IL NOSTRO 'ROMANZO MISTERIOSO' ORMAI NON E' PIU' MISTERIOSO. SAPPIAMO CHE SI TRATTA DI "HARD TIME" DI CARA MCKENNA, PUBBLICATO NEL 2014. MA NOI CONTINUIAMO A CHIAMARLO COSì...GUSTATEVI LA TERZA PARTE!
Cover dell'edizione UK |
CAP. 3
Quell’uomo mi perseguitava.
Avevo ripercorso con la mente la nostra conversazione
centinaia di volte quel fine settimana, scioccata e vergognosa
del fatto che lui fosse riuscito a venirmi così vicino. Che ci
fosse voluta una guardia lontana sei metri da noi per vederlo e rendersene conto, quando io
stavo seduta lì, vicina abbastanza da
sentire l’odore della sua pelle.
Ecco come fa, pensai. La sua era una seduzione studiata. Se non stavo
attenta, avrebbe trovato i nomi dei miei genitori o dei mie amici e mi avrebbe
fatto trasportare droga per lui entro un mese. Era così che funzionava
l’estorsione. In tivù, almeno.
Ma la cosa che mi toccò di più, riguardo a quello che era
successo, fu il modo in cui fece diventare verità conclamata un sospetto che avevo
da tempo : ero attratta dagli uomini poco raccomandabili.
Un fidanzato violento e una lacerante fulminea attrazione
sessuale per un detenuto che aveva fatto Dio solo sa cosa per essere messo
dentro…erano solo due, ma era più che
sufficiente. Non mi fidavo della mia libido più di quanto non mi fidassi di
Collier. Entrambi dovevano essere avvicinati come le creature pericolose che
erano.
Provai ad ammantare la mia ossessione con il velo della
praticità. Il lunedì feci una ricerca nella cantina polverosa della biblioteca
e trovai quello che mi interessava. Telefonai a Cousins e dopo essere stata
passata a tre persone diverse, fui messa in comunicazione proprio con Tasha. Le
feci una richiesta che mi fu approvata. Il venerdì successivo arrivai alla
prigione con una pesante borsa, il cui rivestimento in plastica lavorata era
diventato sottile a causa degli anni e della polvere. Dopo aver passato la perquisizione mattutina con Shonda,
lasciai cadere pesantemente la borsa sul banco delle reception davanti a Ryan.
« Ho avuto il permesso dalla guardia di sorveglianza di
portare dentro questa per il detenuto numero 802267.»
Ryan diede un’occhiata alla borsa e la aprì . «Va bene,
allora. La manderò su e dovrà passare attraverso una serie di controlli … si
spera che arrivi dove deve arrivare domani o dopodomani.»
Mentre Shonda e un suo collega mi scortavano dentro la lunga
sala ricreazione, non ero più spaventata come la settimana prima. Mi vennero lanciati sguardi, qualche verso o
parolina di apprezzamento e un allegro “Hey, Signorina Goodhouse!” da Wallace.
Non mi ricordavo tutto il protocollo, ma ero abbastanza sicura che rispondere
al suo saluto violasse qualche regola, perciò tenni lo sguardo fisso avanti e
la bocca chiusa.
Mi sentivo sicura di me stessa, per quanto era possibile,
finchè non passammo la stazione ottagonale al centro. Oltre a quella si entrava
nel territorio dei detenuti bianchi e fra di loro sedeva Collier, proprio come mi aspettavo. Stesso tavolo.
Stessa sedia, pensai, e stesso gioco di carte, anche se questa volta era
qualcun altro a mischiarle. Mi guardò e io guardai lui. Anche se guardare qualcuno in realtà prevede che
la persona stia facendo qualcosa e lui non stava facendo niente, perciò
suppongo che tecnicamente sia meglio dire che lo fissai.
Volevo fissarlo. Volevo studiarlo senza che nessuno vedesse, volevo
immergermi nello studio di quell’uomo che mi aveva colpito come nessun altro
prima. Era venuto da me nei mie sogni ogni notte, quella settimana… quelle
braccia , quelle mani , quella voce profonda e quegli occhi scuri come il
cioccolato fondente.
Avevo preso anch’io le mie cotte, avevo ventisette anni, dopo
tutto, ed ero stata con un certo numero di ragazzi. Ero stata infatuata, anche
se non così tanto come certe amiche della mia città sembravano essere. Non così
tanto fino ad ora. Sapevo esattamente perché.
E’ un poco di buono. Doveva esserlo se era chiuso lì dentro fra altri detenuti
per crimini come rapine, assalti, reati legati alla droga, stupri, omicidi.
Visto il menu, io speravo in una rapina e la cosa era patetica. Era un
criminale, non c’erano dubbi. Uno che si meritava la correzione, ma non il mio
desiderio.
Ed è un carcerato,
ecco l’altra ragione. Ecco perché lo desideravo. Perché era intoccabile,
l’impulso stesso era impossibile. Essendo
intoccabile, questa cotta, se di una cotta si trattava, è sicura. Perché il mio orecchio era
guarito e le mie ferite si erano rimarginate, ma il mio cuore era ancora troppo
spaventato per aprire la porta a qualcosa di reale.
Quello che il mio corpo sentiva per lui, però, era reale. Quell’attrazione mi
perseguitava sul serio. E quei sogni… Anch’io avevo fantasticato su di lui, su
una forma di contatto breve ma intenso. La sua bocca sul mio collo e le sue
parole che mi scaldano la pelle. Mi piace
il suo modo di parlare. Che cos’altro avrebbe detto se fossi stata sola?
Mi piace il suo modo
di…
« Meglio questa volta?» mi chiese Shonda, aprendo con la
chiave la porta che portava all’ala amministrativa. La settimana precedente,
quando mi era mancata l’aria, avevo a malapena registrato il fatto che stavo
lasciando la zona arancio, tanta era la voglia di scappare da lì.
«Molto meglio, grazie. Un po’ meno insicura, sai com’è. »
« Sì, capisco. Passa una buona giornata, Anne. »
« Anche tu.»
Gli incontri della mattina andarono bene. Ci furono un paio
di discussioni un po’ troppo accese ma niente che uno strillo dell’agente di
sorveglianza lì presente non potesse far smettere. Consegnai una copia di Io sto nei boschi a un detenuto che l’aveva richiesto la
settimana prima. Era stato il suo libro preferito quando era ragazzo e lo
voleva rileggere adesso per cercare di ricordarsi come ci si sentiva ad avere l’età di suo figlio. Mi disse che suo
figlio e la sua ex fidanzata non lo venivano a trovare. Non lo vedeva da quando
aveva quattro anni. La richiesta mi aveva toccato il cuore e gli consegnai il
libro in edizione economica come se gli stessi dando un lingotto d’oro, più
determinata che mai ad evitare di sapere per cosa questi uomini fossero dentro.
Il possesso di droga o il furto non mi spaventavano più di
tanto, sembravano reati impersonali. Atti di disperazione che si potevano
scusare. Ma se avessi sentito che uno per il quale avevo iniziato preoccuparmi
era stato messo dentro per violenza domestica, stupro o per aver abusato di un minore… C’era un
bel po’ di differenza fra aiutare qualcuno a scoprire il
proprio potenziale e sapere di cosa era
capace.
E se dovevo fronteggiare la seconda ipotesi, non potevo fare il mio lavoro.
Passai la pausa pranzo in ufficio, mangiando un sandwich al tacchino mentre guardavo fuori
dalla finestra, verso il cortile per
l’esercizio fisico. Era circondato su tre lati dai quattro piani della
prigione. Io ero rintanata in uno degli angoli, due piani sopra e forse nove metri dietro all’area dove gli uomini
facevano i loro esercizi, oltre alla rete di filo spinato.
Collier non c’era. Non all’inizio. Ma mentre affondavo i
denti nella mia mela, una sirena suonò e tutti gli uomini si diressero in fila
indiana fuori dal cortile. Un minuto dopo, il gruppo successivo fece il suo
ingresso. E i mie occhi lo trovarono con la stessa facilità con cui l’ago di
una bussola trova il nord.
Si muoveva con un gruppo di detenuti bianchi, ma se ne
staccò quando quelli si diressero verso alcune panchine e continuò da solo verso
la mia direzione. Un gruppetto di
detenuti di colore stavano già iniziando a fare esercizio con i pochi attrezzi disponibili
e lui si diresse a lunghi passi proprio verso di loro. Fece un breve cenno al più
grosso del gruppo, assicurandosi un tipo di permesso che non avrei mai capito.
Si tolse la maglia e la gettò appallottolata sull’erba secca e marrone.
Era splendido.
Il suo corpo mi tolse il respiro. Abbronzato, forte e fatto
da Dio.
Naturale che lo sia.
Cos’altro c’è da fare ? Le spalle possenti si
stringevano in una vita più sottile, ogni parte del suo corpo sembrava
scolpita, affilata e pericolosa, un corpo alto e forte, elegantemente avvolto
da muscoli e pelle. Sentivo cose che pensavo di aver solo sognato, era passato
così tanto tempo. Desiderio, desiderio in mezzo alle gambe. Un’urgenza che
scaldava ogni goccia di sangue dentro di me. Si mise prono per fare un paio di
dozzine di piegamenti, e Signore aiutami, immaginai il mio corpo sotto quel
corpo che stava pompando.
Una delle mie mani si alzò a sfiorare col palmo il vetro
freddo per toccarlo. La ritrassi di scatto.
Era diverso guardalo in quel modo, con lui che non mi guardava a sua volta. Senza la
paura, tutto quello che sentivo era l’attrazione. I pantaloni larghi gli
scendevano lungo i fianchi, facendo intravedere una sottile striscia grigia che
risaltava come argento sulla sua pelle abbronzata.
Erano boxer o slip? Mi chiesi, non sapendo nemmeno se i detenuti potevano
scegliere.
Aveva dei tatuaggi sulla schiena e su una spalla, ma non
riuscivo a vederli bene. Come la sua condanna, probabilmente non volevo i
dettagli. Non volevo mettere a fuoco e trovare una prova del suo crimine, o
scoprire una svastica.
O vedere il nome di
una donna scritto in corsivo dentro un cuore.
No, nemmeno quello. Lo ammisi. E nel farlo, mi allontanai dalla finestra.
Una parte di me si chiese persino se si sarebbe presentato,
quel pomeriggio, per la nostra piccola sessione di studio. Non ero stupida.
Sapevo cosa voleva un uomo quando ti fissava come faceva Collier. Voleva solo
starmi vicino, stare vicino a una donna. Vicino abbastanza da potermi annusare,
o spaventare, o sedurre. Non avrei saputo dire quale delle tre. Non mi
interessava saperlo. Tutt’a un tratto sperai che non si presentasse per Risorse
e per la Discussione sul Libro. E temetti che non lo facesse. Avevo troppe
paure che lo riguardavano , mi spaventava sia la sua vicinanza che la sua
assenza.
Non lo vidi tra gli uomini che entravano senza fretta per la
Discussione sul Libro una mezz’ora più tardi, ma quello non voleva dire niente.
Era un grosso gruppo. E il mio corpo stava vibrando, un indicatore di frequenza dentro di me si stava
posizionando su quella che stava velocemente diventando una frequenza
conosciuta.
La bocca mi si seccò, ma al diavolo. Mi buttai sul nuovo
capitolo.
Quando finì, chiesi all’aula se qualcun altro volesse
leggere quello successivo, qualcuno con una voce forte e squillante. Trovai un
paio di volontari e scelsi Wallace. Di certo le doti istrioniche non gli
mancavano; inoltre, se era lui a leggere, mi sarei risparmiata i suoi sagaci commenti.
Non usava la miglior grammatica quando parlava, ma leggeva molto bene, seduto
sulla mia sedia di fronte al pubblico. Io rimasi in piedi poco distante, rimuginando
tra me e me che argomenti usare per
innescare una conversazione.
Non volevo distrarre gli uomini dal racconto guardandomi
troppo intorno mentre gli altri leggevano, perciò mantenni gli occhi incollati
a zone neutre come i miei appunti, il pavimento ai piedi della prima fila, un
pezzo di muro nudo. In ogni caso quelle era la mia scusa. In realtà era solo
che non volevo sapere se ci fosse Collier . O più precisamente, non volevo che
la sensazione che mi sentivo dentro si confermasse vera. Non volevo vederlo e
capire che era vero che qualcosa dentro di me era sintonizzato su di lui.
Pronto ad accendersi quando lui era nelle vicinanze. E a quel punto anch’io mi
sentii accesa. Carica.
La discussione che seguì si scaldò molto rapidamente. Era
quello che avevo sperato, scegliendo
quel libro, che li interessasse, ma la cosa mi faceva ancora stare un po’ sulle
spine. Non conoscevo ancora del tutto i limiti dei loro sentimenti e che
impulsi ci fossero oltre.
« Se lui decide di non inseguirla», disse uno a proposito di
Nailer che si vedicava di Sloth, «allora non ci sono più regole a sto mondo. Al
loro capo non frega un cazzo. A nessun poliziotto frega un cazzo. Nessuna
conseguenza…»
«Lei ha subito delle conseguenze, » si intromise un altro. «
Lei adesso non ha più niente. Il libro, dice così in sostanza. Di come dovrà
poi vendere il suo corpo e balle varie. »
«Alzate la mano, » gli ricordai, ero tornata a sedere con le
gambe accavallate nel posto del narratore.
« Ecco un punto interessante: non c’è vera autorità dove sta
Nailer. L’autore sottointende che forse da qualche altra parte il mondo è
ancora civilizzato. La parte dove vivono le persone ricche. Avete qualche idea
in proposito? Sì.» Chiamai uno sul fondo.
Iniziò a rispondere ma io improvvisamente non lo sentii più,
perché proprio sulla sua sinistra sedeva Collier. Collier con la sua t-shirt
blu scuro e gli occhi ardenti. Lo fissai e lui ricambiò lo sguardo.
Riusciva a capire che lo stavo fissando? O c’era una pur piccola
possibilità che sembrasse che ero rapita dall’analisi del suo vicino?
Silenzio. Non avevo sentito nulla di quello che l’uomo aveva
detto. Non una sola parola.
«Interessante, » mentii. «Qualcuno vuole replicare? »
Chiamai uno molto lontano da Collier e concentrai la mia attenzione su di lui.
L’attività finì di lì a poco e io sorrisi mentre gli uomini
lasciavano pian piano la stanza. Incapace di resistere, guardai Collier
andarsene. Volevo sapere cosa faceva mentre raggiungeva la porta e lo scoprii a mie spese. Mi stava
guardando. Il suo sguardo era fisso su di me. Il centro del suo interesse. E
poi fu tutto il suo corpo a venirmi incontro, facendosi largo fra il resto dei
detenuti che stava lasciando la stanza. Lanciò uno sguardo alla guardia ed
ottenne un cenno di permesso, poi si fermò a qualche passo da me, con le mani
infilate in tasca.
Gli sorrisi per coprire il mio imbarazzo. Avevo lo strano
presentimento che lui sapesse che l’avevo guardato, un’ora prima. Che avevo
guardato il suo corpo seminudo al sole, mentre faticava in cortile.
«Buon pomeriggio, » gli dissi e qualsiasi tono autorevole la
mia voce avesse assunto durante la sessione di lettura se ne andò, le mie
parole erano stridule.
«Hey, ho ricevuto quella cosa che ha portato. »
« Oh, ha fatto presto. » Cazzo, riuscivo a sentire il suo
odore. Estate e sudore. Volevo leccargli il collo per sentire il sale sulla sua
pelle.
«Cos’è? » mi chiese. «Una macchina da scrivere? »
«Una specie. E’ un word
processor. Ha più o meno un milione di anni, ma pensavo che avresti voluto
usarlo, per far pratica con la scrittura.»
« Ha bisogno della carta? »
«La prende, ma dubito che facciano ancora nastri per quel
genere di macchine. Puoi anche solo usare il piccolo schermo, ti mostrerà cosa
stai scrivendo. Lo vedrai quando l’attacchi a una presa. Se l’attacchi a una presa. Non sei obbligato ad usarla se non vuoi.»
Stavo farfugliando.
«Non ci sono prese della luce nelle celle. »
«Cavolo. » Naturalmente non c’erano.
«Ma vedrò di usarla nella sala multimediale o da qualche
altra parte.»
«Collier… andiamo,» disse la guardia.
«Grazie.» Mi sussurrò. «Ci vediamo più tardi per quell’aiuto
di cui avevamo parlato. E ho una cosa da chiederle. »
Il mio stomaco emise un gorgoglio e le labbra non riuscirono
a formulare abbastanza velocemente una risposta. Se ne stava andando, la sua
imponente corporatura attraversò la porta e improvvisamente potei tornare a
respirare.
Una cosa da chiedermi? Ce n’erano così tante che avrei
voluto chiedergli a mia volta.
Cosa vuoi fare della
tua vita quando uscirai? Uscirai mai? Come sei, nel mondo di fuori? Come ti
vesti? Cosa ordineresti in un ristorante? Come ti avvicineresti a me, là fuori?
Con vane promesse? Con delle rose? Con una lama e una mano ferma?
Quando lo vidi, due ore dopo, durante l’attività di Risorse,
non gli feci nessuna di queste domande. Trovò un posto vuoto e rimase
pazientemente a sedere. Avevo perso il coraggio e lo evitai. Continuai a
lasciare che la mi attenzione fosse attirata da qualcun altro dei presenti e lo
lasciai ad aspettare. Ma quando mancavano solo venti minuti alla fine della
giornata, non potei ignorarlo oltre. Attraversai la stanza, facendo scorrere la
sedia davanti a me.
«Ci rivediamo,» dissi fermandomi ma senza sedermi. « Mi
spiace per l’attesa. Sei pronto a fare la nostra chiacchierata? »
«Se ha tempo, » rispose lui tamburellando con la punta di
una matita sul tavolo.
« Ne ho ancora un po’.» Mi misi a sedere di fronte a lui, chiedendomi
a che distanza fossero le nostre scarpe.
«Allora, a proposito di quella macchina che mi ha dato…la
ringrazio, ma non riesco a scrivere bene.» Fece segno di battere i tasti con
due dita.
«Oh, non preoccuparti per quello. Scommetto che metà degli
universitari scrivono a macchina con non più di due, tre dita. Basta solo che
ti abitui ad usarla, a scrivere qualcosa tutti i giorni.»
«Scrivere cosa? »
«Qualsiasi cosa vuoi.»
Mi lanciò un sorriso e
fu sufficiente spezzare quel poco di presa che riuscivo a mantenere sul
mio ruolo e a mandare a quel paese il mio controllo. Gli guardai le labbra
mentre parlava.
« Sono cinque anni che mi viene detto esattamente cosa fare e quando e dove e quanto velocemente farlo. Mi
deve dire cosa scrivere, se no non comincio nemmeno.»
«Ah, va bene allora. » Cinque
anni. Per cosa?
«Se hai bisogno di un compito, potresti impiegare diciamo
venti minuti ogni sera a scrivere cosa ti è successo quel giorno. Non
preoccuparti della punteggiatura, il word
processor sistemerà la maggior parte dei problemi con l’ortografia e le
maiuscole. Abituati solo a trovare le lettere con le dita e con gli occhi.
Lavora per prima cosa su quello, e poi forse con il tempo metteremo a punto un
piano insieme per iniziare ad occuparci della tua scrittura a mano. La disgrafia è una cosa complicata.
Non mi sembra che tu abbia avuto molto aiuto a scuola. »
Lui scosse la testa. «Nessuno mi hai mai nemmeno detto che
avevo quello. Dicevano che avevo la dislessia.»
« Sono un po’ diverse. La dislessia è spesso un problema di
percezione, chi l’ha ha problemi a leggere perche le lettere sembrano spostarsi
o disporsi in modo diverso. »
«A me non succede. »
«Infatti. Però quando cerchi di scrivere, le tue dita non
riescono a ricordare come si formano le lettere. »
«Sì, esattamente.»
«Ma non hai problemi a copiare. »
Collier sorrise. « Non sarei arrivato in seconda superiore
senza copiare.»
Ricambiai il sorriso, tristemente. « Beccato! Beh, non è mai
troppo tardi per iniziare. Fai come ti ho detto, cerca di scrivere per una
ventina di minuti ogni sera. Ti stupirai di quanto diventerai veloce ad usarla
la prossima settimana. Torna a trovarmi e decideremo con cosa continuare. »
Gli consegnai alcune fotocopie di testi e opuscoli sulla
disgrafia.
«Grazie. Adesso potrebbe…ehmm…potrebbe aiutarmi a scrivere
una lettera…a qualcuno?» Me lo chiese in
modo un po’ formale, con un tono umile che mi colpì, visto che mi aveva chiesto
aiuto e io glielo avevo dato senza giudicarlo. Poi aggiunse con un filo di
voce: «Una lettera personale. »
Era un richiesta legittima e piuttosto comune durante l’ora
di Risorse. Controllai l’orologio. « Possiamo almeno iniziarla. Però ho solo
venti minuti.»
Fece un cenno d’assenso. «Ha un foglio?»
Estrassi un quaderno dalla borsa, perfettamente rilegato,
non di quelli a spirale, vista la terrificante gamma di arnesi letali che
sembra si possono costruire con un metro di filo di metallo. Mentre mi dava la
matita, i nostri polpastrelli si sfiorarono per un attimo, la sensazione veloce
e bruciante come una scarica elettrica.
«Va bene, inizia.»
«Tesoro,» iniziò a dettare Collier con un tono di voce che
solo io potevo sentire. Il suo sguardo corse in alto a fissarsi nel mio. «Dovrebbe
iniziare così.»
Tesoro, scrissi. Un fiotto acido mi inondò lo stomaco e nemmeno io ero abbastanza illusa
da fingere di non sapere perché. Cazzo, stavo scrivendo una lettera d’amore
alla sua… chi sa cosa. Moglie? Ex? Molestata? Bene. Se quello non mi avrebbe
fatto passare quella stupida cotta, nient’altro ci sarebbe riuscito. Gli
guardai il braccio, ma la manica gli copriva il tatuaggio che avevo visto dalla
finestra dell’ufficio. Che nome poteva nascondersi là sotto?
Datti un contegno.
«Continua,» gli dissi.
«Mi sei mancata dalla tua ultima visita.» Mentre parlava,
mentre le sue parole prendevano forma scritta con una facilità che lui
probabilmente non avrebbe mai avuto, Collier mi fissava la mano. L’atto mi
sembrò stranamente e intensamente intimo.
«Solo pochi minuti alla settimana con te è quasi più difficile
che non vederti per niente, » continuò. «Mi manc…»
«Aspetta.» Finii di scrivere fino a dove era arrivato. Lo
sentii irrigidirsi per fastidio o impazienza, e non potei biasimarlo. In fondo
ero una sconosciuta a cui aveva chiesto di trascrivere i suoi sentimenti in un
luogo dove era tanto pericoloso mettere a nudo le emozioni quanto scoprire un
punto sensibile.
«Okay, continua.»
« Mi manchi ogni minuto che stiamo lontani. E tengo d’occhio
l’orologio ogni mattina quando penso di poterti rivedere.» Si fermò un attimo,
in attesa che la mia mano facesse lo stesso. «Mi manca il tuo profumo. Sa di erba e primavera. Non c’è molta erba
qui. Mi manca il tuo viso…e il tuo modo di sorridere, a volte. Voglio essere io
a farti sorridere così.»
«Mi manca la tua voce. Il tuo modo di parlare.»
Mi piace il suo modo
di parlare. Da dove viene?
Il serpente nel mio stomaco rallentò le sue contorsioni,
cambiò direzione, attorcigliandosi lentamente.
«Vorrei poterti vedere lontano da qui.» Lui appoggiò gli
avambracci sulla scrivania, sporgendosi più avanti, parlando con voce ancora
più sommessa. «Vorrei potessimo stare insieme…come non sto con una donna da
cinque anni. A volte, quanto ti vedo… a volte non riesco nemmeno a sentire
quello che dici. Tutto quello che riesco a fare è fissarti la bocca. Ti guardo
le labbra e penso di baciarti, quando sono solo di notte. Anche se non sono mai
davvero da solo di notte, qui. Ma immagino di esserlo…solo io e te. Penso alle
tue labbra e a baciarti. E a altre cose.»
…altre cose, gli
fece eco la mia mano. Avevo il collo in fiamme, come scottato dal sole. Le
guance mi bruciavano. I miei abiti larghi sembravano legati addosso.
« Qualche volta ti guardo le mani,» continuò, fissandomi le
mani. «Ti guardo le mani e le immagino…su di me.»
Stavo tremando, e lui lo vedeva sicuramente. Le sue parole
sul foglio si erano fatte irregolari , stringevo la matita fra dita esangui.
«Mi immagino...»
«Penso che sia meglio finire qui,» dissi in un soffio di
voce.
«Ma abbiamo ancora tre minuti.»
«Sì ma questa sta diventando… non sono sicura sia
appropriato che io scriva questo genere di lettera per te.» E non sono sicura sia appropriato il modo in
cui mi stia facendo eccitare. Per niente sicura.
«Va bene. Tanto più o meno è quello che volevo dire.»
«Bene. Posso…posso fartela spedire. Se hai il suo
indirizzo.»
Lui sollevò di scatto quel suo sguardo scuro dalle mie mani
ai mie occhi e io sussultai, un calore intenso si stava diffondendo troppo
rapidamente nel mio corpo. Per un attimo rimase solo a fissarmi, non c’era
niente di freddo o malvagio nei suoi occhi…sembravano solo volermi dire
qualcosa.
«Non so il suo indirizzo,» rispose sommessamente.
Tremai. Avevo le mani ghiacciate, la gola stretta. Mi
sentivo lo stomaco caldo, pesante, rivelatore.
La sua attenzione si spostò sulle mie mani.« Forse può
tenerla lei per me. Fino a quando non mi viene in mente.»
«La posso lasciare a te.» Strappai con attenzione il foglio
lungo la perforazione, ma lui scosse la testa.
«La tenga lei,» ripetè. «Sono cose molto personali. Non sono
il tipo di pensieri che uno desidera
possano essere letti da chiunque.»
Abbassai il foglio, che svolazzava nella mia mano tremante e
lo riposi nel quaderno.
«D’accordo.»
«Non l’ho firmata.»
«Oh...»
Accennò al quaderno, accigliandosi. Glielo passai sul piano del tavolo, insieme
al foglio e alla matita. Fu il mio turno di fissargli la mano mentre scriveva
con cura, lentamente, due brevi parole. Poi rifece scivolare tutto dalla mia parte.
«Grazie...» I suoi occhi si abbassarono verso il mio petto,
ma era il mio tesserino di riconoscimento su cui posarono la loro attenzione,
non il mio seno. «Annie.»
Lo disse a voce bassa, più un soffio che un suono, come se
mi stesse dicendo un segreto.
Signorina Goodhouse, avrei dovuto dire, ma l’unica
correzione che mi riuscì di fare fu «Anne.» I mie genitori mi chiamavano Annie,
e le mie zie e i miei nonni e un paio di amiche intime, ma solo loro. Non
quest’uomo di cui non sapevo nemmeno il nome di battesimo. I cui crimini non
desideravo sapere. I cui desideri avevo appena scritti con dita tremanti. «Ci
vediamo la prossima settimana.»
E se ne andò, dirigendosi a lunghi passi verso la porta.
Questa volta senza voltarsi indietro.
Riposi la lettera nella mia borsa, non osando vedere cosa
aveva scritto.
Non la guardo. La tengo
chiusa nel quaderno senza leggerla e se la prossima settimana parleremo e lui
non avrà l’indirizzo, la getterò via. La brucerò. Qualsiasi
cosa fuorchè leggerla.
La lessi in macchina. Appena il mio sedere toccò il sedile del guidatore, le mani andarono alla borsa ed estrassero il foglio,
con dita tremanti.
Tesoro,
mi sei mancata dalla
tua ultima visita. Solo pochi minuti alla settimana con te è quasi più difficile
di quanto valga la pena.
Mi manchi ogni minuto
che stiamo lontani. E tengo d’occhio l’orologio ogni mattina quando penso di
poterti rivedere. Mi manca il tuo profumo, sa di erba e primavera. Non c’è
molta erba qui. Mi manca il tuo viso, e il tuo modo di sorridere, a volte.
Voglio esser io a farti sorridere così. Mi manca la tua voce. Il tuo modo di
parlare. Vorrei
poterti vedere lontano da qui.
Vorrei potessimo
stare insieme come non sto con una donna da cinque anni. A volte, quanto ti
vedo… a volte non riesco nemmeno a sentire quello che dici. Tutto quello che
riesco a fare è fissarti la bocca. Ti guardo le labbra e penso di baciarti,
quando sono solo, di notte. Anche se non sono mai davvero da solo, di notte,
qui. Ma immagino di esserlo, solo io e te. Penso alle tue labbra e a baciarti.
E a altre cose.
Qualche volta ti
guardo le mani…ti guardo le mani e le immagino su di me.
Tuo
Eric
*****
COSA PENSATE DI QUESTA QUARTA PARTE? ANCHE VOI STATE PENSANDO A CHI POTREBBE ASSOMIGLIARE ERIC COLLIER? ASPETTO I VOSTRI COMMENTI.
NEI PROSSIMI GIORNI UNA NUOVA PARTE DA LEGGERE!
non sto assolutamente pensando a chi possa somigliare Eric Collier, sto solo pensando a quante ore mi separano dal leggere il prossimo capitolo!! Assolutamente questo romanzo crea dipendenza. Grazie!!!
RispondiEliminaGrazie per questa nuova chicca , wow quando si dice il potere di una lettera ben scritta.
RispondiEliminaAttendo con curiosità e trepidazione i prossimi capitoli
Questa è una storia che mi tiene incollata alle pagine. Purtroppo non leggo in inglese altrimenti avrei comprato subito l'ebook dopo il primo capitolo.....grazie per la traduzione!
RispondiEliminaVero, il tema non è dei più facili, ma il libro è bello, e la traduzione avvincente e curata! :) A volte in italiano si leggono traduzioni un po'...piatte, anche di scrittrici famose, che lette in originale sono più appassionanti... Quindi ancora brava a Francy, aspettiamo il seguito!
RispondiElimina(io l'ho comprato anche in inglese, però, non vorrei dover aspettare troppo...) :D Clelia
Brava Clelia che l'hai comprato in inglese! E mille grazie per i tuoi complimenti.:-)
EliminaBrava Clelia che l'hai comprato in inglese! E mille grazie per i tuoi complimenti.:-)
EliminaBrava Clelia che l'hai comprato in inglese! E mille grazie per i tuoi complimenti.:-)
EliminaHo divorato tutte le tre puntate. Dico solo questo. :-)
RispondiEliminaAccidenti Francy, sei davvero brava nelle traduzioni, complimenti!Sei riuscita a trasmettere tutta la sensualità ed il calore contenute in quella lettera. Immaginarsi la scena poi...brrr...da pelle d'oca!
RispondiEliminaDeborah
Grazie Deborah e vedrai le prossime...perchè sì, altre ce ne saranno di lettere! :-)
EliminaAccattivante davvero....grazie Francy!! anche io attendo con impazienza il prossimo capitolo! Angela
RispondiElimina