PASODOBLE di Velonero



 Estela Herrera y Sancez – Ballerina
Andrés (Guy) Guimaraes y Mora ˗ Ballerino e chitarrista
Luz Guimaraes y Mora - Ballerina
Mauricio (Mausi) Guimaraes y Romero – Figlio di Andrés
Paloma Romero – Attrice e modella
Duilio Duarte - Agente
Blanca Nieto; Juana Fernández; Catalina Carrasco; Lourdes Vargas - Ballerine
Dolores Benitez - Assistente di scena Siviglia
Hector García - Chitarrista
Luciano Carmona - Ballerino
Aleandro Reyes – Impresario di Siviglia
Miguel Duran – Chitarrista
Estela
Appena entrata in scena, il cappello calato sugli occhi e il buio nella sala, non l’avevo notato. Eppure è lì, seduto al tavolino in prima fila.
“Solo, si fa per dire. Lui non è mai solo”.
Lo stanno guardando tutti. Guardano lui, ma devono guardare me, qui sul palco!
Così faccio battere i tacchi sulle assi calde. Imperiosi.
I miei movimenti accelerano col crescendo della musica. La chitarra vibra e la voce di Miguel diventa la guida dei miei passi e delle mie braccia che si alzano e si abbassano. Il canto alle mie spalle dirige piedi e le mani che battono sempre più forte e veloce, in un applauso simultaneo che sta incantando il mio pubblico.
Lo so, lo sento.
E aumento il ritmo, l’intensità. Il battito.
Accelero fin quando il mio corpo diventa strumento, fin quando io stessa divento musica, fin quando il mio cuore che batte ritma e amalgama musica e ballo, fin quando io so che la mia danza è… come la sua. 
Non ho la gonna che mi aiuti a rendere vividi i gesti: ora sono proprio come lui, che è lì, seduto davanti a me, che mi guarda e mi odia. Sono come lui, pantaloni neri e stretti che mi fasciano la vita fino alle costole e la camicia aderente al petto, il bolero che si apre quando mimo lo sforzo del matador che infilza, e giro, mi volto con una muleta immaginaria che ondeggia all’aria. Tiro indietro il viso, sollevo il mento e stringo i glutei che si sollevano in una danza maschia, proprio come i miei abiti: solo i movimenti del mio corpo devono comunicare che sono femmina, solo le mie dita che schioccano annunciano al mondo che io sono Estela!
E lancio il cappello afferrandolo per la larga tesa nera, rotea impazzito nell’aria e si posa proprio dove io volevo, sul suo tavolo. Ma nessuno lo afferra e la falda rovescia il bicchiere che si frantuma a terra. Applausi, musica, battere di tacchi, e io non posso sentire il frastuono del vetro che s’infrange.
Non posso, ma nemmeno lui, perché la sua sedia è vuota, lui non c’è già più.
Spero che le mie lacrime si confondano col sudore che cola dalla fronte. Il trucco è fatto per reggere e non si scioglierà. Io continuo, in un vorticare di braccia, movimenti che diventano sempre più decisi, più intensi e dannati. Vorrei annullarmi e morire.
Se n’è andato.
“Perché è venuto qui a Siviglia?”, mi chiedo. “È stato abbastanza chiaro, l’ultima volta”.
Sono disperata, ancor più disperata e sola del giorno che lasciai Madrid.
Dopo quella lite…

Ho finito il numero, lo spettacolo.
Applausi, grida, rose e fiori lanciati per me sulle assi del palco ormai silenziose. Li raccolgo e ringrazio. Sorrido felice, di una felicità più finta del colore del mio volto, che è la maschera che mi dipingo sul viso dal giorno che l’ho lasciato.
Corro nel mio camerino, ultima debole speranza di trovarlo.
Non c’è, ma lo sapevo. Mi siedo alla toilette e mi strucco senza guardarmi nello specchio, senza prima spogliarmi. Dolores mi sgrida, sarà compito suo lavare la camicia entro domani, e se la sporco col rossetto non se ne andrà. Obbedisco, sto attenta, indosso i miei abiti. Neri.
Neri come la notte, neri come il buio in cui sono sprofondata. Neri come il lutto.
Esco dal locale dalla porta di servizio, come sempre, e come sempre percorro i pochi isolati che mi separano dall’albergo.
Non ho ancora cercato casa. Non voglio, perché questo senso di provvisorio che mi dà una camera d’albergo mi regala anche la speranza che presto tornerò indietro.
Indietro… ma è impossibile tornare alla mia vita di prima, nella mia città, dai miei amici, dalla mia famiglia, alla mia sciocca routine di ragazza sciocca tra mille ragazze sciocche che inseguono un sogno.
Tutti direbbero che io l’ho raggiunto, che sono lì dove volevo essere.
Estela fra le stelle.
Invece non lo sanno che era lui il mio sogno, il mio traguardo e la mia ossessione.
Purtroppo ˗ ed è quello che ho sempre saputo ˗ è lui la stella, e come tutte le stelle è lontano e irraggiungibile: quando tocchi una stella non puoi che scottarti e scappare.
È quello che ho fatto, sono fuggita qui a Siviglia.
L’avenida è rischiarata dalle luci delle luminarie che annunciano il Natale e accendono la notte come lunghe comete senza fine: sono tutte stelle, stelle e ancora stelle sopra la mia testa, posso quasi percepirne il calore. Per scappare dalla pioggia luminosa che dirige i miei passi svolto nella prima calle che incontro, e mi inoltro nella via stretta fatta di basse case andaluse, con le grandi finestre e i piccoli balconi che si aprono sui muri ocra e rosa come la terra di Spagna, che a quest’ora non riesco a distinguere.
Il mio hotel è vicino, per fortuna posso rifugiarmi lì, chiudere le imposte e cercare di scacciare l’aria di festa che entra inopportuna anche dalle fessure delle persiane.
Anche questa notte cercherò di non pensare.
Il portiere mi saluta, vorrebbe scambiare due parole come ogni sera, ma io evito il suo cenno: non questa notte. Non prendo l’ascensore, salgo le scale per non trovarmi già sola con i miei pensieri, chiusa dentro un abitacolo.
Prendo la chiave elettronica, troppo moderna per questa città così calda e antica, troppo tecnologica per quest’albergo che ho scelto perché mi concede il conforto della tradizione.
Entro, è buio, ma, subdole, le luminarie dell’avenida insinuano bagliori attraverso le imposte sollevate e si posano su…
Sobbalzo. Trattengo un grido.
Una figura scura occupa la poltrona sotto la finestra, non la distinguo ma so che è qualcosa di estraneo.
“E lui!”.
Andrés
“Eccola!”.
È arrivata.
Finalmente!
Si è spaventata, il portiere non l’ha avvisata. Dovrei parlarle, tranquillizzarla.
Non ne ho voglia.
Ora accenderà la luce e la vedrò.
Finalmente!
Vedrò i suoi capelli troppo chiari… e quegli occhi verdi ˗ muschio del sottobosco della Sierra ˗ mi scruteranno con odio.
Io mi odierei… per quello che le ho detto.
Non può perdonarmi… io non mi perdonerei.
Accende la luce e incontra il mio sguardo. È stupita.
È bellissima.
Stupita e bellissima.
Mi scaccerà.
Io l’ho scacciata…
Non ho pensato a prenotare una stanza, qui a Siviglia. Non è un’eventualità che ho messo in conto, perché io starò qui, nel suo letto.
Nel letto… con lei.
«Che cosa vuoi?», mi chiede dopo avermi studiato.
«Te», rispondo di getto. Non ho voglia di perdermi in spiegazioni, la voglio: semplice. E la voglio nel letto.
«Sei stato abbastanza chiaro, a Madrid».
Ovvio, mi rinfaccia il modo in cui l’ho allontanata. Non pensavo che mi accogliesse spalancando le braccia, ma… Sì, ci speravo.
Si sta togliendo la sciarpa. E il berretto. I capelli nascosti dalla lana intrecciata si sciolgono e cascano in ricci scomposti lungo la schiena. Mi toglie il respiro.
Non sono i capelli di una flamenguera, non ha l’aspetto di una flamenguera. Eppure quando balla lei è tempesta, lei è anima. Lei è… mia!
“Non ha l’aspetto di una flamenguera…”, mi ripeto, me lo ripeto dal giorno che ho posato i miei occhi su di lei. Ricordo ogni parola, ogni sguardo, ogni sussurro. Lo ricordo come se fosse ieri, e sono trascorsi quasi due anni… …

Andrés

«Non ha l’aspetto di una flamenguera. Non va bene!», sbraito a Luz. «La compagnia è mia, il locale è mio, io sono l’impresario e mia è la responsabilità. Io dico “no”».
«Ma balla anche le sevillanas», cerca di spiegarmi Luz. Vuole convincermi a prenderla in compagnia. Ci sono altre ragazze, tutte belle. E more. Con gli occhi neri come il peccato.
Luz invece vuole lei. «Balla come… Sì, mi ricorda… te».
«Me?», ripeto e rido. “Io sono un uomo”, penso. «Io sono un uomo», dico ad alta voce.
«Tu hai il battito, dentro». Luz mi guarda. «Lei anche. E muove i fianchi come te, un movimento impercettibile come le ali di una farfalla, non come una femmina. Ed è sensuale. Molto».
«Se non balla come una femmina, che cosa me ne faccio?». Rido. Cerco di dissuaderla, ma so che sarà difficile. Non la voglio, quella, nella mia compagnia, neppure seduta nell’ultima sedia dietro.
È bionda. E io odio le bionde. Le odio!
«Oh-oh, certo che balla come una femmina! Non far finta di non capire! Lei ha l’anima, il ritmo, la passione… Sai cosa intendo, non mi far sgolare, por favor!», sbraita alterata. So che le ragazze ci hanno sentiti discutere, ma non sanno di chi stiamo parlando.
Luz ha sempre l’ultima parola, quindi so che per il quieto vivere la accontenterò; in fondo, che m’importa? Non devo ballarci io…
«Io non ci ballo con una così», metto in chiaro, casomai a Luz saltasse in mente l’idea. Io ballo da solo. E faccio un’esibizione con Blanca. Punto».
«E chi ti dice di farlo? Ce l’hai già una scopa con cui eseguire i tuoi numeri in coppia. Che, per inciso, sono intensi più o meno quanto un documentario di National Goegrafic, niño». Luz non sopporta Blanca, ma lei è stata l’unica che mi abbia capito, l’unica con cui sia riuscito a parlare di Paloma.
«Blanca è un’ottima ballerina», dico, per difendere la mia unica amica.
«Se lo dici tu…». Luz mi guarda scettica.
«Allora balla tu, con me», propongo. Luz Guymares è stata la stella di Madrid, la ballerina e cantante di flamenco più grande che abbia pestato il suolo di Spagna.
Ma io sono di parte. La amo.
«È proprio quello che ci vuole per rinnovare il tuo spettacolo, Andrés: una bella danza appassionata insieme a tua madre».
«Sei sempre la migliore», dico convinto. La migliore lo è davvero, e ogni sera lo dimostra cantando e incantando il pubblico, ma la danza… non ce la fa più a seguire il mio ritmo. Per lei è impossibile.
Non che Blanca ci riesca, solo che… beh, lei non è mia madre.
Sorrido tra me e la guardo, la abbraccio e la stringo.
«E poi quella ragazza si muove come Carmen Amaya», mi dice Luz all’orecchio. Non demorde. Cita la regina del flamenco che ha conosciuto di persona quando era bambina e ha visto danzare dal vivo. È il suo mito, unica e ineguagliabile per lei, quindi se si spertica in elogi per questa… questa ragazza, significa che ci ha visto qualcosa che io non ho notato.
Non ho notato… Veramente io ho notato solo due occhi di un verde tanto intenso e scuro che mi fissano… ammirati?
No, conosco lo sguardo delle donne, tutte le donne. So come mi guardano, con cupidigia. Anche Paloma… Questa non è ammirazione, sembra… timore.
«È troppo giovane». Faccio un ultimo tentativo per dissuadere Luz. «Prendiamo quell’altra, quella col vestito giallo».
«Ah, perché, secondo te, è più vecchia? Oppure hai già deciso di ripassartela?». Mia madre è impietosa, infatti continua: «Basta che le fai un fischio e quella viene nel tuo camerino, non c’è bisogno che la scritturi. Ti consiglio di scegliere col cervello e non…»
«No, sai che il lavoro è lavoro!», dico indignato.
«Come no!», mi riprende Luz, sarcastica. «Infatti siamo qui per sostituire Juana che è scappata disperata».
«Non voglio altri casini con la troupe», ribadisco, ma è difficile mentire a mia madre. E poi mi basta già Blanca tra i piedi.
E Catalina…
E Lourdes.
Ah, ma loro lo sanno, roba vecchia. È capitato e… morta lì.
Lo sanno tutte, e sono ben chiaro. Con tutte loro. Lo spiego prima, così lo sanno che non voglio una donna. Non più.
Non dopo Paloma.
«Sono loro che cercano me, io non cerco nessuna», mi giustifico con Luz.
«Sai che differenza!», risponde lei, e fa una smorfia. «Comunque non siamo qui per rinfoltire il tuo harem, dobbiamo trovare una ballerina che sostituisca Juana, quindi cerchiamo di decidere, perché fra mezz’ora Mausi esce da scuola».
«È già così tardi?». Devo andare a prendere mio figlio, Mauricio, che noi chiamiamo Mausi perché è come un topolino, sempre in mezzo. Cerco di chiudere la discussione con mia madre, sperando che non prenda la bionda.
La madre di Mausi è bionda. Paloma. E io non ne voglio un’altra tra i piedi. «Senti prendiamo quella alta, vestita di nero», propongo. Ultimo tentativo…
«Quella col maglione? Ma sei pazzo? Quella sì, che sembra un uomo».
«Ascolta, mamá, prendi quella che vuoi, intanto sei tu che la dirigerai, quindi prenditi pure la bionda, se ti piace tanto, io ora devo andare da Mauricio».
«Piantala con questa ossessione, Andrés! Lo so io perché non la vuoi, perché ti ricorda Paloma. Ma non le somiglia per niente. Ha i capelli chiari, è vero, ma tua moglie è tinta, questa invece è bionda originale. Se non ti va bene, la mettiamo dietro, in seconda fila, così non devi guardarla. E se la eviti è pure meglio», borbotta.
«Non voglio nessuno che me la ricordi», ammetto.
«Credevo ti fosse passata», mi dice mia madre, con sospetto. «È evidente che non è così».
«Mi è passata, eccome! Mi ha chiamato ieri». Faccio una pausa prima di far scoppiare la bomba. «Vuole Mausi in Argentina per Natale», le spiego.
«La tua ex-moglie si fa viva dopo cinque anni», inizia Luz. «Cinque anni in cui non ha messo piede in Spagna neanche per il divorzio, cinque anni in cui ha visto il figlio solo in fotografia, e vorrebbe portarlo in Argentina? Ma se il bimbo neanche la conosce!». So che mia madre è furiosa.
Mi ha allevato da sola: mio padre era sposato, aveva un’altra famiglia, e io per lui non sono mai esistito. Porto il nome di mia madre, io sono Andrés Guimaraes y Moras, proprio come lei. E ho sofferto come un cane perché non avevo un padre. Volevo una famiglia, ho sempre voluto una famiglia; Paloma lo sapeva e mi ha usato. Ha usato il mio nome, la mia popolarità per arrivare in vetta. Era una modella, ma voleva di più. Non voleva essere solo la moglie di Andrés Guimaraes. Voleva fare l’attrice. Lei voleva sfondare… E c’è riuscita, a farsi scritturare: Duilio Duarte, il mio agente ˗ il mio ex-agente ˗ le ha fatto avere una parte in una telenovela, in Argentina.
«Tieniti Mauricio, era quello che volevi, no?», mi ha detto con le valigie in mano. «T’interessava solo una femmina che figliasse per te. Eccotelo!», e mi ha indicato la culla con suo figlio dentro. Mio figlio. «Abbiamo entrambi ciò che volevamo», sono state le sue ultime parole, quando è uscita da quella casa in cui era rientrata solo per riprendersi la sua roba.
Ma non era quello che volevo io, non era quello che interessava a me: io volevo la famiglia che non avevo avuto, e desideravo essere il padre che avrei voluto per me.
Invece a mio figlio è toccata la mia stessa sorte, la stessa maledizione: un genitore solo.
“Non permetterò a nessun’altra donna di entrare nella mia vita. Mai!”, giuro a me stesso per l’ennesima volta.
«Se Paloma pensa di riprenderselo…», inizia mia madre a voce bassa, interrompendo i miei pensieri.
«Il giudice ha detto che ha diritto a tenerlo con sé un mese l’anno». Ricordo a Luz questo particolare, ma sono terrorizzato: e se dopo averlo portato in Argentina non me lo restituisse più?
Per questo non me ne frega niente della ballerina che sostituirà Juana, non le ho guardate, nessuna di loro. Per questo odio i capelli biondi.
Che mia madre scelga quella che preferisce: non m’importa.
Adesso voglio solo vedere mio figlio, prenderlo in braccio e stringerlo. Stringerlo forte.
Esco di corsa, ma mi porto dietro lo specchio di uno sguardo, due occhi verdi come il muschio che mi fissano spauriti.

Estela

È più di un anno che ballo nella compagnia del “Guy”.
Non so come mi sento, come sto, che cosa provo.
O meglio, so perfettamente che cosa provo per lui: lo amo. Lo amo ogni giorno di più.
Lui era il mio sogno: da ragazzina le mie amiche avevano in camera il poster di Brad Pitt, Johnny Depp, oppure di Guti o Luis Figo se erano tifose del Real, io invece avevo lui.
Proprio accanto al mio letto c’era la sua foto a petto nudo mentre esegue un’escobilla e apre le mani, ha il capo voltato di lato e guarda il pavimento, i capelli neri e bagnati dello stesso sudore che gli vela il petto ampio e i muscoli cesellati come il bronzo fuso di una statua. Era ancora un ragazzo, in quel poster, ora invece è un uomo.
L’uomo più bello a cui la Spagna abbia dato i natali.
Mi piace il suo viso maschio. Mi piacciono i suoi capelli neri e lunghi fin sul collo che lega solo quando prova e si allena; mi piace anche quella strana crocchia alta dietro la nuca che si fa con una mano sola.
E quello sguardo che sembra leggerti l’anima. Il suo sguardo, anche dopo un anno, continua a mettermi dentro un languore caldo e un insano timore che mi fa tremare ogni volta che posa i suoi occhi su me. Mi piace il suo corpo, sembra proprio una statua ˗ anche adesso, dieci anni dopo averlo visto ballare dal vivo per la prima volta ˗ sembra il capolavoro di un grande artista che come regalo degli dei prende vita… solo per me, per i miei occhi. Mi piace come si muove, non solo quando balla. Mi piaceva allora, mi piace molto di più ora che l’ho conosciuto.
Mi piace a tal punto che tutti i ragazzi con cui sono uscita assomigliavano a lui. Se mai incontrasse Alvaro, si spaventerebbe per quanto gli somiglia. Ci sono uscita solo due o tre volte, un cretino totale, ma siamo rimasti amici, andiamo insieme a vedere il Real quando gioca in casa. Ci ho portato anche Mausi, allo stadio, due o tre volte, con noi. E anche lui ha notato che Alvaro assomiglia a suo padre. Spero che non glielo abbia riferito.
Ma Andrés è unico e inimitabile, come è inimitabile il suo sorriso, quello che rivolge solo a Mauricio e qualche volta a Luz. Non certo a me.
Neppure mi parla.
Sbraita solo qualche ordine.
Credo di essergli antipatica, mentre io, invece, muoio per lui.
Più sto qui e più m’innamoro.
Ho sbagliato. Lo so che ho sbagliato. Avrei dovuto dar retta a Duilio Duarte e accettare la scrittura a Siviglia. Aleandro Reyes in persona mi voleva nel suo spettacolo e io, scema, ho insistito con Duilio per fare il provino qui per El Guy, che se non era per Luz, nemmeno mi prendeva.
Per cosa, poi? Per fare due mezzi numeri nell’ultima fila e stare tutta la sera ˗ tutte le sante sere ˗ seduta nell’ultima sedia a battere le mani? Anche in tournée: stessa solfa.
Ma io gli devo troppo, lo devo a lui se ballo, se ho cominciato. Lui non lo sa, però mi ha insegnato tutto. Sono dieci anni che lo osservo e lo studio. Avevo tredici anni quando l’ho visto per la prima volta ballare in televisione. E mi sono innamorata.
E ora sono qui con lui. Era quello che volevo, stargli vicino. Faccio parte della sua compagnia… ma vorrei di più.
Vorrei tutto, da lui.
No, non è vero: non vorrei quello che dà alle altre, vale a dire qualche minuto del suo corpo e del suo tempo. Non mi basterebbe. 
È questo che mi tortura, vederlo con le altre. File intere di “altre”, che entrano nel suo camerino e ne escono mezz’ora dopo col sorriso. Sempre diverse, tutte quelle che passano di qui o che si porta in teatro da fuori. Anche la cameriera del bar all’angolo. Tutte!
“Ma non può portarsele a casa?”, mi domando.
“Se se le porta a casa, nessuno lo vede: vorrà far sapere a tutti che è uno che non perdona”, mi rispondo.
“A casa c’è Mausi”, mi dico anche. “Non vorrà portare a casa le donne per via del figlio”.
Però Mauricio è sempre qui, anzi, è sempre qui con me quando suo padre si apparta. Ora ha sette anni e non capisce niente, ma fra un anno o due, sveglio com’è, qualche domanda comincerà a farsela.
Eccolo che arriva, Mausi, e vorrà i soliti pacchetti di figurine della Liga, ormai gli ho dato il vizio. Infatti il padre lo molla a me, o meglio, è Mauricio che corre ad abbracciarmi mentre lui è entrato con una tipa strana, piena di tatuaggi e i capelli lunghi e rasati sulle tempie.
Mi guarda come se volesse incenerirmi.
“Ma che gli ho fatto io, a lui?”, mi chiedo.
Stranamente mi saluta: «Estela», borbotta, mentre suo figlio mi è saltato al collo.
«Guy», rispondo io. Tutti noi lo chiamiamo Guy, anche io. “È già strano che si ricordi il mio nome”, mi dico.
“Lo conosce per forza”, mi rispondo, “deve scriverlo nella busta paga: è inevitabile che sappia come mi chiamo. Magari mi ha assunto come babysitter e sembrava brutto dirmelo, così fa finta di farmi ballare”.
Sono sarcastica, me ne rendo conto, ma questa situazione comincia a starmi un po’ stretta.
Mausi mi bacia su una guancia, per ringraziarmi delle figurine, e mi rasserena.
Io e Mauricio abbiamo fatto amicizia pochi giorni dopo che ero stata scritturata, era la settimana prima di Natale e il bambino si era nascosto per piangere in pace lontano da suo padre e dalla nonna. Anch’io ero alla ricerca di un rifugio, un momento lontano dagli sguardi e dai risolini delle nuove colleghe. Ho cercato di consolarlo perché lui sperava di andare a conoscere la sua mamma, ma alla fine lei non aveva potuto.
Mausi aveva detto ad Andrés e a Luz che non gl’importava, perché intanto non l’aveva mai vista, invece era disperato.
Non che quella volta io gli sia stata di grande aiuto, povero piccolo, infatti sono solo riuscita ad abbracciarlo e mi son messa a piangere peggio di lui. Ho pianto come una fontana per un bimbo senza la sua mamma e per me, che non ero sicura di aver fatto la scelta giusta.
Anche adesso Mausi è l’unica cosa veramente bella di questo lavoro, perché stare accanto a suo padre che m’ignora è davvero una tortura.
Così ho accettato di uscire a cena con Hector García, uno dei due chitarristi, che non assomiglia per niente ad Andrés, completamente diverso da lui.
Sono mesi che insiste, sarà una serata diversa dalle mie altre serate libere: di solito quando non c’è lo show, vado a casa dei miei al Pozuelo, mentre io vivo in centro, in un piccolo appartamento.
C’è qualcosa di buono: finalmente ho capito che non posso fissarmi così con lui, né voglio essere una delle sue sveltine, quindi è ora di cominciare a vivere e rivedere le mie priorità, anche professionali.
È ora di crescere e lasciarsi dietro gli amori da adolescente; sì, è ora di vivere.

Andrés
«È già la quarta volta che Hector porta fuori la bionda, negli ultimi due mesi», dico a mia madre innervosito.
«E allora?», mi risponde Luz.
«Non è bene che si creino legami nell’ambiente di lavoro».
«Hai ragione, Andrés, lo penso anch’io: non è bene che ti scopi Blanca quando non trovi qualcun’altra nei paraggi», mi risponde mia madre sollevando appena lo sguardo sopra gli occhiali, smettendo per un attimo di controllare le fatture.
«Io non ho legami. E a Blanca va bene così», le rispondo, piazzato in piedi davanti alla scrivania dell’ufficio. Metto le mani sui fianchi, cerco di assumere un’aria lievemente intimidatoria, ma con mia madre è difficile.
«Se lo dici tu», dice lei scettica.
«È così», ribatto.
«È così per te, per Blanca è ben diversa, se non vuoi una storia con lei è meglio che tronchi subito e la pianti di divertirti. Lei spera che alla fine resterai…»
«Non ci penso nemmeno», obietto. “Io non la voglio, Blanca!”, mi dico. «Blanca lo sa che non c’è niente, siamo adulti e vaccinati. Anche lei non vuole altro, siamo amici».
«Sei un uomo, e come tutti gli uomini capisci poco o niente: quella ti vuole e farà di tutto per tenerti con sé, quindi stai attento che le gatte ferite sono pericolose. Uomo avvisato…»
«Non stavo parlando di me, stavo parlando di García e…»
«Appunto! Che cosa t’importa se Hector porta fuori Estela?»
«Sul lavoro…». Mi interrompo perché questa linea d’azione mi ha già portato su un terreno impervio. «Lui non dovrebbe…». Anche qui m’interrompo perché non so che dire per convincere Luz a intervenire per ammonire lei quei due al posto mio, per troncarla sul nascere, anzi prima ancora che cominci.
«Che cosa t’importa?», mi dice mia madre con aria sorniona, arriccia pure il naso come fa con Mausi, come faceva quando ero piccolo.
«Niente. È che…»
«È che… lei ti piace. Ti piace parecchio, ti piace dalla prima volta che le hai messo gli occhi addosso, a me non la racconti, niño: sono tua madre e ti conosco come le mie tasche. Lo vedo come la guardi. Piace anche a me, piace anche a Mausi. Perché non ti decidi, invece di fare l’idiota con tutte quelle che incontri?»
«Il perché lo sai benissimo: non voglio più nessuna!», sbraito, prendo la via ed esco dall’ufficio sbattendo la porta. Mi ritrovo davanti Blanca che fa un salto indietro. “Che cazzo, fa? Origlia?!”, mi dico, sono furioso. La guardo irato e passo oltre. “Ok, con Blanca, stop! D’ora in poi la tocco solo per il numero”.
Arrivo sul palco e chi ti trovo? Hector che l’ha presa d’assalto.
Lei contro il muro e lui piazzato davanti appoggiato con il braccio teso contro la parete. E lei che sorride e dice di no, scrollando il capo.
“Ha detto di no, lo capisci?”. Mi sto imbestialendo e intervengo.
«Se volete fare i colombi, andate fuori di qua», ruggisco. «Definitivamente», concludo in maniera plateale e Gàrcia scatta come una molla.
«Ok, capo», e corre a riprendere la sua chitarra.
«Che ne dite ora, di provare?», strepito.
Estela si allontana, mentre gli altri ˗ ballerini, musicisti e cantanti ˗ compaiono come per magia.
«Dove vai, tu?», sbraito.
Estela si blocca, si volta, e si porta la mano al petto per indicarsi. «Dici a me?».
Mi guarda con quei suoi occhi verdi e spaventati.
«Sì, dico a te. Sai ballare la sevillana, se non sbaglio».
Lei annuisce.
«Allora balla», le ordino. Poi mi volto verso Hector: «E tu suona!».
Afferro una sedia e vado in mezzo al palco, la giro e mi ci siedo al contrario, con le braccia incrociate appoggiate alla spalliera.
Lei attacca. Dapprima è timida, si guarda intorno, spaurita. Non è avvezza a stare al centro della scena, oppure non è più abituata perché è più di un anno che se ne sta in disparte.
Poi acquista il ritmo e si lascia andare. Arriva anche Luz, prende il microfono, si siede accanto a Hector e inizia a cantare la sevillana, che evidentemente conosce.
Mi manca il fiato, la guardo. La guardano tutti. Durante l’escobilla qualcuno la accompagna battendo le mani.
“Sono un coglione”, penso.
Ha un vestito di jersey nero con la gonna larga e le scarpe da flamenco.
Mentre danza, solleva la veste scoprendo le gambe nude, e io sono rapito, trattengo il respiro. Ogni movimento è in armonia col canto, ogni colpo di tacco è perfettamente a ritmo con il giro di chitarra.
Sono tre anni che lo spettacolo langue, mi sono dedicato a questa cosa ˗ fare il giudice televisivo a ¡Mira quién baila! ˗ e mi sono seduto sugli allori. Gli spettatori vengono qui per vedere me, non lo show. E poi ci sono i turisti che non hanno molte pretese, ma a parte me, non è più lo stesso spettacolo di quando ballava Luz.
E non è giusto, ha ragione mia madre, come sempre.
Con Estela… beh, potrei rilanciare lo show, o per lo meno alzare il livello dei numeri femminili.
Lo diceva anche Duilio che le ballerine non erano all’altezza né delle chitarre né del canto di Luz e, tanto meno, reggevano il mio confronto.
«Lo so che basti tu, e anche Luciano non è male, ma le ragazze sono pesci lessi», mi aveva detto Duarte davanti a Blanca, che si era inferocita.
Meglio non pensare a Duilio adesso, voglio stare ben attento a Estela.
Mi sa che sono qualcosina in più che attento, sono scombussolato.
“Se continua a sfregarsi le cosce con la stoffa della gonna, non rispondo più di me: mi sto eccitando a guardare una femmina che balla”, mi dico, stupito dalla mia stessa, inaspettata, reazione. “Speriamo che gli altri non lo notino”.
Estela seguita con le sue movenze: agita appena i fianchi, li fa vibrare lieve, e poi ancheggia e muove un culo stupendo giusto davanti alla faccia di Hector, che sta sudando.
“Bene, così m’incazzo e mi passa la frenesia! Sarà meglio che la metta sotto torchio. Anche il chitarrista, così gli faccio passare la voglia di fare il cascamorto”.
«Ho deciso: cambio la scaletta», annuncio. «Metto una sevillana o un fandango, e lo metto all’inizio», dico e non la guardo. «Inserisco il tuo numero al posto di uno dei miei, quando sono in TV», le spiego e questa volta la osservo. Per la prima volta non mi guarda spaventata, anzi giurerei di aver notato un bagliore di sfida in quegli occhi di muschio. “E la faccio avanzare in prima fila”, penso mentre la congedo.

«Poche settimane ed Estela ha cambiato lo show, lo ha svecchiato», mi dice Luz, il mese dopo. «Te lo avevo detto che era brava».
«Sì», ammetto distratto da Estela sul palco che sta ballando con Mausi sulle note che escono dal nuovo diffusore che gli ha regalato: una paccottiglia cinese comprata in una bottega per turisti che serve ad amplificare le canzoni del cellulare. «Deve piantarla di viziarlo», dico a mia madre.
«Perché? Hai paura che tuo figlio si svenda per due bustine di figurine e un po’ di musica?». Luz ride divertita.
Mi esce uno sbuffo.
«Ecco, appunto. Per comprare un bambino, le uniche monete in circolazione sono l’affetto e il tempo», mi spiega.
Mi piacerebbe che mia madre mi avesse trasmesso un po’ della sua saggezza, ma temo di aver ereditato qualche gene di troppo da quello che mi ha concepito.
Continuo a guardarli, lì sul palco: lei che si muove sinuosa a ritmo con quel topino sudato e gli sorride, lui che s’impegna e ce la mette tutta per far vedere di essere un uomo. Il cuore mi si riempie di orgoglio, e di tenerezza.
Non vorrei, cerco di concentrarmi su Mausi, ma è inevitabile, la vedo e comincio di nuovo a sentire quello strano languore… è bellissima.
Inspiro.
Sento distrattamente Luz che parla di un fornitore che non ha consegnato in tempo i liquori e le bibite al capo barista, ma il mio sguardo è irresistibilmente attratto da una testa bionda e da un corpo che si muove apposta per ispirare il peccato.
È bellissima. E non dovrebbe danzare con mio figlio…

Estela
Che carino che è Mauricio: balla già bene, per essere così piccolo. Sarà anche lui un gran ballerino come suo padre, gli somiglia tantissimo; solo gli occhi sono diversi, di un azzurro disarmate, mentre quelli di Andrés sono nocciola. Caldi.
Caldi e pieni di passione.
“Basta, Estela. Basta! Non è per te. Non è per te! Non è per te…”. Quante volte dovrò ripetermelo prima che mi entri in testa?
“Non gli piaci”, mi dico. Di questo son convinta.
Guardo il piccolo che si agita alzando e abbassando le braccia, e non posso fare a meno di sorridere.
Questo bimbo mi piace tanto, e non perché è il figlio di El Guy. Veramente i bambini mi piacciono tutti, indistintamente.
Ma Mausi è speciale.
E anche io gli piaccio.
Almeno a lui piaccio…
Continuo a ballare e comincio a girare, mulinando intorno al mio baricentro, sollevandomi e abbassandomi per girargli intorno, lui è divertito, e mi asseconda fino a quando non sento una presenza strana dietro di me; mi volto continuando a muovermi e mi trovo accanto Andrés che segue i miei movimenti.
“Sta ballando!”. 
Sono sconvolta. Potrei svenire. Mi manca il cuore, sto per fermarmi ma so che lui è qui perché vuol ballare… con me?
O con suo figlio?
Nel dubbio continuo, e continua anche Mausi almeno fino a quando Luz non arriva di corsa, afferra il nipotino per la vita con un braccio, lo solleva e lo porta via di peso. Noto che gli sussurra qualcosa all’orecchio e scendono insieme giù dal palco, nella platea occupata dai tavolini apparecchiati per la serata.
E ballo a tempo con Andrés, che nemmeno mi sfiora: stessi movimenti, stessi passi, stesso battito come se ballassimo insieme da una vita. Pausa io e lui inizia con l’assolo, poi rallenta e inizio io… Eppure lui balla sempre solo, tranne che con Blanca con cui fa un breve numero a due, dove lei lo accompagna per rendere più passionale l’esibizione, anche se non servirebbe.
Diciamocelo: lei non serve a niente, solo a dare un tocco di colore e un briciolo di femminilità alla scena, ma è lui che fa tutto.
Ora invece sta ballando con me, ma per davvero!
Sono eccitata, è in assoluto la cosa più bella che mi sia capitata nella vita, anche più bella della prima volta che l’ho visto dal vivo e mi ha autografato il diario.
Sono al settimo cielo, e ballo come se dovessi morire domani.
Lo amo. E lui sta ballando con me.
Sì, io lo amo.
Sono una stupida ragazzina incosciente, ma lo amo.
Giro i polsi, sollevo le braccia a ritmo con lui, pesto le assi con tutta la forza che ho nelle gambe: voglio dare tutto, perché so che il brano sta per finire.
E lo sa anche lui.
Ma El Guy ha una resistenza molto maggiore della mia, anche se ha dieci anni più di me; so che vuole continuare.
“Vuoi continuare? Continuiamo!”, mi dico e lo seguo in questa danza folle che, purtroppo, sta per finire. Io so che cosa viene dopo, nella playlist del mio cellulare abbandonato per terra accanto al piccolo amplificatore. Lo so, ma è come se lo sapesse anche lui, glielo leggo nella mente che è quello che vuole. E lo voglio anch’io.
Ne ho una voglia matta.
Glielo leggo sulle labbra, e annuisco.
Non so neppure se sono in grado di eseguirla, è una danza che non ho mai ballato, l’ho provata qualche volta da sola.
E, a essere sinceri, non l’ho mai vista ballare neppure da lui ˗ e sì che lo conosco bene, e ho visto tutti i suoi spettacoli.
Il brano attacca, ovattato: una marcia che si avvia con rullo di tamburi e un breve, inconfondibile riff... “Il Paso Doble!”. Sento un’onda montarmi dentro. “Paso Doble”, mi ripeto. Il cuore accelera, me lo sento in gola. “Non posso sbagliare!”. Non so bene come muovermi ma con lui è tutto naturale.
Non sbaglierò.
Non sbaglio.
Mi lascio andare alla musica, la mia preferita in assoluto.
Mi faccio trasportare da lui, dal ritmo e dalla voglia.
E spingo, mi libero di tutte le remore, di tutte le paure e assecondo la mia passione… per lui.
Sono vagamente consapevole che ci stanno guardando: ho intravisto Pedro, il barman, e le cameriere quando mi sono voltata verso il bancone.
C’è Luz, seduta al tavolino… No, è in piedi…
Ci sono i musicisti, sono spuntati da dietro le quinte. Ci sono anche le altre ballerine e Luciano, c’è pure Blanca che mi guarda fissa ˗ sì, guarda me! ˗ con uno sguardo d’odio e le braccia incrociate sul petto.
“Ci sono tutti!”.
Dovrei essere intimorita, sentirmi a disagio, invece…
E accade, alla fine, dopo tanto tempo accade.
Andrés mi afferra per la vita e io sento una scossa elettrica, ma la sente anche lui, impossibile che non l’abbia sentita, è stata troppo intensa.
Mi prende la mano per guidarmi, ed è come se lo avessimo sempre fatto, come se avessimo provato per anni, come se ci conoscessimo intimamente come… due amanti.
È giusto così, è naturale.
È magico.
Andrés mi fa girare e noto Blanca di spalle che se ne sta andando, ma è solo un attimo perché lui mi ha di nuovo fatto volare sulle assi del palco, e io ho ripreso la mia danza, il mio personale baccanale, agitando la gonna, scoprendo le gambe, spingendo in fuori il petto che batte più imperioso dei miei tacchi e dello schiocco delle dita e dei miei palmi.
Mi struscio contro il suo corpo che vibra col mio, probabilmente non sto respirando. Non ne ho bisogno.
Il suo corpo mi cerca, ha bisogno del contatto almeno quanto il mio: lo sento, dietro di me, sento i muscoli delle sue cosce spingersi contro i miei glutei… e lo sento ˗ ah, non posso sbagliare, non sono così esperta, ma certe cose… certe cose una donna le sente…
Ed è un trionfo.
Il mio trionfo.
Andrés
Ho il cuore in gola, non credevo…
Ballo da quando sono nato, ma una cosa così, un desiderio così imperioso non l’avevo mai provato. Mai!
La voglio!
La voglio a tempo di musica, voglio fondermi con lei.
Sono eccitato.
Non ho resistito, sono salito sul palco e ho cominciato a ballare, spinto da una forza oscura.
La desidero alla follia, e l’unica cosa che posso fare è unirmi a lei in questa danza improvvisata e perfetta.
Ma voglio di più, voglio il Paso Doble
È la prima volta che lo ballo in pubblico, e voglio che sia con lei. La compagnia al gran completo e i dipendenti del locale saranno il pubblico, ci sono proprio tutti!
“Ecco, guardate: guardateci bene!”. Dentro di me rido, esulto perché… “Buona la prima!”.
Sono eccitato, uno struggimento che viene dall’anima.
La danza è perfetta, noi siamo perfetti, lei è perfetta.
E io esulto: è un trionfo!
Finito il Paso Doble, lei si stacca da me. Un attimo di silenzio e poi scroscia un applauso. Sono tutti eccitati, non quanto me, ma sono eccitati.
«Già stasera lo mettiamo in repertorio», annuncio.
«Come?». A Estela muore il sorriso sul viso. «Stasera?»
«Sì, stasera. E da domani proveremo come si deve».
L’ho di nuovo spaventata. E mi scappa da ridere.

La prima sera è andata bene, il pubblico ha gradito.
Poi è andata sempre meglio.
Tutta Madrid ha fatto la fila per prendere un biglietto e vederci insieme nel Paso Doble.
Non che ce ne fosse bisogno perché il numero era già perfetto, ma da quel giorno ho costretto Estela a provare con me in sessioni estenuanti.
Il numero non ne aveva bisogno, io invece sì, per possederla il più a lungo possibile nell’unico modo che mi è concesso. Solo ballando posso toccarla, prenderla, posso unire il mio corpo al suo.
La mia frustrazione però è alle stelle.
La voglio ogni giorno di più, non m’interessano le altre: voglio farlo con lei!
“E come glielo dico?”, è l’unica domanda che mi frulla in testa. Ne ho un bisogno folle.
La voglio, ma lei è… insomma non è come quelle a cui sono abituato io. Non ci vogliono grandi discorsi, con le altre, basta dire: «Vieni da me?», e quelle dicono di sì.
Con Estela non funziona così: l’unico modo che ho per possederla è ballare con lei.
Sarà anche frustrante ma almeno ora ho la certezza che con Hector non c’è stato niente, altrimenti lo licenziavo.
“Lei è mia!”, penso. E come sempre mi arrovello per cercare un modo per stare con lei.
Lo spettacolo è finito, ho fatto una doccia e mi sono rivestito. 
Io abito sopra al locale, all’ultimo piano, e Luz sta nell’appartamento sotto il mio. Tutta la palazzina è mia. Devo solo chiudere e andarmene a casa da Mausi che già dorme da un pezzo, con Consuelo, la vecchia tata che lo sorveglia.
Sto per tornare in sala per spegnere le luci, se ne sono andati tutti a casa, compresi i camerieri che hanno già riordinato e hanno preparato per le pulizie mattutine, e sento il familiare rumore di tacchi che battono ritmicamente sulle assi.
“Qualcuno sta provando”, penso. Arrivo dalle quinte sul palco e la vedo.
Lancia un piccolo grido spaventato quando si accorge di me.
«Sei tu?», mi dice.
«E chi dovrebbe essere? Che cosa fai? Non sei stanca?»
«Sì, ma c’è una cosa che devo provare. Non so fare…»
«Non c’è nulla che tu non sappia fare», la interrompo.
Mi guarda stupita. «Grazie», mi dice, poi mi sorride.
E io sono conquistato.
Letteralmente.
Ho una voglia di fare l’amore che mi sta scoppiando dentro, anche perché è da quando mi ha preso questa cosa per lei che non ho più cercato nessuna.
Non resisto, faccio tre passi e la prendo tra le braccia. Non faccio in tempo a vedere il suo sguardo impaurito perché la sto baciando e ho chiuso gli occhi.
“Da quanto tempo non do più un bacio così?”, mi domando e sento che trema. Sono eccitatissimo, tremo anch’io, ma di desiderio. Risponde al mio bacio e io esulto.
“Meno male che mi ha messo le braccia al collo e mi stringe, pensavo mi avrebbe mollato uno schiaffone”. Sono sollevato, e sollevo lei.
Potrei portarla su, in casa, ma c’è Mausi, e se si sveglia?
La porto così fino al mio camerino, lì c’è il mio fedele divano e staremo comodi.
Proprio comodi comodi no, ma può andare.
Lei non dice niente e si lascia trasportare.
La spoglio in fretta, casomai cambiasse idea, e mi tolgo i vestiti.
Finalmente nudi!
È creta nelle mie mani, e io continuo a baciarla, dappertutto: è bella come un angelo e io sto morendo di desiderio. Piano piano lei comincia a rispondere ai miei baci, mi bacia anche lei, e mi accarezza. La faccio sdraiare e continuo a toccarla, non posso farne a meno.
Quando le entro dentro quasi esplodo, mi devo fermare e devo trattenermi, affondo il viso nel suo collo, aspiro il suo profumo e m’inebrio. Riacquisto il controllo prima di iniziare a muovermi su di lei. Inizio lentamente, non so se ho le forze per farla venire, per aspettarla.
Spero proprio che non se ne vada subito e che aspetti quel tanto che sia sufficiente a farmi riprendere… perché una non mi basta. Non con lei.
Invece Estela comincia ad agitarsi sotto di me e io non resisto, aumento il ritmo e quando sento i suoi gemiti smorzati nel mio orecchio, esplodo. Le poso una carezza sul viso e le bacio l’altra guancia, piano, tanti piccoli baci, anche ai lati della bocca.
La bacio ancora. E ancora.
Alla fine lei si stacca e dice: «Vado».
Credo sia l’unica parola che ci siamo detti.
Si riveste e se ne va; io rimango qui, nudo, seduto sul divano a pensare: “E adesso?”.

Estela
“E adesso?”, penso uscendo dal locale, e mi avvio al parcheggio. “È successo”, mi ripeto all’infinito. Decido che il mio comportamento sarà lo specchio del suo: è successo, è stato bellissimo, più bello di qualsiasi altra cosa mi sia mai capitata. Era quello che pensavo di volere da una vita, era quello che volevo da quando l’ho conosciuto, quindi va benissimo così.
Riesco persino a dormire.
Il giorno dopo mi aspetto che lui faccia finta di niente, ed è così, davanti agli altri, solo che mentre balliamo mi dice nell’orecchio: «Dopo vieni da me».
E io vado, ed è meglio, molto meglio della sera prima, ma non altrettanto bello della sera dopo.
Anzi, succede ormai ogni giorno, e ogni notte prima di tornare a casa.
Io vorrei dirgli di venire da me, ma ho paura, ho una fifa folle che mi dica di no.
Vorrei farlo in un letto, vorrei dormire con lui.
Ma mi accontento.
Mi accontento del fatto che sono mesi che non si apparta con nessuna… nessuna tranne me.
E sono felice. Va benissimo così.
Mi sa che gli altri se ne siano accorti che sono felice.
Se ne è accorta Luz, che mi guarda divertita e mi dice che sono più bella.
Credo che se ne sia accorto anche Hector, che mi gira al largo.
Di sicuro se ne è accorta Blanca, che mi guarda come volesse incenerirmi.
E lo sa anche lui, che sono felice, perché mi sorride proprio come sorride a Mausi e sembra che non riesca a togliermi le mani di dosso.
Sì, sono felice.
Anche sul lavoro va bene, hanno scritto alcuni articoli, sono venute diverse televisioni e mi hanno intervistato insieme ad Andrés. Mi va tutto così dannatamente bene che ho paura che finisca, penso entrando in teatro.
“Ecco, mi suona il cellulare. Saranno i miei che hanno letto l’articolo”. «Pronto?»
«Come stai, Estela?»
«Bene», rispondo a Duilio, Duilio Duarte, il mio agente.  Ho riconosciuto subito la voce, anche se il numero è occultato.
«Sono nei paraggi, posso parlarti? Ho interessanti novità per te. Sei in teatro?»
«Sì», rispondo.
Non m’interessa sapere quello che ha da dire, gli ho pagato la sua percentuale dopo che El Guy mi ha scritturato. Era una cifra misera, lui contava di ricavarne di più, prendendomi in scuderia, ma entrare nella compagnia di Guimarães era proprio quello che io volevo.
“Vorrà un conguaglio, visto che ora sono la prima ballerina”, mi dico.
Duilio arriva dieci minuti dopo e ci sediamo a uno dei tavolini del locale ancora deserto, quello più vicino all’entrata. Lui non ha tempo da perdere e io nemmeno, e poi credo che oggi finirà la nostra collaborazione.
«Senti, Estela, mi ha contattato di nuovo Aleandro Reyes». Duilio viene subito al sodo e sta per spiegarmi, ma nel frattempo arriva Mausi di corsa e mi salta in braccio. Io lo bacio, lo saluto e lo presento a Duarte.
«Ah, sei Mauricio», dice Duarte. «Conosco il tuo papà e anche la tua mamma».
Lo guardo stupita e stringo più forte Mausi: so quanto patisca a sentir parlare di sua madre, che in quasi due anni che lo conosco non si è fatta viva una volta.
«Conosci la mia mamma?», chiede il bimbo curioso, vuol saperne di più.
«Sì», ripete Duilio, ma evidentemente vuol parlare con me perché lo tronca. «Ti dicevo, Aleandro Reyes mi ha chiesto di te. Ti vuole a Siviglia. Anche subito. Ti voleva due anni fa che eri una ragazzina, ti vuole ora, ma non come ballerina, saresti la stella. Siviglia», mi dice, e fa un gesto con la mano vicino all’orecchio, per mimarmi di ascoltare. «Siviglia… Reyes… La stella di Reyes…», mi ripete per allettarmi.
So che è un’occasione unica, ma non me ne frega niente. Davvero.
«Vai via?», mi chiede Mausi col magone.
«No», gli rispondo decisa, ignorando Duarte.
«Estela, sono un mucchio di soldi. E qui c’è solo la tua ossessione». Duarte sa che amo Andrés.
Io faccio un segno di diniego. «Tu non sai come si comporta Andrés con le donne, lascia perdere, credi a me. Basta solo che chiedi a sua madre», dice e indica il bambino.
A questo punto mi inferocisco: Andrés non mi ha promesso niente, non mi ha detto mai niente, è vero, ma Mausi è Mausi, e non si parla così di un padre davanti a suo figlio. Uno come Andrés poi, che con Mauricio è il migliore padre del mondo, mentre sua madre non l’ha voluto neppure a Natale, così gli dico a voce bassa ma ferma: «No, non vengo. E non ti permettere di parlare così di Andrés davanti a lui». Lo guardo, mi alzo e contemporaneamente faccio alzare Mauricio dal mio grembo. «Siamo d’accordo?», dico a voce alta.
«D’accordo», ripete Duilio mortificato. Ed è un congedo. Mentre ce ne andiamo, vedo Blanca che è appena entrata e stranamente mi saluta col sorriso.
Mi cambio e come ogni giorno vado nel camerino di Andrés.
Busso e lui grida: “Avanti”. Già dal tono della voce capisco che c’è qualcosa che non va. Apro la porta e vedo Blanca che mi accoglie con un altro sorriso, più perfido di quello di prima.
«Puoi lasciarci soli?», le chiede lui.
«Certo», risponde con aria da gattina. Mi passa accanto e mi dice: «Tu forse non lo sai, ma Duarte non è ben accetto, da queste parti».
«Me ne ricorderò», rispondo cupa. “Vuoi vedere che quella serpe di Blanca ha detto ad Andrés che Duilio è venuto qui per me e ora lui è furioso”.
Andrés aspetta che Blanca sia uscita, le chiude la porta alle spalle, si volta verso di me e mi guarda con un tale disprezzo che penso proprio che mi odi.
Forse Blanca ha sentito che Duilio ha parlato a Mausi della madre…
«Hai ottenuto il tuo scopo?», inizia, e già urla. Io lo guardo, perché non so di cosa stia parlando. «Siamo d’accordo?!», ruggisce.
Mi rendo conto che sono le ultime parole che Duilio ed io ci siamo detti, la fine della conversazione.
«Prendi la tua roba e vattene! E non farti vedere mai più qui», sbraita, ha gli occhi fuori dalle orbite. «Vattene a Siviglia! Era quello a cui miravi, no?». Si ferma un attimo, poi riprende a sbraitare: «Mi sta anche bene che tu sia venuta con me per far carriera, per farti conoscere e scritturare da Reyes: in fondo, se chiedi i servigi di Duilio, quello sei, una disposta a calpestare sua madre per arrivare. Ma che tu ti sia arruffianata mio figlio per insinuarti nel mio letto, non te la perdono, perché lui a te vuol bene davvero!».
Sono paralizzata. Non so che rispondere, mi è crollato il mondo addosso.
«Sivi- Siviglia», riesco a balbettare. «Sì, vado a Siviglia». Non ho il coraggio, tantomeno la voglia di difendermi.
«Hai usato mio figlio per arrivare a me!», mi ripete, casomai non avessi capito. «Sei esattamente come mia moglie: ti sei fatta aiutare da Duarte, stesso sistema! Hai sfruttato la mia fama per far carriera, anzi, tu sei peggio di Paloma, perché hai usato un bimbo per i tuoi scopi», mi accusa, furioso.
«Se è questo quello che pensi, va benissimo», riesco a mormorare, ho un groppo in gola. «Se volevi chiuderla qua, bastava dirlo, senza scomodare Blanca che ha dovuto origliare tutta una conversazione, poverina, per poterti riferire per filo e per segno Dio sa cosa!». Sono a pezzi e il mio tono sale. «Addio, Andrés!». Mi volto e apro la porta, ma sento il bisogno di dirgli ancora una parola, prima di andare. Solo una: «Gli ho detto di no! E visto che mi rinfacci di usare tuo figlio, lo uso: chiedilo a lui!», grido mentre la porta sbatte.  
Andrés
Non aveva ancora chiuso la porta e già sapevo di aver fatto una cazzata.
La più grossa cazzata della mia vita.
Anche più grossa di aver imposto a Paloma… insomma, di essermi imposto a lei.
Con Paloma, i miei desideri, la mia volontà, la mia carriera venivano prima di tutto. Io volevo una famiglia, volevo dei figli: ero innamorato ˗ eravamo innamorati ˗ e l’ho preteso da lei. Ho dato la colpa a Duarte, ma in realtà la colpa era mia, così, quando l’innamoramento non si è tramutato in amore, lei se ne è andata e ha proseguito da dove aveva interrotto quando ha incontrato me.
Non che lei sia una gran madre, anzi il contrario, ma me lo ha sempre detto che lei non ne voleva. Sono io che ho insistito, ho avuto fretta. E anche quando ha cercato di avvicinarsi a Mausi, io gliel’ho impedito per paura che me lo portasse via.
Non volevo soffrire più, non volevo provare mai più quello che ho provato quella mattina quando mi sono svegliato e non l’ho trovata dentro al letto.
Con Paloma, la rabbia ha soppiantato l’amore molto in fretta, ero giovane, solo e arrabbiato. Avevo un figlio e una vita da ricostruire.
Avevo la ragione dalla mia, perché non si abbandona un figlio.
Non si abbandona mio figlio!
Mi ero ripromesso di non ricaderci mai più, invece… appena l’ho vista già sapevo che portava guai.
Era tutto troppo bello, e io avevo paura che non fosse vero, che lei fosse come Paloma. Ho avuto paura di lasciarmi andare, ero terrorizzato di portarla nel mio letto, nella mia vita, senza sapere che lei, nella mia vita, c’era già.
È presente a un livello molto più profondo, perché io oggi sono un altro uomo, e fa molto più male, perché non ho nemmeno una ragione dalla mia. L’ho capito subito di aver sbagliato, appena Estela ha detto che Blanca aveva origliato: mi son venute in mente le parole di Luz, quel giorno che ho sorpreso Blanca ad ascoltarci dietro la porta e mi son reso conto di essermi innamorato di nuovo. «Le gatte ferite sono pericolose», aveva detto Luz.
Non ho avuto bisogno di chiedere a Mauricio, sapevo perfettamente quale fosse la verità.
“La verità è che sono uno stronzo”, mi ripeto da quel giorno.
L’ho richiamata subito, ma lei non è tornata.
Ho aspettato qualche minuto per calmarmi, e lei non c’era già più. Due minuti dopo era scomparsa, non aveva lasciato neppure il ricordo: sparita! E non si è fatta più trovare né a casa, né al telefono, né dai suoi.
Scomparsa.
Andata.
A Siviglia.
Non l’ho inseguita subito, non potevo fare due volte lo stesso errore, dovevo lasciarla andare a seguire la sua strada, perché non è giusto tenerla alla mia ombra: lei è grande davvero.
E lo ha dimostrato a tutta la Spagna.
Neanche due mesi ed è una stella. 
Dovevo lasciarle un po’ di tempo e poi dovevo sistemare alcune cose.
Ma non ce l’ho fatta più, sto troppo male senza di lei. Troppo.
E non è che sono innamorato, io la amo. La amo davvero, non posso stare senza di lei, così appena ho potuto ho mollato tutto, ho preso l’auto per raggiungerla a Siviglia, per riprendermela.
«Riportala indietro», mi ha chiesto Luz. «Anche se non vorrà più ballare con te, riprenditela».
«Come mai ti piace tanto?», ho chiesto a mia madre, che di solito si fa i fatti suoi e mi ha lasciato sempre vivere la mia vita e fare le mie scelte.
«Perché?», mi ha risposto. «Per come ti guarda: con un amore che non sa nascondere. Riportala qua. Fallo per Mausi, se non vuoi farlo per te stesso».
Ho imboccato l’autostrada e sono corso da lei. In macchina ho chiamato Duarte. «Un cazzo di favore me lo devi», gli ho abbaiato al telefono.
«Quello che vuoi, Guy», mi dice.
«Voglio sapere dove abita, che cosa fa. Voglio sapere tutto!».
E Duilio me lo dice, mi dice che sono stato uno stronzo, anche con Paloma, ma almeno con lei ero giustificato. «Con Estela, invece, sei stato uno stronzo totale, perché a lei interessava solo lavorare con te», mi confessa.
Quando chiudo la comunicazione, mi sento ancora peggio, ma Duilio mi ha detto tutto e mi ha fatto avere un tavolo in prima fila per lo spettacolo.
Mi siedo e lei attacca, non mi vede subito.
Balla divinamente: ha iniziato una sorta di paso doble da sola, e regge benissimo la scena, anzi, incanta, accende.
Vestita da uomo, è ancora più sexy di quando agita la gonna.
Non resisto, ho un bisogno impellente di saltare sul palco e di unirmi a lei: solo con lei mi sento completo.
È un bisogno folle, sempre più pressante, dopo due mesi che non la vedo.
Solo insieme siamo perfetti, una danza perfetta, ogni passo, ogni schiocco, ogni battito e movimento, sono perfetti insieme.
Sto per cedere e salire sul palco, esattamente come la prima volta che abbiamo danzato insieme.
Ma non posso rubarle la scena, rovinarle lo spettacolo. Non posso oscurarla.
Me ne devo andare, la aspetterò nella sua camera d’albergo.
Scappo per non cedere.

Il tempo non passa mai, sono stufo di aspettare, non voglio guardare la televisione. Giro per la sua stanza, curioso fra le sue cose. Non l’ho mai fatto, non sono mai andato a casa sua, mi rendo conto che questa cosa mi manca, mi manca l’intimità con un’altra persona. Mi manca l’intimità con lei.
Prendo in mano i suoi abiti in disordine, annuso i suoi indumenti per inalare il suo profumo.
“Sei patetico”, mi dico. “Ora se annusi anche le mutandine diventi pure maniaco”, mi ammonisco, ma lo faccio. Sento il suo profumo e m’inebrio, mi dà alla testa, ho il capogiro dalla voglia.
Sono due mesi che non la vedo. Che non…
Le altre non m’interessano.
“Mi ha preso brutta, davvero brutta”, rifletto e mi accomodo in poltrona, con le sue mutandine in mano, e guardo fuori dalla finestra uno scorcio di avenida che intravvedo dalle persiane semichiuse. Mi alzo e spengo la luce, i bagliori delle luminarie sono più che sufficienti; mi riseggo.
Ho sempre il mio trofeo in mano.
“Sei patetico”, mi ripeto. “E se lei non ti vuole, sei ancora più patetico, seduto qui con i suoi slip in pugno”.
“Eccola!”.
È arrivata.
Finalmente!
Ora accenderà la luce e la vedrò.
È bellissima.
Stupita e bellissima.
«Che cosa vuoi?», mi dice.
«Te».
«Sei stato abbastanza chiaro, a Madrid».
«Ora sarò ancora più chiaro: ti voglio», dico e mi accomodo meglio in poltrona. Se mi alzo le salto addosso. «Sei scappata», dico.
«Mi hai detto di sparire».
«Ero arrabbiato».
«Me ne sono accorta», si toglie il piumino e lo lancia sulla sedia.
Sembra più donna, più matura. È ancora più bella, forse perché ha sofferto. E si vede.
La colpa è solo mia.
Devo convincerla perché la amo.                           
Devo convincerla che sono uno stupido stronzo innamorato, non posso permettermi di perderla.
«Ti voglio», ripeto.
Tace.
«Ti rivoglio», le dico.
«Non hai ancora trovato una nuova ballerina?», mi chiede. «È per il tuo show che mi rivuoi? Perché non credo proprio che ti manchi una da scoparti sul divano».
Ignoro la provocazione e rispondo alla sua domanda.
«Ho preso una nuova, al posto di Blanca», le spiego. Lei alza il sopracciglio, stupita. Ho mandato via Blanca dieci minuti dopo la nostra lite. Vedermela davanti dopo che mi aveva fatto troncare con Estela, non era cosa, l’avrei scaraventata giù dal palco, ogni giorno più volentieri di quello precedente.
Lo so che se voglio avere una possibilità di riprendermela, devo vuotare il sacco.
Incomincio, seduto in poltrona, perché se mi alzo le salto addosso: ho bisogno di parlare, prima.
Lei è in piedi e mi fa la grazia di ascoltare, in silenzio, senza interrompermi. Senza scacciarmi o recriminare.
E ne avrebbe tutte le ragioni.
Comincio da Paloma, le spiego che non è tutta colpa della mia ex, che io sono come sono, e le chiarisco che cosa ho sempre voluto da un rapporto.
Le confesso che sono geloso, possessivo. Che stare con me… non è facile.
Mi apro come un libro. E ne ho bisogno. Lei mi guarda e tace.
Le dico che le sarei corso dietro subito, ma dovevo sistemare alcune cose, prima fra tutte Mausi e il rapporto con sua madre. Le racconto che sono andato in Argentina e che mio figlio è ancora là. Me lo vado a riprendere finite le feste di Natale.
È felice con sua madre, e sua madre è felice con lui.
Era una cosa che dovevo fare…
Lei sorride. Per la prima volta sorride e guarda a terra, con le braccia incrociate sul petto.
«Sì, lo dovevi fare», mi dice e mi guarda negli occhi. «Tornerà?», mi chiede, è preoccupata.
«Certo che sì», confermo deciso.
«Bene». È sollevata.
«Paloma non è nata per fare la madre a tempo pieno. Va bene così».
«Ok». Annuisce.
Sì, è okay, è davvero okay, sia per Mausi, che per me e sua madre.
«Non c’è nessun’altra, Estela», le dico, guardandola negli occhi. «Nessuna! Nessuna può prendere il tuo posto. Nemmeno sul palco».
«Vuoi che torni a Madrid? Sei qui per questo?». Lo vedo che è come se avesse ricevuto una pugnalata in pieno petto.
«No!», mi affretto a rispondere, per rassicurarla. «Sono qui per te. Voglio stare con te. Ho detto un sacco di cazzate. Ho fatto un sacco di cazzate, solo perché avevo paura di ricominciare. Avevo paura che fossi come lei. Come Paloma. Che te ne andassi e ci mollassi, me e Mausi. E Blanca lo sapeva, e mi ha detto esattamente quello che non avrei mai voluto sentire, quello che non avrei tollerato neanche da te. Così ti ho sparato addosso tutta quella merda, senza permetterti di replicare».
«È esattamente ciò che hai fatto», conferma.
«Ho capito immediatamente dal tuo sguardo che avevo fatto una cazzata. Ti son corso dietro subito, ma eri già sparita. E poi eri introvabile. Ti ho lasciato solo un po’ di tempo, per farti sbollire e perché dovevo sistemare questa cosa di Mausi. Duilio mi ha dato una mano», ammetto.
«Bene».
Non è molto loquace.
«Non voglio che torni a Madrid… Beh, sì, lo vorrei…», ammetto. «Ma capisco che è giusto che tu segua la tua strada. Sei una bomba, su quel palco», le dico ammirato. Lo penso davvero, mi scombussola vederla ballare. Sarebbe un vero delitto che non continuasse con la carriera. «Mi basta stare insieme, anche a distanza. Ci riescono in molti, perché noi no?», propongo speranzoso. «Farei io avanti e indietro. In auto. Ci sono anche gli aerei… e i treni. Lo so come funziona in teatro, hai un contratto, non puoi mollare».
«Il contratto scade a febbraio».
«Così breve? Strano». Sono stupito. «Perché?»
«Perché dopo non potrò più danzare», mi risponde, sempre con le braccia incrociate sopra al seno.
«E perché?», chiedo allarmato. “Ok, ora sono preoccupato, ha detto che non può: in che casino si è ficcata?”.
«Perché poi la pancia si vedrà troppo», mi risponde sarcastica.
Realizzo.
Non ce la faccio più a stare seduto in poltrona con le sue mutande in mano.
Scatto come una molla e… le salto addosso; mezzo minuto e non abbiamo più un solo indumento in due: sono volati tutti per aria, e il primo a prendere il volo è stato il suo slip.
Sono troppo felice. Troppo.
È quello che volevo.
No, veramente è lei quello che volevo. E volevo che mi dicesse quello che mi ha detto durante tutta la notte: che mi ama, che mi ha sempre amato, che vuole stare con me, e vuole dei figli, una famiglia. Mi ha detto che ama Mausi, che è inevitabile, perché lui è me e lei non può che amarlo, da sempre. 
Invece quello che le dico io è un po’ diverso, perché in questi due mesi di separazione sono radicalmente cambiate le mie priorità. Io amo lei.
Con Paloma io volevo una famiglia, invece adesso voglio lei, e una famiglia è la conseguenza.
Una conseguenza molto concreta, e che ormai è una realtà, le dico, sfiorandole la pancia nuda.
Lei annuisce e si addormenta nelle mie braccia, sorridendo.
Mi addormento anch’io; mi risveglia la luce del mattino che filtra dalle persiane e mi colpisce il viso.
Non voglio aprire gli occhi. Ho paura: l’ultima volta che mi sono addormentato con una donna mi sono svegliato solo e, con Estela, sarebbe ancora più dura se non fosse più accanto a me. Io voglio ricominciare, voglio…
Allungo la mano e sento la sua pelle nuda sotto i polpastrelli. Apro gli occhi, e la vedo, addormentata a pancia in giù sul bordo del materasso. La afferro per i fianchi e la attiro a me, la bacio sul collo mentre si sveglia.
«Buongiorno», le dico contro la pelle calda.
«Buongiorno», borbotta, appicciandosi a me.
Ecco quello che voglio, voglio ricominciare il nostro paso doble, voglio una nuova, splendida opportunità.  

FINE
CHI E' L'AUTRICE...

VELONERO di sé: «Sono ligure, il che, di per sé, è un tratto distintivo. Nel mio bagaglio di esperienze ho stivato, ben pigiati, studi classici e una vecchia laurea in sociologia; vi ho infilato tutte le cose che la gente mi ha insegnato in tanto tempo e tanti anni passati dietro a un banco. La cosa che faccio in assoluto peggio è la casalinga, così, per non farmi licenziare dai miei tre datori di lavoro, mio marito e le mie figlie, mi sono messa a scribacchiare cercando di far credere loro che ho dei numeri. E li ho convinti. Ora non mi resta che convincere voi».



PUOI TROVARE I SUOI LIBRI QUI



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A BREVE SARA' POSSIBILE VOTARE PER I RACCONTI DELLA RASSEGNA CHE VI SONO PIACIUTI DI PIU', PER ELEGGERE IL RACCONTO NATALIZIO PREFERITO DALLE LETTRICI. INOLTRE ESTRARREMO PREMI A SORPRESA FRA CHI AVRA' COMMENTATO.




38 commenti:

  1. I primi passi di una brava ballerina, per la prima volta davanti a un pubblico, possono sembrare incerti, invece sono come una miccia che consuma la polvere per poi esplodere. Ecco questo racconto lo vedo così. Prima piccole scintille che man mano diventano sempre più grandi e più intense fino a diventare poi un bellissimo fuoco d'artificio.

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  2. I racconti di velonero non si smentiscono mai...Bellissimo!!!

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  3. Belle caratterizzazioni e bei dialoghi, per questo racconto che cresce danzando, che la Dea ti benedica VeloNero

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  4. ecco il mio racconto del cuore. Adottato e amato! Magnifico.
    Emiliana

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  5. Complimenti racconto stupendo.
    Un modo eccellente per iniziare la giornata e finire le feste.
    Grazie.

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  6. Struggente,intenso e commovente,grazie!

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  7. VeloNero è una garanzia ♡
    Nonostante già sia consapevole del suo talento e della sua bravura, ogni volta ne resto stupita e mi innamoro sempre più!

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  8. Questo racconto di VeloNero chiude egregiamente la nostra rassegna natalizia. Che dire? Mi è piaciuto molto. È come una musica che comincia piano, in sottofondo, per poi esploderti nelle orecchie e dentro al petto. Avvincente, passionale e molto, molto emozionante.Grande, Raffa!

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  9. Splendido anche questo racconto. Il protagonista non ha proprio i miei caratteri preferiti, eppure la coppia, l'alchimia...tutto è riuscitissimo.
    Ma come accidenti farò a votare?

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  10. Veramente bello! E l'ambientazione tra i ballerini è molto sensuale e originale :)

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  11. Letto volentieri. Originale, sensuale. Molto bello. Brava!

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  12. Grazia a tutte. Grazie tente. Vi confesso che mi tremavano le ginocchia. Non ho letto proprio tutti i racconti, me ne mancano due o tre, ma sono rimasta a bocca aperta perchè sono uno più bello dell'altro. Mi hanno emozionato, fatto piangere e ridere. E mi son detta: "Che ci faccio qui?". Quindi grazie. Grazie Francy. Vi abbraccio e vi bacio.

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  13. Un racconto originale e intenso che mi è piaciuto moltissimo. Brava Velonero!

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  14. meraviglioso racconto. di una dolcezza infinita. romanticissimo. non ho parole, proprio bello. Velo Nero è brava come al solito!

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  15. Quest'anno tutti racconti molto belli e per tutti i gusti

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  16. Maturare a passi di danza... Avere il coraggio di dare una seconda possibilità nonostante tutto... Commovente, intenso, emozionante, come un passionale passo a due. Brava Velonero

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  17. Bellissimo racconto Velonero ci ha regalato in delicato racconto. Bei personaggi e il mondo della danza è fantastico. Mi è piaciuto molto. Brava

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  18. Bellissimo racconto Velonero ci ha regalato in delicato racconto. Bei personaggi e il mondo della danza è fantastico. Mi è piaciuto molto. Brava

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  19. Racconto muy pasional e davvero intenso. Siviglia è la mia preferita tra le città spagnole e il racconto rende stupendamente l'aria che vi si respira. Complimenti Raffaella!
    Ornella A.

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  20. Stupendo racconto! Un'atmosfera passionale e avvolgente, due protagonisti che lasciano il segno.

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  21. Mi è piaciuto moltissimo. E' un racconto così intenso, sensuale e passionale che durante la lettura di alcuni passaggi credo di essermi dimenticata di respirare, talmente ero coinvolta.

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  22. Non c'è miglior modo per concludere questo ciclo di racconti.
    La descrizione dei sentimenti di Estella e delle paure di Andrès sono raccontate in un modo DIVINO!!!!
    L'atmosfera magica del flamenco si percepisce a fior di pelle.BRAVISSIMAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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  23. Bellissimo racconto Velonero!! finire in bellezza le feste con due ballerini di flamenco e magico e soprattutto si percepisce l'atmosfera mentre ballano sembra di star a guardare uno spettacolo sensuale e passionale tra loro metre li guordi in prima fila bravissima. .......

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  24. Bellissimo racconto, sensuale e a tratti ipnotico come la danza. Complimenti davvero Velonero. Sarà veramente difficile votare il racconto migliore.

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  25. BELLISSIMO RQACCONTO.E POI IL PROTAGONISTA E' VERAMENTE FANTASTICO.ELISABETTA

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  26. Molto bello, di una sensualità unica. Non conoscevo ancora questa scrittrice e non sapevo cosa mi stavo perdendo :)
    Cry Trilly

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  27. Non ho parole, anzi solo una.... Spettacolare! Mi ha tenuto col fiato sospeso per tutto il tempo e con un altissimo livello di passionalità e sensualità nelle vene. Bravissima VeloNero ♥♥♥♥♥♥

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  28. roberta ugolotti07/01/16, 13:43

    Emozionante travolgente brava raffaella

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  29. Decisamente bello anche questo racconto. Brava.
    Miriam Formenti

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  30. Standing Ovation per Velonero!!! Andrès simpatico come la sabbia... ma il racconto è spettacolare. Come sempre immediato! Brava :*

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  31. Una sola parola:MERAVIGLIOSO

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  32. E' un bellissimo racconto, non so cosa dire di nuovo che non sia stato già detto; posso aggiungere, che un bravo scrittore deve saper creare la giusta atmosfera e trascinare il lettore, senza fiato, fino alla fine della storia: ecco, questo racconto mi ha fatto sentire così, fino alla fine: brava e grazie per aver condiviso con noi la tua bravura.

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  33. Bravissima Velonero! L'unica cosa stabile, nella tua scrittura, è la bravura, perché quando mi accingo a leggere qualcosa di tuo, quello che mi domando sempre è: come mi sorprenderà questa volta? I tuoi racconti sono sempre diversi, sempre originali e, appunto, sorprendenti. Davvero tanti tanti tanti complimenti!

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  34. Mioddio, da grande voglio scrivere così! Riconosco la musicalità, la ritmica e l'eco; l'incedere, le pause, la tensione e la riflessione. Solo che lei sa controllare la partitura per crearne un testo intenso e passionale. E io ho tanto da imparare. Ma adesso ho una musa.

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  35. ECCITANTISSIMO, EMOZIONANTISSIMO, STRUGGENTE

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  36. Stupendo! Davvero complimenti! Non ho potuto leggerlo prima e votare ma l'avrei scelto tra i primi sicuramente. Ora capisco i tanti voti di scarto! Tema che già di per sé mi attrae (solo leggere "Siviglia" mi emoziona...) e scrittura coinvolgente ed emozionante. Un applauso meritato, ad Estela e a te!
    Saluti,
    Simo

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  37. Bellissimo, letto due volte! Complimenti a Velonero!
    Judith Sparkle

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