GLI ALTRI ROSSOFUOCO: 'MIA ROSALYN' di Miriam Tocci




Le strade di Parigi si svelavano in un inebriante scintillio notturno, come se la città fosse una soubrette e quelle il suo appariscente vestito di scena.
Fascinosa e profumata, conturbante e maliziosa.
Così  le appariva, scorrendole davanti attraverso il finestrino dell’auto.
Trasferirsi in Francia era stata una scelta dura e sofferta cui era arrivata per forza di cose non riuscendo più a tollerare nulla della vita di prima.
Rosalyn Willow, padre inglese funzionario del Corpo Diplomatico e mamma italiana, aveva cambiato spesso indirizzo nell’infanzia e sapeva parlare alla perfezione quattro lingue.
Gli ultimi dieci anni, nel corso dei quali si era laureata e aveva iniziato la carriera da giornalista, li aveva trascorsi a Londra, nella casa dove era nato suo padre.
C’era stato un momento, bellissimo, in cui aveva pensato che niente potesse mancarle o andare storto. La sua vita aveva raggiunto la perfezione quando Ian Price vi era entrato, regalandole la certezza di non poter esprimere un solo altro desiderio al mondo, perché altrimenti si sarebbe sentita egoista, irriconoscente.
Non aveva una gran fede, ma se c’era un Dio o…un Universo Creatore da ringraziare, lo avrebbe fatto volentieri. Così come avrebbe voluto scagliarsi contro le stesse entità divine quando tutto le era franato addosso.
Lei, un’idiota illusa che occhieggiava da sotto le macerie in attesa di essere salvata.
Non era arrivato nessuno. Aveva dovuto fare da sola e aveva trovato la forza di spostare i massi uno a uno, frammenti in cui rivedeva i suoi traguardi, le cose che le erano piaciute, la casa rinnovata per due, le soddisfazioni sul lavoro. Scavando più a fondo aveva ripescato il detrito della mina che aveva fatto esplodere tutto: proprio Ian, scomparso dall’oggi al domani con i suoi vestiti, le sue promesse e i suoi ti amo. Parole al vento che servivano a poco in mancanza di una spiegazione a quella…fuga.
Si era flagellata l’anima a furia di cercare in se stessa la ragione di tale gesto, ma senza successo. Si era sentita arrogante, in colpa per aver fallito in un esame di coscienza in cui gli unici addebiti a carico di entrambi le sembravano risolvibili con il buon vecchio dialogo  o una sana litigata. Come fanno tutti.
Quando era emersa dallo sfacelo si era sentita svuotata e sporca, di polvere, di lacrime inutili. Persino Londra, che aveva sempre amato, era diventata soffocante e cupa. 
Con molto rammarico il suo redattore le aveva concesso il trasferimento presso la sede francese della testata e Rosalyn aveva subito fatto i bagagli, portandosi dietro tutto l’occorrente per ricostruirsi un’esistenza ma senza aspettarsi i fuochi artificiali, questa volta. Le bastava che fosse accettabile.
Quella sera era uscita con il fascinoso Emile Leroux, un freelance che da pochi mesi collaborava con il suo giornale.
Non aspirava a niente di più di un appuntamento fra adulti consenzienti, perché lei era una donna che aveva da poco superato la trentina ed era viva, diamine. Nonostante tutto aveva ancora voglia di respirare.
Però  sarebbe finita lì, una volta concluso il rendez-vous, ognuno doveva tornare al proprio posto. Aveva chiuso con gli sconfinamenti e il piantare bandiere sul territorio altrui.
Leroux era stato da subito molto esplicito nei suoi riguardi e dopo un paio di mesi di corte incessante, Rosalyn aveva deciso di provare. Era un bell’uomo, occhi grigi che sembravano d’argento colato e capelli biondi che gli incorniciavano il viso come ricciuti fili d’oro, per non parlare del fisico tonico, molto curato.
Le sue colleghe gli sbavavano dietro e lei si era sentita lusingata per le attenzioni che le venivano rivolte in via esclusiva. Non conosceva molto di lui, ma tutto sommato così le bastava. Emile la faceva sentire bella, sapeva come guardare una donna, cosa dire, come sfiorare con le mani e con il corpo i punti giusti, quali corde far vibrare.
A quel pensiero, Rosalyn raccolse i lunghi capelli bruni su una spalla e abbassò lo specchietto del lato passeggero sentendo frusciare la pelle che rivestiva il sedile della BMW a ogni movimento. Il raso del vestito pareva accarezzarlo delicatamente, come Emile aveva fatto con lei poco prima al cinema.
La superficie riflettente del piccolo rettangolo nel quale si specchiava le restituì l’immagine di occhi verdi ben truccati e di labbra che invece erano un disastro.
Con un flebile sospiro frugò nella pochette e ne trasse un rossetto rosso ciliegia, il suo preferito. Le sfuggì un sorrisetto compiaciuto al pensiero di come Emile l’avesse parzialmente struccata.
Nella sala del cinema, semivuota, si erano comportati come due adolescenti in preda alle prime tempeste ormonali, certo non come adulti contegnosi.
Avevano iniziato a seguire il film, un drammatico romantico anche piacevole, arrivando in fondo al primo tempo. Poi Emile aveva cominciato a passarle i popcorn acquistati durante l’intervallo, ma non in mano, direttamente nella bocca.
Sulle prime era stata attenta a non sfiorargli le dita per una, due, tre volte. Poi lui aveva preso due popcorn insieme e, nell’aprire le labbra, Rosalyn gli aveva sporcato l’indice con il rossetto.
«Scusami…» aveva sussurrato lei. La luce soffusa della sala nascondeva l’espressione di Emile ma Rosalyn sentiva il suo respiro sfiorarle la pelle del viso. Come avrebbe voluto poterne cogliere appieno lo sguardo in quella penombra, occhi color mercurio che la guardavano lussuriosi, soprattutto quando si era messo il dito in bocca passandovi sopra la lingua in maniera voluttuosa per rimuovere lo sbaffo rosso del cosmetico.
Rosalyn si era sentita confusa, umida al solo uso della fantasia e si era prestata a quel gioco erotico dapprima prendendo in bocca timidamente le dita di lui per poi cercarle avidamente, una ad una, come volesse rimuovere da ogni centimetro di pelle i granelli di sale che rimanevano attaccati quando pescava dalla busta quelle piccole esplosioni di granoturco.
Pochi istanti di luce piena sullo schermo le avevano rivelato lo sguardo intenso di Emile che, da come aveva cambiato posizione sulla poltrona divaricando un po’ di più le gambe, mostrava di gradire la carezza rorida delle labbra di lei. Sulle dita.
Ciò  che suggeriva la mente era altro. Decisamente.
Emile aveva finto di volerle porgere l’ultimo popcorn, ma all’ultimo secondo lo aveva stretto fra le labbra con un sorriso sornione e Rosalyn, dopo aver staccato i fili della mente, si era avvicinata a lui bramosa, come se anelasse a quell’ultimo boccone, come se l’esigenza di assaporare la bocca di Emile fosse divenuta un’urgenza incontrollabile.
Le mani di lui le avevano sfiorato il viso mentre la lingua le penetrava la bocca in un’allegoria molto convincente di un rapporto sessuale completo.
Rosalyn aveva fatto scivolare la propria mano sulla sua gamba, dal ginocchio all’inguine, per poi stringere il rigonfiamento che gli tendeva i calzoni. Si sentiva languida e abbandonata a lui, anche se un residuo di razionalità sembrava volerla tenere in allarme. Quella sensazione era stata messa a tacere quando Emile aveva inarcato il bacino contro la sua mano estendendo le carezze al collo di lei, alla spalla, alla curva del seno.
Con la punta delle dita era risalito alla spallina del vestito color lavanda, abbassandola mentre il bacio diventava più ardente. Quindi aveva percorso con esasperante lentezza il bordo del corpetto, fermandosi sul primo della lunga serie di bottoncini che arrivavano giù, fino all’orlo della gonna a mezza coscia.
Rosalyn aveva avuto la sensazione che il tocco di lui le bruciasse sulla pelle mentre slacciava due, tre, quattro bottoni, facendosi strada sotto la stoffa per accarezzarle il seno imprigionato da un sottile strato di pizzo. Il bacio di Emile si era fatto ancora più afrodisiaco, più profondo mentre si assaporavano a vicenda. Quando lei aveva avuto la sensazione di stare per esplodere, la mano di lui era uscita dal nido caldo dei seni, sfiorandole la vita e i fianchi, leggera e possessiva, più volte.
Poi Rosalyn aveva sentito la carezza del raso lilla sulla pelle della coscia e aria fresca sulla porzione di carne esposta, mentre lei stessa tentava di abbassargli la lampo dei pantaloni.
Le luci si erano accese proprio quando Emile, trovato il sottile elastico degli slip, aveva fatto scivolare le dita al di sotto, sulla pelle del fianco di Rosalyn, senza arrivare al pube, in un’altalena perversa che l’avrebbe fatta gridare, se solo fosse arrivato a segno.
Nel ricordare quell’incontro licenzioso, qualcosa dentro di lei franò. Era stato bello, ogni gesto carico di promesse, di rinvii a un ardente più tardi che molto probabilmente avrebbe ricordato bene per diverso tempo ma…C’era un ma.
Se avesse dovuto descrivere su carta ciò che sentiva in quel momento, avrebbe potuto riassumere tutto in una parola: Vuoto. Con relativi sinonimi a riempire gli spazi bianchi della pagina. Futile. Inconsistente. Vacuo. Sterile. Freddo, nonostante il calore di un corpo che reagisce agli stimoli.
Era stato questo, pura dinamica biologica sulla quale la mente umana, con i suoi percorsi e i suoi meandri sconosciuti, aveva versato immagini come benzina sul fuoco.
La testa, era stata la testa a darle quel piacere. Emile era uno sconosciuto e lei, patetica imbecille, aveva immaginato che fosse stato un altro, l’uomo che aveva amato e mai dimenticato, a portarla su di giri. Ancora una volta.
«Siamo arrivati, ma chère».
Rosalyn gli sorrise e ripose il rossetto mentre lui faceva il giro dell’auto per aprirle la portiera. Secondo i suoi canoni quello era un gesto piuttosto cerimonioso, ma lo lasciò fare, ancora frastornata dalle proprie emozioni in contrasto.
Il ristorante nei pressi degli Champs Èlysèes dava l’idea di essere decisamente costoso anche limitandosi al solo antipasto con caffè. Chissà come poteva permetterselo un freelance che ancora faticava per ottenere uno spazio in qualche rubrica di secondo ordine, si chiese.
«Tavolo riservato nel privè? Non avrai esagerato, Emile?» chiese Rosalyn mentre il suo cavaliere la faceva accomodare sulla sedia ricoperta di soffice velluto azzurro con galanteria d’altri tempi.
«Non direi» sorrise in risposta, « avresti preferito un Fast Food?»
«Ma no, non prendermi in giro. Volevo solo dire… non c’è bisogno di questo per uscire insieme, anche se sono lusingata ed è tutto perfetto» rispose, ammirando l’eleganza del locale con i suoi pavimenti di marmo colorato e le pareti decorate a mano con immagini di paesaggi e vetrate sul mare.
La luce discreta di una candela blu piegata a spirale creava l’atmosfera giusta per un incontro romantico, esaltando la finezza dei tavoli ricoperti da tovaglie damascate color panna e dei centrotavola di fiori freschi e frutta che profumavano l’aria e impreziosivano cristalli e porcellane con i loro colori delicati. 
«Mi piacerebbe davvero che fosse tutto perfetto fra noi, Rosalyn», sussurrò Emile con sguardo caldo, senza staccarsi dal verde chiaro degli occhi che lo fissavano di rimando.
Le prese una mano, trattenendola come non avesse intenzione di restituirgliela mai più. Ancora quel grigio mercurio negli occhi, dal quale le sembrava impossibile staccarsi. Più forte la strana consapevolezza di un improvviso torpore che la braccò alle spalle, a tradimento, come se la sua coscienza si fosse materializzata e stesse lì, dietro a un angolo, a fissarla con disapprovazione.
«Ti vedo turbata. Qualcosa non va?» chiese il bel reporter dai capelli biondi come l’oro,con dolcezza, stringendole la mano che aveva rapito per poi lasciarla. Non le diede il tempo di rispondere. «Rosalyn, mi sento a mio agio in tua compagnia e...non mi succedeva da tempo, non così. Ho avuto alcune storie, una importante, finita molto male. Sinceramente non vorrei ripetere l’esperienza e vado cauto in materia di rapporti con l’altro sesso. Ma tu mi piaci e non voglio buttare via una bella cosa perché ho paura di replicarne una brutta».
Strano. Emile stava parlando di sé o di Rosalyn?
Il suo discorso calzava a pennello anche su di lei. Quegli occhi argentei, irresistibili, sembravano dire la verità, era sciocco ripararsi dal sole per paura della pioggia, era sciocco fare finta di ricominciare a vivere rannicchiandosi nel bozzolo con le ali ripiegate per il timore di volare ancora.

L’ombra scura dell’uomo, alta ed elegante, era appena visibile dal folto dei cespugli che ornavano il giardino davanti casa di Rosalyn, poco fuori città. Sembrava portasse un’arma a tracolla, qualcosa di lungo e pesante.
Aveva seguito la donna e il suo accompagnatore per tutta la sera, persino al cinema dove aveva dovuto sopportare la visione delle loro effusioni senza esplodere, lottando contro se stesso per non far saltare via le mani di quel bastardo che indugiavano peccaminosamente su di lei.
Come aveva potuto non accorgersi di ciò che era, come aveva fatto Rosalyn a rispondere ciecamente al richiamo di quella brama lussuriosa, così falsa e artefatta?
Non aveva neanche percepito la sua presenza, o forse sì, per un attimo, nel ristorante pieno di ninnoli e orpelli dove quell’essere l’aveva portata, un farsa pacchiana di cui lei non aveva mai sentito il bisogno, in passato. Ma forse era cambiata, forse era stato proprio lui a contribuire a quel cambiamento e se così era, di sicuro non avrebbe fatto i salti di gioia, rivedendolo.
Rise di se stesso. Proprio non capiva perché avesse spinto i pensieri fino a quella conclusione. Non era affatto necessario che lei lo rivedesse, il compito che gli era stato affidato andava ben oltre il proprio sentire e l’avrebbe assolto come sempre: con lucidità e senza esitazioni.
Il coupè con a bordo Rosalyn svoltò sul vialetto. Fortunatamente non avevano cambiato programmi, si disse l’uomo prima che la sua sagoma imponente si facesse inghiottire dall’oscurità. L’aria attorno a lui crepitava d’attesa mentre seguiva ogni movimento della coppia.
Vide Emile aprire la portiera a Rosalyn e sostenerla per farla scendere dall’auto. Lei rideva tanto da non riuscire a smettere, sbandava, malferma sulle gambe come se vorticasse al contrario in un mondo sottosopra.
«Ah, casa dolce casa! Sembra la barzelletta dei due amici ubriachi, quelli che si accompagnano a turno per tutta la notte…ora siamo da me e poi dopo che mi passa questa sbronza memorabile ti riporto a casa, ok?…» Emile le porse il braccio sorridendole con condiscendenza. Lui era perfettamente sobrio.
«Certainement, ma chère».
«Come era buono lo Champagne che hai ordinato, un paio di bicchieri e non ho capito più niente…però adesso io non so se sia meglio fermarci qui o avventurarci su per la rampa di scale…» disse, indicandola.«Premi stop e falle fermare, s'il vous plaît».
Rosalyn era in affitto al piano superiore della villetta poco fuori Parigi, con accesso da scale esterne. La padrona di casa abitava di sotto.
Emile si guardò attorno con circospezione, come se cercasse qualcuno.
«Adesso muoviamoci, cammina» le ordinò, brusco.
Nonostante il suo stato, Rosalyn parve accorgersi del cambiamento. Il biondo reporter aveva perso quelle espressioni che dovevano esserle sembrate tanto intriganti, persino la voce era roca, non più melodica e suadente. Vedendola interdetta Emile si affrettò a rimediare, la prese per la vita sottile catturandone gli occhi. Nella mente della donna un unico pensiero avrebbe preso il sopravvento sulla razionalità: arrendersi a lui, per sempre.
Invece di abbandonarsi, Rosalyn reagì come se qualcos’altro avesse fatto breccia nella sua offuscata consapevolezza e avesse avvertito una presenza familiare, ma confusa.
Gli occhi verdi sgranati a pochi centimetri da quelli di Emile tradivano lo sconcerto, ma la bocca carnosa, appena socchiusa, sembrava chiedere un bacio.
Emile l’esaudì subito senza preamboli e cerimonie, terminando il contatto con un morso al labbro inferiore di lei che si mise a sanguinare.
La donna non sembrò accorgersi del dolore, sussultò lievemente lasciando che la sorpresa si mescolasse al piacere di quell’attimo, tenendo lo sguardo fisso nel grigio liquido degli occhi di Emile che le prese una gamba e la tenne sollevata per far meglio aderire i loro corpi all’altezza dell’inguine.
Una luce si accese dietro la finestra a tre vetri del piano terra illuminando la veranda della signora Mercier, la padrona di casa.
Come due adolescenti sorpresi a pomiciare dai genitori, i due si affrettarono a salire le scale. Rosalyn tolse i tacchi per farle di corsa, Emile aveva pronte in mano le chiavi dell’appartamento come fossero le sue. La donna lottò contro l’intorpidimento che le rallentava i movimenti, senza riuscire a ricordare di avergliele consegnate.
Possibile che fosse talmente ubriaca da non ricordarselo? E cos’era quel sapore metallico che aveva in bocca?
Emile aprì la porta e la tirò di nuovo a sé riprendendo le effusioni dall’ esatto punto di intensità sul quale erano stati interrotti. Arretrarono, avvinghiati, lasciandosi cadere sul morbido sofà nero. Le mani di entrambi cercavano avidamente la pelle sotto i vestiti, e i baci divennero interminabili. Rosalyn si stava lasciando trasportare nuovamente dall’aura di piacevoli sensazioni che si erano accumulate nel corso della serata, voleva davvero farlo quel tentativo di prendersi cura di se stessa lasciandosi alle spalle la sofferenza e il passato, ma una parte di lei restava in tensione, inducendola a sforzarsi di tenere a freno i ricordi, i pensieri che minacciavano di travolgerla.
Un dolore lieve come una puntura di spina stava vincendo sulla determinazione. Cercò di rimuovere il fastidio aumentando di intensità i baci e le carezze con cui si teneva disperatamente aggrappata a Emile, ma dopo poco dovette arrendersi a quello che stava diventando uno strazio sordo nella testa, dietro le orbite.
Sentì  i muscoli irrigidirsi di colpo facendole assumere la consistenza di un blocco di marmo, un secondo esatto prima che la porta dell’appartamento si spalancasse mettendone a dura prova i cardini e una figura statuaria e fosca si affacciasse sulla soglia.
Trattenne il fiato.
«Ian…?»espirò incredula, vinta dal panico mentre lo vide avanzare fino al cono di luce prodotto dalla piccola lampada vicino al divano, sempre accesa.
Il cuore perse un colpo.
Il volto di Ian Price era severo e teso, non stava guardando lei ma Emile, un’espressione feroce negli occhi. Aveva addosso dei pantaloni militari e una canottiera nera che nulla nascondeva del suo corpo modellato da muscoli, non era cambiato a parte i capelli castani più lunghi. D’impulso Rosalyn si coprì le gambe e il seno, cercando di riabbottonare quelle  piccole perle aperte sul petto. Solo allora notò che la sua lucidità era tornata completamente, come se non avesse mai bevuto Champagne, come se ora ad essere confusi fossero i ricordi dell’intera serata trascorsa con Emile, a parte lo sguardo ammaliatore del reporter che sembrava impedirle di pensare.
Ecco cos’era quella sensazione di allarme così palpabile e familiare, Ian era tornato, realizzò Rosalyn portando una mano sul labbro sanguinante che pulsava al ritmo del cuore.
Le aveva sempre detto di lavorare in un corpo speciale di polizia, qualcosa del genere. Lei sapeva di dover rispettare il suo riserbo e non aveva mai fatto troppe domande per paura di metterlo in difficoltà, di rovinare il loro equilibrio.
Si era chiesta spesso cosa facesse in realtà, perché a pensarci bene ogni cosa di lui le era sempre sembrata strana e anormale, a cominciare dalla profonda alchimia che li aveva subito legati, nei pensieri, nel profondo dell’anima.
Un sibilo felino le arrivò da troppo vicino e si voltò di scatto verso quello che fino a un secondo prima era stato il suo partner. Indietreggiò spaventata ma lui l’afferrò per i capelli, tirandoli per esporle la gola. La punta affilata di una lama rischiava di bucarle la pelle. Assottigliò il respiro, paralizzata dal terrore.
«Lasciala, è me che cerchi» tuonò Ian sguainando una spada dorata dal fodero che teneva a tracolla.
«Non prendo ordini da un Cercatore…ma mi diverto a fottergli la donna…» disse la versione trasfigurata di Emile, passandole la lingua sul collo e nell’orecchio prima di strattonarla per farla rovinare a terra.
Il verso di ribrezzo misto a terrore emesso da Rosalyn parve colpire Ian in faccia come un pugno. I suoi lineamenti si indurirono e in un attimo puntò verso Emile l’arma dorata.
Appoggiata alla parete verso cui era strisciata in cerca di protezione, Rosalyn vide balzare Emile sul tavolo, rannicchiato come un animale mentre soffiava la propria rabbia in faccia al massiccio avversario che, a sua volta, continuava a brandire la lunga spada dorata, semplice e disadorna dall’elsa alla punta acuminata, ma dall’aria letale.
Il pugnale che il reporter teneva in mano si trasformò in una lama allungata e rilucente, come fosse fatta di ghiaccio e diamanti.
«Che cosa…»
Rosalyn non fece in tempo a terminare la frase, i due si avventarono uno sull’altro in una rumorosa zuffa che non sarebbe passata inosservata all’anziana padrona di casa.
Come avesse letto i suoi pensieri, Ian prese l’avversario per il bavero e lo scaraventò fuori dall’appartamento, volando con lui oltre la balaustra e perdendosi fra le ombre del boschetto attiguo al retro della casa.
Scalza e con il cuore che minacciava di fracassarle le costole per la furia con cui batteva, Rosalyn li raggiunse seguendo il clangore delle loro armi.
Mio Dio…cos’era Emile Leroux esattamente, si chiese la donna riemergendo solo un istante dallo stato di choc mentre guardava inorridita quello che credeva essere un reporter francese.
Il volto trasfigurato, la fronte più in fuori con una mostruosa fila di scaglie al centro, gli occhi iniettati di sangue, la bocca deformata in un ghigno di cattiveria che non aveva nulla a che fare con i tratti affascinanti che ricordava avesse. E quel pugnale che si era trasformato in una spada luminosa…
Con un brivido, ripescò dalla memoria il ricordo di una storia che amava raccontarle suo nonno, una specie di santone fanatico delle arti mistiche. Parlava della “Spada Maledetta”, forgiata nel fuoco dell’inferno da Lucifero in persona, un’arma con cui i demoni al suo servizio potevano trovare i Cercatori, uomini dotati di speciali caratteristiche, i soli in grado di sterminarli. Aveva la forma di un pugnale, grande come un tagliacarte - per questo lei non l’aveva notato addosso a Emile - ma al cospetto di un Cercatore la Spada riprendeva la sua vera forma.
Quindi. Ian. Era. Un Cercatore e...Emile,un demone?
Rosalyn aveva sempre catalogato quelle storie come i vaneggiamenti di un povero vecchio divorato dall’arteriosclerosi, niente di più, ma ora i fatti le stavano mostrando che non erano fantasie, ma una realtà concreta, seppur assurda. E non era ubriaca, anche se vedeva Ian con i suoi occhi.
Ian. L’unica cosa buona che avesse mai fatto suo nonno per lei era stata farle conoscere l’amore della sua vita, l’uomo che ora colpiva e affondava come un gladiatore, l’uomo che le aveva rubato il cuore e poi era scomparso di punto in bianco, lasciandola sola, persa, in un baratro che rigurgitava dolore.
Emile si spostò rapidamente evitando un colpo mortale sferrato da Ian, saltò e fece leva sul ramo di un albero venendo giù come una saetta mentre impugnava la sua arma con entrambe le mani. La Spada Maledetta riluceva sempre più intensamente, Rosalyn gridò per attirare l’attenzione di Ian che si spostò tuffandosi fuori dal riverbero del gladio demoniaco dal quale si produsse un globo di energia che infrangendosi al suolo li fece cadere a terra tutti, a metri di distanza uno dall’altro.
La donna si alzò a fatica, nella testa rimbombava il fragore di quell’anomala esplosione e la tempia destra le bruciava per la ferita che si era procurata sbattendo su una piccola roccia mentre cadeva.  Scorse un movimento fra gli alberi e si affrettò in quella direzione, appena in tempo per vedere Ian trafiggere Emile, non un reporter francese ma un demone.
Ian la guardò senza tradire nessuna emozione, trafelato per la battaglia, ferito, ma saldo e imperturbabile, come lo ricordava.
Il cuore di Rosalyn sembrò aprirsi e sanguinare al ricordo di tutta la sofferenza che le aveva causato. Una rabbia cieca la invase e la spinse irrazionalmente a raccogliere la Spada Maledetta che ancora giaceva vicino ai resti neri e bruciacchiati di Emile.
Lo sguardo truce di Ian tradì un movimento solo quando lei sollevò quell’arma in posizione di guardia. Non la imitò, la inchiodò con occhi color caramello, caldi come i lunghi capelli raccolti fino a poco prima in una coda alla nuca, ora sparsi in tutte le direzioni. Sembravano comporre la criniera di un leone e gli conferivano un piglio regale.
«Difendi la memoria del tuo innamorato, Lyn?» le disse in maniera derisoria con quella voce cavernosa e vibrante che ben conosceva, tanto da indurla a esitare. «Un Demone Seduttore… credevo aspirassi a qualcosa di meglio» continuò Ian con rabbia.
Rosalyn si riprese in risposta alla sua arroganza e non permise a se stessa di cedere. Sferrò un colpo che Ian parò.
«Attenta. I giocattoli dei Demoni non sono cose per te, dolcezza».
«Che ne sai tu, di cosa va bene per me?»rispose fra i denti, ricominciando a indirizzargli fendenti con l’intenzione di colpire. Neppure lei sapeva dove avesse trovato la forza di maneggiare quell’arma. Sapeva tirare di scherma, ma quella era tutt’altra faccenda.
«Questa…è…maledetta! Fermati Rosalyn!» gridò Ian parando i colpi mossi dalla sua furia.
«Non darmi ordini, bastardo, non osare» rispose, tradita dalla voce che si incrinava.
Ian vide la luce fosca della disperazione negli occhi di quella che ancora considerava la sua donna, non l’aveva mai dimenticata, era andato via per proteggerla, ma l’amava e l’avrebbe sempre amata. Non sperava che per lei fosse ancora lo stesso.
Si mosse rapidamente alla sua sinistra, deciso a toglierle quell’arma demoniaca di mano prima che fosse tardi per rimediare. Rosalyn non lo aveva neppure visto, si era accorta della sua presenza quando le era arrivato vicino e, sussultando, lo prese di striscio ad una guancia.
Lui gridò come se la ferita fosse ben più grave di quella inferta, evidentemente la spada non procurava solo il dolore del colpo, se Rosalyn non ricordava male i racconti di suo nonno, bruciava come l’inferno da cui proveniva.
  Si accorse di essere incapace di lasciarla, l’arma le restava incollata alle mani e si spostava autonomamente verso Ian, come ferro al magnete.
« Fai quello che ti dico, per una volta. Fidati di me e chiudi gli occhi».
Rosalyn lo guardò ancora in cagnesco mentre la guancia gli si ricopriva di sangue, poi annuì e li chiuse.
Quello che accadde dopo fu talmente rapido da lasciarla senza fiato. L’aria le turbinò attorno come se si trovasse sulla traiettoria di una mandria imbizzarrita, le braccia ancora tese a sostenere la Spada Maledetta. Avvertì uno strattone e il clangore di una lama contro l’elsa stretta fra le sue mani che si aprirono dolorosamente per farla cadere, vibrando fino al gomito dal contraccolpo.
L’esile corpo di Rosalyn si ritrovò stretto in una morsa avvolgente e solida, Ian la teneva stretta, riusciva a sentire il calore dei loro corpi che si mescolava. Lei ne respirò il familiare odore che somigliava a quello del mare e i suoi sensi, prima della mente, si sentirono al sicuro, al loro posto.
Aprì  gli occhi, indecisa se mostrarsi ancora arrabbiata, poi cedette e lasciò che lacrime silenziose rompessero gli argini dell’orgoglio.
«Ora quella spada mi cercherà per sempre, finchè non verrò ucciso dalla sua lama…è così che funziona, come avesse memoria del sangue di Cercatore che assaggia » le sussurrò Ian all’orecchio provocandole uno sciame di brividi che corsero fino alla base del collo.
«Un Cercatore…» sussurrò lei, rendendo definitiva quella verità.
Era completamente stregato dalla pelle morbida e profumata di Rosalyn, dai suoi capelli lunghi che si spargevano sulla schiena e gli si attorcigliavano fra le dita in spire di seta.
La baciò senza più resistere all’urgenza di farlo, dapprima dolcemente, tenendo e lasciando le labbra di Rosalyn fra le sue, poi avidamente, quando le loro lingue si incontrarono svelando gradualmente il sapore dell’eccitazione che fece fiorire la smania di un contatto sempre più serrato fra i loro corpi.
Prendendola in braccio, Ian raggiunse di nuovo la casa. Una volta dentro accese le luci del soggiorno e la lasciò in piedi, al centro esatto del salotto.
Gli occhi di nuovo scuri, severi, quasi volesse rimproverarla.
Rosalyn era certa che non stesse pensando al combattimento improvvisato che gli aveva riservato in aggiunta alla lotta contro il demone-Emile. Ian stava ripensando a quello che le aveva visto fare, con Emile, proprio in quella stessa stanza.
L’uomo strinse gli occhi in un’espressione micidiale, neanche le avesse letto nel pensiero. La mascella volitiva contratta.
«Non sto pensando solo a quello che ti ho visto fare qui, ma anche al cinema e… in quel ristorante tutto lustrini e cerimonie. Che sapore ha un demone, Rosalyn?»
Bene. Lui le leggeva nel pensiero.
Però  anche lei in quel momento poteva leggergli nel cuore tutta la rabbia e la gelosia che lo stavano corrodendo come ruggine sul metallo. Lo raggiunse con passo deciso e dovette allungare un braccio per arrivare a coprirgli la bocca con una mano, un gesto silenzioso ma eloquente per chiedergli di non continuare in quella direzione.
Perché  cominciare proprio ora con le sane litigate? Meglio partire con il fare la pace.
La fronte di lui si rilassò, lo sguardo passò da tenero a carico di passione, la agguantò nuovamente fra le braccia forti e grandi e coprì la bocca di lei con la sua, come volesse mangiarla.
«Ti piacciono i signorini delicati Lyn? Mi pareva di ricordarti piuttosto passionale, tempo fa…» disse nella sua bocca, emettendo un suono roco.
«Infatti…» sospirò lei, imitandolo.
Le mani di Ian le presero il viso grazioso imprigionandolo, scesero lentamente su collo e spalle in una carezza possessiva che terminò sui seni, come volesse cancellare ogni traccia di Emile da lei. Le dita si insinuarono negli spazi fra un bottoncino e l’altro, tirò con una mossa efficace la stoffa e questa cedette, senza attrito, accasciandosi a terra in un’esplosione di piccole perle viola.
In ginocchio, baciò la pelle di Rosalyn attraverso il pizzo del reggipetto, messo lì solo per vezzo, e intanto lo slacciò da dietro, facendolo scivolare sui resti del vestito con una lenta carezza lungo la schiena, fino ai glutei sodi.
Non si stancava mai di sentire il calore vellutato di quella carne bianco latte e il modo in cui lei rabbrividiva al suo tocco mandando indietro la testa lo faceva impazzire. Per non parlare di quelle piccole mani che si allacciarono fra i suoi capelli avvicinandogli il viso a sé quando lui scese con le labbra più giù del ventre e le accarezzò una gamba, lunga e affusolata, per poi accavallarla sulla propria spalla. Rosalyn rabbrividì e sospirò la propria supplica a Ian, che la stava mandando in estasi con un lenta carezza di naso, labbra, mento sul centro della sua femminilità.
Il corpo di lei rispose all’invito dell’uomo sbocciando, sciogliendosi per lui.
Ian aggiunse le mani a quella carezza e, rapido, strappò il debole pizzo degli slip.
Il lieve  strattone risuonò come una sensuale rivendicazione di possesso nella mente di Rosalyn, e la flebile arrendevolezza della stoffa che cadeva ai suoi piedi in sordina si intrecciò al desiderio che stava prendendo il sopravvento su ogni barlume di razionalità.
« Ian…»lo pregò quando lui cominciò a lambirle il sesso già umido. I sensi si erano accesi e il cuore palpitava al ritmo crescente del piacere.
«Mia Rosalyn…»le fece eco lui, con le labbra contro la carne calda.
La avvicinò ancora di più premendo una mano sui suoi glutei per sorreggerla mentre si faceva scivolare anche l’altra gamba di lei attorno al collo, continuando ad assaporarla come fosse un frutto succoso, delicato, squisito.
Quella languida tortura proseguì sul letto e Rosalyn, la mente confusa, se ne accorse grazie a un vago sentore di consapevolezza. Si premette contro Ian esplodendo di piacere, con la sensazione che qualcosa si spezzasse dentro di lei.
Ian la osservò soddisfatto riaprire gli occhi brillanti di un verde marino, ancora increduli di trovarlo lì a rimirarla beato.
Rosalyn sorrise in quel modo felino e animoso che lui non aveva più sperato di rivedere.
«Ora sono io che devo occuparmi di te, amore mio…» disse con una voce talmente sexy che sembravano le fusa di un gatto.
Gli posò una mano sul petto per farlo indietreggiare e si alzò.
Nuda, davanti a lui, cominciò a sfilargli la canotta nera con una lenta carezza dei palmi che fece guizzare in risposta i suoi pettorali, via un braccio dopo l’altro e poi la testa, mentre Rosalyn, in punta di piedi, gli sfiorava l’addome con i seni turgidi e reclamava la sua bocca.
Persa nel bacio con cui Ian la esaudì, si sforzò di mantenere la concentrazione che le serviva per aprire la cintura e slacciare uno per uno i bottoni d’acciaio della patta. Lo fece con estrema lentezza, sfiorando con il dorso della mano il pube villoso e la base del membro che si erse con fierezza una volta liberato.
Ian espirò bruscamente per il contatto della propria pelle con le mani di lei, per quegli occhi temerari che continuavano a fissarlo.
Non potè più aspettare, si liberò di stivali e calzoni, posò le mani sui seni di Rosalyn e lei gli buttò le braccia al collo avvinghiandogli le gambe attorno alla vita.
I loro sessi erano vicini, caldi e frementi per la smania di un contatto.
Rosalyn si spinse in alto per esortarlo a baciarle i seni, lui li prese in bocca a turno mentre la adagiava sul letto per poi entrare in lei con una spinta.
Mentre il mondo attorno andava in pezzi e si ricostruiva sotto una luce nuova, più viva, che colorava contorni e spazi portando via ombre e residui delle macerie che li avevano separati, Rosalyn si commosse al pensiero che ora tutto aveva ricominciato ad assumere un significato.
Non c’era più il vuoto attorno a lei, la sua anima era tornata ad essere limpida, raggiante,densa. L’anima, non solo il corpo. Era sempre stata quella la differenza fra Ian e qualsiasi altro uomo sulla Terra, con lui si sentiva viva.

I due amanti, avvolti nelle lenzuola, si guardavano negli occhi come se questi, più delle parole, potessero raccontare quei tre, lunghi anni di separazione.
Rosalyn distolse per prima lo sguardo e una lacrima sfuggì, andandosi a posare sul cuscino.
«Ho dovuto farlo».
«Mi leggi nel pensiero, Cercatore?»mormorò. Voleva sentirglielo dire.
Lui sospirò.
«Se voglio, ma non lo faccio sempre. È uno dei miei doni…e funziona più che altro con te».
«Perché con me?». Ora lo guardava negli occhi.
«Perché ho giurato di proteggerti, l’ho giurato a tuo nonno quando era a capo dei Cercatori. Andandomene, credevo di tenere fede al mio giuramento».
«Andandotene, volevi semplificarti la vita» ribattè lei, duramente.
«Credi che sia stato facile allontanarmi da te? Credi che sia stato facile non sapere cosa stavi facendo, con chi? Credi che mi sia divertito a vedere un altro che ti toccava come avrei voluto fare io?»
«Come facevi a sapere di Emile, quel…demone, e perché sei tornato?»
«Il tuo demone mi ha richiamato e poi…sarei tornato comunque perché eri in pericolo. Fra noi c’è un legame indissolubile Lyn. Sei la mia protetta, la mia donna, il mio punto debole, a quanto pare. Quel demone ti ha usata per farmi uscire allo scoperto…mi cercano perché ora sono io alla testa dei Cercatori. Il suo compito era uccidermi subito o ferirmi per ritrovarmi più facilmente in futuro». Si toccò la guancia sfregiata. «Lui non c’è riuscito. Tu, sì».
Lo sguardo di Rosalyn andò al profondo taglio sotto lo zigomo sinistro che lei stessa gli aveva procurato poi, imbarazzata, allungò il collo oltre il bicipite di Ian per osservare la Spada Maledetta che ora sembrava innocua, a terra, un semplice tagliacarte con l’elsa d’argento. Non si era neanche accorta che lui l’avesse portata in casa.
I suoi occhi incontrarono quelli del Cercatore.
«Ora ti dispiace Lyn, ma mentre mi ferivi non ti è dispiaciuto affatto» disse Ian leggendo di nuovo i suoi pensieri. Lei sorrise accoccolandosi fra le grandi braccia che la circondavano da dietro la schiena, chiudendola come dentro a un guscio.
Il posto più bello, quello dove desiderava stare, pensò Rosalyn.
«Il posto migliore in cui tenerti, mia cara» rispose lui a voce alta.
Lei si voltò per guardarlo.
«Dovremo mettere un freno a questa cosa di te che ti insinui nella mia testa! E poi…credo di avere una soluzione al problema della spada demoniaca».
«Davvero? Sentiamo, sono fuori dalla tua testa».
Rosalyn si voltò del tutto, spingendolo contro il materasso. Prima di iniziare a esporre la sua idea lo guardò bene negli occhi, scrutandoli a turno per capire se dicesse la verità.
Ian le indirizzò un’espressione angelica, a dire il vero un po’ ridicola su quel volto truce, e lei ne rise. «Bene, allora sarò io a custodirla »dichiarò.
Lui la guardò con un sopracciglio alzato, puntellandosi su un gomito. «Cosa diav…?»
«Certo, se questa spada “ti ha assaggiato” e non può fare a meno di trovarti… la tengo io, nel caso tu voglia svignartela di nuovo» aggiunse, determinata.
Ian dapprima ghignò sommessamente con un suono ruvido e profondo, poi l’abbracciò quasi stritolandola mentre esplodeva in una risata di cuore.
«La mia Rosalyn» disse accarezzandole il viso, «sono certo che mi uccideresti con quella spada, se mi allontanassi nuovamente da te!»
«Contaci» rispose lei, seria contro il suo petto.
«Non me ne andrò» le disse con voce tremante di orgoglio e commozione, sollevandole il mento per baciarla dolcemente. «Sei la donna di un guerriero e il mio posto non può che essere accanto a te», disse stringendola fra le braccia.
Rosalyn sorrise, felice di condividere con Ian il pensiero che solo così, insieme, avrebbero ritrovato il presente e scritto il futuro, solo la reciproca promessa di sostegno e protezione avrebbe restituito a entrambi la pienezza della vita, nonostante i rischi a cui sarebbero stati esposti, nonostante i dettami dell’inesorabile destino che li aveva fatti incontrare.


FINE

L'AUTRICE


Miriam Tocci, nata a Roma nel maggio del 1977. Studi Classici e una laurea in Scienze Politiche.
Sposata e mamma di due bambine, vive a Roma e svolge la professione di Tributarista, nel proprio studio di consulenza fiscale e del lavoro.
Si avvicina al genere Fantasy sin da giovanissima leggendo: “La Storia Infinita” di Michael Ende e “La Donna del Falco” che l’ha introdotta alle saghe fantastoriche e fantastiche di Marion Zimmer Bradley (Darkover e Avalon). Nella lettura predilige la Narrativa Classica, il Thriller e il Fantasy.
Fra le sue passioni, la musica, in particolare il canto. Scrive brevi storie e racconti a cominciare dalla prima adolescenza, senza mai portarli alla luce.Un manoscritto di narrativa composto dal nonno paterno, trovato per caso, fa rinascere in lei il desiderio di mettere nero su bianco le proprie idee. Prende vita così, il suo primo romanzo Fantasy: “ Il Destino dei Due Mondi – L’Angelo dalle Ali Nere”. E' appena uscito un suo racconto, Natale ancora, nella raccolta di racconti romance Love at Christmas (Spinnaker DGBooks). Visita il suo sito: http://miriamtocci.wordpress.com/




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1 commento:

  1. Mi è piaciuta molto la scena al cinema, l'eros c'era tutto a mio parere! Da metà in poi, però, forse saltava all'occhio un po' troppo la parte paranormal più che la componente erotica.
    Comunque è ben scritto e l'ho letto volentieri. :)
    Cassie

    RispondiElimina

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