Ecbàtana, residenza estiva degli Achemenidi,
Persia,
nel mese di Shahriva'r (479 a.C., 23 agosto)
Il vino
traboccava dalle brocche incessantemente, coppe d'oro e d'argento dalle diverse
forme scintillavano come stelle nelle mani dei commensali alla luce di mille
fiaccole disposte in anelli d'argento. Lungo le colonne di marmo bianco drappi
di bisso erano scossi da una brezza che contrastava deliziosamente il caldo
opprimente di quella notte. Stoffe vermiglie e di pregiata fattura innalzavano
un canto suadente ondeggiando sinuosamente. L'euforia di chi era sazio di vizi
nonché di cibo era racchiusa nel vibrante frastuono di voci maschili che in
modo sgraziato si raccontavano storielle oscene, fantasie delle più torbide
mentre i suonatori di tar, un liuto a
manico lungo a cinque corde, rendevano le loro risate meno sguaiate.
Serse, il
gran re, osservava con orgoglio l'ebbrezza in cui erano caduti gran parte dei
suoi nobili commensali, i più golosi stavano ancora leccando le dita dal succo
d'uva e melograno. Dal suo posto, una nicchia di divani d'oro e cuscini
variopinti, riluceva di sembianze divine. La tunica nera era intessuta d'oro e
riluceva quasi quanto la pesante collana che il sovrano portava al collo: otto
pendenti rotondi incrostati di schegge di diamanti. Sul petto, secondo la moda
egizia, scintillava un pettorale d'oro a maglie piatte e perle nere. La pelle
ambrata resa luminosa da massaggi con olio di mirra e argan era ricoperta da un
leggero strato di sudore che sembrava oro liquido. Sul capo, brillava la corona
reale, una tiara d'oro impreziosita di pietre d'onice nera.
«Guarda, mio
fedele Memucàn. La sconfitta sul campo di Platea non è più che un vago ricordo
per questi uomini» la sua voce era ebbra di fierezza.
Memucàn, uno
dei sette prìncipi a cui era dato guardare il volto del re e di stare in sua
presenza, rivolse al sovrano uno sguardo pietoso che nascose in fretta. Il suo
cuore poteva certamente sbagliare ma sul suo onore poteva giurare che il re
dentro di sé stava ribollendo di collera. Quel banchetto non era che un modo
per dimostrare a se stesso la sua gloria. Il Re dei Re che peso poteva mai dare
a una sconfitta in guerra; una sconfitta oggi avrebbe arrecato un'immensa
vittoria domani.
Come quella
che gli aveva riportato Arshia sul fronte di Samarcanda. Un intero popolo messo
in catene e una famiglia reale sterminata.
Memucàn era un uomo saggio, uno
che sceglieva con cura le parole da non pronunciare. «Nella mia vita non ho mai
partecipato a un banchetto tanto sfarzoso. Il migliore che abbiate mai offerto,
mio signore.»
Arshia
allontanò dalle labbra la sua coppa di vino.
La corte
persiana era un infido covo di vipere bevitrici del loro stesso veleno.
Il re gli
rivolse un cenno da lontano e Arshia capovolse la sua coppa vuota prima di
poggiarla sul basso tavolo. Era il segnale convenuto.
Non vi erano espressioni sospette fra i
commensali presenti.
Il re parve
rilassarsi tuttavia Arshia si allontanò dalla sua postazione, prediligendone
un'altra con un'angolatura migliore. Non era il comportamento degno di un
soldato abbassare la guardia.
I volti che
lo circondavano non lasciavano trapelare nient'altro che non fosse
dell'euforia.
Era un
compito decisamente arduo intuire chi sarebbe stato il prossimo a indossare la
maschera del tradimento.
*
Gli immensi corridoi del palazzo
reale erano immersi in una penombra argentata, le mura di pietra alabastrina
rilucevano sotto i teneri raggi di una luna languida.
L'aria era pervasa dall'odore
agrodolce di pasta di mandorle e olio di sesamo nero oltre che da un caldo
oppressivo. Il vento aveva messo a tacere la sua voce.
Una figura si scostò
dall'oscurità facendo oscillare le palme contenute in un vaso basso e panciuto,
una sagoma scura si allungò sul pavimento del cortile interno delimitato da un
porticato di colonne.
Addormentarsi, quella notte, era
impossibile. Setareh inspirò, la pelle velata da uno strato di sudore.
L'oscurità favorevole ai sicari
se ne stava in agguato negli angoli del palazzo. Proteggeva chiunque con le sue
spire tranne coloro a cui era destinato un esito fatale.
Una mano si
richiuse sull'elsa di una kopis, una
lunga spada curva.
Improvvisamente,
un lampo argenteo squarciò la notte in due metà perfette.
Setareh
indietreggiò e inciampò nelle sue stesse vesti e prima che potesse anche solo
inspirare sentì la punta gelida di una daga sotto il mento.
Un urlo
soffocato, quasi un singulto parve sollevarsi nel silenzio. Le mani aperte sul
pavimento in pietra, le braccia tese e il mento all'insù Setareh incontrò lo
sguardo di un soldato.
Degli occhi
dorati emersero dall'oscurità, lunghi capelli neri frustarono le guance
ricoperte di patina bruna. Sulle labbra di Arshia una sentenza di morte si
tramutò in un ringhio che gli scoprì i denti come una tigre pronta all'attacco.
La figlia adottiva di Memucàn, la
principessa sacra.
Allontanò la
spada espirando con forza, le nocche impallidirono sull'elsa. «Memucàn non ti
ha mai detto che non puoi girare per il palazzo nel bel mezzo della notte?»
ruggì.
In petto,
ribollì il desiderio sordo di afferrare un delicato polso di quell'incosciente
e scuoterla fino a farle mettere un po' di buonsenso in testa. Ma non poteva
farlo.
Le mani di
coloro che stroncano vite non possono toccare ciò che è sacro.
Il cuore le batteva forte come
impazzito, lo spavento le impallidiva ancora la pelle tuttavia Setareh annuì
con decisione. Il respiro corto non le dava alcun sollievo.
Contrariato, Arshia si piegò su
di lei rimettendola in piedi. «E allora perché sei qui?» le chiese quasi sul
volto, il suo alito le solleticò un angolo delle labbra.
Setareh
avvertì un groppo in gola a causa della durezza nella sua voce. Battè le
palpebre ma non prima che lui vi scorgesse delle lacrime.
Arshia si
irrigidì. «Non temere. Non voglio farti alcun male.» I suoi occhi dorati la
fissarono intensamente intanto che rinfoderava la spada come per rassicurarla. «Non
devi aver paura di me.»
Era una
verità nota a molti che l'acciaio delle spade persiane fosse come acqua ardente
al contatto con la pelle, rilasciava una lacerazione che rasentava il piacere.
La stessa
sensazione che Setareh sentiva intorno al cuore.
Arshia si
allontanò da lei congedandosi con un cenno del capo. Prese posto su uno scalino
di pietra e rimase turbato quando la vide ancora lì, immobile.
Setareh
indossava una lunga tunica blu arricchita di ricami argentei, un argento molto
simile al colore dei suoi occhi. Arshia aveva conosciuto ben poche donne con
gli occhi grigi, forse era privilegio di poche possedere gli occhi del colore
delle stelle.
Forse anche
per questo le avevano dato il nome di Setareh, stella.
Gli occhi di
Arshia furono attraversati da un bagliore. Il volto di Setareh era di un ovale
perfetto, il naso dritto e sottile, la bocca piccola e rosea. Una lunga cascata
di capelli scuri le sfiorava la vita sottile. Dovevano essere ribelli ad ogni
tipo di acconciatura.
Lentamente,
la vide avvicinarsi e come aveva visto fare ad alcuni Arshia gli porse il palmo
della mano destra. Un sorriso triste piegò le labbra di Setareh mentre i suoi
occhi scrutarono il palmo che le veniva offerto come se cercasse qualcosa fra
le pieghe della pelle.
Un levigato
polpastrello iniziò a tracciare sulla pelle del guerriero la sua
giustificazione.
Il caldo le
rendeva impossibile riconciliarsi con il sonno.
«E le stanze
reali annoiano i tuoi sensi?» chiese Arshia, sprezzante.
Setareh piegò
lo sguardo mortificata e scosse la testa.
Quella
fanciulla era velata di mistero. Il suo silenzio, le sue parole tracciate solo sulle
mani di coloro che riteneva degni di una “conversazione”. Setareh era sacra,
quasi una dea fra i mortali.
Per ordine
dello stesso re nessun uomo le si poteva accostare. Lei, era la stella più bella ai piedi del trono di Serse. Una
stella intoccabile.
Una ruga si
fece spazio fra le sue sopracciglia. «Torna nella tua stanza, Setareh» le
ordinò brusco alzandosi dal suo posto.
La spada gli
sbattè contro un fianco mentre i pantaloni di cuoio sembravano essersi
ristretti. I lunghi muscoli della schiena nuda si fletterono quando si sistemò
meglio la spada alla sua destra. Con ampie falcate, avanzò verso un corridoio e
presto l'oscurità lo inghiottì.
Setareh lo
guardò andare via, la voglia di richiamarlo a bruciargli in gola.
Non lasciarti ingannare da loro! I persiani
sono nostri nemici!
Una voce
aspra e madida di veleno squarciò il torpore in cui era ricaduta. Rivenne nella
realtà con un sussulto e una miriade di brividi gelidi che le corsero lungo le
braccia.
Non doveva
allontanare i suoi pensieri dal suo vero e unico obiettivo, si ammonì.
Non doveva
dimenticare chi era e i panni che indossava.
Farlo,
equivaleva a compromettere la sua vita. Il suo sguardo venne catturato da una
strisciolina di cuoio, l'altra metà che permetteva a un laccio di legare una
spada alla cintura lungo i fianchi.
Arshia. La sua pelle saggiò il cuoio e,
istintivamente, Setareh si chiese quanto potesse essere doloroso compromettere
il cuore in quella battaglia che combatteva in segreto.
Solo dopo
diverso tempo, nel silenzio della sua stanza, al riparo da ogni sorta di udito
indiscreto diede modo alla sua voce di pronunciare un nome a lei caro.
*
Era consuetudine di Setareh
recarsi almeno una volta al mese nella città di Shiraz a rilasciare la sua
benevolenza ai più poveri. Negli ultimi periodi, quella terra era diventata
territorio di scorribande e covo di briganti. Memucàn aveva cercato di
esagerare nelle sue descrizioni sanguinose credendo di far desistere Setareh
dal suo intento invece riuscì solo a scuotere maggiormente la sua pietà. Una
terra messa in ginocchio da tanti delitti necessitava assolutamente di un
aiuto.
Setareh era decisa a recarvisi
immediatamente. Perlomeno, le parole dell'anziano principe ebbero un altro
effetto sul cuore del re. Serse concesse un seguito di dieci guardie capitanate
da Arshia per scortare la sua sacra
stella. Era un viaggio che avrebbe richiesto almeno otto giorni di cammino
e mentre la lettiga dondolava dietro le sue spalle, Arshia spronò il cavallo.
La calura dell'estate li
costrinse a fermarsi quasi a ogni sorgente d'acqua gli capitasse sul sentiero,
i cavalli diverse volte pigiarono il suolo nervosamente. Setareh molte volte
incontrò lo sguardo di Arshia mentre si dissetavano ma nessuno dei due mantenne
lo sguardo per più di un minuto.
Il cuore di Setareh sembrava
riempire lo spazio della lettiga. Non era in ansia perché presto avrebbe rincontrato
la cara vecchina Sammuramat che tanto le era cara. Il suo cuore si agitava per
una verità che non doveva essere scoperta. Nascosta dietro il pannello intarsiato
di una delicata porta aveva aspettato con tremore il momento in cui Memucàn
avrebbe detto ad Arshia di lasciarla priva della sua presenza una volta
condotta a casa della vecchia Sammuramat. La povera donna possedeva delle
piaghe purulente che necessitavano di cure e attenzioni che poteva darle solo
Setareh. Quando la notte si frappose fra loro e la strada ancora da fare,
Arshia e i suoi uomini allestirono un angoletto con tappetti, cuscini e un
piccolo fuoco che avrebbe mantenuto lontano ogni sorta di bestiola.
Setareh si poggiò contro la
corteccia di una palma spingendo lo sguardo verso Shiraz.
Avrebbe tanto voluto essere già a
destinazione, ogni minuto lontano da Shiraz era un urlo sofferente di qualcun
altro che lei non poteva aiutare.
«Non dovresti
allontanarti.»
Setareh si voltò di scatto.
Arshia emerse da dietro una palma, armato pesantemente. Non lo aveva sentito
arrivare e intanto che calmava il suo cuore gli rivolse un timido sorriso.
«Memucàn non
ha affatto esagerato sulla barbarie dei predoni. Sebbene non abbiamo oro a
sufficienza per allettarli saranno ben contenti di offrire una tale merce al
mercato degli schiavi.» la punta di un dito di Arshia si alzò a sfiorarle il
mento.
Uno spasmo
increspò le labbra di Setareh come se un suono dovesse traboccare da lei.
Arshia
sollevò il palmo della mano. Setareh lo osservò per un lungo istante e quando
Arshia ebbe la certezza che gli avrebbe comunicato qualcosa, Setareh scosse il
capo e andò via.
*
Arshia di
Susa era un nemico. Una mano di Setareh si aggrappò a un tronco argenteo
d'acacia.
Le lacrime a
pungerle gli occhi. Non aveva mai provato un sentimento tanto contrastante
dentro di lei. Odiava Arshia per aver ucciso il suo popolo, la gente di Samarcanda. La sua famiglia!
Eppure,
desiderava perdersi nei suoi occhi di tigre.
Da lontano,
un ululato di qualche bestiola echeggiò infrangendo il silenzio intorno a lei.
Un richiamo al dovere.
Una lacrima
le rigò una guancia, un singulto le echeggiò in gola.
Il suo popolo sarebbe stato rivendicato.
Avrebbe seguito
il piano che si era imposta, fino alla fine. E poco contava se anche il suo
cuore doveva perdersi nel tumulto della battaglia.
*
Una spada
stava per colpire Arshia alle spalle.
Setareh vide
davanti i suoi occhi la sua vendetta realizzarsi. Una fitta le dilaniò lo
stomaco e non era data dal desiderio di infliggere con le sue stesse mani
quella vendetta. Era puro terrore.
La voce le
ribollì in gola ma si liquefece quando raggiunse la lingua, diventando veleno.
Arshia le si
riflesse negli occhi e incontrando il suo sguardo vide nelle iridi offuscate
dalla paura una lama alzata sopra la sua testa. Repentinamente, Arshia si voltò
trapassando il petto del predone con un movimento brusco e violento. L'ultimo
battito del cuore dell'uomo vibrò sull'elsa di Neshat. Gli occhi spalancati
a rilucere di stupore per una morte che
gli si era rivoltata contro.
Setareh era
come smarrita, guardava la scena pietrificata. Non aveva mai assistito alla
morte di un uomo. E certamente era uno spettacolo a cui non avrebbe mai voluto
presenziare.
Tutto quel sangue che sgorgava,
il desiderio di privare l'avversario della vita, la ferocia a deturpare i
lineamenti del volto.
Arshia non le
era mai parso minaccioso come in quel momento. Il suo volto brillava di una
luce vittoriosa. I suoi occhi, ferini come il ghigno sulle labbra.
Qualcuno le
aveva detto che Arshia in realtà era un figlio illegittimo di re Serse, uno dei
tanti che teneva relegati a Efeso sotto la guida di Artemisia di Alicarnasso.
Setareh socchiuse gli occhi.
Aveva sempre
dubitato di quelle parole e in quel momento che vide quanto era spietato nel
combattere non potè che essere certa del legame di sangue con il crudele re
persiano che la reputava un gingillo della sua corona. Strinse le mani in
pugni, le unghie a conficcarsi nei palmi.
L'avrebbe ucciso con la stessa ferocia.
E quasi
udendo il suo pensiero, Arshia si voltò a guardarla. Un lento sorriso gli piegò
le labbra quasi accettando il suo invito. «Il riflesso dei tuoi occhi mi ha
salvato la vita.»
Arshia le si
avvicinò sollevandole il mento con un dito. «Come veri frammenti di luna.»
sussurrò frugando fra le sue iridi con uno sguardo che le fece liquefare il
sangue.«Aysan, colei che è come la
luna.» pronunciò con un tono di voce solenne. «Da questo momento, il tuo nome
sarà Aysan per me. Non dimenticherò mai che un giorno mi salvasti la vita.»
*
Sammuramat l'aspettava china,
sulla soglia della sua porta. Il volto scuro e avvizzito fu illuminato da un
bagliore quando la vide. Arshia la guardò da lontano, seguendo gli ordini
ricevuti.
Setareh indossava una tunica
argentea aperta dai lati su pantaloni larghi che andavano a stringersi sempre
di più in corrispondenza delle caviglie. Dei minuscoli zaffiri scintillavano
lungo l'orlo delle maniche e dei pantaloni. I capelli lasciati liberi sulle
spalle, un finissimo ruband a
coprirle metà del volto. Era bella da levare il fiato. Fin troppo bella per
andare a curare delle piaghe purulente.
Arshia si
acquattò nella penombra offerta da un folto albero d'argan.
I suoi uomini
sparsi lungo le strade di Shiraz, nessuno di loro avrebbe perso di vista anche
solo per un istante la bella Aysan.
*
Setareh nascosta da un pesante
mantello corse lungo la stradina secondaria che portava alle carceri di Shiraz.
La vecchia e cara Sammuramat non le negava mai di usare il sotterraneo che da
casa sua conduceva alla parte più antica della città. Resti di antiche dimore
in pietra si ergevano fra la sabbia cocente, da lontano giungevano gli
schiamazzi delle taverne poste ai margini del sentiero.
Ad ogni passo
il cuore le si alleggeriva. Era trascorso solo un mese ma a lei parevano anni.
E come ogni volta l'euforia era sempre maggiore.
*
Setareh non
si era mai interrogata riguardo al dolore che provocava una pugnalata al cuore.
Tuttavia, era certa che non doveva essere molto diverso da quello che avvertiva
in quel momento.
«Tu non sei
Shereen. Non sei mia sorella.» la voce di Dara era affilata da sferzare
l'aria.«Indossi anche i loro abiti. Ti hanno ridotta a una lurida persiana. Non
mi sorprenderei se scoprissi che sei anche la loro puttana.»
Shereen frenò
le lacrime richiamando l'antico contegno regale che le avevano strappato.«Il
mio abbigliamento è solo la prova che ti porto per dimostrarti quanto loro si
fidino di me. Non hanno alcun dubbio riguardo alla faccenda che io sia Setareh
Safarian, la nipote del principe Memucàn. Nessuno sospetta della stella di
Serse. Lui stesso non immagina che sono la figlia del suo tanto odiato nemico,
Iskander, re di Samarcanda. L'uomo che ha fatto uccidere nel più brutale dei
modi!»
«E il suo
bastardo?» chiese Dara stringendo fra le mani le sbarre di ferro, gli occhi
color caramello la scrutarono con avidità. «Cosa mi racconti di lui?»
Shereen non
ne ebbe la certezza ma sentì di essere impallidita vergognosamente. Mille
pensieri si ingarbugliarono fra loro, districarli era impossibile. Le parole a
puntellarle la lingua ma nessuna sembrava quella giusta da proferire.
Una risata trionfante la fece
sussultare. «E brava la mia sorellina. Con un silenzio così meraviglioso e perfetto
raggireresti perfino me.»
Dara si passò
una mano fra i capelli sporchi e scomposti. «Non diffidano di te eppure non sei
riuscita a inoltrarti nelle stanze reali.» guardò gli occhi della sorella
intensamente. «Uno solo. Un solo colpo nel bel mezzo del cuore e la morte di
Serse ripagherà il sangue di nostro padre che grida dal suolo. E quando io
riuscirò a fuggire di qui, mi occuperò personalmente del suo bastardo!»
Shereen sentì
la gola bruciare improvvisamente tuttavia annuì.
«Sei riuscita
a riprendere Neshat, la spada di
nostro padre? Dov'è che la tiene nascosta quella specie di uomo effeminato?»
Shereen aprì la bocca ma non
furono le sue parole quelle che squarciarono l'oscurità del tradimento fra le
luride mura delle carceri di Shiraz.
«Pende al fianco
del bastardo che ha scuoiato vivo tuo padre.»
Arshia emerse dalla penombra,
Neshat splendette al chiaro di un raggio di luna che penetrò da una fessura.
Gli occhi puntati su Dara e la spada su Shereen avanzò con una lentezza che
fece ruggire il sangue nelle vene di Dara.
«Allontana
quella spada da mia sorella, cane!» urlò Dara scuotendo il metallo che cigolava
ma non desisteva sotto i suoi innumerevoli strattoni.
«Allontanarla?»
chiese Arshia rivolgendo finalmente il suo sguardo su Shereen, un ruggito
selvaggio per le sue orecchie da traditrice. «La piccola luna ha finalmente
mostrato l'altra metà del suo volto. Prova pure del compiacimento per la voce e
la figura di tua sorella, principe Dara. Non avrai modo di udirla e rivederla
ancora.»
Una notte non
molto lontana da quella Arshia le aveva detto di non aver paura di lui, che mai
le avrebbe fatto del male. Ma in quel momento Shereen era cosciente che non
avrebbe mai mantenuto quella promessa.
*
«Setareh,ehm...
La prigioniera desidera parlarti, capitano.»
Arshia
rivolse all'uomo uno sguardo che l'avrebbe incenerito se le fiamme delle sue
pupille potessero raggiungerlo. Strinse forte il calice da cui stava bevendo
del vino di palma prima di poggiarlo con estrema delicatezza su un basso
tavolo. Per qualche strana ragione aveva deciso di accamparsi nei pressi di
Shiraz per almeno due giorni.
La tenda di
panno turchino e vermiglio gli sembrava una gabbia. I tappetti furono oggetto
della sua attenzione mentre sentì dei passi avvicinarsi.
Shereen
avanzò cauta ma non per timore di morire. L'unica cosa che temeva in quel
momento era il suo sguardo, il suo giudizio. La posa rigida delle spalle
comunicava disinteresse, le mani strette in pugni rendevano le nocche gelide.
Lei che era maestra del silenzio soffrì terribilmente nel riceverlo.
Un tremore le
piegò le labbra, le ciglia si imperlarono di lacrime, lo sguardo basso sulle
scarpette che divennero poco nitide. Non le importava cosa ne sarebbe stato di
lei quando Arshia l'avrebbe ricondotta ai piedi del re Serse con l'accusa di
essere una traditrice, la figlia di Iskander di Samarcanda. Era impossibile
temere qualcosa in quel momento che il suo cuore stava sanguinando
terribilmente. In quella battaglia in cui aveva combattuto da sola ne usciva
ferita e distrutta, un esito che non poteva essere differente.
«Non confido,
nella circostanza in cui ci ritroviamo, che ascolterai le mie parole
giudicandole veritiere. Ma...» un nodo
le strinse la gola e dovette deglutire con forza. «...non avrei mai sollevato
un'arma contro di te. Ne contro nessun altro. Dara ha pienamente ragione. Io
non sono più Shereen di Samarcanda che un fortuito giorno incontrò la carovana
della sorella di Memucàn e si riscoprì identica a sua nipote Setareh.»
Mentre
parlava, Shereen rivisse quel giorno.
Il momento in cui, sofferente per
le ferite ricevute da un predone, la sorella di Memucàn la invitò a fingersi la
sua stessa figlia uccisa pochi istanti prima. Memucàn aveva bisogno di qualcuno
che si prendesse cura di lui e per Shereen di Samarcanda era un dono venuto dal
cielo quel fortuito modo di inoltrarsi alla corte di Serse sotto le mentite ma
veritiere spoglie di Setareh Safarian..
«E chi sei?»
chiese Arshia avvicinandosi repentinamente. Indossava solo un pantalone di
stoffa candida, una lunga sciarpa drappeggiata sul torace. Gli occhi ardenti
come braci.
Si odiò
ammettendo che gli sarebbe mancato quel suo modo di comunicare. Lo faceva
impazzire il modo in cui Aysan scrutava gli occhi del suo interlocutore
l'attimo dopo aver tracciato con l'indice le sue risposte quasi cercando
dell'approvazione. Che approvazione
poteva mai chiedere la luna?
«Sono solo
una donna.» rispose Shereen in un sibilo.
Le mani di Arshia si chiusero sui
lati del suo volto, imprigionandolo per avvicinarlo al suo. «E cosa vuoi da me, donna?» chiese con il fiato corto, le viscere contratte.
Shereen
inspirò, una lacrima su una guancia.«Che possa placarsi l'ira del cuore del mio
signore.»
Un gemito
roco e le labbra di Arshia si poggiarono sulla sua bocca. Un bacio non poteva
essere più famelico e agognato di quello. Le mani di Shereen si chiusero sul
leggero velo che attraversava il torace di Arshia quasi aggrappandosi a lui. La
sciarpa cadde a terra con un leggero fruscìo, le mani di Arshia si richiusero
sui polsi di Shereen portandoli dietro il suo collo prima di sollevarla da
terra. Le mani di Shereen si inoltrarono nei lunghi capelli di lui, le bocche
unite in un bacio che non possedeva nulla di casto.
Il cuore
poteva mai sfuggirle dal petto?
Shereen se lo
chiese molte volte quella notte mentre Arshia l'amò.
Che fosse al
riparo delle stelle o delle dune del deserto, non vi era alcun tipo di odio,
rancore o delitto che non potesse inchinarsi di fronte all'amore.
FINE
CHI E' L'AUTRICE
Rosa Forte vive in un paesino sovrastato da un delizioso feudo medievale di cui da piccola credeva di essere la principessa. Sognatrice appassionata di libri, sin da bambina non ha mai vissuto un solo attimo di realtà, confinandosi sempre in mondi e trame oniriche per assaporare le vite e le avventure di tanti personaggi. L'amore per la narrativa è sbocciato nel suo cuore leggendo, per un compito scolastico, il romanzo Piccole Donne di Louisa M. Alcott. Da quel momento non ha mai più smesso di leggere e ha così iniziato a trasportare i mondi fantastici su quaderni che custodisce gelosamente. Nell'antologia Profumi di Storia e d'Estate è presente il suo racconto "Il profumo delle notti sul Nilo" e nell'antologia Profumi di Storia e d'Amore, "Il sussurro di un cuore asservito".
Rosa ama la sua famiglia, le amiche ed è alla continua ricerca di libri in grado di toccarle il cuore e farla sognare, nell'attesa di dar vita a un romanzo tutto suo. Predilige i romanzi storici, le leggende, le opere di Jane Austen e Brenda Joyce e tutti i libri che mirano ad insegnare il valore del vero amore.
Rosa ama la sua famiglia, le amiche ed è alla continua ricerca di libri in grado di toccarle il cuore e farla sognare, nell'attesa di dar vita a un romanzo tutto suo. Predilige i romanzi storici, le leggende, le opere di Jane Austen e Brenda Joyce e tutti i libri che mirano ad insegnare il valore del vero amore.
Questo racconto mi ha proprio stregata! Una storia che mi piacerebbe leggere in un romanzo. Mary
RispondiEliminaCiao Mary, sei gentilissima, grazie. Riguardo al romanzo, potrebbe essere un "progetto" in corso...=D
EliminaUn racconto che ci porta in una terra e in un tempo che ci fa ancora credere nelle favole: complimenti all'autrice!
RispondiEliminaCiao Piera, grazie mille. =)
EliminaUn racconto magico come magici sono quei luoghi e quelle atmosfere da mille e una notte. Peccato per la brevità. Avrei preferito leggere di più delle dinamiche sensuali e sentimentali dei due protagonisti. I miei complimenti all'autrice.
RispondiEliminaCiao Lady, grazie. =)
RispondiEliminaBellissimo. Arrivata alla fine bramosa di conoscere cosa potrebbe accadere alla Stella di Serse e al figlio illegittimo del re.
RispondiEliminaUn modo di scrivere delicato, raffinato, coinvolgente. Man mano si procede nella lettura, sembra di essere accanto ai personaggi, di vivere con loro, di camminare accanto a loro, di assistere alla passione che travolge i protagonisti in un mondo crudele e violento.
Ciao Alessandra, grazie! =)
EliminaBrava, brava, brava. Trasportata in terre e tempi lontani, ho dimenticato il presente. Trama appassionante. Scrittura impeccabile. Ambientazione vivida. Complimenti!
RispondiEliminaCiao Helena, grazie mille per le belle parole. =)
RispondiEliminaun racconto dicisamente troppo breve, vista la suspense che si è creata e la voglia di leggere investe il lettore.
RispondiEliminapeccato perchè la storia mi è piaciuta molto,
ma mi è mancato una maggiore interazione tra i due,
che possa spiegare meglio l'attrazione reciproca, che si intuisce in lei ma non il lui, quantomeno è molto meno vidente. il finale è eccessivamante sbrigativo. comuque l'autrice è riuscita a catapultati in un'altra epoca con la sua scrittura forbita, ma mai noiosa.
racconto che ti fa immergere nelle magiche atmosfere delle mille e una notte forse doveva essere sviluppato di più il rapporto del protagonista con la principessa,comunque si legge volentieri.elisabetta
RispondiEliminaAmbientazione magica per una storia che affascina. Bello, complimenti!
RispondiEliminaCiao Monica, grazie mille!
Eliminacontesto suggestivo ed esotico; sarebbe bello se si sviluppasse il racconto in un romanzo perchè la storia e lo stile narrativo sono molto piacevoli.
RispondiEliminaCiao Angela, grazie mille. Per quanto riguarda la stesura di un romanzo è un'avventura in cui mi sono già inoltrata!
EliminaIntrigante la magica atmosfera del mondo persiano ma il racconto è troppo breve, appena parte termina e in modo troppo sbrigativo
RispondiEliminaBellissima atmosfera. Peccato che la brevità del racconto abbia tolto molto all'azione. E' una storia che avrebbe avuto bisogno di più spazio.
RispondiElimina