IL ROMANZO MISTERIOSO - SECONDA PARTE


SE NON AVETE ANCORA LETTO LA PRIMA PARTE, LA POTETE TROVARE QUI. BUONA LETTURA!

SECONDA PARTE
CAP. 2
Man mano che la giornata entrava nel vivo, il mio panico un po’ diminuì.
Rimasi tutta la mattina nell’aula B; non era molto diversa da un’aula scolastica, sebbene le pareti di calcestruzzo non avessero finestre, non ci fossero cartelloni appesi e l’atmosfera fosse tetra.
Quattro sedie di metallo erano inchiodate al pavimento dietro ad ognuno degli otto lunghi tavoli disposti su quattro file, facevano accomodare un totale di trentadue uomini, con un corridoio nel mezzo. La mia sedia si poteva muovere, ma non era molto più comoda di quelle su cui dovevano sedere i detenuti; il tema dell’arredamento era minimalista.
Tutto ridotto al minimo: pochi oggetti spostabili, poche attrezzature, pochi materiali con cui poter ideare un’arma in grado di pugnalarmi a morte.
Prima che arrivassero i detenuti una guardia più anziana prese posto vicino alla porta, le mani intrecciate davanti a sé, schiena dritta come un fuso. John  l’aveva presentato come Leland. Aveva i baffi grigio acciaio, a manubrio. Con me non si fanno cazzate , annunciavano al mondo quei baffi.
La porta venne aperta dall’esterno alle nove meno due minuti e il cuore mi balzò  in gola. Mi sforzai di sorridere. Mi sforzai di deglutire. Mi sforzai di far smettere alle mie mani di tremare sopra al libro da scuola elementare sistemato sulla piccola scrivania piena di graffi davanti a me e di far smettere alle mie ginocchia di sbattere.
I detenuti entrarono in fila indiana, chiacchierando e discutendo fra loro. La classe era  piena, ogni singola sedia occupata, il che mi portò a pensare che il corso di Alfabetizzazione di Base avesse una lista d’attesa. Gli uomini erano un po’ di tutte le taglie e le età. Tutti con le stesse uniformi blu scuro. Fra loro non vidi il numero 802267.
«Buon giorno,» dissi. La mia voce aveva una nota acuta. Se la riuscivo a sentire io, la sentivano anche loro. Non potevo farci niente.
«Sono la signorina Goodhouse, la nuova bibliotecaria per i servizi esterni della Biblioteca Pubblica di Darren. Benvenuti al corso  di Alfabetizzazione di Base.» Presi volutamente un lungo respiro per evitare che le parole mi uscissero troppo velocemente. Avrei voluto chiudere gli occhi così da far diventare indistinti le loro barbe, i loro tatuaggi e i numeri stampati sulle loro maglie  e poter far finta che fossero adolescenti e che mi trovassi nell’aula di una scuola.
«Vi distribuirò delle dispense per gli esercizi,» dissi allungandone quattro agli uomini  in prima fila . «Per favore, fateli passare.» Trattenni il fiato mentre mi spostavo verso la seconda fila, ma nessuno mi toccò il fondoschiena. Gli occhi erano ovunque, e qualcuno mormorò:  «Ragazza del  sud,» ma non ci fu nessuna palpata. Terza fila. Quarta. Tornai a lunghi passi verso la parte davanti della stanza, mascherando il mio sollievo.
«Questo è un corso di otto settimane. Se tratterò degli argomenti che già conoscete, per favore considerateli un ripasso. Le lezioni diventeranno più impegnative man mano che le settimane passeranno. D’accordo? Allora, c’è qualcuno che non sa l’alfabeto?» Nessuno rispose o alzò la mano e a me non rimase che supporre che fossero sinceri.
«Benissimo. Inizieremo con la fonetica di base. La fonetica è un modo per imparare a leggere e a  scrivere tramite l’ascolto dei suoni delle parole…»
La mente si staccò dalla bocca; avevo fatto quell’introduzione molte volte prima di allora, avendo lavorato come supplente in una scuola elementare e dato lezioni private per gran parte dei miei anni di università.
Però era molto strano dire tutte quelle cose a uomini adulti, detenuti, invece che a  ragazzini agitati.
Man mano che la lezione progrediva, alcuni uomini smisero completamente di parlare, difficile dire se perché molto concentrati o totalmente disinteressati. Altri erano più loquaci, vogliosi di fare domande solo per aver occasione di parlarmi. Di solito per flirtare .
«Ehi, signora della biblioteca,» saltò su uno. «E’ sposata?»
«Sì,» aggiunse un suo amico, «a chi legge le favole della buona notte quando è a casa?»
«Chiudi il becco,» gli disse uno in prima fila , girandosi.«Pensi di avere qualche chance? Cazzo. Qualcuno di noi è qui per migliorarsi, stronzo!» Quello apparteneva a un altro gruppo, quello dei tipi iper seri, con poca pazienza per le stupidaggini, sempre pronti a chiedermi di rispiegare qualcosa che non avevano capito.
Nessuno era apertamente poco rispettoso o minaccioso, non nel modo in cui parlavano. Sentivo che quello che Karen mi aveva detto era vero: la possibilità di passare un’ora concentrando la propria attenzione su una donna sconosciuta era qualcosa  a cui tenevano. Speravo che qualcuno di loro fosse davvero interessato ad alfabetizzarsi, ma in mancanza di quello, la loro volontà di rispettare le regole in cambio di un’ora in cui poter mentalmente spogliarmi sarebbe stato sufficiente. Anche se, diciamola tutta, non ero davvero pagata abbastanza per quello.
Dopo l’Alfabetizzazione di Base venne Composizione. Chiesi ai presenti, mentre entravano in fila, di sedersi per favore in ordine di capacità  di scrittura, da chi lo trovava “molto difficile” a chi lo trovava “ un po’ difficile” e “non troppo difficile”. Alcuni annuirono, mostrando di aver capito, ma ancora una volta si sedettero ai tavoli rispettando strettamente la divisone per colore di pelle.
Era ovvio che cercare di dividerli in tre gruppi di livello era una causa persa, perciò distribuii dei fogli di carta a righe  e delle matite, quest’ultime fornite dalla prigione, e lessi loro la consegna.
«Ognuno di voi per favore scriva per tre minuti sull’argomento “la mia stagione preferita”. Voglio semplicemente vedere a che livello siamo quanto ad abilità di scrittura.»
Io giravo fra i banchi, nessuno mi aveva ancora toccato il sedere. Alcuni riuscirono a scrivere un paio di frasi, usando la scrittura lenta, in stampatello, dei bambini, altri un paragrafo o due. Quando misero giù le matite, raccolsi alcuni fogli di lunghezza varia da leggere ad alta voce. Stetti ben attenta a lodare quello che avevano fatto prima di estrapolare errori di uso o di grammatica per dare spiegazioni.
« “La mia stagione preferita è l’estate”,» lessi ad alta voce, glissando sugli errori d’ortografia, «”perché da bambino non avevamo scuola e potevamo giocare tutto il giorno e non c’era nessuno a dirmi dove essere fino all’ora di pranzo. Odio l’inverno è troppo lungo qui in Michigan non come in Virginia da dove vengo.” Bene. Questo va molto bene. Rispetta la consegna con frasi convincenti e dritte al punto. Adesso facciamo una lezione veloce sull’uso della  punteggiatura, per indicare il ritmo delle nostre parole…»
Il resto della lezione di scrittura non andò … disastrosamente. Andò un po’ fuori strada quando cercai di dare alcuni semplici consigli di grammatica. Forse, avvertendo il mio disagio, qualcuno colse l’occasione di farla diventare un dibattito politico  sulla “voce dell’uomo di colore” e  su quanto il linguaggio  da strada fosse più autentico  di quello che lui chiamava “la vostra elegante lingua da bianchi, mi capite?” Terrorizzata di innescare un litigio, lasciai che i detenuti si impegnassero in un’analisi semi civile dell’argomento, intervenendo con un vago e poco energico: “Sì, è un punto interessante” prima che le cose si scaldassero e Leland battesse contro il muro con il suo manganello dicendo a tutti di chiudere il becco.
La lezione arrivò a conclusione, e mentre i detenuti si avviavano in fila  all’uscita, avevo i muscoli facciali che mi facevano male, a forza di sorridere, e  le spalle che stavano praticamente toccandomi le orecchie. Diedi un occhio a Leland nell’angolo, pregando che mi desse un segno, di qualsiasi tipo, positivo o negativo, che potesse dirmi come avevo gestito la lezione.
Mi mostrò il pollice in su e il suo sguardo burbero, indifferente, diceva: non stressarti, ragazza, stai andando bene.
Feci il respiro più lungo di cui fossi capace, volendo credergli.
La lezione successiva era Risorse. Cousins aveva una forte, quasi rivoluzionaria, etica riabilitativa e  contavano sui bibliotecari in visita per insegnare ai detenuti come usare Internet per fare ricerche di occupazione e come riempire richieste di lavoro online. Non era una lezione vera e propria, più una sessione aperta a tutti. C’erano solo due computer, perciò chi voleva usarli aveva dovuto  iscriversi in anticipo. Il resto degli interessati andava e veniva liberamente, chiedendomi di correggere il  curriculum che avevano scritto in brutta, di spiegare gli esercizi che avevo loro assegnato, di aiutarli a scrivere delle lettere e cose del genere.
La sessione di Risorse del mattino non era troppo caotica, ma mi era stato detto che quella del pomeriggio era molto più popolare. «Diventano irrequieti fra il pranzo e la cena,» mi disse Leland nella stanza per la pausa del personale.
«Sono fortunata.» Misi due pacchetti di farina d’avena istantanea in una tazza e la scaldai al microonde. Mangiai senza gusto, in piedi davanti alla finestra che guardava sul cortile per gli allenamenti. C’erano uomini che gironzolavano, si esercitavano sulla panca per gli addominali o giocavano “magliette” contro “a torso nudo” sullo scrostato campetto da basket a un solo canestro.
Anni in questo posto, pensai. Anni senza niente da fare  se non tenera a bada la noia facendosi i muscoli, o forse esercitando il cervello. Ma  mi rendevo conto anch’io  che non c’era molto materiale disponibile a Cousins che incoraggiasse la seconda ipotesi.
Dopo pranzo fu la volta della Discussione sui Libri, l’unica che veramente non vedevo l’ora di fare.
Ero stata incoraggiata a scegliere una storia nelle cui problematiche i detenuti avrebbero potuto riconoscersi, ma una che non li facesse troppo infervorare.
Qualcosa che fosse più o meno adatto a uomini con grossi problemi da adulti, ma con un livello di comprensione dei testi scritti simile a quello degli adolescenti, e che inoltre seguisse  sia i principi  dell’Associazione Bibliotecaria Americana che quelli di Cousins. Avevo letto le regole generali della prigione, erano discretamente liberali. Scoraggiavano “contenuti eccessivamente violenti e sessuali”, ma fortunatamente non ponevano nessuna reale minaccia di censura.
I bibliotecari amano le sfide, sotto sotto tutti ricerchiamo gli abbinamenti perfetti, e io ero stata ossessionata dalla mia scelta per giorni. Avevo selezionato un libro rivolto agli adolescenti, pensando che la storia di un ragazzo potesse riportare quegli uomini ai giorni precedenti al momento in cui le loro vite avevano preso strade così travagliate.
L’ora di Discussione sui Libri veniva tenuta in una stanza diversa rispetto a quella delle lezioni del mattino, una abbastanza grande da poter accomodare su sedie di plastica una cinquantina o sessantina di persone e me, sempre seduta, di fronte a
loro.
All’una gli uomini entrarono in fila indiana e mi furono assegnate due guardie: Leland baffi d’acciaio nell’angolo davanti della stanza e un altro vicino all’uscita. C’erano molte chiacchiere e scambi di battute, i detenuti erano ancora in “modalità sociale” dopo il pranzo.
Fai finta che sia un gruppo di studenti. Mentre le sedie si riempivano, con voce più ferma possibile, dissi: «Silenzio, per favore. Grazie. Un saluto a tutti. Sono la signorina Goodhouse,  la nuova bibliotecaria. Benvenuti a una nuova sessione di Discussione sui Libri. Spero che la storia che ho scelto vi piaccia e…»
Qualcuno dalla seconda fila sbottò : « Arieccoci con quel cazzo di Il buio oltre la siepe!» Era sempre Wallace, il signor Venerdì Coniugali.
Un paio di tizi si misero a ridere, altri due lo zittirono.
«S’intitola Il demolitore di navi di Paolo Bacigalupi,» aggiunsi. «Vi dico solo questo, per il momento.» E iniziai a leggere.
La storia era ambientata in un futuro distopico, il protagonista era un adolescente di nome Nailer che rubava rame da petroliere naufragate. Speravo che l’ambientazione in qualche modo tenesse il libro separato dalle loro vite, ma le tematiche trattate pensavo  li avrebbero coinvolti: riuscire a farcela con le proprie forze in un mondo difficile. Sopravvivenza, oppressione, lotta, trionfo. Amore.
Mentre leggevo, gli uomini rimasero in silenzio. Un silenzio un po’ inquietante, a parte quando succedeva qualcosa di coinvolgente, allora la stanza era tutta un brusìo di decine di commenti sottovoce.
Avevo scelto un libro vincente.
La mia voce perse i suoni acuti da paura del palcoscenico. La stanza entrò in agitazione quando le dinamiche fra i giovani demolitori di navi, legati con contratto di servitù debitoria, e i loro spietati supervisori erano al centro della scena.
Nonostante avessi deciso di  tenere giù la testa e leggere, il mio vecchio istinto di raccontatrice di favole ebbe il sopravvento. Iniziai ad alzare gli occhi dal libro, rubando brevi contatti di sguardi  ogni paio di frasi. Duravano poco, un’occhiata veloce a un viso a caso,  giusto per attirare l’attenzione, poi tornavo alla pagina.
Andai bene per circa un quarto d’ora, poi uno di quei brevi sguardi portò i miei occhi a incrociarsi con quelli del numero 802267.
Il cuore mi si fermò di colpo. Incespicai con le parole e riportai velocemente l’attenzione al libro, tornando a sincronizzare il mio cervello con le parole scritte.
Cercai di tenere giù il viso, ma sapere che lui era là, sapere esattamente dov’era il suo corpo in quella stanza rispetto al mio, sapere che quegli occhi scuri erano fissi su di me…
Alzai lo sguardo.
Quegli occhi. Quell’espressione indecifrabile, un’ impossibile combinazione di apatia e fascino, freddezza e calda seduzione. Aspetta un attimo…cosa avevo detto? Mi rifugiai nuovamente nella pagina scritta, le labbra si muovevano con il pilota automatico.
Fredda seduzione. Sì, giusto. Sicuramente c’era una parola migliore per quella caratteristica, come, per esempio,  sociopatico.
Per un po’ di pagine successive mi impegnai ad incontrare solo gli occhi dell’altra parte della stanza, ma il suo sguardo era fisso su di me. E lo sentivo addosso come il calore del palmo di un amante. Mi fece avvampare, sperai che il mio rossore non fosse evidente sotto le giallognole luci al neon.
La mia mente galoppava, mentre le labbra e la lingua continuavano come bravi soldatini.
Riguarda, vedrai che non era nulla, solo uno scherzo della mente. Un flash improvviso per aver riconosciuto un viso apparentemente familiare fra un gruppo di sconosciuti. E familiare solo perché visto nella sala ricreazione. Perché mai  il volto di un uomo appena incontrato avrebbe dovuto imprimersi così profondamente?
Era bello, sicuramente. Non una bellezza per tutti, non il tipico bel ragazzo americano. Molto più scuro. Un genere di fascino consapevole e pericoloso.
Naturalmente sapevo bene che l’aspetto esteriore era ingannevole. L’ex che mi aveva perforato il timpano e lasciato con una mandibola che schioccava era il tipico bel ragazzo americano. Biondo, occhi nocciola, che diventavano verdi alla luce del sole, e con quel sorriso. Se gli si davano un  Labrador e una palla da football il quadro era completo. Se gli si passava un bicchiere di plastica metà cola e metà rum diventava qualcosa di completamente diverso.
Ecco l’unica ragione per cui il numero 802267 sembra così magnetico. Non assomiglia per niente a Justin, al biondo, sorridente Justin.
Quello sconosciuto senza nome, con solo un numero, aveva fatto una cazzata in passato. Una cazzata grossa abbastanza da farlo chiudere in prigione, e l’assoluta verità di quel fatto aveva un fascino inaspettato. Perché qual si voglia fossero stati i crimini di Justin, in macchina, domestici, in stato di ubriachezza o per disordini, essi dovevano ancora essere accertati. Se non smetteva di bere, qualcosa di brutto gli sarebbe successo, e la certezza di quel fatto, insieme all’ incertezza di quando sarebbe potuto succedere e in che forma sarebbe successo, poteva essere devastante.
Ma quell’uomo, con occhi, capelli e barba scuri… un uomo come quello, seduto quattro file indietro, terzultimo dal fondo…sapevo dove sedeva, e dove stava in piedi. Sapevo dove dormiva, dietro a una spessa porta di metallo. E questo lo rendeva sicuro in qualche modo.
Rubai un’altra occhiata.
Il suo sguardo era come un paio di mani maschili con dentro un pulcino, apparentemente innocuo, ma con un potenziale di crudeltà insopportabile.
L’espressione del numero 802267 in sé non era crudele, ma quello sguardo misterioso… quello poteva promettere qualsiasi cosa. Non c’era da fidarsi.
Smettila di guardare.
Incontrai gli occhi degli uomini attorno a lui, ma lui  alla periferia del mio sguardo, splendeva. Il modo in cui stava seduto, con le gambe aperte, i fianchi in avanti, le braccia appoggiate pigramente sulle cosce. Come se quello fosse il cortile di qualcuno. Come se avesse il collo di una bottiglia fra due dita e il caldo sole estivo sulle spalle. Il suo sguardo era fisso e  me lo sentivo addosso. Sentivo che beveva ogni parola che mi usciva dalla bocca, leccandola direttamente dalle mie labbra.
Era come se stessi dicendo altre parole al numero 802267, parole che  nessun altro poteva sentire.
Cosa dice quello sguardo?
A cosa stai pensando?
Cos’hai fatto per essere privato della tua libertà? Per meritarti questa vita?
Cosa mi faresti se ci fossimo solo tu e io qui dentro?
Fui percorsa da un brivido.
Ma che tipo di brivido era quello?
Smettila di guardarmi. Ma tutti mi guardavano, sia che si stessero immaginando cose che mi avrebbero dato il voltastomaco o no, avevano il permesso di guardarmi  fisso e lo facevano. Allora perché l’attenzione di un solo uomo mi riscaldava tutta, mentre gli altri mi lasciavano del tutto fredda?
Diedi un’occhiata all’orologio. Era passata quasi mezz’ora, era il momento di iniziare la discussione.
Quando chiusi il libro su un momento clou della storia, mi guadagnai  chiari mugugni e un “ Ma non si può!”.
«Allora,» dissi, girando lo sguardo nella stanza, guardando tutti fuorché il numero
802267.
«Cosa ne pensate? Ci piace Nailer? Perché? Perché no? Alzate la mano, per favore.»
In un primo momento, nessuno parlò, ma dopo un po’ d’imbarazzo, una mano scura si sollevò.
«Sì,» dissi, indicando un giovane.
«Spero che la faccia pagare a quella troia per averlo lasciato là a crepare.»
«Pensi che lui con lei farebbe lo stesso,» gli domandai, «se fosse lui nella posizione di poter trarre vantaggio da tutto quel petrolio?»
Una mano diversa si alzò nella fila davanti e feci un cenno di assenso a chi l’aveva alzata.
«Allora.. Lui sa come ci si comporta con gli alleati. Lo avrebbe diviso con lei e con l’altra tipa.»
«Che si fottano,» disse un altro, e io feci segno al grosso detenuto con la testa rasata e le spalle spioventi di continuare il suo discorso.
«Tutti possono dire a se stessi che faranno quello che è giusto nella loro testa. Ma poi quando capita  l’occasione… .» Scrollò le spalle. «L’istinto di sopravvivenza si fa sentire.  Devi  mettere te stesso al primo posto. Specialmente quando si tratta di vita o di morte. O della tua libertà.»
«Non tratterei mai il mio equipaggio in quel modo,» osservò una voce petulante da dietro.
« Usate le mani,» ricordai. « E’ un punto interessante, parlare di alleati in una situazione come questa, no? Perché Nailer deve da una parte fare affidamento sui suoi compagni guastatori e dall’altra competere con loro per il suo posto. Pensiamo che Nailer cercherà di vedicarsi di Sloth se ce la farà ad uscirne vivo?»
Ci fu una serie di cenni d’assenso e grugniti, e io diedi la parola a una mano alzata.
«Scommetto che non lo farà,» disse un tipo latino sulla trentina. «Scommetto che porgerà l’altra guancia, sì, perché non vorrà essere uno stronzo come il suo vecchio.»
L’affermazione suscitò un sonoro biasimo collettivo.
La mano alzata successiva era di Wallace, e quello che disse mi colpì, dimostrando di essere in grado di dire di più di qualche frase denigratoria.
« Questo è un mondo dove cane mangia cane. Morirà se non potrà avere un cazzo di vendetta, perché nessuno lo rispetterà. E’ come qui dentro. Hai solo un’occasione per dimostrare che hai i coglioni. Se te la lasci scappare, sei fottuto.»
«Però lui non ha niente di meglio che quella stronza di Sloth,» aggiunse quello vicino a lui.
La discussione si mantenne accesa e per lo più civile e c’erano ancora delle mani alzate quando fui costretta a finire l’attività. Fra rumore di sedie e chiacchiere i detenuti si alzarono e un tipo grande e grosso della prima fila mi si avvicinò, rimanendo però a rispettosa distanza. Con voce sorprendentemente gentile, mi disse: «E’ proprio un libro figo, signorina...»
«Signorina Goodhouse.»
«Giusto. Signorina Goodhouse. Abbastanza bello da essere un film.»
« Mi fa piacere che lo pensi.»
Lui non sorrise, ma i suoi occhi avevano un calore triste mentre si avviava lentamente all’uscita. « Non vedo l’ora di sentire cosa succede dopo. Per vedere se se la cava, affoga o cos’altro.»
«Ah, bene.» Sorrisi finché lui non si voltò, poi diedi un’occhiata fugace al gruppo che si avviava in fila all’uscita. Il  numero 802267 non c’era. E io non avrei dovuto cercarlo.
Il resto della giornata sarebbe stato una parziale ripetizione della mattina: di nuovo Alfabetizzazione di Base e Risorse. Durante la prima ci fu tensione.
Le micce erano corte a Cousins e nessuno ambiva a fare la figura dello stupido davanti a una ventenne o in un’aula piena dei suoi peggior nemici, mentre faceva fatica  a pronunciare ad alta voce parole come secchio, oceano e gabbiano. C’erano dei crolli nervosi, delle reazioni di frustrazione e auto denigrazione che mi ricordavano quelle dei ragazzini che avevo aiutato a decifrare le stesse lettere. Questi uomini avevano bisogno del mio aiuto, volevano il mio aiuto. Ma il mio aiuto gli pesava. Di quando in quando sentivo la scintilla  delle tensione accendersi e bruciare pian piano, come quelle bolle di calore che luccicano sull’asfalto rovente. Questo riuscì persino a distogliermi la mente per un po’ dal detenuto numero 802267.
Leland aveva ragione, la sessione pomeridiana di Risorse era più popolare di quella del mattino, e durava il doppio. C’erano molti detenuti e c’ero solo io, e avvertivo chiaramente l’impazienza collettiva mentre sceglievo a caso chi aiutare .
Stavo facendo domande a uno dei più giovani in preparazione al suo esame per il diploma di scuola superiore, quando un’alta figura entrò dalla porta. Seppi chi era senza nemmeno alzare gli occhi. Spalle larghe, fianchi stretti e gambe lunghe. Capelli scuri cresciuti troppo. Occhi tanto ardenti da bruciare.
Cazzo.
Perché poi ero così sconvolta?  Il numero 802267 non sembrava né più né meno pericoloso di ognuno di quegli uomini, perciò doveva essere l’istinto che mi metteva sul chi vive ad un livello più profondo della semplice paura. Mi faceva sentire caldo e mi innervosiva e agitava in un modo che non mi piaceva per niente. In un modo a cui non ero abituata. Un tipo di fame che non avevo da anni.
Lui si aggirò senza fretta fra i tavoli e raggiunse una sedia libera nella parte della stanza occupata dai detenuti di colore, guadagnandosi occhiate ostili mentre si sedeva. Non aveva libri o fogli con sé, sedeva semplicemente  con le dita intrecciate sul piano del tavolo e tutta la pazienza del mondo.
Lo sguardo attento e il silenzio che mi riservava, dicevano : Sono qui che  aspetto.
Altri stavano cercando da un po’ di attirare la mia attenzione e fui felice di evitarlo per quaranta minuti o più. Arrivai a lui verso la fine del blocco di due ore, attraversando la stanza con il cuore che batteva all’impazzata. Usavo una sedia girevole con cui mi spostavo in tutta la stanza e la spinsi fino alla fine del lungo tavolo dov’era lui, e quando gli sedetti di fronte,  sorrisi.
«Hai avuto un sacco di pazienza. Posso aiutarti in qualcosa?»
Fece un mezzo sorriso. Aveva la voce bassa e profonda. Ricca e scura come terra di primavera. «Lo spero.»
« Lo spero anch’io. Dimmi pure.»
«Non scrivo troppo bene.»
«Okay.»
«Ho già provato le lezioni di alfabetizzazione ma non sono state molto d’aiuto.»
«No?»
« Quella roba da asilo infantile, su come pronunciare le parole, le so già. Leggo bene, ma la mia scrittura fa schifo. Devo pensare a ogni minima dannata lettera come se fosse la prima volta che la vedo. E’ dislessia o roba del genere.»
« Veramente quello che dici mi sembra disgrafia.»
«Com’è?»
«E’ come una cugina delle dislessia. Riesci a leggere bene, mi hai detto?»
Annuì, abbassando la testa una volta, come un  cowboy o roba del genere. Il fatto che non staccasse mai gli occhi dal mio viso mi rendeva nervosa. Avevo tutto il corpo in agitazione. Pregai che non se ne accorgesse. «Leggo bene. Non velocemente, ma un paio di libri a settimana.»
«Però trovi difficile formare le lettere quando ti metti a scrivere qualcosa?»
« Riesco a copiarle bene, ma non mi rimangono in testa. Non tutte, almeno.»
« Sì, è disgrafia.» Dio mio, perché non gli era stata diagnosticata in prima o seconda elementare? Che opportunità poteva avere un ragazzo in un sistema scolastico del genere? « Desideri fare un programma di lavoro per migliorare il problema?»
«Se ne ha uno.»
«Beh , so che questo non è il posto ideale per farlo, però molte persone con il tuo problema hanno scoperto che scrivere a macchina rende la scrittura più semplice, una volta che si sono abituati alla tastiera. Hai un minimo di esperienza su computer?»
«No. Ma è vero, è più facile scriverle a macchina. Riesco a trovare le  lettere più facilmente di quanto non riesca a ricordarmi come farle.»
«Benissimo. Se torni  a Risorse, il prossimo venerdì, porterò degli esercizi e dei testi sulla disgrafia. E magari potrai farmi vedere un po’ come scrivi, così potrò rendermi conto qual è il nostro punto di partenza. Va bene?»
Fece nuovamente un cenno di assenso con  la testa, abbassando il mento scurito dalla barba. « Va benissimo.»
Un improvviso flash mi portò a visualizzarlo fuori di lì. Come si vestiva? Jeans larghi o attillati? Giacca di pelle,  camicia  a quadri o maglietta con impresso il marchio di qualche marca di birra? Che tipo di lavoro aveva fatto prima di essere messo in prigione? Di tipo fisico? O quelle forti braccia abbronzate erano il prodotto di questo posto, di questa vita con i suoi pozzi senza fondo di noia e pericolo?
Le mie elucubrazioni vennero interrotte da un altro detenuto.
«Ehi, signora bibliotecaria, tic tac... E’ più di un’ora che aspetto!»
Aprii la bocca per assicurargli che sarebbe stato il successivo, ma il numero 802267 parlò prima di me. Girò la testa di scatto e lanciò al tipo uno sguardo glaciale di estremo disgusto.
 «Vedi un numero sulla sua maglia?» chiese.
« Tu cosa...»
Il numero 802267 si raddrizzò del tutto sulla sedia.
« Perché io non lo vedo.  E siccome non ha un numero sulla maglia, immagino che non sia obbligata a stare qui. Perciò tratta la signora con un po’ di rispetto, visto che è stata così gentile  da presentarsi e fingere che le freghi un cazzo del tuo culo da carcerato.»
L’uomo, ripreso da quelle parole, spostò rumorosamente indietro la sedia e si diresse alla porta borbottando. Il numero 802267 tornò a rivolgersi verso di me, la postura più rilassata.
«Dov’eravamo rimasti?»
«Sì,» dissi io con il viso in fiamme. « Se tornerai la prossima settimana verrò con il materiale per aiutarti.»
«D’accordo.»
Feci una breve pausa, prima di aggiungere, con voce gentile: « Per la cronaca, è vero che me ne frega.»
Mi sorrise, facendomi sentire ancora più confusa e agitata.
Stavo per alzarmi, ma il suo sguardo mi inchiodò al mio posto, da freddo a bollente in un soffio. Parlò abbassando il tono di voce, come se fossimo parte di una congiura.
« Mi piace il suo modo di parlare.»
«Oh.» Deglutii, le gote e il collo in fiamme. «Gr…azie.»
«Da dove viene?»
« Carolina del Sud.»
« Non ho mai incontrato nessuno del Sud Carolina.» Aveva la voce bassa e risonante,  non aveva bisogno di alzare il tono per attirare la mia attenzione. Parlava in un modo che in sé racchiudeva tutto:  minaccia, coercizione, seduzione e lamento. Non ho mai incontrato nessuno del Sud Carolina. Come lo diceva, faceva pensare che dopo potesse venire qualsiasi cosa.
Non ho mai incontrato nessuno del Sud Carolina…
…ma mi piace l’erba blu.
…ma ho accoltellato a morte un uomo in Tennessee.
…ma ho sentito che le ragazze di lì sanno di pesca.

« Com’è il tempo lì?» mi chiese.
«Bello,» risposi stupidamente, assentendo con la testa. Terrorizzata. Ipnotizzata. «Veramente bello.»
Il suo sguardo scese dai miei occhi alla mia bocca, lo sentii pesarmi sulla pelle come un vero bacio. Le sue stesse labbra erano dischiuse, il labbro inferiore era pieno e di colore più intenso.
« Estati molto calde,» disse.
«Piuttosto calde.» Deglutii di nuovo, la gola completamente secca. «A volte.»
« Mi mancano le estati. Di fuori.»
«Ne sono sicura.»
«Mi mancano le birre. Le nuotate nel lago. Sentire i capelli asciugarsi al sole.»
Divideva i pensieri in piccoli pezzi, lasciandomi affamata, morivo dalla voglia di assaggiare qualsiasi cosa venisse fuori da quella bocca.
«Sono sicura che ti mancano,» sottolineai.
«Mi mancano molte cose.» Lo disse in tono basso, ogni lettera trasudava melassa, spessa di intenzioni scure, dolcemente appiccicose.
Quell’uomo…forse non riusciva a scrivere, ma diceva tantissimo con poche parole sussurrate.
La voce tonante della guardia spezzò improvvisamente l’incantesimo : «Collier, stai indietro.»
Il numero 802267 si raddrizzò  obbediente sulla sedia. Collier. Il calore del suo corpo si allontanò con lui.
I nostro gomiti erano stati tanto vicini quasi da toccarsi, i nostri visi abbastanza
da  potersi scambiare dei segreti. Non era forse quello che lui aveva fatto? E io non gli avevo risposto sussurrando a mia volta?  Non riuscivo nemmeno a capire cosa ci avesse portato ad avvicinarci così. Posso solo dirvi che non mi ero tirata indietro. E quello faceva sì che ci fossero esattamente due uomini al mondo dalla cui vicinanza non mi ritraevo: Collier e mio padre.
« E’meglio che vada avanti prima che finisca la sessione,» dissi, la mi attenzione rivolta alle sue mani. Su quelle dita ancora  placidamente intrecciate. Poi sui suoi occhi.
«Ci vediamo la settimana prossima, se vuoi un aiuto...»
«E’ un appuntamento.»
Mi alzai in piedi e trascinai via la sedia, arrischiandomi a lanciargli solo una veloce occhiata. Ma bastò quello perché il mio corpo fosse nuovamente riscaldato dal suo strano e inquietante calore. Cercai con lo sguardo il viso del detenuto in attesa più vicino, la testa mi girava talmente che avrei potuto esser ubriaca.
Quando Collier lasciò la stanza, me ne accorsi, fu come una ventata di piacevole fresco portato da un temporale estivo, mi entrò nei polmoni e salutò il ritorno della mia sanità mentale.
  *****
COSA PENSI DELLA SECONDA PARTE DEL ROMANZO MISTERIOSO? TI E' PIACIUTA? VORRESTI CONTINUARE A LEGGERLO? COSA PENSI DELLO STILE DI QUESTA AUTRICE? TROVI INTERESSANTE IL MODO IN CUI DESCRIVE I PARTICOLARI DEL LAVORO DELLA PROTAGONISTA? PARTECIPA ALLA DISCUSSIONE.
APPUNTAMENTO AI PROSSIMI GIORNI PER UNA NUOVA PARTE DEL ROMANZO MISTERIOSO.... 

5 commenti:

  1. Oddio voglio leggere il resto! Francy quando la terza parte?spero presto non resisto. Kris.

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  2. Se avessi questo libro tra le mani potrei andare avanti a leggerlo ancora per ore....mi sta piacendo tantissimo! Intrigante l'ambientazione e la narrazione è veramente avvincente.

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Mi sento come i detenuti nel momento in cui la signorina bibliotecaria smette di leggere...!!!! Per favore, prestissimo la terza parte! E grazie ancora!!!

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  5. Wow, magari avere il libro tra le mani lo divorerei. Non vedo l'ora di vedere come continua

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