L'ULTIMO COLPO di Sarah Bernardinello - PRIMA PARTE


LA NUOVA NOVELLA WESTERN 
ROMANCE DI SARAH BERNARDINELLO



Cheyenne, Territori del Wyoming. Giugno 1870

La notte era calata sulla città. Lungo la Main Street non si vedeva un'anima, le uniche luci erano quelle che illuminavano il saloon di Belle, dal quale provenivano  grida e risate sguaiate.
Devon sgattaiolò fuori dall'uscita secondaria che dava su un vicolo parallelo alla Main. Addosso, un vestito datole dalla padrona del locale.
La donna, vecchia amica di Tom Kendall dell'epoca in cui lui attraversava le pianure con le mandrie, non aveva neanche fiatato quando le si era presentata. Tom non poteva immaginare che alla fine avesse deciso di chiedere aiuto alla maîtresse di uno dei saloon più famosi del circondario. Anzi, se ne fosse venuto a conoscenza si sarebbe imbarazzato da morire. Ma lei era lieta che nelle lunghe sere invernali il vecchio cow boy si fosse dilungato in aneddoti, tra una tirata e l'altra di pipa. I racconti del mandriano si sommavano a quelli della guerra narrati da suo padre, senza per questo scendere in particolari drammatici e inadatti alle orecchie di una ragazza di diciassette anni. Guerra che, nonostante fosse finita da cinque anni, era tornata di prepotenza alla ribalta. Almeno per quanto la riguardava.
Si addossò alla parete di fianco alla porta e sospirò. Maledetti documenti, e maledetta la propria curiosità. Suo padre era morto da pochi mesi quando aveva deciso di aprire la cassaforte. Quello che vi aveva trovato – la corrispondenza scambiata con lo sceriffo Glover Ballard, documenti ingialliti, liste di nomi di personaggi tanto importanti quanto improbabili – le aveva fatto correre un brivido lungo la schiena. Le date sui documenti riportavano alla guerra, il loro contenuto era un tradimento nei confronti del Paese. Le persone citate nella lista erano politici, aveva riconosciuto parecchi nomi. Alcuni li aveva conosciuti di persona, quando aveva accompagnato il padre a Washington, dopo la fine del conflitto. Nondimeno, la faccenda le era apparsa piuttosto bizzarra, finché non aveva letto  i carteggi dello sceriffo Ballard a suo padre. Quando aveva preso la decisione di portare fino in fondo il piano dei due uomini non pensava che gli eventi l'avrebbero condotta fino a quel punto.
Gettò un'occhiata alla profonda scollatura del vestito: ricercata per furto, omicidio e ora vestita come una donnaccia. Strinse le labbra, scacciando quell'ultimo pensiero dalla mente. Belle, la maîtresse, l'aveva aiutata senza chiederle niente in cambio. Le era bastato sapere che era amica di Tom. Almeno, con quel vestito addosso, nessuno l'avrebbe associata all'uomo ricercato per l'assassinio di Glover Ballard.
Il cacciatore di taglie e gli sceriffi delle contee vicine cercavano un uomo, non una donna, e ridiventare quello che era avrebbe potuto darle un po' di respiro. Ma come donna non poteva attraversare il Paese senza qualcuno che l'accompagnasse, e al momento non poteva chiedere aiuto a nessuno. Non poteva coinvolgere nessuno. Quel problema era soltanto suo, e doveva cercare il modo di uscirne senza rimetterci la vita.
Si staccò dalla parete e si incamminò nel vicolo: Belle le aveva dato la chiave di una stanza del piccolo alberghetto che si trovava dalla parte opposta della Main, dove avrebbe potuto riposare almeno quella notte, prima di ripartire l'indomani di buon'ora. Sperò di non incontrare qualcuno, aveva già dovuto sfuggire alle attenzioni più o meno palesi di un paio di avventori del saloon, nonostante avesse cercato di non dare nell'occhio. La maîtresse l'aveva fatta cambiare nella dispensa, ma per uscire doveva passare di fianco al lungo bancone, e alla vista della sua scollatura due cowboy già alticci avevano fischiato ammirati. Ma Belle li aveva distratti offrendo da bere a tutti, e lei era riuscita a infilare la porta sul retro.
Stava per sbucare sulla Main, quando udì dei rumori alle sue spalle. Si addossò alla parete, sperando nella protezione data dal buio, e cercò di capire che cosa avesse provocato il rumore. Due uomini comparvero dalla parte opposta del vicolo, trascinando qualcosa, poi lasciarono andare quello che stavano portando.
Devon trattenne il respiro, temendo che potessero accorgersi di lei, e si schiacciò contro il legno.
«Lasciamolo qui,» mormorò uno dei due uomini. «È così ubriaco che non si è nemmeno reso conto di quello che è successo.»
L'altro diede un calcio al fagotto, ma il primo lo strattonò. «Smettila. Andiamo al saloon, aspettiamo Carson e poi veniamo a riprenderlo. Il capo non è lontano,  deciderà lui cosa farne.»
«Secondo me non gli farà proprio niente,» commentò il secondo uomo. Fece un rumore, e sputò accanto al corpo a terra. Devon arricciò il naso, disgustata.
«Forse sì, forse no,» rispose il primo. «Il povero bastardo sta cercando l'uomo sbagliato, ma non si può mai sapere. Intanto andiamo a farci un goccio, ho sentito Belle che offriva da bere a tutti. Magari riusciamo a scroccare un bourbon
Il suo compare ridacchiò e se ne andarono nella direzione da cui erano arrivati.
Solo quando furono scomparsi oltre l'angolo, Devon si permise un respiro profondo. Gettò un'occhiata al malcapitato a terra, più in là. L'istinto di sopravvivenza la spingeva ad andarsene senza voltarsi indietro, ma l'accenno a Carson l'aveva lasciata scossa. Era grazie a quel bandito se ora si trovava nella condizione di non poter tornare a casa e di doversi nascondere per non essere catturata e impiccata. Era lui il responsabile della morte dello sceriffo Ballard, e lei la testimone. Invece la situazione si era invertita, ed era sfuggita per un soffio alla corda già pronta a un albero di Casper.
Un gemito la fece trasalire. Aguzzò la vista, e vide l'uomo sollevarsi da terra. Gli sfuggì un rutto e gemette di nuovo. Con tutto quel rumore avrebbe attirato qualcuno.
Si decise e tornò indietro.
§

La testa gli girava e aveva lo stomaco sottosopra. Max riuscì ad aprire gli occhi quel tanto che bastava per vedere il buio attorno. Non riusciva a raccapezzarsi. Dov'era?
Vaghi ricordi nebbiosi lo riportarono al saloon, a un bicchierino di bourbon o forse a diversi. Beveva e pensava a Ballard, beveva e malediceva chi gli aveva sparato. Si sollevò appena e un rutto gli sfuggì dalle labbra.
«Scusate,» borbottò all'oscurità. Puntellò i gomiti sperando che lo stomaco reggesse.
Si era lasciato andare alla malinconia, perdendo di vista il motivo per cui si trovava a Cheyenne. Ma il maledetto aveva fatto svanire le sue tracce in mezzo alle montagne e a lui non era rimasto che fermarsi in città. Pessima idea, si disse, in uno sprazzo di lucidità. Davvero pessima, soprattutto se qualcuno lo avesse riconosciuto. Ricordava solo la faccia barbuta di un brutto ceffo che si chinava su di lui, stravaccato sul tavolo, e che lo invitava a seguirlo. Quando non lo aveva fatto, lo sconosciuto lo aveva tirato su di peso e lo aveva trascinato fuori insieme a un compare. Ma il liquore aveva già sortito il suo effetto e lui non si era reso conto di niente.
Fino a quel momento. Con un ulteriore sforzo fece leva sulle braccia e si sollevò sulle ginocchia. Gli occhi si erano abituati al buio e si accorse di essere in un vicolo. Dove, però, non lo sapeva.
La situazione gridava guai e, nonostante la sbronza, Max comprese che doveva andarsene da lì quanto prima.
Si alzò in piedi, ma un improvviso capogiro lo fece barcollare. Stava per crollare,  quando una mano lo afferrò e un braccio gli cinse la vita. Subito dopo, un corpo morbido premette contro il suo.
«Tutto bene?»
La voce era bassa e roca, femminile. Max socchiuse le palpebre per vedere chi gli aveva impedito di cadere, ma non andò oltre un'ombra solida. La donna era più bassa, ma riusciva a reggerlo.
«Bene, sì.» Si schiarì la voce. «Credo.»
«Riuscite a camminare?»
Stava per cadere in una trappola? Si affidò al tatto e si ritrovò a stringere della stoffa leggera tra le dita. Lasciò scorrere la mano verso l'alto e sentì sotto il palmo la curva morbida di un seno. Malgrado il momento non fosse dei migliori, il suo corpo reagì e lui si ritrovò a sorridere nel buio.
«Dove vuoi portarmi, dolcezza?»
Udì il respiro della donna farsi più affannoso. «Magari in un posto più sicuro, signore.»
Un posto più sicuro?
«Ah, sì, e dove?»
Un altro lungo silenzio, prima che lei gli rispondesse.
«C'è un albergo, qui vicino, se vi va.»
Maledette l'oscurità e la sbornia che gli impedivano di vedere quella donna che lo stava facendo andare a fuoco. Fece scorrere ancora la mano fino a un fianco. Non portava il busto.
«Non posso certo rifiutare il tuo invito,» commentò con una risatina. La strinse di più e la sentì protestare. «Andiamo o no?»

§

Non era stata una buona idea, neanche un po'. Voleva togliere quel tizio dal vicolo e anche dalle mani di Carson, ma sentire le sue, di mani, sul proprio corpo, quello non lo aveva previsto.
Devon sostenne lo sconosciuto mentre attraversava il vicolo verso la Main, e lui cercò di collaborare. Aveva tolto la mano dal suo fianco, per fortuna. Adesso le stringeva le spalle e la teneva contro il petto. Un petto muscoloso, dovette riconoscerlo. Chissà chi era. E chissà cosa voleva Carson da lui.
Main Street era vuota. C'erano alcune lampade nei pressi del saloon, ma lei scelse la zona più buia della strada per attraversarla. Il suo compagno non protestò.
Giunsero sul portico dell'albergo e lei sperò che la porta fosse aperta. Belle le aveva assicurato che poteva entrare e uscire senza che qualcuno ponesse domande, ma la prudenza non era mai troppa.
Togliendo la mano dal petto dello sconosciuto, girò il pomello. La porta era aperta. Ora doveva trovare la stanza. L'uomo si addossò allo stipite per un momento sgravandola del suo peso.
«Lasciami respirare un attimo, dolcezza.»
Gli gettò un'occhiata. Era davvero alto e ben messo, muscoloso. E ubriaco. Nella penombra poteva vedere meglio il volto maschile, e la saliva le si seccò in bocca.
Lineamenti regolari coperti da una barba di qualche giorno, labbra piene, e occhi che dovevano essere scuri, ma non ne era sicura. Un ciuffo di capelli gli ricadeva  sulla fronte, e provò l'irrazionale desiderio di ravviarglieli. Era bello e incredibilmente maschio.
Un brivido le corse lungo la schiena. Non era il luogo o il momento adatto per lasciarsi andare a pensieri di quel genere.
«Dobbiamo entrare,» si sforzò di dire. Lo spinse dentro e lui non oppose resistenza. Le scale. Quello era un problema, riconobbe, guardando scoraggiata gli scalini. L'uomo comunque sembrava più presente di quanto lo fosse stato nel vicolo e non ebbe bisogno di trascinarlo fino al primo piano. Attaccandosi al corrimano e al suo fianco, la seguì senza fare storie.
«Siamo quasi arrivati,» mormorò lei quando arrivarono in cima e si ritrovarono nel corridoio. Vedeva tre porte alla sua sinistra, Belle le aveva detto che era l'ultima in fondo.
«Non vedo l'ora,» fu la risposta strascicata.
Risposta che le lasciò un senso di disagio. Il pensiero che si stesse per mettere nei guai le attraversò la mente, e si rimproverò per essersi lasciata commuovere al punto da rischiare la propria sicurezza.
Raggiunsero la porta, la chiave che le aveva dato Belle era perfetta. Fece entrare l'uomo per primo e lei lo seguì. Inciampò in un tavolinetto, per fortuna senza fare cadere niente. Allungando la mano, trovò una lampada. Poco dopo una luce lieve rischiarò la stanza.
Si girò e quasi cozzò contro il torace dell'uomo. Non lo aveva sentito avvicinarsi.
Mi ha riconosciuto, si disse. Sono morta.

§

Max sbatté le palpebre quando la lampada venne accesa. Fissò la schiena sottile della donna, i capelli scuri, i corti riccioli che le accarezzavano la nuca. Era eccitato, niente da dire. E ancora non l'aveva vista in faccia.
Si avvicinò, mentre lei si raddrizzava e si girava. La vide spalancare gli occhi, mentre un'ombra – paura, forse? – li attraversava. Paura per cosa, a ogni modo?
Lui sorrise, mentre allungava le mani e gliele appoggiava sui fianchi. Era bella, con quegli occhi grandi, le labbra rosse socchiuse, le guance arrossate. Senza parlare l'attrasse contro di sé e si chinò a baciarla, incurante delle proteste e dei tentativi di lei di contrastarlo. In quel momento gli importava soltanto del sapore di quella bocca sotto la sua, e della morbidezza di quel corpo contro il suo. Lasciò scorrere le mani, afferrando quelle di lei che cercavano di spingerlo via.
«Vuoi stare un po' ferma?» sbottò, sollevandosi e imprigionandole i polsi dietro la schiena. La guardò negli occhi: era l'unica parte veramente a fuoco del viso della donna. Maledetto bourbon. Anche se l'effetto dell'alcol era in parte svanito per l'aria fresca della notte, i suoi fumi gli impedivano di vederla bene.
«Dovete lasciarmi andare!» esclamò lei.
Max si mise a ridere. «E perché mai? Hai forse di meglio da fare?» Volse la testa e vide il letto. «Penso di volerlo usare, sai,» ridacchiò, tornando a guardarla.
Lei lo fissava a bocca aperta.
«Non vi conosco neanche,» obiettò la donna.
Lui rafforzò la stretta e gettò un'occhiata alla scollatura dell'abito. Le dolci rotondità che facevano capolino lo attiravano come una calamita.
«Si rimedia subito,» ansimò lui, abbassandosi e sfiorandole la bocca con un bacio, scendendo poi lungo la gola fino a una clavicola. «Max Cornell, al tuo servizio.»
Lei emise un'esclamazione, soffocata subito dalla sua bocca, poi la sollevò e la portò sul letto, continuando a baciarla.

§

Max Cornell! La sua mente ripeté il nome all'infinito, mentre veniva trascinata sul letto. Le braccia strette intorno a lei, la bocca che le lasciava tracce brucianti sulle pelle esposta. L'uomo che la cercava per consegnarla alla giustizia, e lei gli era caduta fra le braccia come una pera matura.
Il suo peso la schiacciava sul materasso, non aveva molte possibilità di muoversi. Cercò di spingerlo, ma riuscì solo a farlo fermare per guardarla.
«Ti agiti troppo, dolcezza,» brontolò. Si chinò di nuovo, baciandole la gola, scendendo verso il seno. Devon trattenne il fiato, mentre il calore la riempiva. Doveva liberarsi di lui, ma il suo corpo non voleva rispondere. In realtà, sembrava che anelasse alle carezze dell'uomo.
Sei una donnaccia, si disse.
Terrore e desiderio si mescolarono, finché lui non le strappò il corpetto dell'abito per accedere meglio alla sua pelle. La bocca di Cornell spense il suo grido impaurito. Poco dopo era nuda sotto di lui, la gonna aveva subito la fine del corpetto. Avrebbe dovuto ricompensare Belle per la perdita dell'abito, si disse. Un pensiero davvero sconclusionato, vista la situazione. Cercò di non lasciarsi andare alla disperazione, forse poteva ancora sfuggirgli. Non che potesse correre chissà dove, nuda com'era.
D'improvviso, lui si sollevò in piedi, guardandola. Si sbottonò la camicia, facendola cadere a terra. Poi slacciò la cintura e subito dopo i calzoni, abbassandosi per toglierli.
Se voleva fuggire non poteva esserci altro momento. Rotolò dall'altra parte del letto, ma Cornell la bloccò prima che potesse scendere e correre verso la porta.
«Dove pensavi di andare?» le chiese.
Scosse la testa, e lui sorrise. Sopra di lei, le mani posate ai lati della testa, sembrava un dio greco. La lampada traeva riflessi dorati dalla pelle abbronzata del torace. I capelli scuri e arruffati gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi. Era senz'altro bello, ed era un bounty hunter. Se avesse saputo chi era lei in realtà non l'avrebbe guardata con il desiderio che ora era palese nel suo sguardo. Ma essere violentata era stato anche l'ultimo dei suoi pensieri, quando era tornata indietro per aiutarlo. Ma quell'uomo stava davvero cercando di farlo? Si chiese. Con quei baci caldi e quelle carezze delicate?
Cornell si allungò su di lei, riprendendo a baciarla, muovendo sensualmente il corpo muscoloso sul suo. La sua pelle calda la infiammò, e il pensiero della violenza svanì. Quasi contro la propria volontà, le braccia si sollevarono a cingergli le spalle e il collo, le labbra si socchiusero per rispondere al bacio profondo e intimo che le diede. Le mani grandi e callose scesero ad accarezzarle i seni, il ventre, seguiti dalla bocca. Sentiva il suo respiro sfiorarle la pelle, provocandole dei brividi. La prima volta che veniva baciata, la prima volta che vedeva un uomo nudo. La prima volta che...
Si irrigidì quando lui le passò la mano sulla coscia, scivolando all'interno e premendo per aprirla. Fece per sfuggire alla pressione, ma Cornell si sollevò a guardarla e abbassò i fianchi tra le sue cosce. Il panico l'afferrò, ma il peso di lui la bloccò sul letto. Un dolore cocente le esplose in grembo, e si inarcò nel tentativo di placarlo, ma lui la sospinse indietro, schiacciandole il torace contro il seno. Ricominciò a baciarla, muovendosi piano su di lei. Dentro di lei.
Il dolore scomparve, sostituito da qualcosa di sconosciuto. Brividi la percorsero, mentre lui le stringeva i fianchi e le faceva sollevare le gambe. Era... piacere? Non aveva termini di paragone, ma le sensazioni che stava provando la inondavano e la esaltavano.
Lui ansimava contro la sua gola, si sollevava per baciarla, le sussurrava parole dolci all'orecchio. La chiamava tesoro.
Una nuova onda la travolse, la fece sussultare, e poi irrigidire sotto di lui. Un senso di profonda meraviglia nel cuore e nel corpo. Si rilassò tra le braccia muscolose, e lui la baciò di nuovo, prima di cominciare a muoversi sempre più in fretta, sollevandosi sui gomiti e guardandola. Ansimava e la guardava. Gettò la testa all'indietro, gemette forte, poi rallentò i movimenti fino a fermarsi e ad abbassarsi su di lei. Gli accarezzò le spalle. Cornell mugolò, poi si ritrasse, adagiandosi al suo fianco e cingendole la vita con un braccio. Le diede un bacio sulla guancia.
«Grazie, dolcezza.»
La ringraziava? Si girò a guardarlo, la testa posata sul cuscino. Si era addormentato, lo capì dal respiro regolare e profondo.
Doveva andarsene. Spostò con delicatezza il braccio che la cingeva e lui protestò, prima di girarsi supino e rimanere così, spavaldamente nudo anche nel sonno. Devon restò a guardarlo, sentendosi arrossire. Aveva appena giaciuto con un uomo che, se avesse saputo chi era, non avrebbe esitato a ucciderla e, il cielo la perdonasse, le era piaciuto. Era davvero una donnaccia.
Scivolò giù dal letto, il corpo dolorante. Raggiunse l'armadio, Belle le aveva detto che c'erano dei vestiti. Aprì l'anta, prese una camicia, un paio di calzoni, una maglia e dei mutandoni. Mandò un silenzioso ringraziamento alla maîtresse e si vestì in fretta. Recuperò gli stivali, che Cornell le aveva sfilato quando l'aveva portata a letto.
Si fermò in mezzo alla stanza, fissando l'uomo addormentato. Un uomo che pur credendola una prostituta l'aveva trattata con dolcezza, un uomo che l'indomani avrebbe ricominciato a inseguirla.
Aveva sperato di riposare, almeno per la notte. Non aveva altri posti dove andare, se non la stalla dove aveva lasciato il suo cavallo. Forse poteva dormire un po',  la paglia non l'avrebbe di certo uccisa. L'indomani di buon'ora avrebbe ripreso la fuga.
Trattenne un sospiro, strinse i pugni. Poi in punta di piedi attraversò la stanza e uscì  senza voltarsi indietro.

§§§

Si svegliò a mattina inoltrata, con un terribile mal di testa. Restò a guardare il soffitto nella luce che entrava dalla finestra. Come aveva fatto ad arrivare in quella stanza?
Si sollevò a sedere, sorpreso di essere nudo come un verme. Lo sguardo gli si posò su un mucchietto di stracci sul pavimento. Si alzò e li prese: erano un corpetto e una gonna. Li lasciò cadere sbalordito. Cosa diavolo aveva fatto? Rammentava ben poco, tranne... labbra morbide, pelle di seta.
Si girò verso il letto. Le coperte chiare erano tutte stropicciate, come se ci fosse stata battaglia. O qualcuno avesse fatto l'amore.
Due macchioline attrassero la sua attenzione e si avvicinò per vedere meglio. Sembravano sangue. Si ritrasse folgorato. La notte prima, nel vicolo. La donna che lo aveva aiutato ad allontanarsi. Avevano attraversato la strada ed erano entrati nell'albergo. Si passò la mano sulla fronte. Aveva davvero approfittato di quella donna? Ma non ricordava lotte e fughe. Ricordava solo dei baci e delle carezze.
E lei dov'era adesso?
Raccattò da terra i propri vestiti e li indossò in fretta. Doveva cercarla, sapere se stava bene. Vista l'esiguità dell'abito che indossava, poteva essere solo una delle ragazze di Belle. Senza indugiare oltre, uscì dalla stanza e scese al piano terra, senza incontrare anima viva.

§§§

«Una delle mie ragazze?» Belle Collins sembrava sorpresa.
Max aveva attraversato la strada ed era corso al saloon, già aperto nonostante fossero solo le dieci del mattino. Un'assonnata proprietaria era scesa a parlargli quando lui aveva insistito con il barista dell'impellente necessità di vederla, e che adesso lo guardava come se fosse ammattito. Forse lo era davvero, pensò. Le si era presentato con i capelli arruffati e le pieghe delle coperte sulla faccia. Non ci faceva una gran figura. Inoltre aveva bisogno di caffè.
«Non molto alta, capelli corti, scuri e ricci.» Stava insistendo troppo, lo sapeva.
«Nessuna delle mie ragazze lavora al di fuori di questo locale, signor Cornell. Loro lo sanno e si adeguano.»
«Ne siete sicura?» La donna lo fulminò con lo sguardo, ma lui sollevò i vestiti della ragazza che lo aveva raccattato nel vicolo. «Indossava questi.» Era un lampo di interesse, quello che aveva visto negli occhi azzurri della maîtresse? Preoccupazione, forse?
Lei non rispose subito, si limitò a fissare la stoffa lacerata, poi lo guardò.
«Si direbbe che siano stati strappati,» commentò. Aveva stretto le labbra, un'espressione dura sul volto struccato.
Max arrossì. «È una storia lunga,» mormorò.
«Penso proprio...» iniziò a dire Belle, ma venne interrotta da una delle sue ragazze, appena scesa dal piano superiore.
«Belle, non è il vestito che hai dato a quel ragazzo per la sua amica?» La bionda allungò la mano e sfiorò il tessuto lacerato. «Povera seta, ha fatto una brutta fine.»
Max volse la testa da una all'altra. «Quale ragazzo? E quale amica?»
«Il ragazzo che ha chiesto a Belle di aiutare la sua amica. Sai quella che ieri sera hai fatto cambiare in dispensa? Quella bruna piccolina con i riccioli?»
Max annaspò. «E chi era il ragazzo?»
La bionda sorrise. «Carino, non molto alto, ma aveva il cappello e non l'ho visto bene. Ma aveva un sorriso...» Si interruppe sognante, e Belle la prese per un braccio.
«Torna di sopra, Tilly, per oggi hai dato abbastanza fiato alla bocca.»
La bionda sbuffò e tornò verso le scale. Quando fu sul pianerottolo, si girò di scatto. «Come si chiamava il ragazzo, Belle? Devon, mi pare. Sì, mi sembra proprio quello, il nome. Me lo ricordo perché non si sente molto in giro.»
«Tilly!» gridò Belle. La ragazza si eclissò in una delle stanze. Lei lo guardò inarcando le sopracciglia. «Queste ragazze! Capiscono sempre fischi per fiaschi. Chissà che scemenze ha sentito, ieri sera.»
«Ne siete sicura?» le chiese Max. Devon Stanley era stato lì? Aveva assunto qualcuno, una donna, per fermare lui? Era per questo che quando lei l'aveva aiutato nel vicolo aveva sentito odore di trappola?
«Ma certo,» replicò la donna. Sembrava offesa, ma anche esitante.
«Ascoltatemi, signora Collins. Se conoscete Devon Stanley, e gli avete dato aiuto, potreste essere accusata di complicità. Lo sapete, questo, vero? È un assassino, un ladro. Le sue mani sono macchiate del sangue di uno sceriffo.»
«Oh Cielo!» esclamò Belle, poi scosse la testa. «Ma io non lo conosco affatto, ve lo assicuro. È tutto un equivoco.»
«Tilly mi sembrava sicura, poco fa,» obiettò Max. Sentiva una rabbia sorda sfrigolare sotto la pelle. Doveva essere per forza quel bastardo. Forse aveva stretto un accordo con la ragazza, le aveva procurato un abito mentendo a Belle, e lui ne aveva fatto le spese. Lui e la ragazza, a dirla tutta. Lei gli aveva sacrificato la  propria verginità, magari per pochi dollari. Al pensiero si sentiva ribollire per la collera.
«Tilly è un'ochetta senza cervello. Sente qualcosa in giro e crede di aver capito chissà cosa.» Belle gli posò una mano sul braccio. «Credetemi, signor Cornell. L'unica cosa che ho fatto è dare l'abito alla ragazza perché il suo si era strappato. Tutto qui.»
«E il ragazzo?» insistette Max.
Lei scosse la testa. «C'era un ragazzo, è vero, ma è rimasto fuori. Non l'ho neanche visto.»
Capì che non gli avrebbe detto altro, ma anche che lei sapeva più di quanto volesse ammettere. Non la credeva una complice di Stanley, ma nemmeno che non conoscesse il ragazzo che le si era presentato. Comunque era tardi, ed era ora di andarsene da Cheyenne e riprendere la caccia.
«Grazie lo stesso, Miss Belle,» mormorò. Le mise in mano il vestito strappato e se ne andò, conscio dello sguardo della maîtresse fisso su di lui.

§

È un bel guaio, si disse Belle, mentre guardava l'uomo uscire dal locale. L'amica di Tom le aveva chiesto aiuto, e lei glielo aveva dato, senza chiedere spiegazioni. Purtroppo, Tilly l'aveva vista, sia vestita da uomo sia quando era uscita dalla dispensa dopo essersi cambiata, senza collegare il fatto che fossero la stessa persona. Era davvero un'ochetta, su quello non c'erano dubbi. Devon era entrata quando ancora non c'erano molti clienti, e di sicuro non aveva dato nell'occhio, vestita da cowboy. L'aveva presa in disparte, le aveva detto chi era, chiesto aiuto. Certo lei aveva sospettato qualcosa, ma negli occhi della ragazza aveva visto una tale disperazione e tanta stanchezza, che non aveva avuto cuore di chiederle alcunché. Né perché una ragazza di buona famiglia fosse stata costretta a travestirsi e si trovasse così lontana dalla propria casa.
Adesso, dopo quell'interessante conversazione con Cornell, riusciva a districare un po' la matassa, ma si era aggiunta la preoccupazione, sia per le bugie che aveva detto, sia per quella giovane donna. Gli strappi nell'abito non erano un incidente, erano stati fatti da una mano impaziente. Il rossore sul volto dell'aitante giovanotto che le aveva appena fatto visita la diceva lunga.
E di lei che ne era stato?
Povera piccola, avrei dovuto rifiutarmi di aiutarti.
Belle strinse le labbra. Era la proprietaria di un saloon, di certo non una donna rispettabile, almeno secondo i canoni dei benpensanti. Eppure, non poté fare altro che inviare una preghiera al cielo perché la ragazza fosse sana e salva.
Strinse a sé la seta lacerata e si diresse verso le scale. Era ora di mettersi a lucido.

§§§

Devon fissava l'angusto passaggio fra le rocce, unico punto di accesso per raggiungere il passo e poter attraversare il crinale. Aveva scelto una posizione che le garantiva una buona visuale del luogo, oltre a essere protetta alla vista da un gruppo di rocce e arbusti.
Se ne stava accucciata in attesa, le armi allineate sul terreno alla sua destra, in modo da poterle afferrare alla prima avvisaglia di pericolo.
Il suo istinto le diceva che presto sarebbe arrivato qualcuno, anche se sospettava si trattasse del cacciatore di taglie, Max Cornell,  e non di Carson. Non dubitava della tenacia di Cornell, visto il modo in cui continuava a seguire le sue tracce ed era sicura che, una volta passata la sbronza, l'uomo si fosse gettato al suo inseguimento come aveva fatto nelle ultime settimane. Un cane che inseguiva la lepre.
Uno scalpiccio di zoccoli la distolse da quei pensieri funesti, e si addossò al masso alle sue spalle per restare il più possibile in ombra. Un cavaliere si era inoltrato  nel passaggio, e le bastò un'occhiata per riconoscerlo. Il suo istinto non aveva sbagliato, rifletté Devon: Max Cornell non aveva perso tempo, le si era rimesso alle calcagna. Non le erano bastati tre giorni in mezzo alle montagne per scongiurare il pericolo di trovarsi faccia a faccia con lui. Il ricordo di quanto era avvenuto poche notti prima le si affacciò alla mente e chiuse gli occhi, desiderando di poterlo cancellare dalla memoria, senza riuscirci.
Devon sollevò le palpebre e strinse le labbra: al diavolo, quello che era stato era stato, adesso doveva solo pensare al presente e al pericolo che la circondava. Afferrò la rivoltella, controllò il tamburo: le rimaneva un solo proiettile, avrebbe dovuto farselo bastare. La cintura con le munizioni era al bivacco.
Infilò la Colt nella cintura, dietro la schiena, poi raccolse il fucile carico e lo strinse nella mano diventata di colpo gelida, a dispetto del sole caldo che batteva sulle rocce. Si raddrizzò e fissò cavallo e cavaliere che avanzavano nello stretto passaggio. Cornell era ritto in sella, il cappello calato sugli occhi a difenderli dal sole. Passò oltre i massi dietro cui era appostata, senza vederla, ma Devon non permise che andasse troppo avanti. Era ora di finirla con quella caccia spietata di cui l'aveva fatta oggetto.
Sperò che lo sceriffo Wallace avesse trovato il suo messaggio e avesse capito.  Adesso poteva solo catturare il bounty hunter bloccandolo lì al passo finché  le cose non si fossero sistemate. Lo sperò con tutte le sue forze. Avrebbe potuto farlo benissimo la notte in cui lui l'aveva presa, ma il pensiero non l'aveva neanche sfiorata. Sembrava quasi che quei minuti trascorsi insieme a lui l'avessero in parte liberata dall'angoscia di una fuga che durava da troppo tempo. Provò un improvviso disgusto per se stessa.
Balzò in piedi e sparò un colpo di avvertimento contro le rocce sotto le quali  uomo e animale stavano passando.
Cornell trasalì sulla sella e volse il capo di scatto, cercando con lo sguardo finché non la vide. Serrò le labbra in una striscia sottile e negli occhi gli brillò odio puro.
«E così ti ho trovato, Stanley.»   
«O forse ti ho trovato io, Cornell,» rispose lei, arrochendo la voce. Meglio  mantenere al sicuro la sua identità il più possibile, decise. Fece un cenno con il fucile. «Scendi da cavallo e liberati delle armi.»
Cornell ebbe un'esitazione, e questo contribuì a farsi puntare addosso il fucile. Stringendo le labbra, ubbidì e passò la gamba oltre il pomo della sella, scivolando giù. Tenne un braccio alzato e con l'altra mano si liberò del cinturone, che cadde a terra con un tonfo e sollevò una piccola nuvola di polvere.
Devon scese dal masso, tenendolo sotto tiro, e gli si avvicinò, scrutandolo in viso per vedere nei suoi occhi una traccia di riconoscimento. Non ne trovò, e si sentì sollevata. Quella notte era stato davvero troppo ubriaco per poter vedere nel bandito che lo teneva in scacco la donna con la quale aveva giaciuto.
«Avanti,» lo esortò, accompagnandosi con un gesto del fucile.
Lui si incamminò nella direzione che gli aveva indicato; lei colpì il cavallo al posteriore, l'animale nitrì e scappò lungo il passaggio, sollevando sabbia e polvere con gli zoccoli.
Devon raccolse il cinturone e seguì il cacciatore di taglie dappresso, fissando l'ampia schiena fasciata dal giubbotto di pelle marrone.
«Ci hai impiegato un po' a raggiungermi,» mormorò.
«Al contrario, io pensavo che tu fossi molto più lontano,» rispose Cornell. «O devo forse attribuire il tuo ritardo al desiderio di conoscere delle notizie appetitose?»
«Appetitose?» ripeté Devon. «Di che diavolo stai parlando?»
«Della ragazza che mi ha trattenuto in città.» Max le gettò un'occhiata. «Non hai avuto scrupoli, non è vero?»
«E' noto che non ho molti scrupoli,» sbottò Devon.
«Sapevo che era così,» mormorò Cornell. «Devi averle offerto parecchi soldi, perché venisse a letto con me.»
Quelle parole sprezzanti la ferirono, lasciandole dentro una scia sanguinante, ma cercò di indurirsi prima di farsi sopraffare dalla disperazione. «Sei fortunato allora che sia rimasto indietro, altrimenti non mi avresti mai trovato.»
«E' stata una sfortuna per te, Stanley. Hai fatto un errore, a non eclissarti.»
Lei annuì. «Può darsi, ma questo non significa che tu mi abbia preso. Non ancora, almeno. Anzi, direi che è proprio il contrario.»
Cornell glielo concesse con un'alzata di spalle. «Ti vedrò penzolare da una forca, prima o poi.» Si girò appena per gettarle un'occhiata feroce. «E pagherai anche per quello che hai fatto alla ragazza.»
Lei ricambiò lo sguardo, ma l'ombra del cappello celò l'espressione tormentata dei suoi occhi. «Puoi pensare quello che vuoi, Cornell. La cosa non mi tocca.»

§

«Non mi sorprende affatto,» replicò freddamente. Doveva liberarsi e mettere le mani sull'assassino. Il suo obiettivo doveva essere solo quello, e se per caso non fosse arrivato vivo al processo, tanto meglio per tutti. Cornell aveva sempre assunto i suoi incarichi con serietà e imparzialità, doveva  assicurare i malviventi alla giustizia senza farsi coinvolgere, ma ora gli riusciva difficile. Anche a causa di quello che era successo poche notti prima.
Desiderava ucciderlo, il pensiero lo ossessionava. Voleva vendicarsi, per Ballard, per la ragazza, per tutto il male  di cui quell'essere abietto si era macchiato.
Si erano lasciati il passaggio alle spalle, e la muraglia di massi si era aperta sulla stretta cengia che Cornell aveva passato a cavallo poco prima. Alla sua destra il burrone, con le sue pareti frastagliate, precipitava nel torrente sottostante in un salto di almeno cinquanta piedi, e il rumore dell'acqua che scorreva gli giungeva alle orecchie come un canto di guerra. Se voleva agire, doveva farlo subito.
Cornell inciampò nei propri piedi e cadde in ginocchio, perdendo il cappello. Sentì un'esclamazione alle sue spalle, ma restò fermo un istante a tirare il fiato, la bocca  arida.
«Alzati, Cornell!» gli intimò Devon Stanley, dietro di lui. L'uomo si irrigidì e con uno scatto si alzò e si girò, colpendo il suo avversario alla testa con un grosso sasso che aveva raccolto durante la sua finta caduta. Stanley venne preso in contropiede e si sbilanciò all'indietro, mentre il cappello volava via e il sangue cominciava a scorrere dalla ferita alla tempia. Cornell fissò il viso giovane e liscio, gli occhi verdi spalancati per la sorpresa, e il volto di donna rimasto impresso nella sua mente gli si parò dinnanzi agli occhi. Non era possibile!

§

Devon riuscì a vedere la consapevolezza nello sguardo di Cornell, ma non ebbe il tempo di rammaricarsene, o gioirne. Il colpo ricevuto le fece perdere l'equilibrio, e il terreno sotto i suoi piedi scomparve. Con un gemito, precipitò nel vuoto.

§

Cornell si slanciò per afferrarla, ma le sue mani strinsero solo l'aria laddove poco prima c'era la ragazza – quella che aveva creduto un uomo fino a un istante prima. Si sporse oltre l'orlo del burrone, ma il suo sguardo vagò fino all'acqua spumeggiante del torrente senza vedere il corpo. La corrente doveva averlo trascinato via. Era sbalordito e sconvolto, in collera con se stesso per quell'azione sconsiderata. L'aveva uccisa, e una mano gelida gli stritolò il petto.
«Maledizione!» proruppe, lasciandosi cadere in ginocchio. Fissò il burrone con occhi vacui, mentre il senso di colpa lo invadeva.
Uno sparo lo riportò alla realtà e alzò la testa di scatto: due uomini erano comparsi sul sentiero, le armi spianate, e lui sollevò le mani.
«Salve, Cornell.» Will Carson gli si avvicinò con calma, la pistola puntata su di lui. «Hai fatto un bel lavoro, con quella ficcanaso. Penso di doverti ringraziare.»
Si alzò in piedi. «Ringraziare per cosa?» volle sapere, e non poté evitare una nota aspra nella voce.
«Per esserti liberato di lei. La ragazza sapeva troppe cose, ormai.» Il bandito fece un gesto con la pistola. «Avanti, precedimi. Adesso sei tu a rappresentare una minaccia, ed è meglio che ti faccia sparire quanto prima.»
Max si incamminò, mentre l'altro gli si poneva alle spalle e Joe Cocklin li affiancava. In silenzio, la strana processione superò il lungo e stretto sentiero e arrivarono a una apertura tra le rocce che Cornell non aveva notato all'andata. La canna della pistola spinta fra le scapole lo convinse a proseguire attraverso l'apertura, e dopo qualche metro sbucarono in uno spiazzo circondato da rocce e radi arbusti, dove giacevano una sella e delle coperte. Era senz'altro un accampamento, ma di chi?
La risposta gliela diede Carson, subito dopo. «Si era trovata un buon posto per bivaccare,» commentò con disprezzo. Lo oltrepassò e andò a vedere la sella, colpendola con un calcio. «Tanto adesso non ne avrà più bisogno.»
Joe Cocklin ridacchiò, e Carson si girò a guardarlo. «Avanti, legalo. Non voglio che gli venga in mente di fare colpi di testa come poco fa.» L'altro ubbidì e, sotto la minaccia del fucile, lo costrinse ad andarsi a mettere contro le rocce alla sua destra. Lì si fermò e non si mosse, e Cocklin lo colpì alla schiena con l'arma, facendolo piegare in due, senza fiato.
Carson rimbrottò il complice. «Smettila, Joe. Ti ho detto di legarlo, non di ammazzarlo.»
«Peccato,» replicò l'altro. Afferrò Cornell per la spalla e lo trascinò sul terreno, seduto contro le rocce. Prese la corda che teneva alla cintura e fece un gesto. «Dammi le mani,» gli ordinò, e a Max non restò altro che obbedire. Il bandito avvolse la corda intorno ai suoi polsi così stretta che temette interrompesse la circolazione. Poi gli legò le caviglie. Una volta finito diede dei colpetti ai nodi.
«Ti sfido a liberarti, Cornell,» disse in tono di scherno. Si alzò e andò a raggiungere Carson che fissava il circondario da oltre le rocce che ornavano lo spiazzo.

§

Il posto era veramente ben protetto, la ragazza aveva avuto occhio nello scegliere il luogo ove accamparsi. Finalmente se ne erano liberati, e non avevano neanche dovuto faticare, visto che il lavoro sporco era toccato al bounty hunter. Carson si girò a guardarlo, seduto contro i massi, e si congratulò con se stesso. Doveva solo  occuparsi di lui, e le cose si sarebbero sistemate. A nessuno sarebbe venuto in mente di cercarli, ora che il presunto colpevole era precipitato all'inferno.
E una volta eliminato Cornell, non ci sarebbe stato nessun altro da temere.
Si incamminò verso il prigioniero e si fermò a pochi passi da lui. «Sei stato in gamba a non perdere le sue tracce neanche un istante. In questo modo noi siamo stati un passo dietro a te. La ragazza non avrebbe avuto scampo. Ci hai solo anticipato il lavoro.» Lo vide alzare la testa e fissarlo con astio. «Oh, non guardarmi così, Cornell. Davvero pensavi che quella ragazzina fosse implicata nella morte di Ballard?» Carson si mise a ridere. «Siamo stati davvero abili, allora, nel nascondere le nostre tracce. Per sua disgrazia, si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, e si è presa tutta la colpa.» Fece un gesto con la mano, indifferente. «Qualche sera fa stavo per mettere le mani anche su di te, ma quegli inetti dei miei uomini ti hanno perso.» Ridacchiò di nuovo. «È stata solo questione di tempo, comunque. Spero che tu stia già pensando a come rendere l'anima a Dio, o a Satana, come preferisci.» Gli voltò le spalle e raggiunse il suo complice.

§

Cornell non sapeva come sentirsi, in realtà. La sorpresa nello scoprire che il bandito che inseguiva era una ragazza era stata sostituita dalla considerazione che aveva ucciso un'innocente, considerazione che per lui aveva il sapore dell'infamia. Non poteva che mettersi alla stregua di Carson, in quanto ad azioni scellerate. Scosse la testa per scacciare la visione di quel volto sanguinante e sorpreso che gli si era parato davanti, prima di scomparire nel vuoto, ma non vi riuscì del tutto. Perché ora sapeva chi era la ragazza che lo aveva tratto in salvo dal vicolo dove si era risvegliato, e di cui si era approfittato.
La vergogna si aggiunse alla rabbia che provava verso se stesso.

§§§

Era pomeriggio inoltrato, e Cornell se ne accorse quando si rese conto che le ombre intorno a lui si stavano allungando sempre più. L'aria si era rinfrescata, ma le rocce che aveva alle spalle conservavano ancora un po' del calore del sole.
Cercò di rilassarsi, ma uno spuntone gli pungeva la schiena e gli rendeva difficile allentare la tensione dei muscoli. E poi, perché avrebbe dovuto rilassarsi? A breve, quei due banditi lo avrebbero ucciso, e allora sarebbe finita del tutto.
Il pensiero di quanto aveva fatto non lo aveva abbandonato un momento, e  sentiva in bocca il sapore acre del disonore. Si meritava quel trattamento, decise, lui non era meglio dei due banditi seduti a poca distanza davanti al fuoco appena  acceso. Sollevò la testa e guardò il cielo, ancora dell'azzurro più intenso. Però c'era ancora qualcosa da sapere, e quello era un momento come un altro per soddisfare la propria curiosità.
«Carson.» Vide il bandito alzare la testa e guardarlo. «Carson, visto il favore che ti ho fatto, me ne devi uno, prima di morire.»
Will Carson si alzò in piedi e gli si avvicinò. «Che cosa vuoi, Cornell?»
«Come sei entrato in questa storia? L'ultima volta che ti ho visto, la tua faccia era stampata su un avviso di ricerca per una rapina in banca.» Fece una pausa. «Che cosa c'entrava la ragazza con voi?»
Carson alzò le spalle. «Tutta colpa della guerra, vecchio mio, e delle connivenze. Quei pecoroni ricchi del Nord volevano gli schiavi liberi, ma anche aumentare il loro potere.» Gli si accucciò davanti e ammiccò. «C'erano documenti scottanti che dovevano sparire.» Sollevò i palmi verso l'alto. «La ragazza li aveva già consegnati allo sceriffo Ballard perché li inviasse a Washington, dove sarebbe stata aperta un'inchiesta, e quei due si dovevano incontrare per definire le ultime mosse, ma sono arrivato prima io, e sappiamo entrambi che fine ha fatto lo sceriffo. Il resto è stato uno scherzo. Lei è arrivata un attimo dopo, e tutti hanno creduto di averla colta con le mani nel sacco.» Ebbe una risatina chioccia. «E pensare che non aveva neanche una pistola con sé. Dei veri idioti, non c'è che dire.» Si rialzò e fissò il suo prigioniero. «Soddisfatto?» gli chiese ironico.
Max scosse la testa. «Tu sapevi che era una donna?»
«Ma certo,» sbottò il bandito. «Ci avevano detto che era la figlia del maggiore Stanley. Per quanto abbia cercato di non attirare l'attenzione, i due viaggi a Casper non sono passati inosservati, nemmeno i suoi incontri con lo sceriffo. Sai, quando temi il peggio stai in allerta, e così hanno fatto quelli della capitale. Il fatto che si sia travestita la dice lunga sulla sua astuzia, ma alla fine non ti è sfuggita. Neanche a noi, se è per questo, anche se vicino Cheyenne l'abbiamo persa.»
Quindi loro sapevano. Invece lui era rimasto all'oscuro. Gli avevano detto che un uomo era stato visto vicino la stanza dove Ballard era stato ucciso, e che era fuggito appena prima di essere acciuffato e impiccato in maniera sommaria all'albero più vicino. Il vice di Ballard gli aveva raccontato tutto, prima di chiedergli di mettersi alle calcagna dell'assassino. Non si era neanche fermato a pensare. L'unica cosa che gli premeva era catturare chi aveva ucciso il suo amico. Cercò di inghiottire, ma aveva la gola riarsa. Doveva comunque sapere. «E quei documenti? Dove sono adesso?»
L'altro fece un gesto noncurante. «Distrutti, naturalmente. A nessuno verrà più in mente di chiedere di quelle carte.»
«Allora hai voluto prendere due piccioni con una fava,» commentò Max. «Non è così? La ragazza è stata costretta a scappare, accusata di qualcosa che non aveva commesso, e tu e i tuoi compari avete potuto rimanere nell'ombra. Ma lei ormai sapeva di te perciò rappresentava un pericolo.»
Carson si spazientì. «Ma certo, cosa credi? Devon Stanley era una minaccia finché rimaneva in circolazione, e non potevo permettere che riuscisse a smascherarmi.» Strinse la mano a pugno. «E adesso stai zitto, o ti farò fare la fine che ho riservato a Ballard. Stai pur sicuro che non ti troveranno mai.»
«Un'ultima cosa, Carson,» ribatté Cornell, mentre l'altro si stava già girando. Il bandito tornò a guardarlo, mentre la collera gli alterava i lineamenti. «Per chi lavori? Chi ti ha ingaggiato per recuperare quei documenti? Non credo che sia stata una tua idea. Tu preferivi rapinare banche, se ben ricordo.»
«Credi che nella capitale l'onestà sia di casa? Quello è un covo di serpi. Te l'ho già detto, la guerra a molti è servita solo per arricchirsi. La moralità di certe decisioni era discutibile, figuriamoci se a qualcuno importava degli schiavi.» Si sporse verso di lui. «Vuoi sapere chi mi ha ingaggiato? Gli stessi che nelle stanze del potere discutevano di libertà e coscienza, e che fuori di esse inviavano armi ai confederati in cambio di denaro sonante. Gli serviva un tipo sveglio e scaltro.» Carson si raddrizzò. «Ecco chi sono gli uomini retti di questo Paese. Un branco di ipocriti, se vuoi il mio parere. A volte è meglio rapinare banche, credimi.» Il bandito sorrise ironico. «Ma l'importante è che mi paghino, e parecchio.» Gli volse le spalle e si incamminò verso Cocklin, lasciandolo a meditare su quanto aveva sentito.
La voce di Carson lo riscosse, e alzò lo sguardo. «Te ne ho parlato, Cornell, perché tanto non lo potrai andare a raccontare in giro. A breve nessuno si ricorderà di te, e anche la tua riprovevole azione passerà inosservata. Quindi goditi le tue ultime ore di vita, perché non ti resta altro.» Carson lo fissò negli occhi. «E' stata una sfortuna per Devon Stanley che tu conoscessi lo sceriffo Ballard, si è trovata a fronteggiare la vendetta di un amico.» Alzò le spalle. «Ma ora non ci dovremo preoccupare più di lei.  L'hai fatta fuori, e tutto si è risolto per il meglio.»
Una voce gelida si alzò nel crepuscolo e rimbombò con un'eco fra le rocce. «Lo credi davvero, Carson?»
Il bandito si girò di scatto e Cocklin lo raggiunse, e rimasero a fissare la snella figura che si ergeva contro le rocce dell'apertura. Cornell spalancò gli occhi incredulo, mentre la rivedeva cadere nel vuoto.
Carson fu il primo a riprendersi. «Sei morta! Ti ho vista precipitare nel burrone!» urlò, ma la ragazza fece un passo avanti, rettificando l'affermazione. Era in piedi, dritta come un fuso, e solo una traccia di sangue secco sulla tempia sinistra riportava a quanto accaduto poche ore prima. Una rivoltella era stretta nella mano destra, con la canna puntata verso terra.
«E' un bene che l'abbiate creduto,» replicò Devon, facendo un altro passo avanti, «così non hai avuto remore a raccontare la verità.»
Il bandito scoppiò a ridere. «E a chi credi importi, ragazza? Ci siamo solo noi qui, e le rocce. O forse volevi che il tuo cacciatore di taglie cambiasse idea su di te?»

§

Devon rivolse l'attenzione all'uomo legato poco distante. «Anche,» mormorò. Lo vide guardarla a occhi spalancati, come se ancora non credesse alla sua apparizione.
«Sto bene, Cornell, non ti preoccupare.» Riportò lo sguardo su Carson. «Dopotutto, anche le rocce hanno orecchie.»
Il bandito scattò verso il prigioniero, e lei si irrigidì, mentre Carson rideva e puntava una pistola contro Cornell. «Qualsiasi cosa tu abbia in mente puoi scordartela. Lo ucciderò, e poi ucciderò te, e non rimarrà nessuno.» Fece un gesto di scherno allargando le braccia. «Non rimarrà niente. Lo sai questo? Niente e nessuno. Tu verrai ricordata come un'assassina, e lui,» e accennò al prigioniero, «come un cacciatore di taglie scomparso nel nulla. I tuoi sforzi per riabilitare il tuo nome non avranno alcun senso, tra poco.»
La canna della pistola arrivò all'altezza della testa di Cornell. Carson sorrise come un pazzo, e tornò a guardarla, gli occhi iniettati di sangue.
«Prova a fermare questo, se ci riesci,» la sfidò. Armò il cane della rivoltella e fissò Max. «Te l'avevo promesso, che erano le tue ultime ore di vita,» esclamò, e in quel momento si scatenò il caos. Cocklin si mise a urlare, mentre dalle rocce intorno a loro sbucavano alcuni uomini che saltarono nello spiazzo come ombre dall'inferno.
Carson sembrò perdere solo per un secondo la concentrazione, e la pistola puntata su Cornell ritornò a essere una minaccia molto più che concreta, quando lo sparo risuonò.
Urla di dolore si levarono dal bandito, che si gettò a terra, tenendosi la mano sanguinante. Devon abbassò la pistola e se la infilò nella cintura, sulla schiena. Corse verso l'uomo prigioniero e ne approfittò per scalciare lontano la rivoltella di Carson. Intorno a loro gli uomini che avevano dato inizio all'azione si stavano prendendo cura di Cocklin, ridotto a più miti consigli.
Si accucciò accanto a Cornell, e tentò di sciogliere i nodi, ma Cocklin aveva davvero fatto un buon lavoro. Sollevò lo sguardo, sconfitta, e incontrò i suoi occhi. La stava osservando, e la cosa la mise a disagio.
«Mi hai salvato la vita, nonostante quello che ti ho fatto.» Max fece una pausa, e prese un sospiro.  «Mi dispiace,» mormorò. «Non avevo idea.»
Lei scosse la testa. «E' finita, non c'è alcun bisogno di scusarsi. Le circostanze erano tali per cui chiunque avrebbe agito come te.» Si girò, mentre un uomo barbuto si avvicinava. «Avete un coltello, sceriffo? Queste corde sono davvero resistenti.»
Cornell alzò la testa verso l'uomo, mentre questi le tendeva il proprio coltello.
«Meno male che ti trovavi da queste parti, Henry.»
L'altro ammiccò. «Merito di Devon, che mi aveva avvertito a tempo debito.» Non vide Cornell trasalire, ma lei se ne accorse, mentre tagliava le corde che gli legavano mani e piedi.
Henry Wallace si avvicinò a Carson, che se ne stava ancora accasciato a terra lamentandosi, circondato da due dei suoi aiutanti. «Smettila, Carson, sei patetico.» Si volse verso Devon, ancora impegnata a tagliare le corde. «Non hai una buona mira, ragazza. Lo hai colpito solo a una mano.»
Lei sorrise, mentre liberava il prigioniero. «Stava per sparare a Cornell. Non potevo rischiare un colpo al corpo.» Fece spallucce, mentre l'altro si alzava in piedi. «Era la mia ultima pallottola, non potevo sbagliare.»
Wallace sorrise sotto i baffi.
«Non gli hai fatto un grande favore, allora,» commentò, accennando al bandito che continuava a piagnucolare mentre lo trascinavano via insieme a Cocklin.
«Di sicuro non potrà usare quella mano per molto tempo,» disse Max, e lei annuì. «Ha distrutto i documenti, Devon,» aggiunse. «Hanno vinto loro, dopotutto.»
Alzò gli occhi su di lui. «Lo so, ho sentito tutto.» Vide la sorpresa negli occhi di Cornell e accennò un sorriso. «Ero nascosta fra le rocce da un po', aspettavo solo il momento giusto per intervenire. Non ti preoccupare per quei documenti, erano falsi. Ballard li aveva contraffatti, quelli veri si trovano in cassaforte, al sicuro.»
«E una copia è già in viaggio per  Washington, in mani sicure,» aggiunse Wallace. «Ballard ha pensato a tutto, non c'è che dire.»

«Ma è morto lo stesso,» sussurrò Devon, rivedendolo riverso a terra in quella stanza d'albergo, il sangue che si allargava sulla camicia.

Wallace scosse la testa. «Niente di più falso, ragazza mia. Glover Ballard è vivo. Quell'idiota di Carson gli ha sparato ma non si è accertato di averlo ucciso, e tu non hai potuto fermarti a controllare perché avevano già lanciato l'allarme. Lo sceriffo è stato subito soccorso, per fortuna la ferita era grave ma non mortale.» Sospirò. «Purtroppo le cose sono precipitate, e quando sei sfuggita alla cattura, il vice-sceriffo ha attivato subito la ricerca.» Guardò Cornell, che stava in silenzio ad ascoltare. «Quando Blair ti ha avvisato, Max, ancora non sapeva delle reali condizioni di Glover, e tutti hanno creduto che fosse morto.»
Devon strinse le mani a pugno. «Così ho dovuto scappare per settimane, accusata di omicidio, inseguita da questo qui,» e indicò Cornell con la mano, fissando Wallace, «e nessuno ha pensato di informarlo che Ballard era vivo, e che non c'era alcun bisogno di vendicarsi.» Aveva cominciato a tremare, la tensione nervosa le fece alzare la voce in una nota stridula.
Lo sceriffo la guardò sgomento. «Non ho potuto farlo, Devon. Il telegramma da Casper è arrivato tre giorni fa, e quando ho cercato Max ho scoperto che se ne era andato. Credimi, avrei fatto il possibile per evitarlo.» Prese un sospiro. «Se non mi avessi lasciato quel messaggio, avrei continuato anch'io a pensare che fossi colpevole.»
Si tormentò le mani, che continuavano a tremare. I due uomini la fissavano, e Wallace dovette rendersi conto che stava per crollare. Chiamò Cornell. Questi distolse lo sguardo da lei e lo portò sullo sceriffo. «Occupati di lei, Max. Adesso è troppo stanca per pensare a qualsiasi cosa, e dobbiamo anche medicarle quella ferita alla testa.» Lo sceriffo sospirò. «Bene. E' meglio mettersi in cammino, prima che faccia troppo buio.» Sollevò una mano. «Andiamo, Devon. Torniamo in città.»
Lei annuì e lo seguì, mentre lo sceriffo si incamminava verso la stretta apertura. Max le si mise al fianco, e approfittò del momento per parlarle.
«Mi dispiace per tutto questo, Devon. Se solo avessi saputo cos'era successo davvero, non...»
Lei lo interruppe scoppiando in una risatina amara. «Non mi dire! Scommetto che non mi avresti mai spinta nel burrone.»
Cornell si irrigidì. «E' stato un incidente, non avevo alcuna intenzione di ucciderti, anche se in quel momento il desiderio di vendetta era più forte di qualsiasi altro pensiero.» Lei si fermò a guardarlo. «Volevo solo disarmarti, ma la cosa è andata troppo oltre. E poi, quando Carson ha vuotato il sacco, e ho scoperto la verità, come credi mi sia sentito io? Questo è il mio lavoro, ma solitamente non inseguo gli innocenti, e dopo quello che mi aveva detto il vice-sceriffo Blair sull'omicidio...»
«Tentato omicidio,» lo corresse lei.
Cornell non si risentì dell'interruzione. «Per tua disgrazia ero in città, e Blair è corso subito da me perché mi gettassi al tuo inseguimento. Hai sentito, neanche lui sapeva che Glover era ancora vivo. Il resto è venuto di conseguenza.» La guardò dritto in faccia. «Non ho altri modi per chiederti scusa, Devon. Né per questo, e né per quello che è accaduto a Cheyenne.»
Lei distolse lo sguardo arrossendo, e solo il richiamo di Wallace la salvò da quella situazione imbarazzante. Lo sceriffo si era accorto di non essere più seguito e si era girato a guardare, vedendoli fermi nell'ombra dello stretto passaggio.
«Ehi, voi due, muovetevi, vorrei partire prima di notte, se possibile.»
Devon si affrettò a raggiungerlo, grata di non dover rispondere alle scuse di Cornell, anche se il momento era solo rimandato. Era un argomento che non voleva toccare. Quello che era successo era anche colpa sua, e non poteva biasimare Cornell per quel che era capitato fra loro. Ancora rossa in viso, raggiunse lo sceriffo e i suoi uomini con i prigionieri, seguita da Cornell, e andarono  a recuperare i cavalli che avevano nascosto più a valle.

§§§

Il ritorno dalle montagne era stato estenuante, anche se non in termini di tempo,  malgrado ci avessero impiegato due giorni. Devon aveva fatto di tutto per non restare sola con Cornell e lo sceriffo Wallace, a propria insaputa, l'aveva aiutata restandole vicino mentre scendevano verso Cheyenne. Il suo atteggiamento protettivo avrebbe scoraggiato chiunque.
Arrivarono in città a notte fatta.
Henry Wallace la portò a casa propria, ma lei era così stanca che non se la sentì di protestare. In fin dei conti non aveva un posto dove stare, anche se approfittare dell'ospitalità dello sceriffo le causava un certo imbarazzo.
Cornell non era andato con loro, e ne fu contenta. Si era accorta dei suoi sguardi, dei tentativi di avvicinarsi, ma lo aveva sempre ignorato. Non voleva ascoltare di nuovo le sue scuse. Se lo avesse fatto si sarebbe messa a urlare per la frustrazione. Doveva fare i conti prima con se stessa.
La casa dello sceriffo era appena fuori città.
Smontarono dai cavalli e Wallace le fece cenno di seguirlo. Salirono i due gradini del portico e la porta si spalancò prima che potessero solo pensare di bussare.
La donna in palese stato interessante che aveva aperto li guardò un istante prima di abbracciare Wallace di slancio.
«Grazie a Dio, siete tornati.» Doveva essere la moglie dello sceriffo.
Devon cominciava a sentirsi a disagio, ma la signora Wallace si staccò dal marito e portò i suoi occhi chiari su di lei.
«Questa è Devon Stanley, Lizzie,» la presentò lui. «Ho pensato che sarebbe stato meglio stesse da noi.»
«Il ragazzo... no, la ragazza, del messaggio?» chiese la moglie.
Lei annuì, ma fu Wallace a rispondere. «Li abbiamo presi grazie a lei, Lizzie.»
Prima che Devon potesse dire qualcosa, si trovò stretta fra le braccia dell'altra donna.
«Oh, cara, sei stata davvero coraggiosa!» La allontanò da sé e le prese la mano. «Vieni dentro, adesso ti preparo qualcosa di caldo. Hai fame?»
Scosse la testa. Non si era aspettata un abbraccio, e soprattutto che lo sceriffo avesse messo la moglie a parte del messaggio che gli aveva lasciato. Un messaggio piuttosto lungo, in verità, dove gli spiegava il perché del tentato omicidio di Glover Ballard e come lei si era ritrovata in quella situazione, rivelando la propria identità.
«Vi ringrazio, signora Wallace,» iniziò a dire, ma l'altra la interruppe.
«Chiamami Lizzie, per favore. Vieni a sederti qui.» L'accompagnò al sofà nel salottino a lato dell'ingresso.
Lei ubbidì e si accomodò sui soffici cuscini. Lizzie Wallace le accarezzò i capelli, e la dolcezza nel suo sguardo le fece salire le lacrime agli occhi.
Resisti, resisti, resisti.
Henry Wallace le aveva seguite, e sfiorò la mano della moglie.
«Parlo con Lizzie e te la lascio.» Accennò un sorriso, si vedeva che era stanco anche lui. «Vado in ufficio a vedere come hanno sistemato i prigionieri.»
Devon annuì. «Sì, certo.» Alzò lo sguardo su di lui. «Grazie, sceriffo.»
L'uomo le diede un buffetto sulla testa. «Mia cara, dovremmo essere noi a ringraziarti. Domani manderò un telegramma a Casper, per informare Ballard.» Le fece un cenno di saluto e uscì dalla stanza.
Lizzie le sorrise e lo seguì, socchiudendo la porta.
Con un sospiro, Devon si prese la testa fra le mani.

§

Wallace si fermò nell'ingresso, prendendo la moglie fra le braccia.
«Sono contenta che sia andato tutto bene,» sussurrò Lizzie.
Henry sorrise. «Se non fosse stato per lei,» e accennò alla porta del salotto, «staremmo ancora cercando la persona sbagliata.»
La moglie alzò la testa. «Quella ragazza deve averne passate di tutti i colori.» Lo guardò negli occhi. «Ho visto che ha una ferita alla testa.»
«Un incidente,» mormorò lui. Lo sguardo della moglie si incupì. Sospirò. «Max. Voleva disarmarla e l'ha colpita con un sasso.»
«Max?» Lei sembrava sorpresa.
«Lo aveva fermato sulle montagne per darci il tempo di arrivare, ma lui era all'oscuro del piano e ha fatto di testa sua. Lei è caduta nel burrone e...» Si morse la lingua. Quella era una parte che non voleva raccontare.
Gli occhi azzurri di Lizzie si scurirono per l'indignazione.
«L'ha spinta nel burrone?»
«Te lo ripeto, è stato un incidente, Lizzie. Per fortuna è caduta su uno spuntone ed è riuscita a risalire. E ha salvato Max, Carson lo aveva catturato.»
«E nonostante lui abbia tentato di ucciderla, lei lo ha salvato lo stesso? Ma dico!» Sembrava arrabbiata.
Henry la strinse e le accarezzò il ventre prominente. «È finita bene, tesoro. Lo sai che non ti devi agitare, nelle tue condizioni.»
Lo guardò storto. «Sono incinta, non malata.» Lo baciò sulla guancia. «Almeno adesso sapete la verità, vero?»
«Sì, la conosciamo. Carson è stato molto loquace, quando pensava di aver eliminato la principale testimone delle sue malefatte.»
«E... Max? Come l'ha presa?»
Alzò le spalle. «Peggio di tutti. L'ha inseguita per settimane. Credo che da qualche giorno conviva con un senso di colpa opprimente. Ha tentato di parlare con lei, ma Devon non ne vuole sapere. Ho l'impressione che ci sia dell'altro.» Scrollò la testa. «È tardi. Devo andare, Lizzie. Poi porterò Max a bere qualcosa al saloon. Cercherò di non svegliarti.»
La moglie lo baciò. «Fai quello che devi. Adesso devo occuparmi di Devon.»

§

Quando sentì la porta aprirsi, Devon alzò la testa. Fece l'errore di guardare Lizzie Wallace negli occhi e scoppiò a piangere. Aveva resistito per settimane, stringendo i denti, spronando il cavallo in mezzo alle montagne, cercando di sfuggire non solo a chi la voleva catturare, ma addirittura morta. E adesso che era tutto finito, che la verità era finalmente venuta a galla, la tensione ruppe gli argini e lei si abbandonò alla corrente.
Lizzie le si sedette accanto e l'abbracciò. Il momentaneo imbarazzo di quello sfogo fu cancellato dal bisogno di liberarsi di tutta l'angoscia accumulata in settimane di fuga. Appoggiata alla spalla della donna, pianse tutte le sue lacrime, fino a sentirsi sfinita.
Sollevò il capo, asciugandosi il viso.
«Perdonatemi, signora Wallace,» mormorò, ma l'altra le accarezzò la schiena.
«Lizzie, tesoro, solo Lizzie. E non c'è niente da perdonare. Anzi, mi aspetto che ti arrivino le scuse dagli sceriffi di almeno tre contee, per quello che ti hanno fatto passare.»
«Le circostanze erano tali per cui...» Si interruppe. Erano le stesse parole che aveva rivolto a Cornell.
«Davvero?» chiese Lizzie. «Giustizia sommaria senza neanche trovare la pistola?»
«E voi... tu... come lo sai?»
«Henry mi ha detto del messaggio che gli avevi lasciato. Me lo ha letto. Buon Dio, figliola, avresti potuto morire, lo sai? Se non per mano di quel bandito, a causa di Cornell..» Le sfiorò la fronte, e lei arrossì. «Henry mi ha parlato di un incidente.»
«È così. Voleva solo disarmarmi.» Lo stava giustificando? Dopo avergli visto negli occhi un odio viscerale? Allora lui ancora non sapeva cosa fosse successo, ma questo poteva discolparlo?
«D'accordo,» mormorò l'altra. Si alzò e le prese la mano. «Andiamo in cucina, ti preparo qualcosa di caldo e poi una notte di sonno non ci farà male.»
La seguì in cucina. C'era un lieve tepore e, mentre si sedeva al tavolo, la moglie dello sceriffo versò del latte caldo in una tazza e glielo mise davanti, insieme a un piatto di biscotti.
«Il latte concilia il sonno,» disse Lizzie sedendosi. «I biscotti li ho fatti oggi.»
Devon ne prese uno e lo addentò. Era delizioso.

§

Max era sotto il portico. Aspettava Wallace, ma non sapeva quanto ci avrebbe messo a portare Devon a casa sua e a parlare con la moglie.
Le mani in tasca e la fronte aggrottata, fissava il buio della strada. Sentiva voci e risate provenire dal saloon illuminato, ma non era dell'umore. Era stanco e amareggiato. La cattura di Carson, adesso chiuso in una delle celle della prigione insieme al suo compare, avrebbe dovuto togliergli un peso, insieme alla notizia che Glover era vivo. Ma quanto era successo sulle montagne gli stringeva il petto, impedendogli di rilassarsi. Lei non aveva voluto ascoltarlo, quando aveva tentato di scusarsi. Anzi, non lo voleva neanche vicino.
Si passò la mano sulla faccia. Gli occhi gli bruciavano per la stanchezza. Maledizione!
Al di là di quella che aveva creduto fosse la verità fino a  pochi giorni prima, l'odio che aveva provato nei confronti di lei non giustificava le proprie azioni. Ancora maledizione!
Si sarebbe mai liberato di quel senso di colpa?
Lo scalpiccio degli zoccoli lo riscosse. Wallace era arrivato.
Gli andò incontro, mentre lo sceriffo smontava da cavallo e legava le redini al paletto vicino agli scalini.
«Tutto bene?»
Henry annuì, mentre si toglieva il cappello e si passava una mano nella zazzera scura.
«È con Lizzie. Mia moglie se ne prenderà cura.»
Fece un cenno d'assenso. Parlarne gli risultava difficile, meglio cambiare argomento. «Carson è in cella, Doc Wilson gli ha già medicato la mano.»
«Che non si dica che trattiamo male i prigionieri,» fu il commento dello sceriffo.
«Già.»
«Lasciami scrivere due righe per il giudice Larabee, poi andiamo a berci un bicchierino.»
«Tu non bevi,» gli fece notare Max.
Wallace sorrise. «Vuol dire che guarderò bere te.» Gli strinse la spalla. «Hai l'aria di averne bisogno.»
Cornell non replicò.
Un quarto d'ora dopo, erano seduti a un tavolo del saloon. Una delle ragazze si era avvicinata ancheggiando ma, riconosciuto lo sceriffo, si era dileguata. Il suo posto venne preso addirittura dalla proprietaria.
«Sceriffo Wallace,» lo salutò.
Henry fece un cenno di saluto, poi Max si ritrovò addosso gli occhi azzurri della maîtresse.
«Signor Cornell. Avete trovato quello che stavate cercando?»
Arrossì. Impossibile non capire. « Sì,» rispose alla fine. Belle continuava a fissarlo. «Lei sta... bene. È qui in città.»
«Oh, bene,» mormorò la donna. «Ne sono lieta.» Raddrizzò le spalle nude e lisciò le pieghe della gonna. «Cosa posso portarvi?»
Wallace scosse la testa. «Per me niente, Miss Belle.»
Si sentì trafiggere ancora da quegli occhi azzurri, e fece per dire Un bourbon, ma poi chi lo avrebbe raccolto, se avesse esagerato? Wallace? I ricordi di quella notte erano frammentari, ma rammentava il calore, le braccia di lei intorno al collo. Difficile associarla all'uomo che lo aveva fermato in mezzo alle rocce, almeno finché non l'aveva colpita e aveva visto quegli occhi verdi spalancati, pieni di sorpresa e di paura, prima di cadere nel vuoto.
«Signor Cornell?»
Si accorse che Henry lo stava fissando, e così pure Belle.
«Grazie, niente anche per me.»
La maîtresse salutò e sparì tra gli avventori.
Wallace lo stava squadrando incuriosito, e sbuffò.
«Cosa c'è?»
«Non lo so, dimmelo tu.»
«Henry...» iniziò, ma l'amico lo interruppe con un gesto della mano.
«Ascolta, Max. È finito tutto bene, sappiamo la verità. Ballard è vivo, Carson in cella.»
«Ma io ho inseguito un'innocente per settimane,» sbottò finalmente.
«Non lo sapevi, come non lo sapevo io.»
«Non importa che non lo sapessi. Non ho mai odiato qualcuno come ho odiato lui... no, lei. È questo che mi tormenta. Quello che è successo, il burrone... volevo davvero ucciderla.» Abbassò la testa. «E quando l'ho riconosciuta...»
«Come sarebbe?» esclamò Wallace. «Quando l'avresti conosciuta?»
Max arrossì. Sperò che la barba lunga celasse il suo imbarazzo. Lo sceriffo stava aspettando una risposta.
«La sera prima di ripartire ero venuto qui a bere. Mi sono sbronzato per bene, tanto che non mi sono neanche reso conto che c'erano dei complici di Carson.» Wallace lo stava ascoltando, e lui si schiarì la voce prima di continuare. «Mi hanno portato fuori, e mi sono risvegliato nel vicolo. Una donna mi ha aiutato ad andarmene prima che quei tipi tornassero.»
«Fammi indovinare. La donna era Devon.»
Annuì. «Era vestita da... donna, appunto.»
Wallace si grattò un sopracciglio. «Ho quasi paura a chiederti cosa è successo dopo.»
Max si alzò. «Potremmo andarcene?»
Poco dopo erano sul portico davanti al saloon. Cornell si incamminò verso l'ufficio di Henry.
«Aspetta, Max.»
Si girò a guardare l'amico. «Che vuoi che ti dica? Mi ha salvato la vita due volte.» Si passò la mano fra i capelli. «Due volte,» ripeté. «La prima senza sapere chi fossi, la seconda...» Chiuse gli occhi. «Ho provato a chiederle di scusarmi, ma non ha voluto nemmeno stare a sentirmi.» Guardò Wallace. «Forse ha ragione. Le sono stato alle calcagna per settimane, senza darle tregua. Come un cane che insegue la lepre. E lei mi salva la vita, capisci? Prima qui a Cheyenne, e poi lassù, dopo averla quasi uccisa davvero. Mi merito il suo disprezzo.»
«Oh, andiamo,» sbuffò lo sceriffo. Gli mise una mano sulla spalla. « Non credo che ti disprezzi. È molto stanca e provata, ma una buona notte di sonno in un letto morbido aiuterà anche lei, vedrai.»
Non ne era molto sicuro, ma non lo disse.
«E, Max, quella notte di cui parlavi poco fa...» Wallace ammiccò. «Che successe poi?»
Deglutì. «Beh, io... lei...»
L'esitazione gli fu fatale. Henry spalancò gli occhi. «Mio Dio!»
Sospirò. Adesso si era guadagnato anche il suo disprezzo.
«Lo credo che non voglia parlarti!» esclamò lo sceriffo.
«Per cosa credi abbia tentato tante volte di scusarmi?» ribatté. Era al limite della sopportazione. «Quando credevo fosse un uomo, l'ho accusata di aver pagato una ragazza perché mi tenesse bloccato in città. Poi scopro che... che... Maledizione!»
«Che era lei quella notte,» terminò Wallace.
«Già.»
«E che cosa hai intenzione di fare?»
«Mi stai prendendo in giro?»
Wallace scosse la testa. «Niente affatto, la mia era una domanda seria. C'è la sua reputazione in ballo.»
«Finora lo sapevamo solo io e lei.» E Miss Belle, ma omise di dirlo.
Henry sorrise appena. «Fossi in te, penserei a come risolvere la questione.»
«E come?» Inarcò le sopracciglia. «L'unica soluzione sarebbe un matrimonio riparatore.» Non che la cosa lo entusiasmasse. Non aveva mai pensato a sposarsi, con la vita che conduceva. E farlo per dovere rendeva la cosa ancora meno appetibile.
«Infatti.»
Si mise le mani in tasca. «Ma mi ci vedi? Sposato, intendo.»
Wallace lo squadrò dalla testa ai piedi. «Fammici pensare... Sì.»
«Bell'amico. Ma se lei non mi parla, come posso solo pensare di chiederglielo?»
Lo sceriffo non rispose. «Hai un posto dove andare?» volle sapere.
«Potrei dormire in una delle celle.»
«Ce ne sono giusto due, e al momento sono occupate. Facciamo così. Tu adesso vieni a casa con me, e vai a dormire nella stanza sul retro. Di sicuro Lizzie ha preparato la stanza degli ospiti per Devon, quindi non dovrete neanche vedervi. Tutto chiaro?»
«No.» Dormire sotto lo stesso tetto con lei? Neanche per sogno.
«Max, non c'è niente di male. Lei è sotto la mia protezione, giusto?» L'amico gli strinse la spalla. «Hai bisogno di riposare e anch'io, ed è molto tardi. O così, o ti rimane solo la stalla di Petie.»
Capitolò. «E va bene, come vuoi.»

§§§

Nonostante fossero andate a coricarsi a tarda ora, Devon si svegliò presto. La luce era ancora grigia, ma dalla finestra poteva vedere i raggi del sole spuntare dietro le cime delle montagne.
Si alzò, prese la brocca posata sul tavolino e versò l'acqua nel catino. Sulla poltrona era appoggiato un vestito. La sera prima Lizzie gliene aveva solo parlato, ma vedere l'abito già lì significava che la signora Wallace era molto mattiniera, e che lei non si era nemmeno accorta che fosse entrata. Nonostante tutto, aveva dormito come un ghiro.
Lo indossò, era un po' abbondante in lunghezza, ma sempre meglio dei calzoni, e accollato al punto giusto. Rammentò l'abito che le aveva dato Belle e arrossì.
Di nuovo quei pensieri e Cornell.
Aveva raccontato tutto a Lizzie, alla fine. Le lacrime, il latte e i biscotti. E poi le parole, e ancora lacrime.
La donna l'aveva abbracciata stretta, ma non aveva detto una parola. Quando le aveva chiesto se ora l'avrebbe giudicata male, l'altra aveva riso.
“Per quale motivo? Lo hai salvato. Quello che è stato è stato. Però sarebbe meglio se vi chiariste in qualche modo.”
Non aveva davvero idea di come farlo. Il solo pensiero di parlare con lui la riempiva di disagio.
Uscì dalla stanza mentre i raggi del sole illuminavano la finestra e scese al piano di sotto. Sentì le voci provenire dalla cucina e vi si diresse, bloccandosi sulla soglia quando vide chi era seduto al tavolo.
«Buongiorno,» la salutò Lizzie andandole incontro. La prese per mano e sorrise. «Devo accorciare un po' l'orlo, altrimenti rischi di inciampare.» La tirò verso il tavolo. «Vieni, il caffè è caldo.»
«Buongiorno,» riuscì a dire alla fine, guardando lo sceriffo e Cornell seduti al tavolo. La stavano osservando come se le fosse spuntata un'altra testa.
«Buongiorno, Devon,» la salutò Henry Wallace. «Sei riuscita a riposare?»
«Sì, grazie, sceriffo.» Si sedette e Lizzie le mise davanti una tazza colma di caffè, un piatto di uova strapazzate e uno di biscotti. «Grazie,» mormorò.
Lizzie le accarezzò la spalla e tornò a sedersi.
Mangiare con quello sguardo puntato addosso fu difficile. Lo sceriffo e sua moglie stavano parlando, e Cornell beveva il suo caffè. E la guardava. Alla fine lo fissò negli occhi, finché lui non distolse i propri.
Lizzie scelse proprio quel momento per dire al marito che aveva qualcosa da fargli vedere e uscirono dalla cucina lasciandoli soli. Cercò di bere il caffè ignorando il battito forsennato del proprio cuore.
«State bene?»
Trasalì e lo guardò. Molto formale. Molto tranquillo.
Annuì. «Sì, sto bene. E... voi?»
Cornell alzò le spalle. «Bene. Più tardi Henry manderà un telegramma a Ballard per avvisarlo. Avete bisogno di qualcosa?»
Di cosa poteva avere bisogno? Soprattutto che non la guardasse così. «Un telegramma, forse. A Denver.»
«La vostra famiglia, certo.»
Non lo riconosceva in quella freddezza. «In realtà si tratta della mia governante e del vecchio sovrintendente.»
«È vero, vostro padre è...» Cornell si interruppe e lei annuì.
«Esatto. Mia madre è morta quando ero piccola.»
«Mi dispiace,» mormorò lui. Posò la tazza sul tavolo e si alzò, dirigendosi alla porta. Ma non uscì. Rimase fermo per un tempo che sembrò lunghissimo prima di girarsi e tornare indietro.
«Mi dispiace,» ripeté. «Davvero, per tutto. Vi ho dato la caccia, è successa quella cosa, poi... Non so che altro dirvi, Devon. Ho solo un modo per chiedervi perdono e riparare al danno, ed è chiedervi di sposarmi.»
Impallidì. Sposarlo. La parola reputazione le attraversò la mente. Ma certo. Non aveva pensato alle conseguenze e al futuro, ma non voleva sposarsi perché aveva commesso un errore. Secondo lei, sposarsi significava amare qualcuno, essere amata. Di sicuro non era il loro caso. L'aveva presa, complice una sbronza e un vestito troppo scollato, se ne era reso conto e adesso voleva fare ammenda.
Ma lei non aveva alcun desiderio di passare il resto della vita con un uomo che l'avrebbe odiata per avergli attraversato la strada facendolo inciampare.
«Vi ringrazio, ma la risposta è no.»
Alle sue parole seguì un lungo silenzio. Si rifiutò di alzare la testa, conscia della presenza al proprio fianco.
«Devon...»
Finalmente lo guardò. Negli occhi scuri c'era sorpresa, forse disappunto.
«Non ho bisogno di voi, signor Cornell,» sbottò. «Qualunque cosa sia successa, me la caverò. Credo di averlo dimostrato.»
Si alzò in piedi. Dovette reclinare il capo all'indietro per guardarlo negli occhi, ma tenne le spalle dritte.
«È la vostra risposta definitiva?» Serio e freddo.
Annuì, rigida. Cornell prese il cappello attaccato alla spalliera della sedia e se lo mise in testa.
«Buona giornata, Miss Stanley.»
Aspettò che uscisse dalla cucina prima di accasciarsi sulla sedia, le gambe improvvisamente molli.

§

Si fermò sulla veranda. Si era sforzato per farle quella proposta, era rimasto sveglio gran parte della notte pensando, riflettendo sul modo migliore per ripagarla di quanto aveva perso. Ma mai, durante le riflessioni notturne, avrebbe immaginato che lei potesse rifiutare. Era una proposta onesta, rispettosa. La migliore che potesse farle.
Ma Devon Stanley aveva detto di no, con uno sguardo tanto oltraggiato da farlo battere in ritirata. Che idea assurda aveva avuto. Cosa gli era saltato in mente?  Aveva davvero creduto possibile che una ragazza di buona famiglia potesse accettare un uomo come lui? Non era ricco, il suo lavoro non era ben visto, ma era una persona onesta.
Si aspettava che lei accettasse, almeno per vedere ripagare un torto. Ma il modo in cui lo aveva guardato, così altezzosa, lo aveva gelato. Peggio dell'inverno sulle montagne.
Eppure, quando era entrata in cucina con quell'abito addosso, i riccioli scuri che le accarezzavano il collo, i luminosi occhi verdi, l'aveva vista davvero come una ragazza. Fino alla sera prima gli era stato difficile. Il vederla com'era gli aveva dato il coraggio di farle la proposta.
«Maledizione.» Stava diventando il suo improperio preferito.
«Ah, sei qui, Cornell.» Wallace gli arrivò alle spalle, facendolo sobbalzare.
Si ficcò le mani in tasca. «Sono qui.»
Lo sceriffo lo affiancò. «Le hai parlato?»
«Tu e tua moglie non mi avete fatto un grande favore andandovene, poco fa,» sbottò. Gli bruciava. Non sapeva il perché, ma il rifiuto di Miss Me la cavo da sola Stanley lo offendeva.
«Le hai fatto la proposta?» Henry sembrava sorpreso.
«Non mi sembrava corretto rimandare ancora.»
Wallace lo fronteggiò. «Mi sembra di capire che non ti ha dato la risposta che ti aspettavi.»
Max distolse lo sguardo. «Infatti.» Aggrottò la fronte. «Ho fatto un errore, volevo rimediare. A quanto pare non le importa.»
Lo sceriffo gli diede una pacca sulla spalla. «Ti sei offerto, hai fatto un gran gesto. Adesso smettila di rimuginare. Devo parlare con il giudice e inviare il telegramma. Vieni con me?»
Cos'altro poteva fare? Gettò una rapida occhiata alla porta, ma nessuno uscì a chiamarlo. Sospirò. Era meglio così, rimaneva padrone di se stesso.
Ma, mentre seguiva Wallace verso le stalle, si chiese perché si sentisse  tanto amareggiato.

§

Lizzie la trovò seduta, pallida ma controllata. Le lacrime erano per i momenti di disperazione, di stanchezza. Ne aveva versate anche troppe la sera prima, e non era da lei. Era figlia di suo padre, tutta d'un pezzo. Tranne quando permetteva alle emozioni di raggiungere la superficie.
«Tutto bene, cara?» La signora Wallace le si sedette davanti. Sul viso della donna riconobbe curiosità e preoccupazione.
«Benissimo.» Accennò un sorriso. Cosa poteva dirle? Che aveva ricevuto una proposta di matrimonio dettata dal senso di colpa? Quello era un problema solo suo, e comunque era già stato detto tutto.
«Henry e Max sono andati in ufficio.»
Non le chiese se una volta rimasta sola con Cornell avessero parlato. Gliene fu grata.
Lizzie si alzò. Nonostante l'addome pronunciato si muoveva con grazia.
«Anch'io vorrei inviare un telegramma a casa,» disse Devon alla fine. Dopo tutto quel tempo, Beth doveva essere molto più che preoccupata.
«Ma certo. Avevo bisogno di prendere della stoffa, e poi potremmo fermarci alla sala da tè. Che ne pensi?»
«Mi piacerebbe.»

§

Il giudice Larabee uscì dalla zona delle celle e si fermò vicino alla scrivania.
«Se non ci fosse più di un testimone a confermare ciò che ha detto quel mascalzone, potrei pensare che tutta questa storia sia assurda.» Scosse la testa. «Un omicidio commissionato addirittura da Washington? Incredibile.»
Max annuì. «I documenti sono in mano a Ballard. Se poteste avere modo di leggerli...»
«Ritengo indubbio che le azioni di Carson fossero dirette a uno scopo, quello di uccidere lo sceriffo Ballard. Andrò a Casper per consultare questi documenti e sentire anche lui.» Sospirò e si sedette di fronte alla scrivania. «So che la testimone del tentato omicidio è in città, e che grazie a lei avete catturato Carson.» Congiunse le punte delle dita, guardando da lui a Wallace e viceversa. «Sarebbe possibile parlarle?»
Max fu tentato di rifiutare, ma poi si chiese che diritto avesse di farlo. Lui era niente per lei, tuttavia il senso di protezione che aveva sviluppato all'improvviso nei suoi confronti lo sorprese.
«Certo, giudice. È ospite a casa mia, posso mandare qualcuno a prenderla, se volete.»
«Sì, Henry, grazie. È una pura formalità, ma lei era a Casper quando Carson sparò a Ballard, senza contare che conosce perfettamente il contenuto di quei documenti.»
Wallace annuì. «Mando uno dei miei uomini...»
«Posso andarci io,» lo interruppe Max, staccandosi dalle sbarre del cancello che chiudeva l'accesso alle celle.
Henry fece un cenno d'assenso. Si diresse alla porta, ma una figuretta snella  fece la sua comparsa prima che potesse uscire. Con un cappellino sulla testa e uno scialle sulle spalle era riconoscibile a stento.
«Buongiorno,» salutò. Gli gettò un'occhiata ma distolse subito gli occhi, puntandoli oltre la sua spalla.
«Miss Stanley,»rispose, facendosi da parte per farla entrare.
Il giudice si alzò. «Miss Stanley?» Le andò incontro, e lei allungò la mano, cui venne dedicato un compito baciamani.
«Ho sentito parlare di voi, miss Stanley. Sono il giudice James Larabee. Lo sceriffo Wallace mi ha già messo al corrente di tutto quello che avete passato. Da parte mia, posso dirvi che ammiro moltissimo il vostro coraggio.»
Max alzò gli occhi al cielo, dopo aver visto Wallace nascondere un sorriso dietro la mano.
«Vi ringrazio, giudice.» La breve ala del cappellino gli celava l'espressione del volto, ma la voce era seria. «Sono solo felice di non essere più ricercata.»
«Mi scuso a nome di tutti per quello che avete passato, miss Stanley. Se c'è qualcosa che posso fare per voi, non avete che da chiedere.»
«Vorrei tornare a casa, se fosse possibile.»
Max le gettò un'occhiata. Richiesta più che legittima, ma la cosa gli diede fastidio lo stesso.
Il giudice tornò verso la scrivania. «Non posso accontentarvi, miss Stanley. Almeno finché non avrò ascoltato quello che lo sceriffo Ballard ha da dirmi.»
«Pensate che io possa entrare in questa faccenda?» Il tono era indignato.
Max sorrise sotto i baffi. La ragazza era un osso duro.
«Niente affatto,» si affrettò a negare Larabee. «Ma ho bisogno di ascoltare tutti prima di poter istruire un processo o di sottoporre la questione alla Corte Federale.»
«Capisco. Volete che parliamo adesso?» La voce era tornata gentile.
Il giudice assentì e prese i documenti. Lei gli passò vicino e ne approfittò per chinarsi e parlarle.
«Cosa ci fate qui?»
Gli gettò uno sguardo con quei suoi occhi luminosi. «Ero con Lizzie a mandare un telegramma quando William Stanton ci ha viste e ci ha detto che qui c'era il giudice. Ho pensato che fosse meglio incontrarlo adesso.»
«Ben fatto,» sorrise lui. Devon rispose al sorriso, sorprendendolo, prima di dirigersi alla scrivania dove il giudice attese che si sedesse prima di prendere posto.
Wallace lasciò il proprio posto e lo raggiunse sulla porta. «Come mai è qui?»
Glielo disse, ed Henry annuì. «Bene. Chissà dove è andata Lizzie.»
«Vuoi andare a cercarla? Rimango io.»
Lo sceriffo gli diede una strana occhiata, ma assentì. «D'accordo, ma se ci sono problemi chiamami.»
Lo guardò dirigersi verso i negozi, e riportò l'attenzione su Devon e il giudice. Anche lui la ammirava, non poteva farne a meno. Era stata davvero coraggiosa ad attraversare i Territori da sola, in mezzo alle montagne, sapendo di essere inseguita e in pericolo. Ne aveva conosciute di donne, ma per un capello fuori posto erano capaci di fare una scenata. Lei, invece, sedeva calma e tranquilla con un abito dall'orlo troppo lungo, un cappellino che non era il suo e i corti riccioli che sfuggivano ai nastri. Non riusciva a capirla, non del tutto.
Si ritrovò a guardarla negli occhi quando lei girò la testa nella sua direzione, in un momento in cui Larabee si era zittito cercando qualcosa. Si imbarazzò, l'aveva sorpreso mentre la studiava, ma lei ebbe un appena percettibile fremito alle labbra, quasi volesse sorridergli, e poi tornò a portare l'attenzione sul suo interlocutore.
Max represse un sospiro. Quella ragazza lo confondeva, ma non aveva alcuna intenzione di umiliarsi ancora come aveva fatto quel mattino. Però non poteva negare che era bella. Un ricordo improvviso gli affiorò alla mente, labbra morbide che si schiudevano sotto la pressione della sua bocca, un corpo sottile che si adattava al proprio alla perfezione. Chiuse gli occhi per un attimo, imprecando in silenzio contro la propria stupidità.
Il movimento della sedia lo riscosse. Devon si stava alzando e aveva teso la mano al giudice.
«Miss Stanley, grazie per il vostro tempo. Vi prego di portare ancora un po' di pazienza. Domani partirò per Casper e spero di tornare il prima possibile, così da permettervi di tornare a Denver. Sono certo di poter contare sulla vostra comprensione.»
«Naturalmente, giudice.» A dispetto dell'assenso datogli, sembrava contrariata.
Larabee la salutò, indossò il cappello e uscì dall'ufficio, dopo aver salutato anche lui.
«Mi dispiace che non possiate tornare a casa subito,» si sentì in dovere di dire Cornell.
Lei scrollò le spalle. «Me l'aspettavo, però...» Sospirò appena. «Non so quanto ci vorrà ancora.»
«Lizzie ed Henry sono contenti di avervi con loro.»
«Lo so, sono stati davvero gentili con me, ma mi sembra di approfittare della loro ospitalità.»
Max sorrise. «Scommetto che Lizzie è contenta di avere compagnia, soprattutto ora.» Perché lo stava guardando così? Sembrava sorpresa. Fu solo un istante, perché lei distolse lo sguardo. «Avete inviato il vostro telegramma?»
Devon annuì.
«Che altri programmi avevate, con Lizzie?»
«Andare in merceria e poi alla sala da tè.»
Allargò il braccio per offrirglielo. «Mi permettete di accompagnarvi?» Quando lei infilò la mano nell'incavo del gomito, chinò il capo verso quel cappellino vezzoso.
«Vedrete, questi giorni passeranno in fretta, e in men che non si dica sarete già sul treno per Denver.»
Negli occhi verdi fissi nei suoi passò l'ombra di un sorriso. « Siete un bugiardo, ma grazie lo stesso.»
Lui rise, lieto che il cipiglio sul suo volto fosse scomparso. «Andiamo a cercare Lizzie.»
Devon gli tirò il braccio e si fermò. «Che cosa c'è, miss Stanley?»
Lei teneva lo sguardo basso, poi alzò la testa. «Perché siete così gentile con me?»
Aggrottò la fronte, sorpreso. «Che intendete dire?» 
«Stamattina mi avete fatto una domanda.»
«E voi avete risposto di no,» terminò lui.
«Dovreste essere arrabbiato.» Sembrava confusa.
Max alzò le spalle. «Non sono tipo da covare rancore.» Al suo inarcare di sopracciglia, ammiccò. «Solo in alcuni casi. Vi va bene così? Vi ho fatto una proposta, era legittimo da parte vostra rispondere nel modo che ritenevate più opportuno. La cosa mi ha sorpreso, lo ammetto, ma dopo avervi visto trattare con il giudice, credo di aver capito di non avere a che fare con una – e perdonate il temine – donnetta isterica.»
La risata che accolse le sue parole lo fece vibrare e lo contagiò.
«Inoltre,» aggiunse, «credo di non avere mai conosciuto una donna in grado di affrontare tutto ciò che è successo come avete fatto voi.»
La mano sul suo braccio strinse appena la stoffa della camicia. «Sono stata abituata a cavarmela, signor Cornell. La vostra proposta era più che onesta ma...» Lo guardò negli occhi e arrossì appena. «Non avete tutta la colpa. Prima mi avete colta di sorpresa, ma ho avuto tempo per riflettere, e mi scuso se vi sono sembrata scortese o ingrata.»
«Lasciamo perdere, volete?» La conversazione stava prendendo una piega strana. «È finito tutto bene, ed è la cosa più importante. Carson e Cocklin sono dietro le sbarre e voi siete scagionata.»
«E gli altri due?»
«Gli altri due?» Max corrugò le sopracciglia.
Lei sembrava perplessa. «Quelli che vi hanno portato nel vicolo. Sulle montagne c'erano solo loro,» e indicò le celle con un gesto della testa. «E i loro complici?»
Max si sentì prendere dall'urgenza. Le strinse la mano posata sul braccio e si mosse verso il portico.
«Dobbiamo cercare Henry, venite.»

§§§

Avevano tenuto quello che poteva essere definito un consiglio di guerra. Lo sceriffo Wallace aveva istruito i suoi uomini, così da tenere la guardia alta se i due complici di Carson si fossero fatti vedere in città.
Lei purtroppo non era riuscita a vederli bene e non avrebbe potuto riconoscerli, ma si guadagnò comunque i ringraziamenti dello sceriffo e del giudice.
La partenza di quest'ultimo non fu rimandata, per fortuna.
Quella sera, sedute davanti a una tazza di tè, ne parlò con Lizzie.
«Spero che non perda tempo a Casper. Ballard ne sa quanto me e anche di più. Era presente quando intercettarono le armi in Virginia ed ebbe l'occasione di leggere i documenti.»
«Vedrai che tornerà presto,» rispose Lizzie. «Ma perché hanno aspettato tutto questo tempo per denunciare quel traffico?»
Scosse la testa. «Il babbo aveva già inviato dei messaggi a Washington per riferire la cosa, ma eravamo nel pieno della guerra, forse non hanno dato peso alla faccenda.»
«Oppure hanno cercato di mettere a tacere tutto,» terminò Lizzie.
«Già. Finché non ho aperto la cassaforte e scoperchiato il vaso di Pandora.» Strinse le mani intorno alla tazza. «Eravamo controllati, comunque. Anche dopo tutti questi anni.»
La donna le prese la mano. «Per fortuna hai accennato a quei due. Se dovessero trovare il coraggio di farsi vedere, Henry e i suoi li prenderanno. Vedrai, andrà tutto bene.»
Devon sorrise appena. «Sai, all'inizio mi sembrava un incubo. Speravo di svegliarmi da un momento all'altro, ma non è successo. Se invece di tuo marito avessi trovato qualcuno meno perspicace, sarei ancora sulle montagne a cercare di sfuggire a Cornell e Carson.»
«Se avessi mandato un messaggio anche a Max, penso che avrebbe capito,» le fece notare Lizzie.
«Peccato che non lo conoscessi.»
La notte in cui si erano incontrati non ci aveva neanche pensato. Quel pomeriggio le aveva dato manforte nell'esporre l'episodio, senza eccedere con il racconto: nessuno dei due voleva mettere a parte gli astanti della cosa successa tra loro, ma gli era stata grata, scoprendo che parlare con lui e iniziare a conoscerlo non le dispiaceva.
Lizzie si alzò in piedi. «Bene, tesoro. Credo che potremmo andare a dormire.»
«Mi rincresce di aver rovinato i tuoi progetti di stamattina,» mormorò.
L'altra rise. «C'è anche domani, Devon.»
C'era una cosa che voleva fare, ma non sapeva se Lizzie sarebbe stata d'accordo.
«Vorrei anche parlare con Belle.»
«Belle del saloon?» La signora Wallace la guardò sorpresa.
Annuì. «Mi ha prestato il vestito, ma si è... rovinato.» Arrossì un poco. «Volevo scusarmi e dirle che cercherò di ripagarla non appena tornerò a Denver. Al momento non ho molto denaro con me.»
«Troveremo il modo di parlarle senza rovinare la tua reputazione.»
Evitò di farle notare che la propria reputazione aveva avuto un brutto scossone, ma di quello erano a conoscenza solo in tre, e cioè lei, Max e Lizzie. Poi pensò a Wallace. Beh, forse in quattro.
Senza contare che essere scappata per settimane vestita da uomo non l'aiutava certo a mantenere la sua irreprensibilità.
«Inoltre c'è la taglia.»
Guardò Lizzie, perplessa. «Che taglia?»
«Quella su Carson. A dire la verità, prima era su di te.» La donna sembrava imbarazzata. «Henry ha cambiato i termini non appena siete tornati in città, in accordo con il giudice, e visto che sei stata tu a fermare Carson, quei soldi sarebbero tuoi.»
«Non lo sapevo.» Se avesse potuto averli, avrebbe ripagato Belle e dato una parte anche ai Wallace. Non le andava di essere ospitata senza offrire niente in cambio. Poteva lasciare anche una parte per Cornell. Aggrottò la fronte: chissà perché le era venuto in mente.
«A letto, ora,» la richiamò Lizzie. «Domani penseremo a tutto.»

FINE PRIMA PARTE

****
CHI E' L'AUTRICE

Nata in Svizzera nel 1971, Sarah Bernardinello vive in Veneto, in provincia di Rovigo, a pochi chilometri dal mare. Laureata in Infermieristica nel 2003, lavora come infermiera presso il reparto di Oncoematologia dell'Ospedale di Rovigo.
Lettrice vorace fin da piccola, con un'immaginazione fervida, ha cominciato a scrivere da ragazzina. Vince il Premio Romance 2013 dei Romanzi Mondadori con il racconto storico La signora del mare, e pubblica diverse opere in antologie.
A giugno 2015 è uscito il suo primo romanzo, Soltanto tu, edito da Delos Digital.  LO PUOI TROVARE QUI.


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8 commenti:

  1. Non vedo l'ora di leggere il seguito!!!! Bellissimo, e adoro la protagonista femminile. Un western parecchio romanzato, ma cmq bellissimo

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  2. Concordo con Alessandra.
    Ben scritto, bei personaggi, dialoghi vivaci, trama interessante.
    Un solo piccolo appunto che mi ha distrubato un po': se ho capito bene, la vicenda inizia quando Devon ha solo diciassette anni, e Max invece sembra molto piu' adulto. Forse la bacchettona che e' in me avrebbe preferito che lei non fosse cosi' piccola, anche perche' questo mi ha reso un po' poco credibile la naturalezza con cui affronta la prima volta con Max.

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    1. Effettivamente non è molto chiaro, ma credo che Devon avesse diciassette anni quando il vecchio amico Tom le raccontava diverse storie durante il periodo della guerra, che è finita da cinque anni... per cui al momento dovrebbe averne ventidue. Perlomeno io l'ho interpretata così :)

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  3. Grazie per l'apprezzamento, ragazze!
    @Alessandra: è e resta un romance, con una protagonista forte.
    @Eva: i fatti si svolgono a cinque anni dalla fine della guerra di secessione. Alla'epoca in cui prende il via il racconto, la protagonista ha 22 anni. I 17 sono riferiti a quando il padre, reduce dalla guerra, le raccontava degli aneddoti.

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  4. Scusate, ieri avevo risposto, ma devo avere un problema con la connessione :-(
    Intanto grazie per l"apprezzamento, siete davvero carine. Donatella ha risposto bene, Eva, mi spiace che non fosse chiaro a sufficienza. Siccome sono un po' bacchettona anch"io, non avrei mai fatto una protagonista giovanissima e il lui più vecchio, a meno che non sia ambientato in un'epoca più antica.
    Un abbraccio a tutte.

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  5. Simpatica questa sorta di "commedia degli equivoci" western, consorella Sarah. Leggerò al più presto la seconda parte per sapere se il "no" diventerà un "si" ;)

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  6. Ho sbagliato persino verbo, nella fretta. Scusate. Anonima Strega, sarai accontentata?

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  7. Bellissima storia divertente e romantica, mi sono piaciuti molto i personaggi e ora corro a leggere la seconda parte ahahah

    RispondiElimina

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