DESERTO E PREGIUDIZIO di Paola Gianinetto



Il sole era basso sulle dune, una palla di fuoco solitaria nell’immenso cielo del deserto.
Anna si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano e cominciò a risalire l’immensa duna, i piedi che affondavano nella sabbia finissima ancora bollente, nonostante il tramonto fosse ormai prossimo.
Era successo tutto così in fretta che ancora non riusciva a capacitarsi di essere davvero lì. Due giorni prima, la proprietaria dell’agenzia l’aveva chiamata per dirle che avevano trovato proprio quello che faceva al caso suo: un viaggio in un piccolo paese arabo che pochi conoscevano, una perla non ancora scoperta dal turismo di massa, a un prezzo stracciato. Queste ultime, a dire la verità, erano state le parole magiche che l’avevano convinta a preparare la valigia in fretta e furia e a salire sull’autobus che l’avrebbe portata a Fiumicino, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava facendo.
Un paio di mesi prima, spinta da un impulso improvviso, era entrata nell’agenzia di viaggi chiedendo alla donna al bancone di avvisarla quando si fosse presentata una vera occasione. Non le interessava la destinazione e poteva partire in qualunque momento, le uniche condizioni erano che si trattasse di un posto caldo e non troppo frequentato.
In realtà, si aspettava che l’avrebbero chiamata per proporle una settimana in un villaggio turistico a Sharm el Sheikh, uno di quelli in cui passi il tempo a sfuggire ai muscolosi membri del team di animazione che ti braccano come mastini per costringerti a fare aerobica in acqua o a partecipare all’elezione di Miss Villaggio, ed era già pronta a una lunga serie di rifiuti. Invece, dopo un silenzio durato quasi due mesi, era arrivata quella proposta che sembrava proprio quello che stava cercando. Al prezzo di un weekend lungo a Ostia in una pensione di terza categoria. Una specie di miracolo da prendere al volo, nonostante la sua situazione finanziaria al momento non fosse delle migliori La famosa crisi aveva colpito anche il settore delle traduzioni e l’unico lavoro che le era stato commissionato negli ultimi due mesi non bastava neppure a pagare la rata del mutuo dell’appartamento che si era decisa ad acquistare un anno prima in un piccolo quartiere vicino al Tevere.
Ma la sottile frenesia che l’aveva spinta a entrare nell’agenzia era ancora lì, più forte che mai. Il bisogno di respirare un’altra aria, di riempirsi gli occhi con una porzione di mondo che non aveva nulla a che fare con il suo. Così era partita e la sera prima la navetta dell’aeroporto l’aveva depositata nell’albergo che, pur essendo molto grande e relativamente anonimo, era ben lontano dall’assomigliare a un villaggio turistico. Lì ognuno si faceva i fatti propri, compresi i membri del personale che soddisfacevano solerti le necessità dei clienti senza pretendere in cambio neppure un sorriso. Anna aveva la sensazione di essere quasi trasparente, per loro come per gli altri clienti dell’hotel, e la cosa le piaceva: era lì per stare sola con se stessa, una compagnia che le piaceva e della quale ultimamente aveva fatto a meno troppo spesso.
Quel pomeriggio stava facendo una passeggiata nel coloratissimo mercato nei dintorni dell’albergo, quando un vociare multilingue aveva attirato la sua attenzione. Poco distante, una lunga fila di Jeep era parcheggiata lungo il marciapiede e un gruppo di autoctoni vestiti con abiti di tela chiara era affaccendato a distribuire la massa multicolore di turisti nei vari mezzi. Quello, si era detta, doveva essere il periodo degli impulsi improvvisi, perché senza esitare si era avvicinata a uno degli uomini col turbante e gli aveva chiesto dove fossero diretti. L’uomo, in un inglese approssimativo e grande sfoggio di sorrisi e ampi gesti delle mani, le aveva spiegato che si trattava di un tour notturno nel deserto e aveva sorriso ancora di più quando lei gli aveva chiesto se poteva unirsi alla comitiva.
«Oh, yesss! You can go, miss! It’s a beautiful, beautiful trip! The desert, the silence and a loooot of stars! We will give you all you need… a warm cape for the night, a sleeping bag… food… don’t worry miss, go, get into the car, miss, enjoy the magic of the desert! Go!»
Come resistere a simili raffinate lusinghe? Anna gli aveva consegnato un po’ di soldi, più o meno quanto avrebbe speso per una cena nella trattoria sotto casa, e si era pigiata su una Jeep in mezzo a un gruppo di turisti che a malapena si guardavano l’un l’altro, con la sensazione di partire per una grande avventura.
Avevano fatto una prima tappa, circa mezz’ora dopo la partenza, in un’oasi che sembrava uscita dritta dalle pagine di “Le mille e una notte”, e quando era risalita in auto Anna si era accorta che non era la stessa di prima: altri volti, altre voci, un altro autista bruno che guidava veloce e sicuro tra le dune. Non se n’era preoccupata più di tanto, perché tutto contribuiva a creare quella strana sensazione spersonalizzante che l’aveva colta da quando aveva messo piede in quel luogo: lei lì non era nessuno, nessuno la conosceva né si preoccupava per lei. Anna lo trovava esaltante, si sentiva come se il non essere nessuno le avesse permesso di fare tutto quello che voleva. Di essere chi voleva.
Arrancando nella sabbia, riuscì a raggiungere la vetta della duna e si fermò ansimante, piegandosi con le mani appoggiate alle ginocchia. Quando alzò la testa e guardò in basso, un brivido gelido la scosse e il sudore si trasformò in un sottile strato di ghiaccio sulla pelle accaldata.
Non c’era nessuno. Niente Jeep, niente autisti col turbante vestiti di chiaro, niente turisti vocianti. Era completamente sola in mezzo al deserto.
In maniera del tutto illogica si precipitò giù dalla duna correndo e inciampando, come se farlo avesse potuto cambiare qualcosa, far riapparire magicamente la carovana scomparsa, ma tutta quella frenesia ebbe come unico risultato quello di farla cadere rovinosamente a terra. Incapace di muoversi, Anna fissò a lungo le tracce lasciate dagli pneumatici delle auto, tentando disperatamente di mettere ordine nei propri pensieri, e a quel punto la sensazione di libertà provata fino a un attimo prima si trasformò in terrore.
Nessuno la conosceva. Nessuno sapeva che era lì, né il suo nome era scritto da qualche parte, nella lista dei partecipanti alla gita. Le coppie e i gruppi di turisti l’avevano a malapena guardata e gli autisti erano troppo impegnati a mettere ordine in quella chiassosa massa umana per accorgersi che un membro della numerosa comitiva mancava all’appello. Nessuno l’avrebbe cercata e lei sarebbe morta lì, consumata dalla sete. O punta da uno scorpione.
Oddio, questo no, ti prego.
Dopo aver imprecato contro se stessa e la sua irreparabile stupidità in tutte le lingue che conosceva, decise che lasciarsi andare all’autocommiserazione – o al desiderio di picchiare e magari uccidere se stessa – non sarebbe servito a nulla. Così si alzò faticosamente in piedi spolverandosi la sabbia dai pantaloni di tela color cachi e dalla maglietta bianca, e si diresse nella direzione da cui erano arrivati. Se c’era una cosa su cui non aveva dubbi era che il noto era meglio dell’ignoto: non aveva idea di cosa le riservasse il deserto davanti a sé e di certo non sarebbe riuscita a raggiungere le auto a piedi. Tornando indietro, invece, aveva una seppur minima possibilità di ritrovare la strada e il villaggio in cui sorgeva hotel. Avrebbe seguito le tracce delle auto e, anche se sarebbe arrivata a destinazione sfinita, ce l’avrebbe fatta.
Dopo poche centinaia di metri, le sue fragili certezze crollarono miseramente. Non solo il vento del deserto aveva già cancellato ogni traccia del passaggio umano, ma persino la conformazione delle dune le pareva diversa. Come nei mutevoli quadri di Escher, il deserto si trasformava sotto i suoi occhi e lei avrebbe vagato senza meta fino a crollare a terra sfinita e morire. Per quanto si sforzasse di essere ottimista, alla fine quello continuava a sembrarle l’unico possibile, spaventoso epilogo.
Ormai svuotata di ogni speranza, si costrinse a proseguire, scegliendo di scalare una duna particolarmente alta nell’illusione che dalla sommità avrebbe potuto scorgere qualcuno o qualcosa, in quell’immenso nulla. Giunse in cima e vide soltanto questo, il nulla. Un ricciolo biondo miele sfuggì dalla crocchia improvvisata in cui si era raccolta i capelli e le coprì parzialmente la vista offuscata dalle lacrime. Anna lo scostò bruscamente, furiosa non più contro se stessa, ma contro il destino. Le lacrime rigarono le guance impolverate dalla fine sabbia del deserto e lei non tentò di fermarle, perché anche se le accadeva molto raramente di piangere, quella era l’occasione giusta per farlo.
Sola, disperata, probabilmente quasi morta. Non c’era proprio nulla da stare allegri.
All’improvviso, tra le lacrime, avvertì un fugace movimento ai margini del suo campo visivo. Tirando su col naso, si affrettò ad asciugarsi gli occhi e vide sbucare da dietro una duna un uomo a cavallo. O meglio, supponeva si trattasse di un uomo, perché da quella distanza poteva vedere soltanto una massa scura indistinta. La gioia profonda che provò nell’avvertire la presenza di un altro essere umano fu così potente da asciugarle gli occhi all’istante e Anna si mise ad agitare freneticamente le braccia, con un sorriso enorme stampato sul viso. Chiunque fosse, quell’uomo era il suo salvatore, colui che l’avrebbe sottratta al suo crudele destino, restituendole il resto della vita cui si stava preparando a rinunciare.
Schermandosi gli occhi con la mano, guardò il cavallo fare una brusca virata quando il cavaliere si accorse di lei. Rimase immobile per un istante e il cuore di Anna si fermò, poi ripartì nella sua direzione, galoppando più veloce di prima. La sabbia sollevata dagli zoccoli avvolgeva la figura di un alone irreale, quasi fiabesco. Quando cominciò a salire la duna, riuscì a scorgere l’uomo a cavallo: era enorme e possente, stringeva le redini in una sola mano e con l’altra impugnava qualcosa che lei non riusciva ancora a vedere con chiarezza. Il turbante che gli avvolgeva il capo lasciava scoperti soltanto gli occhi, che anche a quella distanza apparivano profondi e magnetici. Anna sorrideva così tanto che la mascella cominciò a dolerle. Quell’uomo era magnifico, imponente, regale. Era un vero eroe. Il suo eroe.
L’uomo piantò i tacchi nei fianchi del cavallo nero come la notte, che scalava la duna a grande velocità. A quel punto, Anna riuscì a vederlo meglio, a distinguere i particolari della possente figura che stava per piombare su di lei. Quell’uomo era davvero enorme e imponente. Il suo sguardo, più che magnetico, ora le sembrava crudele. E l’oggetto che poco prima non aveva identificato era una lunga frusta di cuoio, che il cavaliere brandiva minacciosamente, come se avesse tutte le intenzioni di usarla.
Per l’ennesima volta in quella giornata maledetta, Anna si diede della stupida. Quel tizio era tale e quale a certi protagonisti dei romanzi rosa che ogni tanto le capitava di leggere, nei quali, nove volte su dieci, il predone/sceicco/principe del deserto rapiva la protagonista sola e sperduta per poi portarla nel suo cavolo di palazzo e rinchiuderla nell’harem.
Sulla realtà non era così esperta, ma supponeva che un predone in carne e ossa fosse dedito a fare appunto questo, predare. Il che significava che quel tizio gigantesco si sarebbe preso i quattro soldi che le erano rimasti nel portafogli dopo aver pagato per quel tour dell’orrore e, frustrato per il magro bottino, l’avrebbe certamente stuprata brutalmente per poi ucciderla. O abbandonarla moribonda in mezzo al nulla, il che era più o meno la stessa cosa.
Qualunque fosse la scelta tra fantasia e realtà, era comunque fottuta, visto che essere rinchiusa in un harem non rientrava neanche lontanamente tra le sue ambizioni.
Quando il cavallo frenò bruscamente, impennandosi a pochi metri da lei, l’eroe si era ormai trasformato nel cattivo della storia e, terrorizzata, Anna gli voltò le spalle e prese a correre più forte che poteva lanciandosi giù dalla duna. Sentì vagamente la potente voce dell’uomo che urlava qualcosa, ma la paura che le rombava nelle orecchie non le permise di distinguere le parole, che comunque non avrebbe compreso essendo senza dubbio pronunciate in una lingua barbara che non conosceva.
Era ormai arrivata in fondo alla duna quando di nuovo i piedi affondarono nell’infida sabbia e lei cadde a terra a faccia in giù. Girò su se stessa tossendo e sputando e appena si fu tolta un po’ di sabbia dagli occhi vide l’uomo che, smontato da cavallo, procedeva lentamente verso di lei. Le mani che teneva aperte davanti a sé le parvero artigli pronti a ghermirla. Indietreggiò di scatto, trascinandosi nella sabbia, cieca e sorda a qualunque cosa non fosse la sua paura, comprese le parole che ora l’uomo mormorava e che alle sue orecchie suonavano come insidiose minacce. Rendendosi conto che ormai l’aveva quasi raggiunta, cedette del tutto al panico, e iniziò a urlare.
«Non ti avvicinare, stammi lontano!»
Tentando istintivamente di riuscire a comunicare con lui parlò in inglese, lingua che conosceva quasi quanto la propria, ma lui non diede segno di aver compreso e continuò ad avanzare.
«Non osare toccarmi, maledetto selvaggio!»
Questa volta, l’uomo si fermò. Gli occhi, l’unica parte visibile del suo volto, si incupirono pericolosamente e lui smise del tutto di parlare mentre ricominciava ad avvicinarsi, questa volta con le braccia lungo il corpo e le mani strette a pugno. Quando si chinò su di lei, Anna tentò disperatamente di sfuggirgli scalciando e artigliando la stoffa della sua tunica, ma lui parve non accorgersene nemmeno. L’afferrò saldamente per la vita e se la caricò in spalla, per poi gettarla brutalmente a pancia in giù sulla sella e salire dietro di lei, spronando lo stallone al galoppo.
Costretta in quella scomoda posizione, Anna continuò a urlare istericamente per qualche minuto, finché la stanchezza e l’oppressione al torace schiacciato contro la sella ebbero la meglio e lei tacque, sfinita. Il dolore al petto le strappò un gemito e l’attimo successivo le mani dell’uomo la sollevarono, sistemandola seduta di fronte a lui. Anna sospirò, affrettandosi a immettere nei polmoni quanta più aria poteva, ma il sollievo fisico fu solo una goccia nel mare di terrore che la possedeva.
Cosa voleva quell’uomo da lei? Dove la stava portando? Che cosa le avrebbe fatto?
All’improvviso un’oasi di delineò all’orizzonte. All’inizio Anna si chiese se fosse un miraggio causato dalla sete e dalla spossatezza fisica e mentale, ma a mano a mano che si avvicinavano i contorni dell’immagine si fecero più definiti, finché lei riuscì a distinguere chiaramente nella fioca luce del tramonto i tronchi delle palme e le grandi chiome mosse dal vento. Il predone fermò il cavallo e scese, prendendola in braccio per farla scendere a sua volta.
Dagli alberi emersero tre uomini. Due di essi erano vestiti come lui, con gli abiti tradizionali dei beduini del deserto, mentre il terzo, pur avendo i tratti somatici degli abitanti del luogo, portava dei pantaloni di tela verde militare e una semplice t-shirt bianca. Tutti fissavano il suo rapitore con uno sguardo colmo di stupore, ma quando quello vestito all’occidentale aprì la bocca per parlare l’uomo che la teneva in braccio lo zittì con un cenno della mano e disse qualcosa in arabo.
Mentre parlava, l’espressione sul volto degli uomini passò dallo stupore al divertimento e infine a un truce cipiglio che provocò in Anna un nuovo brivido. Barbari, ecco che cos’erano. Selvaggi senza pietà né morale, e lei era completamente nelle loro mani. Un pensiero agghiacciante le serrò lo stomaco in una gelida morsa. Probabilmente il suo rapitore aveva intenzione di dividerla con loro. Quattro uomini violenti e crudeli avrebbero approfittato di lei, quella notte. Le lacrime si affacciarono di nuovo ai suoi occhi e lei le ricacciò indietro con un gemito, rimpiangendo amaramente di non essere morta di sete, o per il veleno di uno scorpione. Tutto era meglio di quello.
L’uomo smise di parlare e la portò fino all’ingresso di una tenda con il soffitto a punta, decorata con festoni dorati. Si chinò per attraversarne l’apertura, entrò e la depose su un morbido materasso ricoperto di stoffa azzurra cangiante. Rialzandosi, la sovrastò per qualche istante, poi le lanciò un ultimo sguardo cupo che la costrinse a rannicchiarsi tremante contro la parete della tenda e uscì, lasciandola sola.
Anna si guardò attorno in quella che era a tutti gli effetti la sua prigione. Il pavimento era ricoperto di un folto tappeto nei toni dell’azzurro e del blu su uno sfondo color avorio e grossi cuscini foderati di seta e broccato argentato erano sparsi ovunque sul pavimento e sul letto. Nel centro c’era un tavolino basso e contro una delle pareti un cassettone di legno intagliato. Dall’altra parte del letto un paravento di stoffa finemente ricamata era posizionato di fianco a una grande tinozza smaltata con complicati decori. Non potevano esserci dubbi sulla destinazione d’uso di quel luogo: l’avevano imprigionata in un’alcova, lo scenario ideale per trascorrervi notti di sesso selvaggio o per commettervi le peggiori nefandezze lontano da orecchie e occhi indiscreti.
Anna sobbalzò quando i lembi dell’ingresso della tenda vennero scostati per lasciar entrare uno degli uomini, che portava un vassoio con sopra una grande brocca, un bicchiere di cristallo con arabeschi dorati e piatti colmi di cibo, che posò sul tavolino. Tornò all’ingresso della tenda e rimase a fissarla truce finché lei non strisciò fino al tavolo e, vinta dalla sete, riempì d’acqua il bicchiere scolandolo fino all’ultima goccia. L’uomo indicò il cibo con il dito. Anna giudicò fosse meglio non farlo arrabbiare, prese tra le dita una piccola polpetta dalla forma allungata e se la portò alla bocca. Nonostante il sapore fosse buono, dovette masticare a lungo e fare diversi tentativi prima di riuscire a deglutire. L’uomo parve soddisfatto, fece un breve cenno del capo e, grazie al cielo, se ne andò.
Anna bevette un altro bicchiere colmo d’acqua, ma non toccò il cibo. Aveva la gola chiusa per la paura e sapeva che non sarebbe riuscita a ingoiare nulla. Guardò dentro la tinozza e vide che era colma d’acqua limpida e tiepida. Immerse le mani a coppa e si pulì il viso, il collo e le braccia, godendo nel lavare via la sabbia fine che era penetrata nelle orecchie, negli occhi e persino nei pori della pelle. Si tolse le scarpe e lavò anche i piedi, poi si asciugò con un telo ricamato che trovò vicino alla tinozza e tornò a sedersi nel centro del materasso, in attesa.
Per quella che le parve un’eternità, non accadde nulla. Incerta, si alzò e raggiunse l’ingresso, azzardandosi a scostare appena i lembi per sbirciare all’esterno della tenda. Fuori il sole era tramontato e il buio stava lentamente avvolgendo l’oasi e il deserto circostante. Non vedendo nessuno, Anna si fece coraggio e allargò l’apertura, finché non ebbe una visuale completa dell’area circostante la tenda. L’ingresso era rivolto verso una specie di tunnel tra gli alberi che dava direttamente sul deserto e attorno non c’era anima viva.
Inspirò con forza, terrorizzata all’idea di quello che stava per fare. Se avesse provato a fuggire e l’avessero ripresa, sarebbero stati arrabbiati con lei e questo li avrebbe resi ancora più brutali e violenti. Ma doveva tentare.
Sforzandosi di non fare alcun rumore, uscì dalla tenda e strisciò carponi fino alla fine della piccola galleria tra gli alberi, sporgendosi appena per controllare la situazione. Il deserto era davanti a lei, pieno di pericoli ma anche della tanto agognata libertà. Anna non si fermò a riflettere. Scattò in piedi all’improvviso e si mise a correre verso il nulla e lontano dall’orrore che l’aspettava se non fosse fuggita. Non ebbe neppure il tempo di chiedersi se ce l’avrebbe fatta, che due braccia forti sbucarono fuori da chissà dove e si strinsero attorno a lei, bloccandola. Ansimando, alzò la testa aspettandosi di vedere gli occhi neri e minacciosi del predone che l’aveva rapita e invece incontrò lo sguardo calmo e vagamente divertito dell’altro uomo, quello con il volto scoperto e i pantaloni verde militare.
Lui non disse una parola. La sollevò di peso e la riportò nella tenda, posandola a terra quasi con gentilezza, poi aprì il cassettone intarsiato, tirò fuori qualcosa e glielo porse. Anna lo accettò per un riflesso condizionato, ma quando vide cosa aveva in mano fu così sorpresa da lasciarlo cadere. Ai suoi piedi si raccolse un mucchietto di seta bianca e leggeri veli azzurro cielo, un abito da odalisca tempestato di una miriade di quelli che parevano minuscoli e luminosissimi diamanti.
Sconvolta, Anna fece un passo indietro, fissando negli occhi l’uomo che continuava a osservarla impassibile. Lui sembrava diverso dagli altri, meno selvaggio, più civile. Forse…
«Ti prego» sussurrò. «Lasciami andare.»
Lui non disse nulla, la sua espressione non cambiò di una virgola. Nonostante ciò, Anna decise di fare un altro tentativo. In fondo non aveva nulla da perdere.
«Tu non sei come lui» disse e stavolta l’uomo alzò appena un sopracciglio. «Non puoi lasciare che mi faccia questo. Ti scongiuro, liberami, non permettergli di farmi del male…»
A quel punto, incredibilmente, l’uomo sorrise. Un vero sorriso, anche se colmo d’ironia. Anna cominciò a pregare, ma le sue speranze si infransero miseramente quando lui raccolse l’abito da terra e lo distese con cura sul letto. Poi sorrise di nuovo, le voltò le spalle e lasciò la tenda.
Anna ne percorse nervosamente il perimetro, fermandosi ogni tanto a lanciare occhiate malevole al prezioso indumento che pareva fissarla, sfidandola, finché non sentì un rumore all’esterno e si allontanò di scatto dall’ingresso, rifugiandosi dalla parte opposta. Il telo venne scostato di nuovo e questa volta lui entrò nella tenda.
Più alto e possente dell’uomo che era appena stato lì, pareva riempire tutto lo spazio con la sua ingombrante e minacciosa presenza. Si era cambiato, ma i suoi vestiti erano molto simili a quelli che indossava quando l’aveva rapita, a parte il fatto che questi erano puliti e interamente bianchi. Compreso il turbante che, anche questa volta, lasciava scoperti soltanto i penetranti occhi neri, fissi su di lei come quelli di un falco sulla preda.
Anna era incapace di muoversi e persino di respirare, un topolino inchiodato dallo sguardo affamato del rapace in caccia. Tentò di abbassare gli occhi, ma non riuscì a fare nemmeno quello: lui la dominava con un solo sguardo, le impediva di fuggire, facendo schiava la sua volontà prima ancora che il suo corpo.
La voce squarciò il silenzio. Bassa, roca, insieme minacciosa e sensuale, al punto che Anna fu costretta a chiedersi se il gemito che le sfuggì dalle labbra fosse di paura o di desiderio. Lui disse poche parole in quella lingua sconosciuta, tanto aspra quanto musicale. E maledettamente virile. Mentre parlava indicò con la mano l’abito da odalisca e con un lieve cenno del capo le ordinò di indossarlo.
Neanche morta.
Anna strinse i denti e incrociò le braccia sul petto. Lui pronunciò qualche altra parola, questa volta più aspra che musicale, e le fece un altro inequivocabile cenno, molto più deciso.
Anna si fece coraggio e scosse la testa. Lui parve lievemente sorpreso, ma si riprese in fretta: ridusse gli occhi a due strette e minacciose fessure e disse ancora una parola. Una sola. Che, seppur incomprensibile, suonava come il più lapidario degli ordini.
Anna deglutì a vuoto, sollevò il mento e lo sfidò con lo sguardo. Lui rimase immobile per alcuni interminabili secondi, poi afferrò l’impugnatura della frusta che portava arrotolata alla cintura e, con consumata abilità, la fece schioccare in mezzo a loro.
Il sibilo letale che fendette l’aria risuonò nelle orecchie di Anna, riempiendola di un terrore così grande che si sentì come se il cuoio avesse davvero morso la sua pelle. Senza esitare corse accanto al letto, gli occhi fissi sulla frusta che giaceva lungo il fianco dell’uomo stretta nella grande mano, e cominciò a spogliarsi con movimenti frenetici, imprecando sottovoce metà in italiano e metà in inglese.
Quando fu nuda, non se ne accorse neppure. Non vide gli occhi neri che divoravano ogni centimetro del suo corpo, non sentì le fiamme che la bruciavano. In qualche modo riuscì a infilarsi il corpetto striminzito cosparso di abbaglianti pietre preziose, la lunga gonna fatta di veli concepiti per rivelare più che per coprire e poi si fermò, ansimando allo stesso ritmo furioso del suo cuore. Non sapeva che cosa fare delle proprie mani. Del proprio corpo. Di tutta se stessa.
Chinò il capo e attese che il suo destino si compisse, pregando che tutto finisse il più in fretta possibile.

 Hamad guardò la ragazza in piedi a pochi passi da lui. A differenza di molte delle donne del suo Paese, che quando indossavano abiti simili a quello erano pienamente consapevoli del loro potere di seduzione, lei appariva debole e sperduta, come se pochi pezzi di stoffa avessero avuto il potere di cancellare ogni traccia dell’impavido coraggio che le aveva visto brillare negli occhi poco prima, quando l’aveva sfidato senza preoccuparsi delle conseguenze.
Tremava come una foglia, aveva le spalle curve e le braccia strette attorno al corpo, per proteggersi da lui. Le dita artigliavano la sottile seta del corpetto e la mascella delicata era contratta: stringeva forte i denti per impedire loro di battere per la paura. Non lo guardava. Teneva lo sguardo rivolto a terra ed era un vero peccato, perché Hamad aveva una gran voglia di rivedere quei grandi occhi colore del cielo fissi su di lui.
Si mosse lentamente, un passo dopo l’altro. Si aspettava che lei tentasse di fuggire, ma non lo fece: rimase immobile, come se il suo corpo avesse smesso di ubbidirle, finché lui non le fu tanto vicino da sentire il suo profumo di sole, di sabbia e di vento. Udì il battito impazzito del cuore, i fremiti violenti del corpo sottile che quasi lo sfiorava. Avvertì il suo calore e in quel momento dentro di lui successe qualcosa.
La voleva con un’intensità tale da togliergli il fiato. Voleva baciarla, toccarla, leccarla fino a farla urlare. Voleva che le sue dita si aggrappassero a lui e voleva vederla tremare ancora più forte per la potenza del desiderio che avrebbe scatenato in lei, guardare il cielo nei suoi occhi diventare blu scuro quando l’avrebbe trascinata sulle vette più alte di un piacere che fino a quel momento non aveva mai nemmeno immaginato potesse esistere.
Inspirò profondamente per riacquistare il controllo ed evitare di strapparle di dosso quegli inconsistenti pezzi di stoffa, buttarla sul letto ed entrare in lei. Come un animale. Come un selvaggio. Alzò lentamente una mano e sfiorò con la punta delle dita la pelle liscia e arrossata della guancia. La ragazza trasalì come se l’avesse picchiata, ma lui non ritrasse la mano. Proseguì la carezza sfiorandole le labbra umide e tremanti, la curva della mascella. Infilò le dita tra i capelli biondi come il grano maturo, incredibilmente morbidi nonostante la sabbia del deserto, massaggiò dolcemente la nuca delicata e poi scese sul collo, così sottile che avrebbe potuto circondarlo con la mano. Posò il palmo sulla giugulare e sentì il cuore battere forte contro la sua pelle.
Lei era così calda, così viva. Rimaneva perfettamente immobile, lasciando che lui le facesse tutto quello che voleva. Hamad sapeva il perché. La ragazza aveva paura di lui e pensava che mostrandosi docile e arrendevole forse avrebbe evitato che le facesse del male. Si stava donando a lui, nella speranza di ottenere in cambio la sua pietà. Quel pensiero lo eccitò suo malgrado, ma allo stesso tempo avvertì una rabbia profonda, improvvisa. Le dita si avvolsero attorno al collo delicato e strinsero appena, senza farle male ma abbastanza da indurla a spalancare gli occhi per il terrore. Hamad mollò la presa, abbassò il tessuto bianco che gli copriva il volto e le sue mani scivolarono sulla schiena nuda di lei. Le braccia la circondarono, la bocca si impadronì della sua, la lingua forzò le labbra ad aprirsi.
Presto, troppo presto, si sarebbe fermato. Ma non prima di sostituire il terrore con il desiderio, di sentirla gemere per lui, di costringerla a implorarlo perché la facesse sua.

 Anna subì il violento assalto delle labbra senza muovere un muscolo, congelata dal terrore. Le mani su di lei erano state gentili, ma quelle labbra la violavano, come presto lui avrebbe fatto con il resto del suo corpo. Le mani la stringevano senza alcun riguardo, facendole sentire la durezza del petto marmoreo, l’inguine che premeva contro di lei in un chiaro gesto di dominio. Quell’uomo era un selvaggio ed era così che l’avrebbe presa: brutalmente, senza alcuna dolcezza, attento solo al proprio piacere.
Anna represse un singhiozzo, mentre una lacrima solitaria le scivolava sulla guancia e raggiungeva le loro labbra unite. Il sapore salato che le esplose in bocca agì come un magico elisir sulla furia del suo aggressore. Continuando a tenerle ferma la testa con la mano, si allontanò da lei di un soffio e si leccò le labbra. Un lampo di confusione si accese negli occhi neri, lui seguì con la bocca la scia umida sulla guancia, come a volerla cancellare, e poi la baciò con infinita dolcezza. Anna sentì le labbra ora morbide premere appena sulle sue, la lingua accarezzarle lentamente. Le mani, da morse implacabili, si trasfomarono in piume che sfioravano la sua pelle con una sorta di strana riverenza.
Senza accorgersene, socchiuse la bocca e lo lasciò entrare. La dolcezza di quel bacio, mista a una passione trattenuta ma non per questo meno evidente, indebolì ulteriormente le sue difese e fu con grande stupore che si accorse che le sue mani, le stesse che un attimo prima l’avevano graffiato tentando di respingerlo, erano scivolate sul suo petto. La pelle di lui era liscia e calda al suo tocco e ricopriva una distesa di muscoli duri come l’acciaio. Non protestò quando lui scese a baciarle il lato del collo, né quando la sua mano le scivolò sui fianchi, sul ventre, fino alla base del seno. Il pollice sfiorò il capezzolo coperto dal tessuto sottile, Anna chiuse gli occhi e non riuscì a trattenere un gemito.
In un lampo di consapevolezza, odiò se stessa. Quell’uomo l’aveva rapita, minacciata, spaventata. Non doveva lasciare che la adagiasse sul lenzuolo di raso azzurro, né che si chinasse su di lei per leccarla piano, attraverso la seta del corpetto. Sentì uno per uno i piccoli diamanti pungere contro di lei, accarezzandola, e il piacere fu tale da costringerla a inarcarsi verso di lui, priva della minima traccia di pudore. Ma non doveva. Non poteva permettere che la spogliasse, che baciasse ogni centimetro del suo corpo, adorandola con le mani e con la bocca. Non doveva provare un piacere così grande da impedirle persino di respirare, mentre lui le allargava le gambe e concentrava i suoi assalti lì dove lei stava bruciando per lui.
Anna gridò, quando l’orgasmo la travolse. Lasciò che lui la abbracciasse dolcemente per assorbire fino all’ultimo dei suoi brividi, accarezzandola piano, e quando tornò sulla Terra scostò la testa dal suo petto per poterlo guardare.
Sorrideva. Un sorriso incerto, appena accennato, come se avesse paura di quello che avrebbe visto nei suoi occhi. Si era tolto il turbante e alla luce delle candele lei poteva vedere quanto fosse incredibilmente bello. I capelli scurissimi erano spettinati, le labbra umide, e gli occhi identici al cielo notturno nel deserto: velluto nero acceso da migliaia di stelle. Che brillavano per lei.
Non doveva, non doveva, non doveva…
Aveva vissuto in punta di piedi, Anna, sempre attenta a camminare sul filo per non cadere da una parte o dall’altra del precipizio che le faceva tanta paura. Ma adesso non aveva più paura. Voleva lasciarsi andare, precipitare nell’abisso insieme a un uomo che avrebbe dovuto temere e odiare e che invece riusciva solo a desiderare con tutta se stessa.
Gli prese il volto tra le mani e lo baciò. Lui parve spiazzato dal suo gesto, specialmente quando lei cominciò a strattonargli la tunica, per liberarlo di quei vestiti che ancora li dividevano. Sorrise, e dopo un po’ le fermò le mani troppo frenetiche per riuscire nel loro intento, le sfiorò le labbra con un bacio e si sfilò la tunica in un unico fluido movimento. Anna sentì la gola seccarsi guardando il suo splendido corpo seminudo. Lo voleva, più di ogni altra cosa avesse voluto fino a quel giorno. E se lo sarebbe preso, perché rimanere in bilico è troppo faticoso e prima o poi bisogna pur saltare.
Armeggiò con la chiusura dei pantaloni di tela, ma questa volta lui la bloccò immediatamente. Anna alzò la testa, confusa, e lui si limitò a scuotere la testa. Negli occhi uno sguardo intenso, grave, con una punta di cupa amarezza, forse di rimorso. Anna lo baciò con forza, usando tutto il suo peso per costringerlo a sdraiarsi. Le sue labbra si posarono sulle spalle di lui, sul suo petto, la lingua tracciò linee di fuoco sulla sua pelle ambrata, finché non lo sentì gemere e vide le sue mani stringersi a pugno sulle lenzuola, nell’estremo tentativo di dominarsi.
Ormai incapace di pensare lucidamente, Anna tentò di nuovo di sfilargli i pantaloni e quella volta lui non glielo impedì, ma quando si mise a cavalcioni su di lui la afferrò per la vita e in un attimo invertì le loro posizioni. Anna sentì il respiro accelerare, il cuore battere ancora più forte, mentre lo guardava: sostenendosi sulle braccia ai lati del suo corpo, incombeva su di lei, un possente guerriero che pareva appartenere a un’altra epoca, a un mondo di cui lei aveva soltanto sentito raccontare. Come ubbidendo a una volontà superiore che non poteva contrastare, si spinse contro di lei e Anna istintivamente assecondò il suo movimento. Lui, però, si fermò. I muscoli tesi, il fuoco che divorava le profondità dei suoi occhi.
«Mi vuoi?» le chiese, in un roco sussurro.
Anna annuì, troppo sconvolta per rendersi conto che lui aveva parlato in inglese.
«Sei sicura?» le chiese ancora, la voce che usciva dai denti serrati, soffocata dal desiderio. Per tutta risposta, lei si aggrappò alle sue spalle e gli allacciò le gambe attorno alla vita.
Lui emise un suono a metà tra un gemito di dolore e un ruggito, poi entrò dentro di lei, fino in fondo. Anna spalancò gli occhi a quell’invasione e si godette ogni minima espressione sul volto di lui mentre cominciava a muoversi lentamente, assaporando ogni istante, e poi sempre più in fretta, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Per la prima volta in tutta la sua vita, comprese cosa significasse appartenersi veramente, diventare una cosa sola con un altro essere umano, lasciarsi cadere in un abisso senza fondo senza aver paura di farsi del male, perché lui era lì, con lei. Un selvaggio. Il suo selvaggio.
Quando tutto finì, non ebbe neppure la forza di aprire gli occhi. Temeva che tutto svanisse. Forse era stato solo un sogno. Forse aveva vagato nel deserto fino a perdere il senno e la mente pietosa aveva partorito quella fantasia per rendere meno spaventoso il momento della morte. Due braccia forti la strinsero e Anna si rannicchiò contro di lui con un sospiro. Se era così, avrebbe fatto in modo che quel momento durasse per sempre.

La svegliò un basso ronzio, una musica simile a un coro di gemiti accorati. Tastò le lenzuola accanto a sé, ma trovò solo il vuoto: lui se n’era andato.
Aprì gli occhi e si trascinò giù dal letto, cercò a tentoni i suoi vestiti, ma l’unica cosa che riuscì a trovare fu la tunica di lui, ai piedi del letto. Ansiosa di scoprire perché l’avesse abbandonata, se l’infilò alla svelta e uscì dalla tenda di corsa, ma mentre percorreva la breve galleria tra gli alberi inciampò nell’orlo della tunica troppo lunga per lei e dovette sollevarla con le mani per riuscire a camminare. Con il cuore in gola, giunse al limitare dell’oasi, e lo vide. Un profondo sollievo si impadronì di lei, mentre guardava la figura immobile seduta sulla cima della duna, contro l’immensa sagoma della luna che splendeva bianca nel cielo.
Lì, il suono che l’aveva svegliata era più forte. Una musica dolce eppure straziante, intrisa della più antica delle magie: il deserto cantava per lei.
Anna si arrampicò sulla duna, stringendosi addosso la tunica per proteggersi dall’aria fresca della notte. Lui doveva averla sentita arrivare, ma non si voltò. Rimase immobile finché lei non gli si sedette accanto, allora la circondò con un braccio e l’attirò a sé, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla. Indossava solo i pantaloni di tela, eppure non pareva soffrire il freddo: guardava fisso davanti a sé, impegnato in una conversazione silenziosa con il suo deserto.
Anna tacque a lungo, non osando turbare quel momento. La pace era assoluta attorno a loro e finché nulla fosse stato detto avrebbero potuto fingere di vivere in un mondo perfetto, dove contava solo quello che avevano provato quella notte l’uno tra le braccia dell’altra. Ma poi lui si riscosse dalla sua contemplazione e abbassò lo sguardo su di lei. All’improvviso, il silenzio divenne intollerabile e Anna si sforzò di trovare qualcosa con cui spezzarlo.
«Mi lascerai andare, domani?» gli chiese con un filo di voce.
Quando lui annuì, si rese conto di quanto avesse desiderato che le rispondesse di no. Con un sospiro, chiuse gli occhi e si riappoggiò a lui: la notte era ancora loro e se la sarebbe goduta fino in fondo. Voltò la testa e seppellì il viso nel suo petto, annusando il profumo speziato della sua pelle.
«Proveniamo da due pianeti lontanissimi l’uno dall’altro» sussurrò, «e dopo stanotte non ci rivedremo più. Ma io non ti dimenticherò mai.»
Lui non disse nulla, ma Anna non si sorprese. Non si aspettava che l’avesse sentita, né che avesse compreso le sue parole. Le aveva sussurrate a se stessa, al cuore che batteva contro la sua guancia e al deserto che continuava il suo canto.
Quello che accadde subito dopo, l’avrebbe ricordato per sempre. Lui l’abbracciò più stretta e cominciò a parlare.
«Il mio nome è Hamad e sono il terzo figlio dello sceicco Sultan bin Rashid Al Qasimi» disse in perfetto inglese. «Mi sono laureato a Oxford, ho conseguito un master in economia a Harvard e attualmente ricopro la carica di amministratore delegato alla AQ, la holding di mio padre che ha sedi negli Stati Uniti e in tutta Europa. Anche in Italia.»
Anna lo fissò a bocca aperta, incredula. Il mondo si era appena capovolto sotto i suoi piedi, la forza di gravità era scomparsa e lei galleggiava in un gigantesco paradosso spazio-temporale, senza trovare appigli. Nella sua confusione mentale, una sola cosa le era chiara: lui l’aveva ingannata. E faceva male.
«Perché l’hai fatto?»
Lui si voltò a guardarla, un angolo della bocca sollevato nell’accenno di un sorriso.
«Fatto cosa?» mormorò, mentre il suo sguardo scivolava sensuale sul corpo di lei, appena visibile sotto la tunica. Anna deglutì, a disagio. Il sofisticato uomo d’affari che la stava fissando non era quello con cui aveva fatto l’amore quella notte e per la seconda volta in poche ore lei si trovò a dover scendere a patti con l’idea di essersi concessa a un perfetto sconosciuto: il primo avrebbe potuto farle del male fisicamente, questo sembrava in grado di prendere il suo cuore tra le mani e spezzarlo con assoluta freddezza.
«Comportarti come un barbaro» rispose furiosa, «rapirmi, minacciarmi con la frusta, farmi credere che mi avresti…» la voce si spezzò, soffocata dalla rabbia e dal dolore.
 «Appena mi hai visto hai deciso chi e che cosa ero. Mi hai chiamato selvaggio. Ti ho solo dato quello che volevi.»
«Io non lo volevo affatto!»
Lui alzò un sopracciglio, esprimendo con distaccata eleganza tutto il suo scetticismo.
«In ogni caso» disse, con quella voce profonda colma d’ironia, «avevi bisogno di una piccola lezione sui pregiudizi.»
Anna si sentì sul punto di esplodere. Sapeva di avere le guance rosso fuoco e gli occhi lucidi per la rabbia trattenuta. Un patetico spettacolo di cui il signor amministratore delegato di Vattelapesca, che aveva studiato nelle migliori università del mondo e che – detto per inciso – era pure un principe, non poteva fare altro che ridere. Aveva così tanta voglia di prenderlo a pugni che le mani le prudevano, ma non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione.
«Chi sono gli altri» gli chiese freddamente, «quelli che erano con te?»
«Vecchi amici e mio cugino Rashid. È il mio braccio destro alla AQ e non sopporta gli abiti tradizionali, nemmeno quando torniamo qui in visita alla famiglia.»
«Lui lo sapeva, stava solo recitando, come te.»
Hamad si strinse nelle spalle, in un gesto di finto rimorso che fece a pezzi quel che restava della sua dignità pericolante.
«Ecco perché rideva di me quando mi ha ordinato di mettermi quel vestito» disse, amara. «A proposito, da dove è saltato fuori? Tu e i tuoi amici avevate predisposto gli oggetti di scena nell’attesa della prima turista stupida che vi fosse capitata sotto mano?»
Hamad scosse la testa. Sorrideva ancora, ma l’ironia era quasi svanita. Adesso la guardava come se avesse pietà di lei e questo era anche peggio, un colpo più doloroso di quanto Anna, provata da tutte quelle emozioni, potesse sopportare.
«Il vestito è di Susan, la moglie di Rashid» spiegò lui con calma. «Sono felicemente sposati da tre anni, vivono in un attico a Manhattan e hanno appena avuto un figlio, ma a lei piace ancora giocare a fare la schiava del sultano.» E arrivò al punto di farle l’occhiolino. Quel lurido bastardo arrogante, bugiardo e senza cuore.
Anna sentì che gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime e tentò disperatamente di scacciarle, perché anche se in minima parte lui non aveva torto – lei l’aveva giudicato senza dargli il tempo di mostrarle chi fosse veramente – quello che le aveva fatto non aveva scusanti. Non poteva crollare di fronte a lui, rendere il suo trionfo ancora più totale mostrandogli quanto profondamente l’avesse ferita. Ma, purtroppo, lei non era brava quanto lui a fingere.
«Non c’era niente di vero» sussurrò, senza nemmeno tentare di nascondere la profonda amarezza che provava. Sarebbe stato inutile. «Quello che è successo tra noi, stanotte. Avevi pianificato tutto fin dall’inizio…»
E Mister Camaleonte mutò di nuovo. Da selvaggio predone del deserto, a cinico magnate dal sangue blu, a…
Le prese il viso tra le mani con estrema delicatezza e la fissò dritto negli occhi. Ogni traccia di ironia era scomparsa, anche quella maschera era caduta. In quel momento era soltanto un uomo e quello che lei lesse nel profondo di quello sguardo così intenso da farla tremare sapeva tanto di verità. E voleva crederci. Voleva credere che fosse il vero Hamad a implorarla con gli occhi di fidarsi di lui.
«Dimmi il tuo nome» le ordinò dolcemente.
«Anna…»
«Volevo fermarmi, Anna» mormorò e il suo nome su quelle labbra fu per lei una musica ancora più magica di quella suonata dal deserto che li circondava, «giuro che avevo intenzione di farlo. Ma poi tu hai detto sì e mi hai guardato come se mi volessi esattamente quanto ti volevo io. Tanto da stare male. Allora non ho potuto lasciarti andare.»
Con la punta di un dito, le asciugò una lacrima che nonostante tutti i suoi sforzi le era scivolata sulla guancia.
«Ti prego, piccola, non piangere. Mi dispiace per quello che ti ho fatto.»
«Non è vero che ti dispiace.»
Lui sorrise. Senza ironia, né sufficienza, né pietà. C’era così tanta dolcezza in quel sorriso…
«No, hai ragione» ammise. «Lo rifarei un milione di volte.»
«Ti odio così tanto che vorrei picchiarti.»
Hamad rise piano accarezzandole le labbra socchiuse.
«Non tenerti tutto dentro, dolce Anna» sussurrò sensuale, «non ti fa bene. Sfoga tutto questo odio che sostieni di provare per me.»
Anna afferrò la mano che la accarezzava e la scostò bruscamente, fece per allontanarsi ma lui non glielo permise. Con un rapido movimento, la fece sdraiare sulla sabbia e fu sopra di lei.
«Fallo» la sfidò, «me lo merito. E poi, scommetto che picchi come una femminuccia, non me ne accorgerò nemmeno…»
Anna strinse le palpebre. Si rilassò sulla sabbia e quando lui lo sentì e allentò la presa, tirò indietro il braccio e lo colpì con un pugno in pieno stomaco, spingendolo via con l’altra mano per sgusciare da sotto di lui. Hamad emise un verso soffocato e scoppiò a ridere.
«Questa è una dichiarazione di guerra, ragazzina» disse, avanzando minaccioso verso di lei. «Ora niente e nessuno potrà salvarti.»
Prendendola per i polsi se la tirò addosso e caddero insieme nella sabbia, avvinghiati. All’inizio Anna lottò davvero contro di lui. Dentro di lei si agitavano così tante emozioni diverse e lui aveva ragione, aveva bisogno di sfogare tutta quella tensione, di sfinirsi fisicamente perché la sua mente potesse tornare lucida, afferrare il senso di quell’incredibile notte. Sempre che ce l’avesse, un senso. Lui si limitò ad abbracciarla mentre rotolavano giù dalla duna e poi, quando lei si stancò di colpirlo, fermò la loro corsa e la tenne sotto di sé, come per proteggerla.
Anna sentì le sue dita passarle delicatamente sul viso, per liberarlo dalla sabbia, e aprì gli occhi. Le si fermò il respiro quando vide che la stava fissando come se al mondo non esistesse nulla di più prezioso.
«Voglio un aggiornamento astronomico» disse lui sorridendo. «I pianeti sono un po’ più vicini, ora?»
Lei intrecciò le mani tra i capelli neri e lo tirò con forza verso di sé.
«Temo che stiano per entrare in collisione» sussurrò sulle sue labbra.
Quel bacio fu diverso da tutti gli altri, libero da bugie, paure, rimorsi e rimpianti. Fu una richiesta di perdono, una celebrazione di speranza. Nel giro di qualche secondo furono entrambi nudi e quella volta non ci fu bisogno di chiedere. Hamad entrò dentro di lei e rimase immobile, per permettere a entrambi di godere di quel momento perfetto. Anna non aveva mai visto niente di più bello dei tratti del suo viso sconvolto dal piacere che lei gli stava dando, di quelle labbra socchiuse, delle fessure degli occhi neri brillanti di stelle.
«Ho cambiato idea» mormorò lui chinandosi su di lei e sfiorandole le labbra, «domani non ti lascerò andare. Forse non ti lascerò andare mai più.»
Si tirò indietro e poi sprofondò di nuovo in lei, lentamente, in un primordiale gesto di possesso. Sotto la luna, il selvaggio era tornato e Anna si aprì a lui, per permettergli di prenderla ancora più a fondo.
Tutto attorno a loro, il deserto cantò la sua benedizione.

FINE

CHI E' L'AUTRICE
Paola Gianinetto vive a Torino e lavora da molti anni come adattatrice dialoghista per la televisione. Quando da bambina le chiedevano “Che cosa vuoi fare da grande?”, rispondeva “La scrittrice”, ma per lei era come dire “l’astronauta” o “la rockstar”. Anche da grande. Poi, un giorno per caso, ci ha provato, e non ha più staccato gli occhi dal computer finché non ha finito il suo primo romanzo.
La prima persona a cui l’ha fatto leggere le ha detto: provochi in me quella famosa sensazione di “vorrei abitare in quella storia”, un mix di sogno e nostalgia, non saprei esattamente, sprigiona calore. Allora ha capito che, comunque andasse, ce l’aveva fatta.

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40 commenti:

  1. Un'avventura che si trasforma in un incubo, che si rivela invece un sogno. Un bel racconto, magistralmente strutturato e assolutamente ben scritto che mi ha fatto provare un sacco di sensazioni. Brava Paola! Anche se continuo a preferire i tuoi principi azzurro sangue..!

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    1. Grazie Alessandra! I Principi sono sempre con me, ma è stato bellissimo scrivere questo racconto, mi sono divertita un sacco :)

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  2. Wow che romanticismo!!! Mi è piaciuto molto. Complimenti all'autrice che in poche righe ha scritto un racconto dove c'è tutto quello che può suscitare un incontro tra uno sceicco e una occidentale.

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    1. Sì, devo dire che mi sentivo parecchio romantica... ;) Grazie Iaia!

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  3. un amalgama perfetto di ironia e romanticismo... come è la nostra "Alice" d'altra parte...siamo ciò che scriviamo,no? ;)

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    1. Assolutamente sì Eli! Lo sai che ci vivo, nel Paese delle Meraviglie :)

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  4. Molto piacevole e romantico. Un racconto che sembra un lungo romance: è completo e per nulla affrettato. Complimenti davvero!

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    1. Anche se molti pensano il contrario, scrivere un racconto non è per niente facile, è sempre una sfida riuscire a dire tutto in poche pagine. Sono felice che ti sia piaciuto Micaela!

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  5. Bello! Mi è piaciuto molto!

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  6. Che romantico! Mi è piaciuto tantissimo, sono ancora qui a ridacchiare come una scema :)
    Grazie!

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    1. Meno male che fa anche un po' ridere, grazie Nimue! In un racconto del genere lo zucchero ci vuole, ma l'ironia non deve mancare mai, se no si rischia il coma glicemico :)

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  7. Sono stata in Egitto diversi anni fa e non ho mai dimenticato i colori e le atmosfere di quella terra bellissima....lo stupendo racconto di Paola Gianinetto mi ha fatto rivivere sensazioni lontane..
    È una storia magica e romanticissima quella che ha saputo creare, un incontro inaspettato e pieno di passione che mi ha fatto davvero sognare ad occhi aperti, un racconto al quale non manca proprio nulla, meraviglioso.

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    1. L'atmosfera del deserto è talmente magica che non è facile ricrearla con le parole... sono felice che tu l'abbia ritrovata nel mio racconto Alice, grazie di cuore!

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  8. Bene, che dire?! Questo racconto è magnifico, l'ho adorato! Voglio essere rapita anch'io da uno sceicco così! 😁 Le atmosfere sono così calienti e sensuali, perfette per una storia del genere. Voglio la continuazione! 😁 Proprio in questi giorni ho messo nella mia lista dei desideri la serie sui vampiri di questa autrice; questo fantastico racconto mi ha fatto venire ancora più voglia di leggerli. 😍

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    1. Grazie Alexandra, spero che i miei Principi Azzurro Sangue ti conquistino come questo racconto... sono "predoni" anche loro, in fondo :)

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  9. Wow!breve ma intenso..peccato sia solo un racconto,mi è piaciuto molto anche perché adoro il deserto 😍 complimenti per la bellissima storia😄

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  10. Bellissimo! Questo racconto mi ha stregata come il suo bel protagonista dal fascino magnetico. Ce ne fossero di predoni del deserto così!

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  11. Racconto magnetico e sensuale. Un'atmosfera sospesa, quasi magica che ti trasporta prepotentemente in un'altra realtà. Complimenti all'autrice. Mi è piaciuto veramente tanto. Hamad è magnifico: forte, risoluto, sensuale, protettivo, avvolgente, sensibile. Ce ne fossero di uomini così .... Per il momento non mi rimane altro che leggerli e sperare di incontrarne uno prima o poi. (meglio prima)

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  12. Una magia!!!
    Questo racconto è una magia.
    Li ho sentiti anche io i profumi del deserto, la sabbia finissima sul mio corpo e tra i miei piedi, l'arsura del giorno e il freddo della notte.
    Meraviglioso ♡
    Complimenti all'autrice!

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  13. Storia molto piacevole. Hamad magnetico ed estremamente sexy, Anna giovane donna prevenuta, ma chi non lo sarebbe al suo posto, comunque due personaggi sono ben assortiti.

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  14. Grazie di cuore a tutte per le vostre bellissime parole! E a LMBR per questa rassegna, perchè non si sogna mai abbastanza. Se qualcuna di voi dovesse farsi un giretto nel deserto e incontrare Hamad, fatemelo sapere ;)

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  15. Sarah Bernardinello09/08/16, 21:23

    Bello e magico. Un selvaggio principe laureato a Oxford e una donna nella quale i pregiudizi vengono sradicati con la forza della passione e di un amore nascente. Magnifico! Grazie, Paola.

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  16. Una fiaba bellissima che fa nascere il desiderio di averne ancora. Personaggi splendidi.
    Emiliana

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  17. Imprevedibile il colpo di scena e suggestivo lo scenario! Paola, poi ti racconterò una cosa divertente... :D :D :D
    Ornella Albanese

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    1. Ornella!! Non puoi dirmi una cosa del genere, sono troppo curiosa! Non vedo l'ora :D

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  18. Non so resistere al magico fascino del deserto e di un intrigante principe arabo. Complimenti per la nota di originalità in un genere che tende a ripetersi all'infinito.
    Visto che Hamad è ormai impegnato, come sono i due fratelli maggiori? :D

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    1. Niente male Emy, se vuoi te li presento. Eviterei l'erede primogenito, però, troppo complicato... :D

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  19. Ciao Paola :) Devo ammettere che questo tuo racconto é stato un vero e proprio caleidoscopio d' emozioni : intraprendenza ed ingenuità femminile, suspence, sorprese, divertimento, inaspettate rivelazioni, arroganza maschile; fino alla fine non ho saputo intuire che finale avrei trovato ;) Per non parlare della presenza tangibile d' un protagonista ASSOLUTAMENTE SENZA RIVALI : Il Deserto :D Tuttavia... non posso far a meno di pensare che l' unica pecca del tuo racconto sia proprio il titolo !!! E' parecchio fuorviante : Anna definisce " selvaggio " il suo salvatore in quanto ormai preda del panico, dopo essersi ritrovata sola ed averlo visto impugnare ed usare la frusta; se davvero fosse stata una persona con dei pregiudizi sulla cultura araba, non avrebbe di certo deciso di far un viaggio nel deserto ;) Detto questo... COMPLIMENTI

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    1. Forse, Mirella, ma non ho resistito: il giochino del titolo mi piaceva troppo :D Grazie mille per il tuo voto!

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  20. P.S. : ti ho appena votato ;)

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  21. Location affascinante :) trama magica e suggestiva ... che dire? il mio sogno, un principe del deserto tutto mio :)
    CryTrilly70

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  22. Proprio una bella lezione! :D
    Io ho trovato solo un po' difficile abbandonarmi alla storia quando entra nel vivo. Mi rimaneva un po' difficile credere all'attrazione di lei in una situazione del genere.
    (Del resto, da che pulpito faccio la mia predica! XD )
    Comunque un bell'intreccio, molto innovativo e bella anche l'ambientazione. ++

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  23. Bello.. il mio lieto fine preferito! Complimenti! :-)

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  24. per me questo è il più bello tra i tre che ho votato

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  25. il racconto mi è piaciuto mi ha fatto sognare spero di leggere ancora storie ambientate in paesi lontani.Elisabetta

    RispondiElimina

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