IL ROMANZO MISTERIOSO - QUINTA PARTE

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NB: I capitoli sono presenti in ordine decrescente, quindi scrollate infondo per andare ai primi.

Il contenuto di questo libro è adatto ad un pubblico adulto.

QUINTA PARTE
CAP.5
Era  giovedì e  ancora non avevo niente di rosso.
Pioveva e c'era una gran afa e io e Karen stavamo cuocendo vive nella biblioteca mobile. La scuola era finita, ma andavamo ai centri giovani e ai campi estivi diurni aperti durante le vacanze, ne avevamo già visitati tre fino a quel momento e ce ne rimanevano altri cinque prima della pausa pranzo.
« Guarda là,» mi disse Karen mentre imboccavamo la periferia di una piccola città, « ci sono i tuoi nuovi amici.»
Una fila di uomini, vestiti in arancio e sparpagliati lungo il centro della carreggiata e sul ciglio destro della strada, era intenta a curare gli sparuti alberelli  lì allineati a intervalli regolari e a mettere dentro ad alcuni  sacchi erba tagliata  e immondizia. Sul retro delle loro tute c’era la scritta COUSINS stampata in nero. E fu con un misto di orrore ed eccitazione che quando il traffico si fermò in seguito al semaforo rosso, trovai sul mio lato proprio il detenuto numero 802267. Fuori, senza filo spinato fra noi, ma solo a dodici passi di marciapiede e a un finestrino di distanza. Era davvero emozionante. Diverso da come me lo sarei potuto mai aspettare.
Lui teneva la testa bassa, gli occhi concentrati sul suo lavoro. Aveva le tempie e gli  avambracci madidi di sudore. Improvvisamente persi tutta le mie incertezze. L’unica cosa che volevo era poter sentire il suo sapore, lì all’aperto. Tra l’altro ero truccata, indossavo qualche gioiello e avevo  i capelli sciolti. Che Dio mi aiuti, volevo che lui mi vedesse così, tutta tirata a lucido.
Spinsi l’interruttore per far abbassare il finestrino. « Ehi!» gridai.
« Che cavolo fai?» ringhiò Karen.
Quando lui non alzò lo sguardo, riprovai.
« Eric!»
Questo gli fece alzare il viso. I suoi occhi marroni si dilatarono, per tornare ad abbassarsi su quello che stava facendo.
« Gesù,  Anne! » mi sgridò Karen, mentre il mio finestrino si sollevava azionato dalla sua parte, « dove hai quel cazzo di testa?»
« Conosco alcuni di quei ragazzi. Sto aiutando quello lì con la sua disgrafia.» E con la sua frustrazione sessuale. « Pensavo fosse una cosa carina. Quanto spesso questi uomini sentono qualcuno dall’esterno che li saluta?»
Karen scosse tristemente la testa, neanche avessi detto che volevo mostrare loro le tette. Non avrei mai detto fosse un tipo paranoico.
« Gesù! Non è che dobbiamo aspettarci una pugnalata se siamo carine con loro. Anche se volessero, ci sono guardie di sorveglianza dappertutto.»
« E’ che non possono parlare con te, scema! Non possono nemmeno guardare nella tua direzione. Lui potrebbe perdere dei privilegi importanti per una cosa del genere. Potrebbe essere buttato fuori dal lavoro all’esterno.»
« Oh!» Avevo il viso in fiamme. « Questo non me l’aveva detto nessuno.» Allungai il collo mentre iniziavamo a muoverci per assicurarmi che Collier non fosse richiamato. A quanto pareva l’avevo fatta franca. La mia parte educata avrebbe voluto tirare giù il finestrino e gridare qualche scusa, ma avevo imparato la lezione.
Tutta quella faccenda mi sembrava profondamente barbarica. Conoscevo quegli uomini. O almeno, qualcuno di loro. Per me erano persone, studenti, e tuttavia le regole mi chiedevano di trattarli con lo stesso rispetto che avrei potuto avere per dei coni sparti traffico. Questa forzata disumanità mi faceva venire la nausea.
Mi voltai verso Karen. «Perciò se qualche cretino gli grida delle cose o se addirittura  gli tira dietro qualcosa, loro devono limitarsi ad ignorarlo?»
« Certo.  I sentimenti feriti sono solo la minima parte di ciò a cui quei ragazzi non hanno più diritto.» Mi lanciò un’occhiata e lo sguardo severo le si addolcì. « Sei troppo tenera. Per il tuo bene, fai meglio a stare attenta là dentro.»
Dopo quella lavata di testa, rimasi in silenzio per un paio di miglia. Ma quando l’imbarazzo scemò, quello che rimase fu un’urgenza simile a quella che mi aveva spinto a gridare il suo nome. L’urgenza di catturare il suo sguardo, di entrare in contatto con lui.
« Ho voglia di un panino, » disse Karen mentre stavamo entrando nella cittadina successiva. Avevamo un’ora prima della nostra prossima visita.
« A me va bene.»
Karen fermò la macchina lungo la carreggiata senza marciapiede, davanti a una trattoria. La mia attenzione fu catturata dal negozio a fianco. Devinely Debbi. Abbigliamento femminile, uno di quei negozi che è chiaramente il sogno di qualcuno destinato all’insuccesso.  La gente da quelle parti poteva a mala pena permettersi gli alimentari, non era possibile che facessero i loro acquisti in boutique. Non sarebbe durato più di tre mesi, ci scommettevo, ma per il momento, era sicuramente la gioia e l’ orgoglio di Debbi.
E proprio lì in vetrina c’era un abito rosso.
« Arrivo subito,» dissi a Karen. « Voglio dare un’occhiata a una cosa qui dentro.»
« Ordino io per te?»
« Certo.»
« Cosa?»
« Stupiscimi,» risposi senza davvero prestare attenzione. I piedi mi stavano trascinando verso la vetrina e l’abito rosso.
Non avrei potuto portarlo in prigione, era lungo al ginocchio e senza spalline. Se Shonda avesse perso la testa e mi avesse fatta entrare con quello addosso nella  sala ricreazione, avrei creato disordini.
Spinsi la porta per entrare nel negozio, salutata da musica country e benedetta da una folata di aria condizionata.
« Buon giorno!» mi salutò una signora di mezza età, Debbi probabilmente, uscendo da dietro al bancone. Ero l’unica cliente, con ogni probabilità l’unica cliente dell’intera mattinata.
« ‘giorno.»
« L’ho vista guardare l’abito in vetrina.» Puttana!, aggiunse nella mia immaginazione.
Assentii. « E’ carino, ma ho bisogno di qualcosa di un po’ più classico, da portare a lavorare. Ha qualcos’altro in quel colore? Magari una maglia? Va bene con le maniche corte, ma niente di troppo scollato.»
Mi mostrò alcune opzioni, ma erano tutte un po’ troppo estive, adornate da perline, applicazioni, o semplicemente un po’ troppo scollate. Mentre la donna andava sul retro a cercare qualcosa, io diedi un’occhiata alle cose appese.
E la trovai.
Era un morbido top color crema lavorato a maglia, con maniche a tre quarti e lo scollo a barchetta non sufficientemente ampio per fare anche solo intravedere la spallina del reggiseno. E sul davanti, un po’ spostato rispetto al  centro della maglia, si allargava un enorme papavero rosso,  con la stessa intensità di  una ciliegia al maraschino su un gelato alla vaniglia.
« Niente, mi spiace,» mi disse la donna riapparendo.
« Provo questa,» risposi alzando la mia scoperta.
Mi fece strada verso il camerino e poi lo chiuse tirando la tenda. La maglia mi stava come un guanto, osservai com’era fatta  e mi assicurai che i papaveri non avessero una forma a vagina.
Di per sé non era una maglia rossa.
Ma il fiore era audace. Audace come un drappo sventolato davanti al muso di un toro.
Tuttavia… Non è completamente rosso. Non sono una puttana completa. Solo in parte. Solo uno schizzo rosso di puttana.
Mi piaceva. L’avrei portata, se non l’indomani a Cousins, da qualche altra parte. Mi rinfilai la mia vecchia t-shirt e mi diressi verso il banco di vendita.
« C’è l’ha questa in una taglia più grande?» Così com’era stava a pennello, ma così com’era avrebbe portato ogni detenuto a indovinare le mie misure molto più accuratamente di tutto il resto che avevo indossato fin ora.
« E’ l’ultima di questo tipo, temo.»
Tamburellai con le dita sull’appendino e mi morsicai il labbro. Avrei potuto metterci sopra un cardigan, lasciando che si intravedesse solo un po’ di rosso. Solo una sbirciatina di puttanaggine.
« Le tolgo cinque dollari,» mi disse la donna e bastò quello per farmi decidere.
« Affare fatto.»
***
« Bella maglia,» disse Shonda  tenendola davanti a sé.
Era il mio  quarto venerdì a Cousins, e per la prima volta mi aveva consentito di tenere indosso reggiseno e slip mentre mi perquisiva.
Mentre mi stavo rinfilando la maglia e i jeans, le chiesi: « Non è troppo stretta, vero? Potrei tener indosso il cardigan, ma oggi fa così caldo…»
Si mise a ridere. « Anche un parka sarebbe abbastanza stretto per questi qui! Tutti stanno già pensando cosa c’è sotto  tuoi i vestiti, Anne. Se vuoi dar loro un indizio in più, sta a te. Non stai violando nessuna regola, ma decidi da sola quanta attenzione hai intenzione di catturare.»
Avrei indossato solo quella. Volevo dell’attenzione. In modo più specifico volevo l’attenzione di un solo paio di occhi maschili fra centinaia di altri occhi che avrei incontrato oggi. Ma da quando avevo comprato quella maglia, qualcosa di strano aveva iniziato a nascere  in me. Qualcosa che, come un rampicante, si stava lentamente facendo largo. I suoi viticci si erano già attaccati, avvolgendomi in una sensazione che non sentivo da cinque anni: una femminile malizia.
Cinque anni.
Cinque anni dall’ultima volta che avevo desiderato sentirmi sexy e di invitare quel tipo di attenzioni.
Cinque anni dall’ultima volta che Eric Collier era stato con una donna.
Molto tempo dall’ultima volta che una donna si era sentita donna e che un uomo si era sentito uomo. Per molto tempo due persone avevano chiuso al buio i loro bisogni, pensai mentre mi abbottonavo il cardigan sopra a quasi tutto il fiore rosso. Quasi tutto, ma non completamente. C’era così caldo dentro a quel fiore e io sentivo il desiderio di sbocciare.
Shonda mi fece strada lungo la sala ricreazione. L’energia di Collier guidò il mio sguardo verso il suo. Quegli occhi scuri scesero, solo per un secondo, trovando molto di più  rispetto alla sola forma del mio seno che cercavano gli altri. Il suo sguardo scattò di nuovo in alto , verso il mio viso e c’era del rosso anche lì. I suoi occhi erano lava ardente.
Sentii che i mie fianchi cominciavano a dondolare di loro iniziativa e serrai le gambe. Incollai gli occhi al colletto di Shonda finchè non attraversammo la  serie successiva di porte chiuse.
Riuscii a terminare le sessioni del mattino, anche se non saprei dirvi come. Avevo gli occhi fissi all’orologio, la testa altrove. Il percorso dalla classe B allo studio lo feci praticamente correndo. Mi chiesi se qualcuno avesse notato che avevo preso l’abitudine di mangiare da sola, se pensassero che fossi un’asociale.
Non siete voi, avrei potuto dir loro, e’ solo questo dannato porno in azione  fuori dalla mia finestra, che sembra io non riesca a fare a meno di guadare.
Quello era l’unico momento che avevo per provare una forma di controllo sulla mia infatuazione, realizzai mentre stavo in piedi davanti al vetro, trovando Collier nel gruppo di gente che stava riempiendo il cortile. Un cenno ai neri nell’angolo. Via la camicia. Trenta sollevamenti dalla sbarra, cinquanta flessioni sulle braccia, cinquanta flessioni in avanti. Ripetizione. Poi quelle ‘due in una’ che faceva alla fine, un sollevamento in alto con le braccia, poi a terra per una flessione solo su un braccio a doppia velocità. Di quelle, venti per dessert. Qualche volta, dopo, faceva qualche giro di corsa attorno al cortile, ma oggi era rimasto a parlare  con gli altri che si allenavano con lui. Manteneva il suo linguaggio del corpo neutro, le braccia incrociate sul petto nudo, la camicia appesa attorno al collo, nessuna aperta ostilità ma nemmeno vera cordialità.
« Da queste parti se sei nero,» osservò Wallace durante la Discussione sui libri un’ora dopo, l’argomento era la divisione sociale, « fai meglio a parlare solo ai neri, se no nessuno ti guarderà le spalle quando le cose si metteranno male. Non è nemmeno razzismo, è solo un cazzo di questione di semplice matematica. Uno, due , tre, quattro,» disse indicando se stesso e altri vicino a lui. « E se tu sei bianco, fai meglio a stare con i bianchi. Uno, due, tre, quattro,» ripetè, accennando all’altra parte dell’aula. « Matematica. Dimentica quella cazzata degli amici interraziali alla Shawshank. Cioccolato e vaniglia qui non si mischiano.»
« E se sei una via di mezzo, un figlio di puttana di caramello,» aggiunse sorridendo uno dei forse tre detenuti ispanici che erano nell’aula, « non c’è calcolatrice che possa salvarti il culo.»
Tutto il gruppo condivise una bella risata a quella battuta, uniti per un momento nella loro perfetta divisione.
Non mi sentivo a mio agio con questo tipo di discussione, ma stranamente, ogni uomo presente nella stanza sembrava non avere nessun problema in proposito, come se Wallace avesse semplicemente spiegato il sorgere del sole di giorno e della luna di notte.
Riportai la discussione sulla storia, ma lanciai un’occhiata furtiva verso Collier. Un’ ombra di sorriso gli aleggiava ancora sulle labbra. Probabilmente aveva riso anche lui alla battuta, avrei voluto vederlo. Sentirlo.  Ero convinta avesse un modo di ridere sommesso, un piccolo riluttante sbuffo di aria, un sorrisetto sbieco. Non sinistro, solo pestifero. Forse l’avrei fatto ridere uno di questi giorni. Magari quel pomeriggio, durante Risorse.
Sì, sicuro. Ero già fortunata se solo riuscivo a respirare in presenza di quell’uomo.
Ci mise così tanto a venire verso di me durante Risorse, che inizia a guardare giù verso il seno per controllare se il fiore rosso fosse visibile, mi chiesi se potesse non contare. Mi preoccupai che non fosse abbastanza.
Poi, a cinque minuti alle cinque, quella lunga ombra tornò ad oltrepassare la soglia, con dei fogli in mano. Stavo aiutando qualcuno a compilare un modulo legale e mi sentii immediatamente come ubriaca, con il cervello annebbiato, faticavo a rispondere alle sue semplici domande. Mi scusai, dando la colpa al caldo. E senza nemmeno pensarci, mi sbottonai il cardigan e lo infilai nella borsa.
Nel momento in cui mi accorsi di averlo fatto, mi raggelai. In panico mi guardai attorno nella stanza, aspettandomi di vedere dodici paia di occhi che mi fissavano, spalancati come se mi fossi spogliata nuda. Era come mi sentivo io, con quell’enorme fiore rosso-arancio che occhieggiava maliziosamente sul mio seno. Qualcuno dei presenti stava in effetti godendosi il  cambiamento, ma io ero  l’unica sull’orlo del collasso per quello.
Alle cinque suonò la campanella e l’uomo che stavo aiutando mi ringraziò e raccolse le sue cose. Io feci lo stesso, e Collier si avvicinò.
« Mi spiace averla persa,» disse, gli occhi sulla mia maglia, il mio viso, la mia maglia, il mio viso.
« Anche a me. Magari la prossima settimana.»
« Mi spiace che abbia dovuto vedermi così ieri,» disse abbassando il tono della voce. « E’ già abbastanza brutto che mi tocchi stare con questo pigiama quando sono dentro.»
« Non importa. Sono io che mi scuso per aver cercato di attirare la tua attenzione. Non  mi avevano detto che non potete guardare nessuno quando state lavorando.»
Quasi in un sussurro, allora, lui aggiunse: « Solo sentirti dire il mio nome è valso qualsiasi cosa mi avrebbero potuto togliere. »
A quelle parole fui attraversata da un’ondata di calore, mi sentivo stupida e troppo confusa per dire qualcosa. Lui cambiò argomento.
« Non è che posso darle ancora qualcosa da leggere, vero?» Mi porse due fogli di carta piagati.
Gli accettai facendoli scivolare dentro la borsa.
« Certo.»
« E’ un papavero,» osservò, guardando la mia maglia.
« Sì, penso di sì. Conosci bene i fiori.» O il loro oppio.
Il suo mezzo sorriso mise piacevolmente sottosopra il mio stomaco. « In questi ultimi mesi ho studiato tutto sulle piante. Roba che riguarda la progettazione di giardini, per il lavoro esterno. »
« Deve essere piacevole,» riuscii a dire, soffocando. « Uscire.»
Lui abbassò di nuovo lo sguardo verso la mia maglia. « Lo è sicuramente.»
La guardia disse a tutti di muoversi, e Collier fece un passo indietro, poi un altro e un altro ancora, le mani in tasca. « Passa un buon weekend, Annie.»

« Anche tu Eric.»
*****

VI E' PIACIUTA QUESTA QUINTA PARTE? 
 ASPETTO I VOSTRI COMMENTI.

APPUNTAMENTO A DOMANI PER LA SESTA PARTE.

7 commenti:

  1. Aaargh! A quando la prossima? Voglio sapere cosa ha scritto Eric...
    Grazie

    RispondiElimina
  2. Domani Marianna, non prendertela! :-)

    RispondiElimina
  3. Sempre più intrigante!Curiosissima di sapere cosa ha scritto Eric...una traduzione ottima, complimenti.

    RispondiElimina
  4. Cavolo, ho le lacrime agli occhi... Non avevo mai riflettuto su tutto quello di cui può essere privato un essere umano che commette un errore tanto grave da finire in carcere... Scusate se mi sono distratta un momento dalla trama principale, ma in attesa di leggere il seguito ho preferito un commento diverso

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    Risposte
    1. Naturalmente è più che ben accetto perché il bello di questo libro,a mio parere, non è solo la storia d'amore ma anche gli aspetti legati alla realtà di una condizione come quella di Collier. Così almeno è stato per me.

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    2. Naturalmente è più che ben accetto perché il bello di questo libro,a mio parere, non è solo la storia d'amore ma anche gli aspetti legati alla realtà di una condizione come quella di Collier. Così almeno è stato per me.

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