scivolando dietro di lui.
«Ho la macchina nel parcheggio interrato.»
«Okay.» Schiaccio l'altro bottone e in pochi secondi
siamo già nell'antro deserto e gelido sotto al centro commerciale.
«Prendi le chiavi nella mia tasca anteriore» mi dice
con uno strano sfavillio negli occhi. «Attenta a non urtarmi. Non voglio far
cadere i miei pacchetti, eh?»
«Spiritoso.»
Faccio scivolare la mia mano lungo un fianco e lui mormora:
«L'altra.»
«Che?»
«L'altra tasca.»
Ritiro la mano e ripeto il gesto infilando
delicatamente le dita nella tasca anteriore dei pantaloni che non ricordavo
così stretti. Infatti devo spingerla tutta dentro per afferrare la massiccia
chiave elettronica della sua auto. Nel mentre noto il formarsi di un certo
rigonfiamento sotto il sottile tessuto interno.
«Porco» gli sussurro all'orecchio.
Lui scrolla indolente le spalle e si gira a guardarmi
negli occhi. «È l'effetto che mi fai.»
Mi rigiro la chiave tra i polpastrelli cercando di
capire come aprirla. Non è la chiave della sua macchina. «L'hai cambiata?»
«No. È di mio fratello Vittorio. Me l'ha prestata dato
che la mia non aveva su i pneumatici da neve.»
Ah già, da quando il suo capo e mentore si è trasferito
in Nuova Zelanda dopo il ritiro di Luna Rossa dalla Coppa America, Gabriele non
ha avuto più bisogno della sua auto. Infatti da ottobre anche il mio
ex-fidanzato si è trasferito nell'isola dei kiwi dopo che gli hanno offerto un
lavoro laggiù.
«Quando sei tornato?»
«Ieri mattina. Sono atterrato a Malpensa dopo un
viaggio che non ti dico...»
«Ecco. Puoi pure fare a meno di dirmelo» replico
acida.
Faccio scattare la chiusura della Lexus e apro il
portabagagli per permettere a Gabriele di sistemare i suoi regali. «Prego.»
«Grazie» mormora chiudendo lo sportellone. Si riprende
la chiave che gli porgo col braccio teso e mi chiede: «Hai freddo?»
Merda. Non
gli è sfuggito il brivido che mi ha scossa da capo a piedi quando le nostre
dita si sono sfiorate. «Un po'» mento spudoratamente.
«Mmm.» Gabriele fa un passo avanti e infila le sue
mani calde e forti sotto i lembi del mio cappotto.
«Che fai?» la voce mi trema e tradisce la mia
agitazione.
Allarme rosso. Allarme rosso.
Nella mia testa una luce lampeggiante gira
all'impazzata.
Per poter parlare dobbiamo stare lontani almeno un
metro. Meglio se imbragati dalle cinture di sicurezza. Lui davanti e io dietro.
«Saliamo in macchina. Qui si gela.»
«Un attimo» mi dice facendosi più vicino. Il suo volto
si china in avanti e la punta del suo naso sfiora le pelle del mio collo giusto
sotto all'orecchio.
«No. Non farlo. Ricordi? Dobbiamo parlare.» Il
bastardo ha mirato subito a uno dei miei punti deboli. Sento la strana
sensazione di prurito e piacere che mi provoca la sua barba prima di notare il
soffice tocco delle sue labbra. «Giusto. Parlare.»
Gabriele sospira, fa un mezzo passo indietro e io
sento di nuovo freddo. Non è il freddo dovuto alla temperatura gelida di questi
giorni, è il freddo dell'anima. Il freddo che viene dopo una separazione
dolorosa. Il freddo che da lunghe settimane non mi ha mai abbandonato.
Lui incrocia le braccia sul petto e guarda il
pavimento di cemento macchiato d'olio. «Ti devo delle scuse.»
Sbuffo. «Questa è la barzelletta del secolo.»
Alza gli occhi e mi inchioda alla lamiera del SUV con
lo sguardo. «Scusami per essermi comportato come un animale per mesi. Scusami
per non aver preso una decisione con te. Scusami per averti
abbandonata.»
Sono parole che vanno dritte al cuore, ma la mia mente
fa ancora resistenza. «Sull'ultima frase avrei qualcosa da ridire visto che ti
ho mollato io. Ma sorvoliamo, concentriamoci sul tuo comportamento da perfetto
idiota.»
«Ho perso la testa, Lotte.» Le braccia gli cadono
lungo i fianchi e le spalle si incurvano leggermente in avanti. I suoi occhi
cercano i miei e dentro vi riconosco la stessa disperazione che mi ha straziato
l'anima per lunghi giorni. Il mio dio dei mari si dichiara sconfitto?
La sua non è una farsa e di fronte al suo dolore le
mie difese iniziano a sgretolarsi come un iceberg a primavera. Sento gli enormi
blocchi di ghiaccio cadere nel mare della mia malinconia.
«Quando mi avevano preso nel team della Coppa America
ero così felice… poi ad aprile, dopo il ritiro, mi è crollato il modo addosso.»
«Avevi raggiunto il tuo sogno e te l'hanno portato
via.» Gli prendo una mano con dita tremanti. «Gabriele, penso non ci sia al
mondo una persona che possa capirti meglio di me.»
«Lo so! Sono io lo stronzo che non ci ha creduto e che
non ha saputo reciprocare quando ti hanno chiamata a Bruxelles per lavorare in
commissione. Sono io lo stronzo che ti ha chiamata egoista per essere andata a
fare il lavoro a cui hai ambito da sempre e non essere venuta a tenermi la mano
mentre mi piangevo addosso.»
«Il mio era solo uno stage.»
«No, il tuo era un passo verso il coronamento del tuo
sogno. La tua carriera. Come Luna Rossa lo era per me in quel momento. Il sogno
è gareggiare in Coppa America e forse lo realizzerò col team New Zeland… ma non
è questo di cui voglio parlare. Voglio dirti che ti amo, che sono orgoglioso di
te che voglio sentirti dire di sì di nuovo perché a vivere così non c'è gusto.
Perché senza di te persino la Coppa America non mi sa di niente.»
Gli prendo anche l'altra mano e lui intreccia le
nostre dita, tirandomi a sé. «Gabriele» sussurro perdendomi nel verde dei suoi
occhi.
«Carlotta mi vuoi sposare ancora?»
«Devo tornare a Bruxelles.»
«Lo so. E io devo tornare laggiù. E ti voglio con me
fintanto che non ti riparte il contratto. Voglio stare con te il più a lungo
possibile.»
«No! Non ci vengo a fare la mogliettina a carico. Te
l'ho già detto» sibilo a denti stretti mentre cerco di divincolarmi dalla sua
presa. È stato questo l'argomento che ci ha portati alla rottura e se ancora
insiste allora non ha capito niente.
«Aspetta. Aspetta.» Gabriele mi lascia una mano e
fruga nella tasca posteriore dei pantaloni, poi mi offre una busta. «Tieni.»
«Cos'è?» Curiosità mista a sospetto danno una nota
tagliente alla mia domanda, ma lui non ne sembra turbato.
«Apri.»
La lettera porta l'intestazione del team neozelandese
e al suo interno c'è un contratto di lavoro per tre mesi. «Junior project manager? E tutti questi soldi per tre mesi?»
«Fintanto che non ti riprendono a Bruxelles.» La
mascella deve essermi caduta fino a terra e i miei occhi devono essere usciti
dalle orbite perché Gabriele si mette a ridere.
«Che hai fatto?» gli chiedo.
«Nulla. È stato Max. Ha preso il tuo curriculum su
Linkedin. Mi ha visto andare in giro come un'anima in pena… anzi, come dice
lui, sembravo un condannato inglese deportato in Oceania e si è mosso un po' in
giro. Ti invitano a venire giù.»
«Per sollevarti il morale?»
«No, per farti lavorare sodo. Sta a te accettare.
Saremo due expat alla pari, né più ne meno.»
Sono sotto choc. Lavorare in un posto nuovo, un nuovo
continente. È tutto troppo bello per essere vero. Deve esserci la fregatura da
qualche parte. «Non lo so.»
«Lotte, non farti venire le paranoie. È tutto a posto.
Nessuno ti pagherebbe così tanto solo per farmi tornare il sorriso. Si tratta
di un lavoro vero e hanno detto che hai le carte in regola per farlo. E se i
dubbi che hai riguardano noi, ti prometto che tutto andrà per il meglio. Sai
che tutte che cose brutte che ci siamo detti non le pensiamo. Io ero in preda
ai fumi dell'alcol e tu eri furibonda.» Frugando nell'altra tasca anteriore
Gabriele tira fuori il mio anello di fidanzamento. Quello che ho portato per
quasi due anni e che gli ho rimandato via corriere da Bruxelles, perché non me
la sentivo di buttare un diamante da più di un carato nella tazza del cesso.
«Riprendilo.»
Lo guardo attonita.
Lui annuisce e si fa scuro in volto. Poi si
inginocchia, non piegando una sola gamba, ma mettendosi nella posizione della
pia vecchina in preghiera. «Carlotta, mi vuoi ancora sposare?»
La vista mi si appanna. Ecco, mi ha fatto piangere.
Tiro su col naso e annuisco. «Sì, ti voglio ancora sposare.»
Gabriele mi si avvinghia alle cosce e poggia il volto
sul mio ventre. «Cristo, che sollievo. Pensavo che sarebbe stata molto più dura
convincerti a tornare con me.»
«Stronzo!»
«Siamo alle solite, eh?» esclama sollevando lo sguardo
e anche i suoi occhi sono lucidi.
«Non cambieremo mai.»
«Ti voglio così come sei. Sempre.»
Ora che si è alzato con estrema lentezza sento
chiaramente quanto mi vuole. «Gabriele?»
«Uh?» È tornato a baciarmi il collo. «Mi sei mancata,
Lotte.»
«Sì, capisco… ma non possiamo qui?» La mia
affermazione si trasforma in domanda quando sento le sue mani infilarsi sotto
il maglione. Ma non so qual è la sua replica, perché la sua bocca è impegnata a
baciarmi. Prima con lentezza, poi più avidamente come se volesse divorarmi.
Alle nostre spalle sentiamo qualcuno schiarirsi la
voce. Io faccio un salto mentre Gabriele si gira di scatto, facendomi scudo col
suo corpo.
«Ragazzi, scusate l'interruzione. Dobbiamo chiudere il
parcheggio sotterraneo» dice una guardia giurata palesemente divertita dallo
spettacolo che stavamo offrendo.
«Ah. Sì, ci scusi» dice Gabriele spingendomi verso il
retro del SUV. Io faccio il giro, salgo a bordo e aggancio la cintura intanto
che il mio di-nuovo-promesso-sposo sale e mette in moto.
Quando siamo sulla rampa d'uscita si gira e mi chiede:
«Sorvegliano anche il parcheggio esterno?»
«No, non credo. Perché?»
«Perché i vetri di questa macchina sono oscurati e
perché io non ce la faccio ad aspettare fino a casa.»
«Ma io ho tutta la mia roba da Giulia!»
«Lotte! Ti dico che non posso aspettare di essere
dentro di te neanche un secondo e tu ti preoccupi dei tuoi vestiti? Domani ti
compro un guardaroba nuovo. Ora rispondi alla mia domanda e togliti quei cazzo
di pantaloni.»
«Hai scordato che io non sono parte del tuo
equipaggio?» ribatto secca, iniziando a rimuovere gli scarponi.
«Scusa. È stato il mio uccello a parlare. Entrambi
siamo molto, ma molto felici di rivederti.»
Mi metto a ridere e faccio un cenno con la testa. «Vai
nell'angolo giù in fondo al parcheggio. So che è lì che vanno a nascondersi le
coppiette. Stasera con tutta questa neve sarà sgombro di sicuro.»
Il sorriso di Gabriele ha un non so che di diabolico e
fa il paio con le mie intenzioni tutt'altro che angeliche. Mi sfilo il cappotto
e infilo la biancheria nella borsetta. In passato ci è successo di lasciare
prova delle nostre scorribande nell'auto della mia ri-futura suocera e ne sono
venuta fuori mortificata. Se succedesse lo stesso con suo fratello Vittorio non
tornerei più indietro dalla Nuova Zelanda.
«Hai freddo?» chiede Gabriele infilandosi tra i sedili
per piazzarsi nel mezzo di quello posteriore. «No. Tanto ci penserai tu scaldarmi.»
«Vieni qua.» Mi guarda sornione e poi aggiunge: «Per
favore.»
«Stendi il mio cappotto sul sedile. Il cuoio sarà
bello, ma è freddo e fa rumore.»
«Pensi troppo.»
Mi siedo in grembo a Gabriele e gli dico: «Tocca a me
stare sotto, allora decido io.»
Lui mi infila una mano tra le gambe e prende il mio
labbro inferiore tra i denti. «Chi l'ha detto che devi stare sotto?»
Tiro via il suo maglione insieme alla t-shirt,
interrompendo il nostro bacio per pochi istanti. La sua pelle profuma di mare
ed è calda come la sabbia fine sotto il sole estivo. Faccio scivolare le mani
sui suoi muscoli incredibilmente definiti, partendo dal collo fino ai fianchi
stretti, poi cerco di infilarne una nella cintura dei jeans, ma sono troppo
stretti.
«Toglili» ordino con voce arrochita dal desiderio.
Gabriele fa scorrere due dita dentro e fuori dal mio
sesso e poi se le porta alla bocca prima di far scattare il bacino verso
l'alto, facendomi sobbalzare. Io mi aggrappo al suo collo mentre fa scivolare i
pantaloni fino alle caviglie, tirandosi dietro anche i boxer. «Cazzo, avevi
ragione questo sedile è di ghiaccio.»
Gli infilo sotto il cappotto e poi mi sistemo a
cavalcioni delle sue cosce possenti. Mi mordo il labbro inferiore per
trattenere il solito “te l'avevo detto”.
«No, aspetta» implora mentre lo accarezzo
languidamente cercando di guidarlo dentro di me.
«Prima tu… se ti sento stretta attorno a me non durerò
più di cinque secondi.»
«Dopo.»
«Lotte, sono settimane che neanche mi masturbo. Averti
persa è stata la morte cerebrale e sessuale.»
«Non esagerare. Non sei mai stato in grado di stare una
settimana senza fare l'amore o masturbarti. Penso che abbiamo provato tutte le
sfumature di sesso telefonico da quando stiamo insieme.»
«Te lo giuro. Non vengo da settimane» sussurra mente
mi stimola con la mano.
Appoggio la fronte alla sua e già sento l'orgasmo
montare come un'onda anomala. Quello che mi ha appena confessato è un
afrodisiaco più potente di qualsiasi altra cosa. «Via la mano» gemo e strattono
il suo polso mentre lo impugno e scendo su di lui.
«Carlotta.» Il mio nome è un grido trattenuto.
Vedo i suoi occhi spalancarsi, il verde ormai è
scomparso, inghiottito dal nero della pupilla dilatata fino all'estremo. «Ti
amo» mormoro contro le sue labbra. Mi muovo in modo scoordinato, persa nel mare
di sensazioni che sto provando. Lui afferra i miei fianchi pompando una, due
tre volte. Poi esplodo come una supernova e trascino Gabriele nella mia estasi.
Sto ancora tremando per lo shock procurato
dall'orgasmo quando sento le sue mani vagare sul mio corpo per poi fermarsi
sopra i miei seni. «Non sono riuscito nemmeno a vederti le tette. E io adoro le
tue tette» afferma sganciando i gancetti del reggiseno. I suoi palmi callosi
scivolano sul davanti e iniziano a
strizzare e massaggiare ritmicamente i capezzoli divenuti ipersensibili. Poi
con un gesto d'impazienza mi sfila di dosso il maglione e tutto quello che c'è
sotto.
D'istinto mi guardo attorno. Lo faccio anche se so che
tra i vetri scuri e la neve che cade copiosa nessuno ci può vedere. Fuori dal
finestrino il paesaggio si è completamente trasformato, nei pochi minuti in cui
ci siamo rinchiusi nel nostro guscio il mondo si è rivestito di una candida
coltre. «Guarda.»
Gabriele è intento a recuperare il tempo perduto con
il mio seno e tenendo un capezzolo in bocca mi dice: «Bello. Ma preferisco il
mare… e ancor di più le tue tette.»
Quello che sta facendo mi sta rimandando in orbita ma
non riesco a smettere di pensare alla neve, è così bella. «Magari quest'anno
possiamo vedere la spiaggia imbiancata.»
Lui si stacca da me e mi prende il viso tra le mani.
«Le licenze le abbiamo ancora?»
Ci
metto un paio di secondi a capire di cosa stia parlando, poi annuisco. «Sì,
credo le abbia tuo padre.»
«Bene.
Se domani ci alziamo con la neve in riva al mare, caschi il mondo, trascino
Luca sulla spiaggia e ci sposiamo.»
«Che?
Ma io...»
«Niente
ma. Sapevo che prima o poi mi tornava utile un cugino prete.»
***
Tanti
ricorderanno il giorno seguente come il giorno della gran nevicata. Per me e
Gabriele rimarrà sempre la pagina bianca sulla quale abbiamo iniziato a
scrivere il primo capitolo della nostra vita insieme come marito e moglie.
FINE
CHI E' L'AUTRICE...
Silvia Ami ha lavorato in ricerca e sviluppo, mandato avanti una piccola attività e ultimamente, progettato razzi spaziali (è uno scherzo!). Ha attraversato l'Europa in treno ai tempi in cui si usava l'Interrail e i voli low-cost ancora non erano stati inventati. Ha vissuto in Germania per cinque anni e imparato lo spagnolo da suo marito. Insieme ai loro due figli vivono affacciati sul Golfo del Tigullio, condividendo un'enorme collezione di macchinine, una cucina piena di gadget e un ufficio che assomiglia al laboratorio di Doc in Ritorno al futuro. Silvia ha scritto il suo primo romanzo dopo aver sognato i personaggi in una notte di mezza estate e non riuscendo più a farli andar via.
PUOI TROVARE IL SUO LIBRO (IN INGLESE) QUI
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Un bel racconto frizzante e simpatico. L'amore si respira chiaramente e l'atmosfera è elettrica. Un brava all'autrice.
RispondiEliminaRapido, intenso, pieno di sentimento, di speranza e di passione, e anche divertente. E un bellissimo epilogo in poche parole! Grazie.
RispondiEliminaUn racconto dolce, agile e divertente al tempo stesso. Complimenti consorella, e che la Dea ti benedica
RispondiEliminaMi sono commossa leggendo i vostri commenti :)
RispondiEliminaGrazie! Smack :*
Se siete curiose, vi invito a dare una sbirciata alla mia bacheca Pinterest dove ci sono le foto che hanno ispirato "Un Natale Sottosopra" ;)
https://it.pinterest.com/silviaamibooks/un-natale-sottosopra/
Buon 2016 a tutte voi amiche romantiche!
Troppo carino, divertente con una nota ironica. Bella la descrizione sintetica, ma efficace, della personalità volitiva dei due protagonisti, dove l'amore non ha il tempo e lo spazio di diventare routine, ma si snoda negli anni in un continuo tiro alla fune, dove la sana e sportiva competizione nell'affermazione di sé, pur nel rispetto dell'affiatamento di coppia, regna sovrana. Milena
RispondiEliminaTroppo corto ...ma bello
RispondiEliminaMolto carino. Una volta tanto è il lui di turno a chiedere scusa. Dialoghi semplici e diretti, frizzante, passionale, romantico... la neve sulla sabbia... bella cartolina. Alcuni refusi, ma brava!
RispondiEliminaMi sono accorta dei refusi, appena possibile rimedierò.
EliminaGrazie per i complimenti.
Carino! Piacevole,leggero e dolce come piace a me, grazie!
RispondiEliminaUn racconto carino e scorrevole. Ho percepito poco romanticismo, ma potrei essere stata distratta da tutta quell'attrazione sessuale tra i protagonisti :)
RispondiEliminaL'inizio del racconto mi è piaciuto molto ma con l'andare avanti con la lettura ha perso il suo fascino non che non ami le scene erotiche anzi...ma....c'è questo ma che non so definire....forse troppo sintetizzato.
RispondiEliminaun racconto molto carino, anche se il retroscena non è molto chiaro. probabilmente è un po' troppo corto, la riappacificazione un po' troppo veloce, perà la lettura l'ho trovata molto piacevole
RispondiEliminaRacconto molto vivido: sembra quasi di vedere cosa accade. Il tipo nascosto dietro la pila ondeggiante di pacchi, le sue mani... davvero molto molto carino!
RispondiEliminaOrnella A.
Mi è piaciuto l'inizio, con lui dietro la torre di giocattoli e le vestita da elfo, un po' meno quando ci si avvicina al momento erotico :P
RispondiEliminaPerò il matrimonio sulla spiaggia imbiancata è una bella idea :)
Dolcissimo e molto natalizio, piaciuto tanto anche questo racconto. Quest'anno è molto difficile la scelta :(
RispondiEliminaCry Trilly
Non conoscevo lo stile di Silvia ma ora ne sono parecchio incuriosita. Se rende bene sulle brevissime distanze, chissà cosa può fare nelle lunghe. Bel racconto. Brava!
RispondiEliminaCarino. Forse un po' troppo gergale in qualchepunto, e risente del fatto che a pelle lei non mi sia risultata particolarmente simpatica.
RispondiEliminaLa scrittura fresca e scorrevole però credo che qualcosa nella trama non scorra proprio bene, insomma sembra un po' forzata verso la conclusione.
Bellissimo racconto dolce e romantico brava Silvia
RispondiEliminaUna lettura piacevole e frizzante. Complimenti Silvia, scrivi molto bene.
RispondiEliminaComplimenti a Silvia Ami,davvero carino! Bravo Babbo Natale e brava elfa: entrata a sorpresa ben architettata :D
RispondiEliminaUn Amore maturo che inevitabilmente ritrova la retta via e trionfa. Una lettura molto piacevole. Carine anche le metafore sportive e marine.
Saluti,
Simona
Grazie Simona!
EliminaSono contenta tu l'abbia apprezzato anche 'fuori stagione' :D