IL ROMANZO MISTERIOSO - DECIMA PARTE

SE AVETE PERSO LE PARTI PRECEDENTI, 
LE POTETE TROVARE QUI. 
NB: I capitoli sono presenti in ordine decrescente, quindi scrollate infondo per andare ai primi.

*Il contenuto di questo libro è adatto ad un pubblico adulto.*


CAP. 9

Il martedì in cui Eric venne rilasciato arrivò e passò. Pensai a lui quella mattina alle otto mentre andavo in macchina a Larkhaven per la mia giornata nel reparto pediatrico. Lo pensavo continuamente, alternando fitte di paura a morsi di pentimento. Il mio venerdì a Cousins fu triste, freddo, senza il calore della nostra storia a riscaldare un po’ la disperazione di quel luogo. Ma c’era, in qualche modo, un lato positivo in tutto quello.
Se Eric Collier voleva venirmi a cercare, sapeva dove e come farlo. Tenni d’occhio la strada mentre andavo a Cousins. Niente. L’osservai di nuovo mentre tornavo a casa nel buio della sera, scrutando di sbieco il ciglio della carreggiata. Per tutto il percorso fino a casa controllai se avevo macchine che mi seguivano. Niente. Mi guardai le spalle tutto il weekend, girando la testa al minimo suono durante il mio turno in biblioteca il lunedì. Ancora niente. Niente quella settimana, niente quella successiva. E mentre il mio panico si calmava, prendendo le forme più sbiadite di un misto di insensatezza e rammarico…
Iniziai a sentire la sua mancanza.
E mentre i giorni passavano, smisi di tenere d’occhio la strada. E iniziai a cercare.
Alle quattro e mezza di un lunedì, un paio di settimane prima di Natale, il sole era già calato oltre l’orizzonte. Salutai i colleghi e i pochi utenti della biblioteca che erano lì nonostante il brutto tempo e mi infilai guanti e cappello mentre mi dirigevo verso l’uscita. Non vedevo l’ora di tornare a casa per finire il mio shopping natalizio online.
L’inverno non sarebbe arrivato tecnicamente prima di una settimana, ma questo fatto non sembrava riguardare il Michigan. Il parcheggio era a un isolato di distanza, il marciapiede era stato in parte liberato dai rimasugli di una nevicata improvvisa caduta quel pomeriggio. Lo chiamavano Mix Invernale, quell’insieme di pioggia ghiacciata mista a neve. Come odiavo quel termine. Era troppo positivo. Doveva essere chiamato Mix Infernale, con tutti quegli strati di neve, neve sciolta e ghiaccio.
La coltre bianca e scintillante che copriva il prato all’ingresso della biblioteca era chiazzata di rosa dalla luce del tramonto. Un addetto alla manutenzione stradale stava facendo a pezzi lo strato irregolare e scivoloso, lasciato scoperto da uno spazzaneve, e lo frantumava servendosi di una specie di zappa. Dietro di lui un altro uomo spalava pezzi di ghiaccio da una parte e gettava del sale.
Lo spazio per passare era stretto e l’uomo con quella specie di piccone si spostò sulla parte di prato coperta di neve per lasciarmi passare. Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi scuri si spalancarono.
Mi fermai di colpo, rischiando di scivolare sul ghiaccio. La mano di Eric si allungò per tenermi in piedi, ma la ritrasse altrettanto velocemente, sembrava spaventato da quell’impulso.
Io rimasi a fissarlo con la bocca aperta e il cuore che mi batteva forte. Troppo Forte. «Oddio!.»
«Annie.» La sua voce. Il suo corpo. Tutto lui, proprio lì, davanti a me.
«Sei qui. Perche sei qui? Perché qui dove lavoro io?»
«Mi spiace. E’ quello che faccio. Vado dove mi mandano.»
Per un lungo momento rimanemmo semplicemente a fissarci, poi lui trasse un profondo respiro e sembrò calmarsi. Almeno uno di noi lo era. Avevo pensato a quell’uomo senza sosta per quasi un mese, potendolo vedere solo nei miei ricordi… dopo la nostra rottura, se si poteva chiamare così.
«Temevo che questo sarebbe successo,» disse. «Ti avrei avvertita se avessi saputo come. L’ultima cosa che volevo fare è spaventarti.»
Il mio panico si smorzò un po’, ma ero ancora fuori di testa con  l’adrenalina a mille. «Dio….»
«Scusa. Continua pure a…» con un cenno del capo indicò il resto del marciapiede, invitandomi a continuare per la mia strada. Potevo seguire l’invito o rimanere lì, paralizzata, così seguii il suo invito. «Grazie…» aggiunsi stupidamente. «…Per aver pulito il marciapiede. Stammi bene.»
E corsi via. Quasi letteralmente. Passai a fianco del tizio con la pala e il sale e svoltai in tutta fretta l’angolo che portava al parcheggio della biblioteca.
Arrivata sana e salva in macchina, girai la chiave e avviai il riscaldamento. Tenevo stretto il volante e controllavo il mio respiro, cercando di calmarmi.
«Era vero,» borbottai a voce alta, sorpresa dalla mia stessa voce.
Aveva davvero paura che succedesse. L’avevo visto nel suo sguardo. E durante il nostro incontro a Cousins era successo esattamente lo stesso. I suoi occhi, pieni di rimpianto, riflettevano le sue parole.
«Forse ha persino già iniziato a dimenticarmi,» dissi forte, facendo uscire una nuvoletta di fiato dalla bocca. Quel pensiero era come un pugno nello stomaco. Anche la mia reazione di poco fa lo aveva fatto sentire così male? Quel mio correre via che gli diceva Sì, ho paura di te. Aveva omesso tante cose, però, no, non aveva mentito. E io, gli avevo mentito inviandogli tutte quelle dolci parole per poi rimangiarmele tutte, alla fine? E il mio corpo gli aveva appena mentito, scappando e facendogli pensare che ero ancora spaventata quando nel mio cuore sapevo che non era così? Cazzo.
Avrei potuto tornare indietro.
E dire cosa? Non c’era nessuna domanda a cui riuscivo a pensare, e nessuna risposta che lui a sua volta avrebbe potuto darmi, in quello eravamo proprio fatti l’uno per l’altra. Ma andarmene a casa adesso, dopo tutto quello che era successo…
«Ma cosa sto facendo?» Sospirai, scuotendo la testa mentre spegnevo il motore. Misi la borsa su una spalla e tornai sui miei passi. Stava diventando buio e ora Eric e il suo collega erano poco più di due sagome indistinte davanti ai vetri illuminati della biblioteca. Il suo collega era a un quarto di strada dietro di lui, il che significava che avrei potuto rubagli qualche minuto senza rallentare il loro lavoro. Ma cosa gli avrei potuto dire?
Mi sa che lo scoprirò.
Oltrepassai di nuovo l’uomo con la pala e camminai in mezzo alla neve alta per superare Eric, poi mi voltai, le mani aggrappate alla borsa.
Lui alzò lo sguardo e si bloccò. Dio com’era bello. Avevo memorizzato e sognato di toccare quel viso un milione di notti nella solitudine della mia camera. Era esattamente come me lo ricordavo, solo illuminato ora dai lampioni e dalla luce del tramonto. Aveva i capelli coperti da un berretto di lana. La divisa blu era sparita, sostituita dai jeans e un giaccone nero. Quell’uomo che forse avevo conosciuto o forse no, con altri abiti, stava improvvisamente lì davanti a me, nel mio mondo di tutti i giorni. All’aperto.
«Ciao,» disse, incerto sul significato del  mio ritorno.
«Non hai intenzione di seguirmi, vero? Mai?»
Lui sgranò gli occhi ma scosse la testa.
«No.»
«Davvero pensi che abbia paura di te?»
Annuì, abbassano tristemente le palpebre.
Restammo per un momento a fissarci, il suono della pala del suo collega si avvicinava sempre di più, sottraendo tempo a quel momento privato.
Il mio sguardo cadde sulla bocca di Eric, sul suo mento. Riuscivo ad intravedere una parte del suo collo, arrossata dal freddo.
«Dovresti indossare una sciarpa.»
Lui accennò un tenue sorriso. «Sto bene.» Fece una pausa. Deglutì. Appariva nervoso, come se una guardia ci stesse osservando. Un’abitudine dura a morire, pensai, dopo cinque e più anni di incessanti controlli.
«Giuro che non sono qui di proposito,» mi disse di nuovo. Non ho molta voce in capitolo rispetto a dove mi mandano a lavorare. Desidero davvero che tu mi creda.»
«Ti credo.»
«Davvero?» chiese, con voce speranzosa.
Annuii.
Il sollievo gli fece rilassare le spalle. «Quando ti ho vista, ho pensato…oh, cazzo!Adesso crederà che le sto alle costole.»
E forse l’avevo creduto, anche se solo per un secondo. Ma non c’era bisogno che lo sottolineassi. Invece gli chiesi, «Come stai?»
Alzò le spalle, quelle sue ampie spalle nascoste ora dal giaccone ma impresse a fuoco nella mia memoria, abbronzate e lucide sotto il sole estivo. «Sto bene, immagino. Ho un lavoro e una casa.»
Gli osservai le labbra, era più forte di me. Hai baciato una donna da quando sei uscito? Non era difficile fosse successo. Non dopo tre settimane. Lui era bello, bruno e pericoloso. Magnetico. E io ero davvero così speciale, adesso? Mentre era dentro ero accessibile. Era stato quello il mio fascino, no? Una donna giovane, carina e accessibile. Una rarità in prigione, ma ora che era fuori, probabilmente di ragazze come me ne trovava quante ne voleva. Anche più carine. E che non gli avevano spezzato il cuore.
Fui travolta da una fitta di gelosia inaspettata che mi fece sussultare.
«E tu come stai?» mi chiese. «Sei ancora a Cousins tutte le settimane?»
«Sì. Sempre la solita storia. Ma…va bene se parliamo? Non ti faccio passare dei guai, vero? Non so proprio come funziona la libertà condizionata.»
«Va bene. Purché finisca quello che devo fare. E’ diverso dal lavoro esterno della prigione.»
«Sei un uomo libero.»
Fece una smorfia. «Più o meno.»
Mi strofinai le mani. Dopo che il panico era scivolato via, adesso il freddo cominciava a farsi sentire. «Quando finisci oggi?.»
Lui mantenne l’espressione neutra, a parte una tensione nelle sopracciglia, appena sotto il risvolto del berretto. Speranzosa, scettica o confusa, non riuscivo a capirlo. «Quando il marciapiede è pulito.»
« Per caso  ti va di prendere un caffè?»
«Con te?»
« Sì. Niente di serio, ma sì.»
« Mi piacerebbe,» disse annuendo leggermente, poi con sempre più forza. « Ho un paio di cose che vorrei dirti. L’ultima volta che abbiamo parlato, ho fatto un casino.»
Cos’altro è successo dall’ultima volta che abbiamo parlato? Sei andato a letto con qualcuna? Hai provato con qualche altra donna  tutte le cose che ci siamo scritti?Dio, solo l’idea mi faceva imbufalire.
«Vuoi che ci vediamo là all’angolo quando hai finito?» Gli indicai un negozio di ciambelle dall’altra parte dell’incrocio lì vicino.
«Okay, ci vediamo là.» Non sorrise ma qualcosa gli schiarì i lineamenti. «Diciamo tra venti minuti?»
Annuii e mi allontanai da lui, dirigendomi verso l’angolo.
Mentre aspettavo ordinai un tè, e la mia ansia era… sparita. Come se una coperta soffocante mi fosse stata sollevata da dosso.
Anche il vecchio senso di vertigine che avevo quando gli scrivevo quelle lettere, non c’era più da un po’, ma riuscivo di nuovo a respirare. Non mi avrebbe fatto del male, non come aveva fatto a quell’altro. Non come Justin aveva fatto a me.
Da dove ero seduta, vicino alla vetrina dell’entrata, riuscivo a vederlo, una sagoma scura intenta a fare il suo lavoro lungo quel tratto di strada. Finito il lavoro, lui e il suo collega sparirono, poi lui ricomparve, doveva aver lasciato gli attrezzi dentro a qualche veicolo non in vista, e si incamminò verso l’angolo. Lo osservai attraversare la strada, correre fra le macchine, le mani dentro le tasche. Vidi il suo viso materializzarsi alla luce della vetrina, i suoi occhi catturare i miei. La campanella della porta che tintinnava  e eccolo lì, davanti a me, alto e familiare.
Riuscii a sorridere quando scostò la sedia di fronte a me. Il suo giaccone era grigio scuro, non nero come avevo pensato, e mentre se lo levava mi chiese, « Allora, come sei stata?»
Alzai le spalle. «Bene. Ho solo lavorato. E contato i giorni a Natale, quanto potrò rivedere la mia famiglia.»
Lui fece un lungo cenno di assenso, lo sguardo fisso sulle miei mani o sulla mia tazza. Invece io osservai i suoi vestiti, quelli che aveva scelto per sè dopo anni con quella divisa blu addosso. Niente di stravagante. Un maglione di lana rosso da cui spuntava il collo di una T-shirt bianca. Stava bene in rosso. E stava davvero troppo bene in jeans. Mentre si toglieva il berretto di lana coperto di fiocchi di neve, notai che aveva perso la sua abbronzatura. Sotto l’accenno di barba e le sopracciglia e le basette scure, la sua pelle sembrava quasi pallida e i capelli altrettanto scuri, un po’ troppo lunghi come al solito, erano li stessi che avevo sognato di avere fra le mie dita. I suoi occhi marroni erano colmi di ogni emozione un uomo possa provare.
«Posso offrirti qualcosa?» gli chiesi.
Scosse la testa, sembrava nervoso. Come se non fosse venuto lì per un caffè e per fare due chiacchiere. Mi appoggiai allo schienale della sedia, lasciando che l’atteggiamento del mio corpo gli facesse capire che ero pronta ad ascoltare qualsiasi cosa avesse bisogno di dirmi.
Lui allargò le dita sul tavolo, lo sguardo fisso su di loro, e disse: «L’ultima volta che abbiamo parlato ho sbagliato a dirti che non mi pentivo di quello che ho fatto.»
Giocai con il filo della bustina del tè. «Se era la verità, allora non è stato un errore. Volevo la verità da te. Mi meritavo la verità. Soprattutto… soprattutto date le circostanze. Considerando quanto intenso era diventato il nostro rapporto.»
« Lo so. »
«E che quello che pensavo fosse vero, che non saresti uscito se non dopo molti anni… E’ stato abbastanza scorretto, non dirmelo. Mi fa piacere che tu non abbia usato mezzi termini quando mi hai detto del tuo… crimine. »
« E’ stato davvero stupido però dirti che l’avrei rifatto.»
« Lo rifaresti? »
Eric strinse le labbra.
«Lo faresti di nuovo» dissi, sorpresa di sentire esasperazione nella mia voce. Ero scocciata, ma non avevo davvero più paura.
« Non ho altra scelta.»
« Ma come pensi mi sentirei io, » gli dissi abbassando il tono della voce, « se il mio ex provasse a dirmi una cazzata così? Se mi dicesse che mi ha colpita perché non aveva altra scelta se non cedere ai propri impulsi o roba del genere? »
Eric mi guardava come se fosse stato colpito anche lui in quel momento, per un istante le sue iridi si contornarono completamente di bianco. Sembrava stare così male che mi spiacque aver reagito in quel modo e arrossii.
«Scusa. Forse sono stata un po’ dura… ma per quello che so, le due cose sono perfettamente paragonabili.»
I suoi lineamenti si addolcirono.
« Ti meritavi quello che ti ha fatto il tuo ex?»
« No.»
« Allora non è per niente la stessa cosa. Per niente. Il tizio che ho colpito si meritava tutto quello che gli ho fatto. Se non l’avessi fatto, non avrebbe mai compreso cosa l’aspettava.»
«Sei andato in prigione per avere l’occasione di capire la cazzata che hai fatto, » gli dissi. « Che hai fatto una cosa sbagliata. E sei uscito senza aver imparato nessuna lezione.»
Eric aggrottò le sopracciglia. «Sono diverso da come sono entrato.»
«Da quello che dici non sembra.»
Aveva le guance arrossate, ma non a causa del freddo. Però la sua rabbia o la sua frustrazione non mi spaventava. Non arrivava ai suoi occhi.
« Se fossi andato dentro e poi fossi uscito pensando che il tizio che ho pestato ha avuto più di quello che si meritava… se è questo quello che intende per riabilitato, allora non voglio nessuna riabilitazione. Chiama il mio agente per la libertà vigilata e fammi rimandare a Cousins, perché non mi pento di quello che ho fatto. Se avessi una macchina del tempo, non cambierei una virgola, a parte avere il buon senso di non dire al giudice che l’avrei ucciso se non mi avessero fermato. »
Rimasi a bocca aperta. « Hai detto così al giudice?»
Sembrò imbarazzato ma poi si irrigidì.
« Sì. Ero incazzato. E probabilmente era la verità.»
« Ma è così… assurdo.»
« Ero giovane e stupido. E presuntuoso. L’accusa voleva mandarmi dentro a vita, per tentato omicidio. Il mio avvocato voleva una semplice condanna per aggressione con arma impropria. Il giudice arrivò a un compromesso condannandomi per aggressione con intenzione di lesione personale, nonostante io da bravo testa di cazzo le avessi detto che volevo  quel tipo morto. Credette al mio avvocato, che fosse stato un crimine d’impeto. Che non ero in me. Ero arrabbiatissimo..»
« Non hai voluto dirmi il perché del tuo gesto. Cosa ti aveva fatto.»
« E continuo a non dirtelo. Cercalo, se vuoi, i media locali ne hanno parlato. Gioca alla detective se è quello di cui hai bisogno.»
« L’ho fatto… abbastanza da confermare quello che mi hai detto. Ma il perché è chiaramente personale. Non troverò le risposte che voglio in un vecchio trafiletto di giornale. Lo voglio sentire da te.»
Lui scosse la testa. « Ci sono ragioni alla base di quello che è successo che nessuno dovrebbe sapere. Se verranno fuori, non sarà a causa mia.»
Dio, com’era testardo. « Sei un uomo facile all’ira, Eric?»
Per un attimo lui prese in seria considerazione la mia domanda, poi mi guardò diritto negli occhi.
« No. Per niente. In realtà sono un tipo piuttosto sensibile. Più calmo della maggior parte delle persone.»
«La maggior parte delle persone non proverebbe ad ammazzare qualcuno a randellate.» Quell’affermazione mi tolse il fiato. Le mie parole erano contundenti  quanto la chiave inglese e sentirle mi aveva scioccato. Ero scioccata e stranamente elettrizzata per aver saputo dire come la pensavo  e aver mostrato un po’ di spina dorsale.
« Tutti si arrabbiano, se sai toccare il tasto giusto,» disse. « Quel tizio che ho picchiato ha spinto quel tasto con più forza di quanto sia sopportabile da chiunque. Ma mi sono fatto tre anni di lezioni di gestione della rabbia a Cousins e so come sono i figli di puttana arrabbiati. E come si comportano. E io non sono uno di loro, salvo in quell’occasione che mi ha fatto andare dentro.»
Volevo credergli. Davvero. Ma avevo voluto anche credere a Justin, tutte le volte che mi aveva promesso  di non farmi più del male. Avevo voluto credere di non essere quel tipo di donna che si lascia maltrattare da un uomo. Eric credeva in quello che stava dicendo, ne ero sicura. Ma le persone sono i peggiori giudici del proprio carattere.
Lui sospirò, fissando il piano del tavolo in mezzo a noi.
« E come se non fossimo mai stati niente uno per l’altra,vero? Tutte quelle cose che ci siamo detti…»
Anche sapendo che poteva essere pericoloso, gli sussurrai: « E intendevo ogni parola che ti ho scritto. Ho sentito tutto fino all’ultimo.»
Il suo sguardo incontrò il mio. « Non sembra, dal modo in cui mi guardi adesso..»
« Ma in quei giorni ti ho conosciuto in una situazione avulsa dalla realtà.»
« In che senso?»
« Sapevo… In quel contesto, ho conosciuto solo una parte di te. Un aspetto. E quello che c’è dall’altra parte è tanta roba: perché hai fatto quello che hai fatto e come ti senti a riguardo.»
« Mi stai dicendo che prima ti andavo bene, come una bella e lucida mela rossa, ma adesso che mi hai sbucciato e aperto sono troppo marcio per te?»
Aprii la bocca. La richiusi. La mia testa sapeva che quel paragone era calzante, ma il mio cuore non era d’accordo.  «Non è proprio così negativo. Ma tu… non so. Sei come… rosa e spine, o roba del genere. Una cavolata poetica di quel tipo.» Come il tipo di cavolate di cui mi ero nutrita fino a poche settimane prima.
«Pensi che sono come lui, vero? Pensi che se mi lasci abbastanza tempo, ti farò del male come ti ha fatto lui.»
Mi agitai sulla sedia, improvvisamente molto a disagio.
« Non so cosa penso.»
« Non sono il tipo che dopo un po’ diventa cattivo. Ma se qualcuno fa del male alle persone che amo, non mi limito a star seduto a guardare.»
Quell’affermazione mi fece aggottare la fronte.
Eric sembrò trattenersi. Vidi le sue guance imporporarsi e lui si irrigidì, estrasse di tasca un telefono cellulare e guardò lo schermo. «Mi devo incontrare con il mio agente per la libertà vigilata alle cinque e quarantacinque.» Si alzò per rinfilarsi il giaccone.
Mi si strinse lo stomaco. Dentro di me mi sentivo insoddisfatta, presa in giro da quella che era solo l’ombra di una spiegazione soddisfacente. Mentre Eric si infilava il berretto, guardai il suo collo, ancora arrossato dal freddo. Sciolsi la sciarpa dallo schienale della sedia. Era misto cachemire, di un ricco color verde bottiglia, e risaltava come un gioiello sul mio cappotto invernale color cammello, in contrasto con il  grigio e il bianco dell’inverno del Michigan. Mi piaceva davvero un sacco.
« Tieni, » dissi, allungandogliela.
Lo vidi accigliarsi.
Le diedi una scrollatina. « Prendila. Ne ho un’altra a casa.»
Con riluttanza Eric lasciò che gliela mettessi in mano. «Verde.»
Ti ho pensato quando l’ho comprata.
« E’ davvero morbida.»
« Usala. Hai il collo tutto screpolato.»
Le sue dita la stringevano ma la sua espressione era di pura diffidenza.
« Voglio che sia tu ad averla.»
Mi fissò diritto negli occhi. « Non ho bisogno della tua carità.»
« Non è carità. E’ una donna che dice a un uomo di non fare il testone. Prendila prima di prenderti un’infiammazione.»
Un sorrisetto, un sospiro.
« La prendo in prestito. Ma solo finchè non ci rivediamo. Per allora avrò la mia.»
« Bene.»
Trattenne il mio sguardo. « Succederà?» domandò. « Che ci rivediamo?»
« Non sono sicura.»
« Non dobbiamo…non dobbiamo essere come eravamo…nelle lettere. Possiamo essere anche solo quelli che eravamo oggi.»
Se ti portassi a letto, quale uomo saresti? Cazzo. Non intendevo pensare a quello.
« A meno che a te non piaccia come sono, » aggiunse in tono sommesso.
« Io non so chi sei, Eric. Ci sono cose che non mi hai detto, come il fatto che stavi per uscire. E perché hai fatto quello che hai fatto per essere messo in prigione.»
« Della prima cosa…sono responsabile io. Ma non posso dirti il perché della seconda, mi spiace.»
Sospirai, lo sguardo sulle sue dita che si flettevano mentre tastava leggermente la sciarpa.
« Dimmi solo questo, allora. Quello che ha fatto quell’uomo… era peggio di picchiare un essere umano a morte? »
Il suo sguardo, fisso sul mio viso, si mosse nervosamente da una parte all’altra. «Non è una domanda facile, Annie. Ma ha fatto molto male a una persona. Una persona che io amo e che non gli ha fatto nemmeno la metà del male che lui ha fatto a lei. Doveva rispondere a qualcuno per le sue azioni. E ha risposto a me.»
« Perché non ha potuto farlo con polizia?»
« Non sta a me dirlo.»
Strinsi forte gli occhi, ero stanca. Quando gli riaprii, lui sembrava avere la mia stessa stanchezza. Mi alzai in piedi. Lo osservai mentre si arrotolava la mia sciarpa attorno al collo, il cui verde acceso contrastava contro il suo giaccone scuro.
« Ti sta bene quel colore.»
Mi fece un sorriso fiacco.
« Ricordo che un tempo ero io a vestirti.»
Una vibrazione mi attraversò il corpo a quelle parole. Mi parlava come fanno gli amanti alla fine di una relazione. Con tristezza, affetto, accettazione. Era quello che eravamo, amanti? Senza esserci nemmeno mai sfiorati reciprocamente? La mia sciarpa stava ora accarezzando la sua pelle nuda più di quanto avrei mai potuto fare io.
« Ricordo che mi piaceva,» mormorai.
« Io sono ancora così. Sono ancora quell’uomo.»
Distolsi lo sguardo. Gli occhi mi si stavano riempiendo di lacrime e quello era un altro tipo di intimità che non ero pronta ad offrirgli.
«Guardami,» mi disse, in un soffio. E il modo in cui lo disse fece scomparire ogni rumore e ogni persona attorno a noi. Mi voltai. Aveva sollevato un’estremità della sciarpa e me l‘appoggiò sulla guancia.
« Mi piace questa cosa dei tuoi occhi,» disse con la voce piena di sorpresa. « Quando sono vicini a qualcosa di verde sembrano verdi. Come quel vecchio trucco dei ranuncoli. E’ come se assorbissero tutto il colore.» Lasciò ricadere la sciarpa. «Comunque adesso devo andare.»
Annuii.
Ci imbacuccammo per bene. Lui allungò un braccio e io lo precedetti verso la porta che tenne aperta per farmi passare.
« Grazie.»
« Sarò nelle vicinanze della biblioteca qualche volta,» disse. «Non posso evitarlo. Tutto dipende dal tempo e da dove mi mandano quelli del comune. Con i miei trascorsi e questa crisi, ho bisogno di andare ovunque il mio capo mi dica di andare. »
« Va bene. Non ho paura di te.»
« Davvero?»
Scossi la testa. « No. Penso di no.»
« Bene.»
Mi tremavano le labbra. Le serrai. Non capivo se ero sul punto di sorridere o di mettermi a piangere.
« Vuoi… il mio numero?» domandò. « Non devi usarlo. Ma ti piacerebbe averlo? O il mio indirizzo di posta elettronica?»
« Hai un’email?» Perché sembrava così surreale?
Annuì. « Mia sorella mi ha dato il suo vecchio portatile.»
« Ehm…va bene allora. Che male c’è.»
Cercò il portafoglio ed estrasse niente meno che un biglietto da visita. Eric Collier. Progettazione e manutenzione giardini. Lavori occasionali. C’era un indirizzo di posta elettronica e un numero di telefono. Era un uomo libero.
Lo feci scivolare infondo alla tasca del  mio cappotto.
« Grazie.»
« Magari ci vediamo in giro, Annie.»
Gli fissai le labbra mentre lo diceva, le guance in fiamme al ricordo di come avevo sognato di baciarle. « Ciao. Ci vediamo.»
Quelle labbra si incresparono in un piccolo sorriso, fece un breve cenno di saluto con la mano e si voltò dirigendosi verso la strada con la mia sciarpa attorno al collo che probabilmente aveva il profumo della mia crema idratante. Il suo biglietto da visita che avevo in tasca mi scivolò fra le dita coperte dai guanti.
L’uomo che mi aveva riportato alla vita, attraversò la strada, lasciandomi lì al freddo e al buio. Piena di desiderio.

*****

VI E' PIACIUTO QUESTO CAPITOLO? COME VI SONO SEMBRATI I COMPORTAMENTI DI ERIC E ANNE? AVRESTE PENSATO O VI SAREBBE PIACIUTO REAGISSERO DIVERSAMENTE?

APPUNTAMENTO ALLA PROSSIMA SETTIMANA PER UN CAPITOLO CHE... SI FARA' RICORDARE! NON MANCATE!



11 commenti:

  1. bello, bello.... direi che hanno bisogno ancora di parlare per conoscersi meglio e sono sulla buona strada
    per abbattere le barriere.... uff un'altra settimana di attesa per il seguito.......

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  2. Come primo incontro non mi è dispiaciuto, va bene per sciogliere il ghiaccio , vedremo come evolveranno. Nella caffetteria hanno solo grattato un pò la superficie del gelo che aveva creato il distacco, solo qualcosa è stato chiarito, speriamo vada sempre meglio per i protagonisti

    RispondiElimina
  3. Mi piace sempre di più, i due personaggi ti conquistano con le loro fragilità. Non vedo l'ora che cadano le barriere della diffidenza.... fremo con loro!!! Grazie ancora per il tempo che ci dedichi......Angela

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  4. Ah io adoro questo capitolo, il primo incontro da soli Anne e Eric... E lei che prima corre via e poi non ce la fa a lasciarlo andare..l'incontro al negozio di ciambelle e lei che gli dà la sciarpa..nemmeno si toccano quasi....tensione sessuale a mille! Si io adoro questo capitolo! Per non parlare di quello che segue!

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  5. Grazie per questo nuovo capitolo, un primo incontro direi realistico che mi lascia ben sperare per il proseguio... poi ti ci metti anche tu Francy x stuzzicare la curiosità! Maristella

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  6. Primo incontro perfetto perchè il timore di Anne è comprensibile e giusto. La tensione sessuale è a mille però nonostante tutto e si percepisce dalle piccole cose.....bello questo capitolo adesso sono curiosa di vedere come evolve il rapporto tra loro!

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  7. ...solo una domanda: perché nessuna casa editrice lo ha ancora pubblicato in Italia???
    Cristina G.

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    1. Bella domanda Cristina, il mio intento traducendolo era proprio farlo conoscere perchè magari qualche CE lo prendesse in considerazione...chissà. Per il momento non mi risulta. Forse perchè non tratta i soliti argomenti che vanno per la maggore al moneto,m questa è un'autrice molto particolare, con libri piuttosto diversi l'uno dall'altro, se leggete in inglese ve la consiglio sicuramente.

      Elimina
  8. Bello, intrigante, un primo incontro perfetto direi...che va approfondito. Non vedo l'ora di leggere il seguito.
    Monica

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  9. Ma ho perso qualcosa oppure non è ancora uscita l'undicesima parte?

    RispondiElimina
  10. ALTRI CAPITOLI???????

    RispondiElimina

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