AULD LANG SYNE di Eva Palumbo


"Auld Lang Syne" è, nel mondo anglosassone, l'inno ufficiale del Capodanno. Intonato allo scoccare della mezzanotte nei pub e nelle case, suonato dalle orchestre e trasmesso dalle radio, è una delle canzoni più celebri di tutti i tempi. Composta in Scozia e diffusa ormai ovunque, rappresenta uno di quei casi di "melodia universale" che spesso conosciamo senza nemmeno rendercene conto. È diffusa anche in Italia, sia in versione originale che con il titolo di "Valzer delle candele", in Francia come "Ce n'est qu'un au revoir", negli Stati Uniti d'America come "The New Year's Eve song".
Il testo di Auld Lang Syne, scritto in antico dialetto scozzese, è ancora oggi soggetto a disparate interpretazioni. Anche il titolo viene tradotto con accezioni diverse: la corrente più comune, oggi, lo legge come "Old Long Since" ("Tanto tempo da quando.."), una sorta di "c'era una volta" che richiama ai "bei tempi andati". È una canzone di speranza: la speranza di ritrovare la felicità perduta. (Qui nella splendida versione di Rod Stewart: https://www.youtube.com/watch?v=xiGJ3139358)
  
Hogmanay Pub,
31 dicembre, più o meno a mezzogiorno

«Che diavolo stai facendo lassù?»
Quando suo fratello Stefano la apostrofò con voce insieme infuriata e preoccupata, Chiara sussultò, e la scala su cui era appollaiata sfuggì per un attimo alle mani dei due uomini che la stavano sorreggendo e oscillò pericolosamente.
«Ehi, laggiù!» esclamò lei, aggrappandosi più forte alla mensola a cui era appoggiata, «avete intenzione di farmi cadere? Ciao, fratellone!» aggiunse poi, rivolgendosi dall’alto in basso all’uomo di poco più grande di lei, che la guardava con le sopracciglia aggrottate e le mani sui fianchi. «Ti piace? Ho avuto un’idea per un ultimo tocco divertente per la festa di stasera e...»
«La tua idea contempla passare l’ultimo dell’anno al Pronto Soccorso per farti ingessare la gamba che ti stai per rompere?»
«Che esagerato... Ci sono questi due gentili signori, qui, che mi danno una mano...»
Stefano fissò i due uomini, uno dopo l’altro, intensamente e senza dire una sola parola, finché entrambi non tossicchiarono e lasciarono andare la scala come se si fossero scottati le mani, facendola nuovamente oscillare.
«Allora la tua idea è quella che io passi la notte di San Silvestro in commissariato, a difendermi dall’accusa di aggressione per aver tolto a suon di pugni quell’espressione dalla faccia di questi due sfigati... smettete immediatamente di sbirciare le gambe di mia sorella, voialtri
Chiara girò bruscamente su sé stessa, accostandosi alle cosce il kilt che aveva indossato quella mattina... per fortuna, aveva avuto l’intuizione di infilare anche un paio di collant coprenti. Sperò avessero mimetizzato un po' la sua biancheria. E comunque, non ci aveva minimamente pensato quando aveva chiesto ai due aiutanti di suo fratello di darle una mano mentre si arrampicava all’altezza del soppalco del locale. Voleva solo appendere una doppia fila di luci blu e bianche al di sopra della striscia di bandierine della Scozia con cui l’aveva decorato.
«Carlo! Jack! Mi stavate guardando sotto la gonna?»
«Ecco, io...» provò a difendersi uno degli interessati, ma suo fratello lo interruppe bruscamente:
«Certo che lo stavano facendo! Lo farebbe ogni maschio etero dai dieci anni in su che entrasse nel locale in questo momento, visto che tu glielo stai rendendo così facile, appollaiandoti lassù vestita in quel modo!»
«Ehi!» ribatté lei, arrossendo un po’, «anche tu hai il kilt! E nessuno ti dice niente!»
«Io non me ne vado in giro arrampicandomi e mostrando a tutti quello che ho lì sotto
«Beh, fai male,» disse Chiara con un sorriso, cominciando cautamente a scendere dalla scala. «Conosco un paio di ragazze che sarebbero molto felici di dare una sbirciatina...»
Strizzando l’occhio a suo fratello, Chiara ammiccò verso le due cameriere del pub, che nell’altra stanza, al di là dell’arco, stavano finendo di mettere in ordine i bicchieri da pinta nel grande raccoglitore in fondo al locale. Stefano si girò verso le ragazze, che appena si accorsero del suo sguardo abbassarono rapidamente il loro e si misero a ridacchiare. Poi si voltò di nuovo verso la sua sorellina, che lo stava guardando maliziosamente, e cercò, senza riuscirci troppo, di mantenere il suo cipiglio.
«Basta adesso,» le disse, schiarendosi la voce. «Scendi da lì, hai fatto fin troppo per stasera...»
«Niente è troppo per il mio fratellone e per il suo pub!» esclamò Chiara ancora appollaiata sui gradini, aprendo le braccia in un gesto ampio per indicare il locale con tanta veemenza da far oscillare nuovamente la scala.
Lei adorava, letteralmente, il pub di suo fratello.
Era vero che, fino a un po' di tempo prima, erano state pochissime le volte che era riuscita ad allontanarsi dalla sua frenetica vita milanese e a spingersi fin laggiù, a Carbonara, nel cuore nebbioso della provincia di Pavia. Era lì che Stefano aveva investito la sua parte di eredità del loro omonimo nonno per acquistare e ristrutturare un vecchio cascinale sulla provinciale verso il Ticino e trasformarlo nell’“Hogmanay”: un bellissimo scottish pub, anzi, il miglior scottish pub d’Italia, come era stato dichiarato l’anno precedente dalla rivista “Mondo Birra”, come suo fratello non mancava di ricordare a chiunque.
Però, nelle ultime settimane, da quando si era precipitosamente trasferita da Stefano e alloggiava in una delle camere della locanda al piano superiore dell'Hogmanay, aveva dedicato ogni attimo del suo tempo libero al pub. Dava una mano a Stefano in tutto quello che era alla sua portata, non disdegnando di fare la cameriera o perfino la lavapiatti, se serviva, anche se era la sorella del proprietario.
Del resto, da qualche tempo, il tempo libero era l’unica cosa che non le mancava.
E ogni attività manuale era la benvenuta, se serviva a distrarla dal ripensare a quale completa, gigantesca, totale incognita fosse improvvisamente diventata la sua vita.
Con un piccolo salto dal penultimo gradino, atterrò davanti a suo fratello e si tolse i capelli da davanti agli occhi.
Stefano le aggiustò una ciocca dietro l’orecchio e le sorrise teneramente.
«Hai fatto davvero un bel lavoro qui dentro, sorellina,» disse. «Ti devo molto... grazie!»
«Sono io che devo ringraziare te, fratellone...» mormorò Chiara, sorridendo anche lei. «Grazie per avermi dato una tana in cui nascondermi per un po’... aiutarti al pub era davvero il minimo che potessi fare per ricambiare!»
«Che sciocchezze! Tu non devi nasconderti da niente e da nessuno!» la rimproverò bonariamente Stefano, guardandola negli occhi. «Noi Valentini, anche quando facciamo errori, andiamo sempre in giro a testa alta!»
«Come diceva nonno, eh?» Chiara prese la mano del fratello e la strinse. «Testa alta anche se il collo è sporco!»
Scoppiarono a ridere insieme, e in quel momento la porta del pub si spalancò, lasciando entrare una folata di gelida aria dicembrina. Un uomo avvolto in un pesante cappotto di lana nero era fermo sulla soglia per togliersi il cappellino e la sciarpa, anch’essi neri, strizzando gli occhi per abituarli alla luce smorzata dell’interno del locale.
I due fratelli alzarono insieme lo sguardo verso il nuovo venuto.
Stefano aggrottò la fronte, perché non lo conosceva. Era raro che uno sconosciuto entrasse nel suo pub all'ora di pranzo di un giorno feriale. Ovviamente, anche se lui conosceva quasi tutti lì in zona, non era poi così strano ricevere visite inattese, con la tradizionale festa di fine anno che sarebbe cominciata di lì a qualche ora nel locale.
«Buongiorno! Benvenuto all’Hogmanay, amico! La cucina ha appena aperto... siediti pure dove preferisci. Ti faccio portare subito una Caledonian, omaggio della casa per festeggiare la fine dell’anno! Chiara, vuoi accompagnare tu il nostro nuovo amico al tavolo?»
Stefano si girò verso la sorella... o meglio, dove avrebbe dovuto esserci sua sorella.
Perché adesso, accanto a lui, dietro al bancone dove, fino a pochi istanti prima stava chiacchierando con Chiara, c’era soltanto il vuoto.

**********
Milano,
un mese prima

«Non è possibile... C'è stato sicuramente un malinteso!» esclamò Chiara, portandosi dietro l'orecchio una minuscola ciocca di capelli sfuggita allo stretto chignon in cui li aveva raccolti, come ogni mattina.
Una vena le pulsava alla tempia sinistra, annunciandole un mal di testa epocale che sarebbe stato il degno coronamento di una pessima giornata.
Fuori infuriava un tempo da lupi. Un vento gelido penetrava nell'ufficio attraverso gli stipiti di legno antico delle ampie finestre a volta che davano sui giardinetti di Piazza Meda, al centro di Milano. La pioggia scrosciava senza tregua da giorni, infradiciando la città e rendendo vana ogni aspettativa allegra dell'ormai imminente Natale.
Quella mattina aveva fatto tardi al lavoro, perché la metropolitana era di nuovo in ritardo, e l'occhiata che il suo capo le aveva lanciato le aveva fatto correre i brividi lungo la schiena. Da un po' di tempo, gli sguardi del signor Damiani non le piacevano affatto.
La sua assistente personale aveva scelto proprio quella settimana per annunciarle il suo imminente congedo anticipato per maternità, e così le si prospettavano lunghi mesi di doppio lavoro. Già solo il suo, normalmente, era sufficiente ad impedirle qualsiasi barlume di vita sociale. Lavorare alla "Immobili Damiani" aveva un suo prezzo, come amava ripeterle il suo capo, lasciandole scivolare uno sguardo ambiguo lungo il corpo che lei preferiva ogni volta ignorare.
La "Immobili Damiani" era una delle più importanti agenzie nel panorama milanese delle compravendite immobiliari di lusso, sia per aziende che per singoli acquirenti privati (e molto facoltosi). Chiara seguiva personalmente molti dei clienti più importanti dello studio, ma le cominciava a pesare sempre di più fare tardi ogni giorno al lavoro e dedicare quasi sessanta ore alla settimana a quell'ufficio e ai suoi esigenti clienti.
Come ad esempio Simone Altavilla, anzi, l'avvocato Altavilla, come tutti lo chiamavano in modo deferente ed ossequioso, l'ultimo rampollo di una famiglia che annoverava alcuni tra i più importanti legali d'Europa. Era appena rientrato da cinque anni a Edimburgo dove aveva seguito l'apertura e l'avviamento dell'ennesima filiale internazionale dello studio: al suo rientro in Italia "Immobili Damiani", e quindi di riflesso Chiara, era stata incaricata di procurargli un prestigioso ufficio dove lui ora potesse dar vita alla sua nuova creatura, una società legale-finanziaria di assistenza bancaria.
Tutte queste informazioni, Chiara le aveva apprese mentre studiava per quell'importante incarico, nei mesi precedenti, e si occupava della questione (tra le altre mille che seguiva personalmente), e le ritornarono in mente quel mattino mentre l'avvocato Altavilla la fronteggiava, in piedi di fronte alla sua scrivania, la cravatta allentata, un'espressione furiosa sul bel viso dai lineamenti affilati.
«Non lo chiamerei malinteso,» sibilò Simone, appoggiandosi al piano della scrivania e sporgendosi verso Chiara, che istintivamente si ritrasse, addossandosi allo schienale della sedia. «Nonostante vi paghi profumatamente, siete stati inetti ed inefficienti, avete commesso un macroscopico errore, e a farne le spese sarà il mio lavoro, visto che adesso dovremo ritardare l'apertura di almeno due mesi!»
«Avvocato Altavilla...» cominciò Chiara, alzandosi lentamente e sistemandosi i lembi della corta giacca grigia sui fianchi, «credo che possiamo prima di tutto evitare gli insulti, e cercare di capire la situazione...»
«Non me ne frega niente della sua situazione,» la interruppe Simone, facendo un gesto brusco con la mano e urtando la lampada sulla scrivania di Chiara, che oscillò pericolosamente. «L'immobile è fatiscente, la strada indegna, e per di più io non posso condividere l'indirizzo con uno studio veterinario al piano terra e un centro massaggi al piano superiore!»
«Centro massaggi? Avvocato Altavilla, credo ci sia un equivoco. Il palazzo in cui è collocato l'ufficio che abbiamo scelto per lei è molto prestigioso e non credo che...»
«E questo allora cos'è?» sbraitò lui, sbattendo sulla scrivania un volantino dai colori accesi, con sopra due figure poco distinte ma chiaramente svestite: un uomo sdraiato bocconi su di un lettino e una donna che gli allungava le braccia sulla schiena. In cima al foglietto, le parole "Rilassati!" erano stampate in caratteri cubitali. In basso, molto piccolo, l'indirizzo: Via dei Fiori, 32.
Chiara strabuzzò gli occhi.
L'indirizzo, effettivamente, era lo stesso, ma sicuramente c'era una spiegazione.
Via Fiori Oscuri era una delle strade più importanti di Milano, proprio accanto alla Pinacoteca, al centro del quartiere Borgonuovo, e...
Di nuovo, Chiara strizzò gli occhi e afferrò il volantino per guardarlo meglio, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Via dei Fiori?
C'era effettivamente qualcosa che non andava.
 «Mi scusi, io...» alzò lo sguardo su Simone, che adesso la stava fissando a braccia conserte, un'espressione di attesa sul viso, e rimase per un attimo confusa dall'intensità di quegli occhi blu. Com'è che non li aveva mai notati, prima? Si riprese dopo un paio di secondi, scuotendo la testa. «Io... non capisco.»
Si risedette e digitò qualcosa sulla tastiera del computer, richiamando sullo schermo il fascicolo "Altavilla". Scorse rapidamente la pratica, che comprendeva l'atto di acquisto, datato un paio di settimane prima, e tutti gli atti necessari per l'avvio delle pratiche di accatastamento... e all'improvviso impallidì e spalancò la bocca in una muta esclamazione di sorpresa.
«Già!» ruggì l'avvocato, ma lei lo sentì a stento. «Già! Si rende conto, adesso
«Io... io...» balbettò Chiara, mentre il casino che aveva combinato le si delineava davanti.
Aveva sbagliato l'indirizzo sull'atto.
Un errore banale, da principiante, che aveva innescato una serie di conseguenze: aveva avviato l'acquisto dell'immobile, ma era quello sbagliato; aveva richiesto i preventivi alle ditte per la ristrutturazione; aveva cominciato le pratiche per la procedura al catasto, per il notaio... e adesso doveva fermare tutto... annullare l'atto... pagare le penali... e ritardare l'avvio delle ristrutturazioni...
Ma come diavolo era stato possibile?
Improvvisamente, le balenò in mente il momento in cui era sicuramente successo.
Era un sabato sera di fine ottobre, tardi. Erano quasi le dieci, e lei era ancora in ufficio.
La sua assistente l'aveva salutata cinque ore prima, e lei non si era alzata quasi dalla sedia per tutto quel tempo.
Aveva ignorato i morsi della fame, perché voleva terminare quella complicata procedura di transazione prima di tornare a casa... ma tanto, ormai, erano mesi che non contavano né sabati, né domeniche, né feste comandate, perché l'unica cosa che era diventata importante era il lavoro.
Aveva sbrigativamente salutato il fratello al telefono, liquidandolo con poche parole mentre lui stava per lanciarsi nella solita paternale che le faceva sempre su quanto stesse sprecando la sua esistenza in quello studio, su quanto si dovesse invece godere la vita. Aveva sentito in sottofondo i rumori allegri del suo pub, e aveva chiuso la comunicazione, lievemente infastidita dalla perdita di tempo ma soprattutto irritata dalla punta di invidia che aveva provato per quelle persone spensierate che si godevano una serata di riposo.
Lei invece era stanca e un po' stordita, e doveva essere stato allora che aveva sbagliato la trascrizione nell'atto.
E da quel momento in poi, fidandosi evidentemente troppo di sé stessa e della sua efficienza, non aveva più ricontrollato e aveva fatto andare avanti le cose... fino a quel giorno.
Chiara alzò lo sguardo sull'uomo che le stava davanti e si portò una mano alla fronte.
Un rivolo di sudore gelido le scorse lungo la schiena, e la morsa allo stomaco le si accentuò.
«A-avvocato Altavilla, io... io non so davvero come...»
«Chiara? Che cosa succede?» La voce sgradevolmente acuta del signor Damiani interruppe le sue balbettanti scuse (ma esisteva la possibilità che delle semplici scuse potessero risolvere in qualche modo il casino che aveva combinato?), e l'uomo si materializzò al fianco di Simone, rivolgendosi a lui in modo mellifluo:
«Avvocato Altavilla? Tutto bene?»
«No, Damiani, non va affatto tutto bene!» esclamò lui, girando lo sguardo verso l'uomo azzimato che gli si era accostato, e che aveva sussultato quando era stato apostrofato in quel modo. «La sua dipendente, qui... Ha combinato un disastro con la mia acquisizione! Mi meraviglio di lei, soprattutto! Come ha potuto affidare un incarico tanto importante ad una principiante? Non è riuscito a prevedere che sarebbe stata del tutto inadeguata?»
Le sue parole sferzarono Chiara, che arrossì di umiliazione e di rabbia.
«Io...» cominciò, senza riuscire a trattenersi, ma Damiani fu più veloce: «Avvocato Altavilla, io non posso che farle le mie più umili scuse, anche senza sapere in dettaglio quello che la mia dipendente può aver fatto... Chiara? Che disastro hai combinato?»
I due uomini la guardarono in silenzio, con sguardo accusatore, e Chiara sentì scemare la rabbia e salire la vergogna. Aveva fatto un vero casino, un errore da principiante che sarebbe costato un sacco di soldi allo studio, e sarebbe rimasto una macchia sul suo curriculum altrimenti perfetto.
Lo sguardo di Damiani non le lasciava alcun dubbio. Era infuriato e irritato, e nel contempo era chiaro che avrebbe scaricato su di lei ogni colpa, senza prendere minimamente le sue difese...
Le venne da piangere.
Lei non meritava alcuna difesa.
Anni di sacrifici e di totale dedizione al lavoro, rovinati e vanificati da un unico, stupido errore... Non riuscì a far altro che restare davanti a loro in silenzio, tormentando i bordi della giacca, lisciandone i lembi, e ascoltando il silenzio innaturale che era sceso nello studio. Pensò distrattamente che era tardissimo anche quella sera, che ormai se n'erano andati tutti, e che almeno non c'erano altri testimoni della sua umiliazione.
Dopo secondi che le sembrarono ore, riuscì a balbettare:
«Mi... mi dispiace moltissimo. Ho fatto un errore nella trascrizione dell'atto, e... e poi non ho più ricontrollato. Ho... ho sbagliato. Mi dispiace.»
«Certo che ha sbagliato!» esclamò Simone Altavilla, guardandola duramente. «E certo che le dispiace! La questione adesso è: come si può fare per rimediare al più presto
«Io... mi metto subito al lavoro. In fondo è... è solo una questione di tempo. Non è grave come sembra... Scriverò immediatamente una richiesta di rettifica per l'acquisto, contatterò il notaio, e nel frattempo provvederò a...»
«Non mi interessa cosa farà,» la interruppe lui, poi si rivolse a Damiani: «Spero che seguirà attentamente le mosse della sua dipendente, stavolta, oppure che affidi l'incarico a qualcun altro di più competente. Non le pago migliaia di Euro per avere questo servizio così inefficiente. Mi faccia avere al più presto un rapporto sulla previsione di tempi e costi per la risoluzione del problema. Spero che sarà sufficiente, altrimenti deciderò di affidarmi ad un'altra agenzia, qui in città. E tutti sapranno perché
Senza salutare, si avviò rapidamente verso l'uscita e se ne andò, sbattendo la porta.
Chiara e Damiani rimasero a guardare in silenzio il corridoio lungo il quale Simone Altavilla si era avviato, e per lunghi minuti nessuno dei due pronunciò una sola parola.
Poi, l'uomo si girò lentamente verso Chiara, con le dita incrociate sotto il mento, e uno sguardo indecifrabile negli occhi.
«Chiara, Chiara...»
«Signor Damiani, io...» cominciò lei, costernata. «Io non so davvero come sia stato possibile. Ho commesso una leggerezza, è vero, ma...»
«Quello che hai fatto è ben più grave, mia cara. Hai messo lo studio in una posizione difficile...»
«Lo so! Oh, signor Damiani, ne sono perfettamente consapevole... Mi dispiace moltissimo. Io... io lavorerò il doppio di quanto fatto finora, per rimediare. Risolverò tutto, mi creda. Conosco alcune persone all'Ufficio tecnico del Comune che mi possono aiutare ad accelerare la pratica dell'accatastamento. Lavorerò giorno e notte e...»
«Ma hai sentito l'avvocato Altavilla. Non sono sicuro che lui voglia che sia ancora tu ad occuparti della sua pratica. E questo significa che dovremo istruire un'altra persona in ufficio, che dovrà ricominciare tutto da capo... rifare i colloqui con il cliente...»
«Signor Damiani...»
L'uomo le si avvicinò, guardandola in modo strano. Chiara represse un piccolo brivido. Damiani le fece scorrere lo sguardo sul petto, sulle gambe, fino alle scarpe nere col tacco, poi risalì fino al viso e le fissò negli occhi uno sguardo intenso.
«Ci saranno un sacco di danni. Penali da pagare... contatti da ungere... e dobbiamo fare in modo che vada tutto bene, perché altrimenti, l'hai sentito Altavilla, metteremo in pericolo la nostra reputazione...»
Damiani alzò lentamente un braccio e posò la sua mano sulla guancia di Chiara, che era paralizzata dalla sorpresa e, anche, dalla paura. Era una mano fredda e liscia, come un serpente. Damiani le accarezzò il viso, sfiorandole le labbra.
«Hai combinato un bel casino, ma sono sicuro che rimedieremo, Chiara... ti aiuterò io a risolvere tutto... però...»
Abbassò lentamente la mano e con il dorso le sfiorò la gola, avvicinandosi ancora di più. Le poggiò l'altra mano sul fianco, artigliandola con le dita. Chiara aprì la bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Le sembrava di vivere in un incubo, e per alcuni secondi guardò, curiosamente distaccata, il suo capo che le metteva le mani addosso, in modo inequivocabile.
Tanti sguardi, tante allusioni sottili dei mesi precedenti le diventarono improvvisamente chiari.
Scostò appena la testa.
«Signor Damiani...» ripeté. Non riuscì ad impedire alla sua voce di tremare.
«... però, come ti ho sempre detto, ogni cosa ha un prezzo, mia cara!» esclamò Damiani, e poi infilò bruscamente la mano nel risvolto della giacca di Chiara, le afferrò un seno e cominciò a palparglielo con forza.
Questo ebbe finalmente l'effetto di snebbiarle il cervello.
«Ehi! Giù le mani!» gridò, cercando di respingerlo, ma Damiani l'aveva afferrata e le si strusciava addosso, spingendola contro la scrivania.
«Non fare la santarellina... Hai capito perfettamente quello che voglio dire...» sussurrò, cercando di baciarla. «Non ti conviene dire di no...». Le sue mani corsero all'orlo della gonna e cercarono di tirargliela su, ma appena Chiara sentì le sue dita fredde sulle cosce coperte dai collant, scattò e reagì d'istinto: alzò un ginocchio colpendolo forte all'inguine, strappandogli un grido rauco, poi quando lui si rannicchiò su sé stesso lo colpì con violenza al volto con il palmo della mano, mandandolo lungo disteso.
«Giù le mani, porco!» gridò, guardandolo agitarsi sul pavimento, poi lo aggirò e si avviò velocemente verso la porta. Alle sue spalle, tra i gemiti dell'uomo, sentì chiaramente le sue parole borbottate:
«Sei solo... una... puttanella... Non farti... mai più... rivedere qui... Sei... licenziata...»
Chiara rabbrividì, ma non si fermò. Prese il cappotto e la borsa e corse veloce verso l'ascensore, schiacciando freneticamente il pulsante per scendere nell'androne e allontanarsi il più possibile. Tremava, e aveva freddo e caldo contemporaneamente. Il cuore le batteva furiosamente contro il petto, e non riusciva a ragionare.
Fu solo quando finalmente riuscì ad uscire dall'edificio che i pensieri tornarono, e fu come essere investita da un treno in corsa.
Licenziata!
Quel viscido bastardo di Damiani l'aveva licenziata, dopo averla aggredita, e lei non poteva farci niente, perché aveva commesso l'errore più grande della sua carriera e gli aveva servito l'occasione su di un piatto d'argento.
Chi avrebbe potuto dargli torto, dopo che l'esigente avvocato Altavilla aveva formalmente preteso la sua testa, per l'inenarrabile casino che lei stessa aveva combinato?
Esitò davanti al muro d'acqua che si stava rovesciando impietoso sull'intera città, e guardò in su, verso la finestra illuminata di quello che era stato il suo prestigioso ufficio, fino a pochi minuti prima.
Licenziata!
Frugò nella grande borsa di pelle, e quando sentì le dita attorno al cellulare, lo afferrò spasmodicamente, lo tirò fuori tremando e fece il numero dell'unica persona che avrebbe potuto chiamare. Appena suo fratello rispose, il familiare suono allegro del pub, le risate degli avventori, la musica in sottofondo, le fecero salire le lacrime agli occhi. Deglutì un paio di volte prima di riuscire a parlare:
«Stefano?»

**********
Hogmanay Pub,
meno undici ore al nuovo anno
  
«Che diavolo ci fai là sotto? Possibile che oggi riesci a cacciarti nelle situazioni più improbabili?»
Sporgendosi dal piano del bancone, la testa di Stefano apparve nel campo visivo di Chiara, che cercava disperatamente di nascondersi tra due casse di birra e le scatole di sottobicchieri ancora da aprire.
«Ehm...» Chiara si morse il labbro inferiore, poi afferrò un paio fogli appoggiati sulle casse alla sua sinistra e le agitò verso il fratello. «Stavo cercando... queste, perché... è arrivato proprio il momento di... e allora io...»
«Hai improvvisamente sentito il bisogno impellente di controllare le bolle di consegna dell'ultima settimana?» ridacchiò Stefano, tendendole una mano per aiutarla a rialzarsi.
Chiara esitò.
«Andiamo... mica puoi controllarle lì al buio!» esclamò il fratello, tirandola su. «È entrato un cliente. Vuoi servirlo tu o mando Carola?»
Chiara lanciò un rapido sguardo alla sala e intravide l'uomo seduto al tavolo d'angolo, quello sotto i quadri con le riproduzioni delle vecchie bandiere scozzesi nella storia. Gli voltò ostentatamente le spalle e balbettò al fratello:
«Manda pure Carola... io devo...»
«... controllare queste bolle, sì. Ho capito. In realtà, a pensarci bene preferirei proprio che te ne occupassi tu. Ma che ti prende?»
Il fratello le lanciò uno sguardo sospettoso, e Chiara arrossì imbarazzata, ravviandosi i capelli sciolti sulle spalle. Si sistemò la maglietta nera con il Saltire stampato sul davanti, proprio sul seno, si sistemò il corto kilt sulle gambe e fece una smorfia.
«Potrebbe essere un po' imbarazzante per me servire quell'uomo.»
«E perché?»
«Potrebbe non essere un perfetto sconosciuto, per me.»
«E allora? Mica ti fai problemi a servire gli amici, da quando sei qui al pub...»
«Potrebbe essere una persona con cui, l'ultima volta che ci siamo visti, ho avuto qualcosa da ridire...»
«Mi hai stancato con tutti i tuoi potrebbe. È un cliente, và da lui e chiedigli cosa vuole mangiare. E se ti tratta male, tu me lo dici e io gli rompo il naso. Semplice,» esclamò il fratello finendo di spillare una pinta di Caledonian e posandola sul bancone di fronte a lei.
Chiara prese il bicchiere e un menù dalla pila all'angolo del bancone, fece una linguaccia al fratello e poi, tirando un gran sospiro, si avviò con passo incerto verso il tavolo dove l'uomo, al momento l'unico cliente del pub, stava studiando con apparente interesse le stampe appese alle pareti.
Quando la propria vita è diventata un disastro ed è andata a rotoli nello spazio di un'ora, e si è fuggiti dalla città dove si è vissuto per gli ultimi otto anni, licenziati da un lavoro massacrante, sì, ma che in fondo si amava e che, soprattutto, era diventato il centro della propria esistenza... e il motivo per il licenziamento è stato, sì, l'aver respinto bruscamente le avances del capo (che porco!), ma anche aver compiuto un errore madornale proprio al lavoro, avendo determinato l'ira di uno dei clienti più importanti del proprio ormai ex-studio... trovarsi di fronte proprio colui al quale si è procurato il danno tramite il succitato errore non è esattamente in cima alla lista delle cose più desiderabili.
Così pensava Chiara, trascinandosi di malavoglia, in preda a imbarazzo, rabbia non ancora sopita per come quell'arrogante l'aveva trattata davanti al suo (ex, per fortuna) capo, umiliazione e senso di colpa per avergli provocato un danno da svariate centinaia di migliaia di Euro.
Cercò però di tenere a freno tutte le emozioni che le turbinavano dentro, e lo fissò per qualche istante.
L'avvocato Simone Altavilla aveva esattamente la stessa aria arrogante e superba che gli aveva sempre visto addosso, nei pochi e frettolosi incontri che Chiara aveva avuto con lui quando viveva ancora a Milano, colloqui improntati sempre alla massima professionalità e freddezza.
Aveva ancora quell'espressione altezzosa, quella piega insolente della bella bocca, ombreggiata da una corta barba ordinata, scura come i suoi capelli tagliati molto corti.
Aveva ancora quell'aspetto altero e insolente, di chi crede, probabilmente a ragione, che i soldi sono tutto, che con i soldi si compra tutto, e che quando si fa parte di una certa classe sociale si può e si deve ottenere tutto quello che si vuole con un semplice schioccare delle dita, e nessun errore può essere tollerato o perdonato.
Aveva ancora...
No, in effetti no.
Non ce l'aveva proprio, quell'aria arrogante, altezzosa, superba, eccetera eccetera.
Sembrava soprattutto... stanco, avrebbe detto Chiara. Stremato, e un po' abbattuto. Proprio mentre formulava quel pensiero, lo vide strofinarsi il viso con le mani, tirare indietro le spalle e sospirare, poi girarsi verso di lei, che gli si era fermata accanto, e guardarla direttamente in viso, cercando di metterla a fuoco.
Sentì le guance diventare rosse, ma si costrinse a fargli un breve sorriso, mentre gli metteva davanti il menù e il bicchiere di birra.
«Buongiorno!» si sforzò di dirgli allegramente. «Ecco la sua birra. Oltre ai piatti in menù, abbiamo un'ottima zuppa di pesce, con eglefino fresco, e delle pies di piselli e patate che sono la specialità del cuoco. Le stiamo preparando per la festa di stasera, ma posso portargliene una porzione, se ne ha voglia.»
«Io... Grazie,» rispose Simone, prendendo meccanicamente il menù, poi corrugò la fronte e la guardò ancora. «Noi due... ci siamo già visti da qualche parte?»
Chiara si prese il labbro inferiore tra i denti e imprecò silenziosamente dentro di sé.
Ogni speranza di non essere riconosciuta svanì, eppure sentiva di essere molto diversa dalla donna che era fino ad un mese prima, almeno esteriormente. Doveva anche ammettere che nell'ultimo mese, e cioè da quando non era più costretta a indossare quegli smorti tailleur (sempre nell'intera gamma dal grigio al nero) e a tirare i capelli in quelli orridi chignon da rispettabile signorina Rottermeier si era sentita molto più a suo agio.
«Sì, avvocato Altavilla, noi ci conosciamo già,» disse, con voce tranquilla.
«Ma... dove...» Simone era confuso. La guardava, ma era evidente che non riusciva a metterla a fuoco. Probabilmente, vestita con quella maglietta attillata e quel ridicolo kilt, sembrava molto più giovane di quello che era in realtà.
Chiara sospirò.
«Sono Chiara Valentini, signor Altavilla. Sono la sua... ex agente immobiliare. L'ufficio a Milano, ricorda? La sede della sua nuova agenzia? Via dei Fiori 32? Il centro massaggi
Simone si illuminò di comprensione:
«Ma certo! L'acquisto sbagliato... ricordo. Ma...»
Corrugò la fronte, si guardò intorno, poi ritornò a fissarla.
«Ma che ci fa qui?»
«Ci lavoro. Ci vivo.» Chiara fece un gesto verso Stefano, che li guardava con interesse da dietro il bancone. «Il pub è di mio fratello, e io do una mano.»
«Ci lavora? Ma... a Milano...»
Chiara scrollò le spalle.
«Il signor Damiani è poi riuscito a riparare al casino che avevo combinato? Mi dispiace moltissimo per quello che è successo. Spero che i danni che ha subito siano stati limitati.»
Simone continuava a guardarla da sotto in su, e Chiara si sentiva un po' a disagio. Ora non era più un cliente, o meglio, ora era un altro tipo di cliente, e le proprie responsabilità nei suoi confronti si limitavano a non rovesciargli il piatto di zuppa bollente sui pantaloni. Non poté impedirsi di notare le spalle larghe, sotto la giacca nera che indossava, il collo forte, l'accenno di peluria scura che sporgeva dal collo della camicia allentato, e le grandi mani che giocherellavano con il bicchiere di birra...
Si schiarì la voce e si riscosse.
«Allora, mi chiami quando è pronto per ordinare,» disse, e si voltò per allontanarsi, quando sentì la sua mano sul polso, che la stringeva gentilmente per trattenerla accanto a sé.
«La prego, non mi dica che è stata licenziata per colpa mia!»
Chiara si girò di nuovo a guardarlo, e ancora una volta notò quanto apparisse stanco e affaticato. Profonde occhiaie segnavano il suo viso, e gli occhi blu sembravano un po'... spenti.
«Beh...»
«Grandioso!» esclamò lui, lasciandola andare e intrecciando le dita dietro la nuca. «Così la mia reputazione di Scrooge è completa!»
«Come, scusi?»
«Tra poco inizierò a cantare I hate people, ma mi mancano cilindro e cappello: non ne avrebbe da prestarmene, per favore?»
Chiara scoppiò a ridere.
«È troppo giovane per la parte! Vestito tutto di nero com'è, può fare il fantasma dei Natali futuri, che ne dice?»
Simone sorrise, e il cuore di Chiara mancò un battito, per poi riprendere più velocemente di prima. Sentì le guance che le diventavano rosse. Mio Dio, il viso di quell'uomo si trasformava, quando sorrideva, e Chiara si rese conto di non averlo mai visto con quell'espressione sul viso.
Ed era molto, molto bello, vedergli quell'espressione.
Rimasero a guardarsi per qualche momento, in silenzio, poi entrambi si schiarirono la voce.
«Vuole... le va di farmi compagnia?» chiese lui, e Chiara esitò, poi annuì. Mentre si sedeva sul divanetto di fronte a lui, alzò il braccio verso il fratello al bancone, che non li perdeva di vista, e gli sorrise:
«Fratellone, porti una Caledonian anche a me?»
«Mezza o intera?» ribatté subito lui.
«Perché a lui non l'hai chiesto?» lo rimbeccò immediatamente lei, indicando Simone con un dito, e Stefano ridacchiò, cominciando a spillare la birra.
Simone la guardava con aria interrogativa, così lei gli sorrise.
«Mio fratello mi ha detto che nei pub, in Scozia, hanno questa curiosa abitudine di chiedere "half or pint?" quando una donna ordina da bere... mentre all'uomo non si chiede mai. Ovviamente, l'uomo deve berne almeno una pinta, qualsiasi ora del giorno sia, altrimenti non è ritenuto un vero uomo, probabilmente...»
«Davvero? In tanti anni non mi sono mai accorto di questa abitudine.»
«Ah già, tu hai vissuto a Edimburgo... Scusi. Lei. Lei ha vissuto a Edimburgo... Scusi se mi sono permessa...»
«Il tu va benissimo. Posso chiamarti Chiara? Non siamo più a Milano.»
«Decisamente.»
Stefano si avvicinò e posò la birra davanti alla sorella, poi le strizzò l'occhio.
«Vi porto subito un paio di pies... a meno che non desideriate altro...»
Chiara gli tirò un piccolo pugno sul braccio prima che lui si allontanasse rapidamente.
«Sparisci, fratellone!»
Simone seguì il loro scambio, sorridendo.
«Sembrate molto uniti.»
«Lo siamo. Lo siamo sempre stati, ma da quando sto qui al pub lo siamo ancora di più. Stefano mi ha... aiutata molto, nell'ultimo mese.»
«Non posso credere che ti abbiano licenziata per colpa mia.» ripeté Simone, scuotendo la testa. «Non era quello che volevo.»
«Beh, hai detto chiaramente che... com'era? Ah, sì. Che speravi il mio capo affidasse l'incarico "a qualcun altro di più competente". L'ha fatto? Il mio sostituto è riuscito a risolvere il casino che ti avevo creato?»
«Se n'è occupato Damiani stesso. Ma non intendevo certo... non volevo che tu fossi licenziata!»
«Non preoccuparti. Non mi ha licenziato per l'errore che ho fatto con te.»
«Ah no?»
«No. Mi ha fatta fuori perché non ho voluto accettare il suo modo per... risolvere le cose
«Cioè?»
«Cioè, riparare al mio errore era più che possibile, e lui - quel porco - ha provato a dimostrarmi come, dopo che te ne sei andato. Subito dopo. Visto che eravamo rimasti solo io e lui, in ufficio.»
Chiara tacque, e lo guardò in silenzio.
Vide la sua espressione confusa farsi via via più consapevole, finché spalancò gli occhi.
«Che bastardo!» disse infine, comprendendo.
«Confermo.»
«Che porco!»
«Già detto io!»
Simone lanciò uno sguardo a Stefano, che stava pulendo i bicchieri dietro il bancone.
«Tuo fratello lo sa?»
«Stai scherzando? Sarebbe già andato a riempirlo di botte!»
«Bene! Così posso farlo io, per primo!»
«Ma piantala! Mi sono difesa da sola. Non so quando ha potuto riprendere a camminare, ma l'ultima volta che l'ho visto rantolava sul pavimento con le mani sulle palle. Non era molto dignitoso, ma da laggiù mi ha licenziata comunque.»
«Ma ti ha aggredita lui!»
«Ma il casino con il tuo affare l'ho fatto io. E nessuno al mondo avrebbe potuto biasimarlo se mi avesse licenziato solo per quello... come lui avrebbe certamente sostenuto.»
«Mi dispiace... è stata tutta colpa mia.»
«Ora non prenderti colpe che non hai. Te l'ho detto, ho fatto un casino. A volte capita. È vero che a me non era mai successo, fino a quel momento, e purtroppo mi è toccato proprio con te, il cliente più importante dello studio. Damiani ha avuto gioco facile, è vero, ma la colpa è solo mia. Non so dove avevo la testa, quando ho fatto quell'errore. Probabilmente ero troppo stanca... troppo lavoro. Troppa pressione. I clienti, sempre addosso. Damiani con quegli sguardi ambigui, che mi teneva sulla corda... Forse, licenziandomi, mi ha fatto perfino un favore.»
«Cioè?»
«Da quando sono qui, da mio fratello, sono molto più serena. La notte dormo meglio. Non corro più. Mangio roba sana. Non devo vestirmi come la signorina Rottermeier... lascia perdere, non puoi capire. E posso portare i capelli sciolti. Non so cosa fare della mia vita, ma posso portare i capelli sciolti, e questo è un gran passo avanti.»
«A me piacevi molto, con quell'aria perfettina e i capelli raccolti,» disse Simone, abbassando la voce, «ma hai ragione, stai benissimo con i capelli sciolti sulle spalle. Sei bella comunque, ma ti preferisco così.»
Chiara spalancò gli occhi, sorpresa, e vide che Simone non era meno sbalordito di lei. Probabilmente non aveva avuto intenzione di pronunciare quelle parole.
Rimasero in silenzio per un po', poi fu lei a schiarirsi la voce e a rompere l'imbarazzo.
«Perché prima hai detto che saresti adatto alla parte di Scrooge? Che hai fatto? Hai cancellato il Natale?»
Simone la guardò, e l'espressione abbattuta tornò nei suoi occhi.
Nei suoi bellissimi occhi blu, pensò Chiara senza riuscire ad impedirselo.
«In effetti...»
«Cosa?»
Simone sospirò e si passò nuovamente le mani sul viso.
«Che incredibile coincidenza che sia capitato qui oggi... Quando ho visto l'insegna del pub emergere dalla nebbia, ho creduto fosse un miraggio. Hogmanay... Mi sono reso conto che stanotte, a casa... oh, guarda, chiamo ancora Edimburgo casa mia... ci sarà una grande festa, con i fuochi d'artificio e i canti e le cornamuse... e il castello sarà illuminato e pieno di gente felice... Lo sapevi che Hogmanay a Edimburgo dura fino al 2 gennaio?»
Chiara annuì, distogliendo a fatica lo sguardo dalla sua mano destra, a cui Simone aveva appoggiato la guancia.
Quanto doveva essere morbida, quella barba?
E quanto era scema, lei, a pensare queste cose?
«Mio fratello è innamorato della Scozia, di Edimburgo e di tutto quello che è scozzese,» disse, cercando di riprendersi. «Ha inaugurato questo pub proprio la notte di capodanno di sette anni fa, con una fantastica festa che da allora è diventata una tradizione dei dintorni. Viene gente fin da Milano e Torino per partecipare, qualcuno addirittura da Roma... Aspettiamo i fuochi d'artificio di mezzanotte, sparati dal poggio qui vicino, poi cantiamo tutti insieme "Auld Lang Syne"... veramente, io non l'ho mai fatto. Quest'anno sarà la prima volta, perché negli anni scorsi ero sempre a qualche stupida festa della Milano bene, e non ho mai potuto raggiungere mio fratello, ma quest'anno... Vedi che alla fine Damiani mi ha fatto davvero un favore, mandandomi via? Non avrei mai avuto questa opportunità di ripensare la mia vita, altrimenti. Certo, non so ancora che accidenti farò della mia vita, da domani in poi, ma stasera avrò una bella occasione per essere felice, insieme a mio fratello. Aspettando il nuovo anno, e un nuovo inizio... E scusa, non so proprio perché parlo tanto e racconto tutto questo a te. Sicuramente non ti interessa la mia vita, ma io quando sono nervosa parlo a raffica. Ora taccio. Scusa.»
Simone sorrise di nuovo, poi abbassò lo sguardo sulle mani di Chiara, che stringevano il suo bicchiere posato sul tavolo, e con un dito le sfiorò leggermente le nocche, una carezza leggera, delicata, qualche secondo appena, prima di afferrare la sua birra e alzarla alle labbra.
Bevve un lungo sorso, poi poggiò il boccale sul tavolo e la guardò.
Chiara sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale, e fissò lo sguardo sui piccoli sbuffi di schiuma che gli erano rimasti sulle labbra.
«Quindi ora sei nervosa?» disse Simone, la voce ridotta ad un sussurro.
Chiara annuì, e contemporaneamente disse: «No», facendolo scoppiare a ridere.
Sorrise anche lei.
«Ehi, non ridere di me. Per colpa tua non ho più il mio lavoro da sessantamila Euro l'anno, sai?»
«Eh sì, io sono proprio bravo a far perdere il lavoro alla gente!» mormorò Simone, incupendosi, e Chiara si pentì di aver fatto quella battuta.
«Non volevo...»
«Sai... stavo tornando a Milano, quando mi sono perso nella nebbia, qua intorno,» la interruppe lui, seguendo con un dito i ghirigori incisi sul tavolo di legno, peraltro lucidissimo. «Già, proprio perso. Il navigatore ha perduto il satellite, e io non riuscivo ad orientarmi, non capivo dov'ero. Vedevo solo un pezzetto di strada davanti a me, e un solido muro di nebbia bianca tutt'intorno. Poi, dal nulla, è comparsa l'insegna del vostro pub. "Hogmanay". Tutte le luci scintillanti sull'insegna, e la bandiera scozzese sul tetto. E io mi sono ricordato di che giorno è oggi. E di quello che sono stato capace di fare, proprio oggi. Proprio l'ultimo giorno dell'anno, quando si dovrebbe concludere un ciclo, e aprirne un altro, di amore e gioia e amicizia, e bla bla bla
Alzò lo sguardo su Chiara, che lo stava guardando attenta e vagamente allarmata, e sorrise amaramente.
«Mi hanno dato del senzacuore, stamattina! Mi hanno detto che sono una persona arida e meschina, che per me contano solo i soldi, e che passerei sopra il cadavere di mia madre pur di ottenere i miei scopi. Il che è probabilmente vero, anche se non sono mai stato messo alla prova fino a questo punto.»
Bevve un altro sorso di birra e abbassò ancora la voce, mentre Chiara non osava dire una sola parola.
«Sono riuscita ad inaugurarla molto presto, poi, la mia nuova compagnia, sai? Ho aperto a tempo di record, perché Damiani, terrorizzato da quello che avrei potuto dire in giro, e da quanto avrei potuto rovinargli la reputazione - e l'avrei fatto, te l'assicuro - è riuscito a risolvere il casino che avevi combinato tu...» Sorrise, senza guardarla. «... e quindi pochi giorni fa ho aperto la mia nuova sede, che ho inaugurato con una bella fusione bancaria, proprio qui da queste parti. Proprio in questi giorni, per iniziare degnamente il nuovo anno chiudendo quattro filiali improduttive e decidendo un bel po' di spostamenti, demansionamenti e licenziamenti, assolutamente essenziali per l'ottimizzazione delle risorse della nuova prestigiosa realtà bancaria della provincia di Pavia
Finì la sua birra in un lungo sorso, poggiò il boccale sul tavolo e si alzò, prendendo un paio di banconote dal portafoglio che portava nella tasca posteriore dei pantaloni e posandole piano sul menù plastificato di fronte a lui. Chiara rimase seduta, guardandolo mentre prendeva il cappotto che aveva gettato accanto a sé, sul divanetto, e si avvolgeva la sciarpa attorno al collo, gettandone i lembi sulle spalle.
«E stasera andrò ad una di quelle che hai definito... com'era? Una stupida festa della Milano bene, a commentare in maniera molto soddisfatta con i miei soci la conclusione del mio primo, prestigioso, molto remunerativo affare.»
«Io...» cominciò Chiara, poi tacque, non sapendo cosa dire. L'espressione sul volto di Simone non era molto soddisfatta, in realtà. Sembrava proprio... triste.
«Non sprecate quelle pies per me, Chiara,» disse lui, sorridendo in maniera amara. «Sono per la festa di stasera. Per i vostri amici, con cui festeggerete in allegria un... un nuovo inizio. E io non ne merito neanche un po'.»
Si avviò velocemente verso l'uscita. Passando accanto al bancone, fece un gesto di saluto a Stefano, che lo guardò stupito con i piatti in mano, e un attimo dopo se n'era andato.

**********
Hogmanay Pub,
meno dieci minuti al nuovo anno

«Ciao, sorellina!» Stefano le si avvicinò alle spalle e la abbracciò, stringendola al petto. «Stai bene? Ti vedo un po' malinconica...»
«Non fare così! Stai spezzando il cuore a tutte le ragazze, single e non, presenti nel pub in questo momento.» Chiara si scostò dal fratello, salì su una sedia vuota e al di sopra del suono delle cornamuse diffuso dagli altoparlanti negli angoli e del brusio eccitato della folla che riempiva a dismisura il locale gridò: «Sono sua sorella! Sua sorella, è chiaro il messaggio?»
«Finiscila, matta!» Stefano la tirò giù, ridendo e sistemandole poi la frangetta sulla fronte sudata. «Sono molto felice che tu sia qui.»
«Anch'io sono felice di essere qui con te,» rise lei, alzandosi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia, poi risalì sulla sedia e urlò di nuovo: «Avete visto? Sulla guancia! L'ho baciato sulla guancia! Come si fa tra fratelli! Quindi c'è ancora speranza, ragazze, capito?»
«E tu sei libera, Chiara?» gridò un ragazzo dal fondo, alzando il bicchiere colmo di birra verso di lei e ondeggiando un po', chiaramente brillo. «Posso essere io il tuo uomo della fortuna, stanotte? Quello che ti porterà un... hic... un nuovo anno fortunato e...»
«Eh, no, biondino! Purtroppo, secondo la tradizione, l'uomo della fortuna dev'essere con i capelli neri!» rispose sorridendo lei, e subito un altro avventore aggiunse: «Allora tocca a me!»
«Spiacente... dev'essere anche bellissimo e prestante!» ridacchiò Chiara, provocando risate sguaiate tra gli amici del secondo uomo che aveva parlato.
«Allora tocca a me!» tuonò un omone dal fondo della stanza.
«Accidenti! Mancato anche stavolta! Dov'è la bottiglia di whiskey sotto al braccio?» ribatté prontamente lei. Le conosceva bene, le vecchie tradizioni scozzesi! Erano anni che suo fratello non le parlava d'altro! Quella dell'uomo della fortuna nella notte di Hogmanay le era sempre piaciuta un sacco. Uscì da dietro il bancone e si avviò verso l'uscita del pub.
«Piantatela tutti di fare gli idioti con mia sorella! Adesso!» gridò Stefano, salendo barcollando, un po' brillo anche lui, sulla stessa sedia su cui si era arrampicata Chiara prima. Poi saltò giù e la seguì verso l'uscita. «Andiamo, forza! I fuochi d'artificio ci aspettano! Dai, tutti! Andiamo fuori!»
Nonostante il freddo intenso, tantissime persone li seguirono fuori e si disposero nel cortile, con il naso all'insù, aspettando i fuochi d'artificio che sarebbero stati sparati di lì a poco. Nella folla, Stefano mise una mano sulla spalla della sorella e si chinò a baciarle la guancia.
«Lo so che forse non sono proprio l'uomo che vorresti accanto a te, stasera,» disse, «ma ti voglio bene, e sono veramente contento che tu sia qui, sorellina.»
Chiara lo strinse alla vita.
«Non dire sciocchezze. Quale altro uomo dovrebbe esserci?»
«Oh, io ho qualche sospetto...»
«Stefano! Non c'è proprio nessuno. Non ho una relazione, non sono innamorata, non mi interessa nessuno in questo momento...»
«Perché stai negando con tanta forza?»
«Perché è così!»
«Non c'è bisogno di arrabbiarsi!» sorrise Stefano, e Chiara scosse la testa.
«Non mi sto arrabbiando. Davvero. Non ho proprio idea di che cosa tu stia parlando... Oh, guarda, ecco il segnale!» esclamò, grata di poter cambiare argomento.
Alzarono entrambi la testa, e seguirono il percorso del primo lampo rosso, che poi esplose in una fontana cangiante: il segnale che, tradizionalmente, dava il via allo spettacolo.
Le persone tutt'intorno cominciarono tutte insieme a scandire il tempo:
«Meno dieci... meno nove... meno otto...»
Chiara si unì al coro, e nel frattempo non riuscì ad impedirsi di pensare agli occhi tristi di Simone.
Che stava facendo in quel momento? Con chi stava festeggiando l'inizio del nuovo anno?
«...meno sette... meno sei... meno cinque...»
Ripensò alla sua carezza fugace, stringendo leggermente le dita della mano che lui aveva sfiorato. Sentiva ancora la sensazione sulla pelle, come se si fosse scottata. Che assurdità, pensò. Non lo conosceva neanche. È vero, era stato gentile, spiritoso e dolce, quel pomeriggio, ma non poteva dimenticare la sua arroganza, a Milano, in quella che a lei sembrava ormai un'altra epoca. Non poteva non pensare che alla fine di quella strana parentesi insieme, poche ore prima, aveva deciso di tornarsene alla sua vita milanese, nella quale frequentava squali delle finanza e... com'era? "stupide feste della Milano bene".
Ma nemmeno che l'aveva guardata con dolcezza, e quasi con stupore le aveva detto che era bella. E le aveva sorriso. Dio, quel sorriso...
E che c'era rimpianto, nella sua voce, quando le aveva raccontato che l'avevano chiamato un senzacuore.
«... meno quattro... meno tre...»
Sorrise tra sé.
Scrooge, si era autodefinito. Per un momento, se lo immaginò davvero con cappello a cilindro, monocolo e bastone che cantava I hate people, con cipiglio aggressivo, e le venne da ridere.
Però la sua espressione era così... triste, quando era andato via...
«... meno due... meno uno... auguri! auguri!»
«Buon anno! Buon anno!»
«Auguri!»
«Auguri!»
«Buon anno nuovo!»
Mentre scoppiavano fuochi e botti, e il cielo si illuminava a giorno, la folla tutt'intorno si abbracciava e si baciava, stringendosi le mani, stappando bottiglie di spumante e gridando felice. A un certo punto, con la sua voce roca e profonda, Stefano, in piedi al suo fianco, cominciò ad intonare "Auld Lang Syne", seguito da un coro di persone che evidentemente avevano imparato le parole proprio per partecipare alla festa:

Should auld acquaintance be forgot,
And never brought to mind?
Should auld acquaintance be forgot,
And auld lang syne?
For auld lang syne, my dear,
For auld lang syne,
We'll tak a cup o' kindness yet,
For auld lang syne.
And surely ye'll be your pint-stowp,
And surely I'll be mine!
And we'll tak a cup o' kindness yet,
For auld lang syne.

Chiara si commosse fino alle lacrime, che si asciugò furtivamente con le dita.
Ecco, un anno finiva, un nuovo anno iniziava. E portava con sé tante nuove possibilità. Senza un vero motivo, senza riuscire ad impedirselo, pensò ancora a Simone, e ai suoi occhi. E di nuovo al tocco delle sue mani.
Rabbrividì un po', ma non per il freddo. Certo, la sua vita era un casino, e chissà cosa avrebbe fatto dal giorno dopo, ma... ma adesso, mentre attorno a sé risuonavano ancora le note di quella melodia emozionante, tutto sembrava bello, e dolce, e... e tutto poteva succedere e...
E poi, alzando lo sguardo, lo vide.
A pochi passi da lei, le spalle larghe coperte dallo stesso cappotto nero che indossava quella mattina, i capelli scuri un po' arruffati, e lo stesso sguardo intenso in quegli occhi blu così belli.
E una bottiglia di whiskey in mano, che alzò verso di lei, sorridendo.

FINE

CHI E' L'AUTRICE...

Eva Palumbo è nata in Salento e vive con suo marito e suo figlio a Roma. La cosa che ama fare di più è viaggiare con la sua famiglia, soprattutto nei paesi anglosassoni, dei quali apprezza tutto: i paesaggi incontaminati, la lingua, la cultura, la cura per le cose comuni, le città multietniche, l'insospettabile calore con cui accolgono i bambini, e perfino – incredibilmente – il cibo e il clima!
Affetta da grafomania sin da quando aveva quattro anni, solo da poco ha deciso di provare a dare concretezza alla sua passione per la scrittura. Ha pubblicato alcuni racconti sul blog La Mia Biblioteca Romantica: tra gli altri, "Christmas in Killarney", che si è classificato secondo nel corso della rassegna Christmas in Love del 2014.
“Un Natale per ricominciare” è la sua prima novella, pubblicata della Triskell Edizioni. Per la stessa casa editrice, ha firmato per la pubblicazione di una miniserie ambientata in Irlanda e di un'altra novella, ambientata invece a Roma. Il primo romanzo della serie irlandese, "Amori d'Irlanda", uscirà l'8 gennaio 2016.  

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24 commenti:

  1. Un bel racconto ricco di speranza per il prossimo futuro. Si può pensare che questa novella sia un prequel di un romanzo chemi auguro l'autrice voglia scrivere. Complimenti

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  2. Un racconto adorabile, perfetto per l'ultimo giorno dell'anno! *^*

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  3. Cara consorella Eva, ho trovato questo racconto delizioso e molto scorrevole, soprattutto grazie ai dialoghi. Che la Dea ti benedica

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  4. Ho adorato questo racconto, essendo un' amante dei pub. Peccato che non conosca così bene le tradizioni scozzesi
    Sveva\Eiry

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  5. Bravissima la protagonista femminile a non lasciarsi sopraffare da quel porco del suo capo!!! E che dire di tutta la storia d'insieme: un vero inno alla fiducia nel domani e al 'mai dire mai'... comunque mi piacerebbe leggere un seguito della storia di Chiara e del bell'avvocato, così come del fratellone di lei che cade in ginocchio davanti a chissà chi! Buon 2016 a tutti!!

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  6. Una chiosa perfetta per un anno pieno di romance :D
    Slàinte! Brindiamo al nuovo anno <3

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  7. Grazie a Francy per l'invito a partecipare a questa bella rassegna, e grazie a tutte voi per i commenti e i complimenti.
    Auguro un 2016 splendido a tutte voi. Buon anno!
    Eva

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    Risposte
    1. Grazie a te per averci regalato il tuo racconto cata Eva...aspettiamo di leggere il tuo romanzo a gennaio!

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  8. Bellissimo! Belli i dialoghi e la storia, ho anche ascoltato la canzone cantata da Rod Stewart ;-)
    Buon anno a tutti!!!

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  9. Che bel racconto, Eva! L'ho divorato. Romantico, divertente e molto emozionante... come spero che sarà questo 2016! Auguri a tutte!

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  10. Adoro tutto ciò che ha a che fare con la Scozia e questo racconto mi ha fatto amare ancora di più quella terra meravigliosa e le sue tradizioni. Mi piace sempre molto leggere i racconti di Eva Palumbo. Complimenti anche questa volta. Davvero convincenti e affascinanti i due protagonisti e coinvolgente la storia.
    Buon 2016 a tutte le collaboratrici del blog e alle lettrici.

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  11. Una lettura davvero piacevole. Ho trovato molto interessanti i riferimenti alle tradizioni scozzesi; vien proprio voglia di fare un salto all'Hogmanay per saperne di più ^_^

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  12. Un racconto che trasmette davvero positività.Mi è piaciuto tantissimo!!!!!La protagonista che malgrado la perdita del lavoro mantiene uno spirito allegro.BELLO;BELLO;BELLO e molto originale!!!!Grazie Eva

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  13. Racconto tenero con grinta.Milena

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  14. Che bel racconto tenero e romantico! Mi è venuta voglia di conoscere le tradizioni scozzesi!

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  15. questo racconto mi piace tantissimo! Il rapporto tra fratelli è stupendo e profondo, e l'accenno al nuovo inizio e alla storia che probabilmente verrà riempe di speranza! Poi amo la Scozia e tutto ciò che la circonda

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  16. Racconto veramente carino e tenero grazie per avermelo fatto leggere ^_^

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  17. Anche a me è piaciuto il rapporto tra fratelli! E poi i dialoghi brillanti, e l'atmosfera scozzese! Bel racconto davvero!
    Ornella A.

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  18. Racconto molto carino. ma un bacetto ci starebbe stato bene alla fine, o no?? comunque complimenti, letto tutto d'un fiato.

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  19. Complimenti un racconto veramente delizioso e di buon auspicio. Ti mette veramente di buon umore.
    Cry Trilly

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  20. Bello bello bello! Si capisce che mi è piaciuto molto?
    Buon anno a tutte le lettrici del blog.

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  21. Buon anno a te cara Micaela!

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  22. Ma che bello!! cortino ma dolcissimo! Lascia la voglia di saperne di più di lei, di lui, di loro insieme, e magari anche del fratello! Non conoscevo l'autrice, ma me la segno ;)

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  23. Ciao a tutte! Sono un po' in ritardo ma ce l'ho fatta. Complimenti a Eva Palumbo! Davvero ben scritto e scorrevole. Non conoscevo questa bella tradizione scozzese. Ha dato davvero un tocco speciale al racconto. Sul finale mi sono ritrovata ad applaudire dalla gioia come una bambina :D :D ...inoltre vorrei dire...il fratello è il personaggio che mi ha attratto più di tutti (senza togliere niente agli altri), niente male! Spero ci farai un pensierino per il prossimo racconto... ;D

    Saluti,
    Simo

    RispondiElimina

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