IL ROMANZO MISTERIOSO... SECONDA PARTE


SECONDO APPUNTAMENTO CON IL ROMANZO MISTERIOSO DI CUI HO TRADOTTO ALCUNI CAPITOLI PER POTER FARLO LEGGERE ANCHE A VOI E SAPERE COSA NE PENSATE. E' UNA STORIA INTENSA, MOLTO ROMANTICA, IN CUI L'AMORE AVRA' PER ENTRAMBI I PROTAGONISTI UN RUOLO LIBERATORIO. E IN QUESTA PARTE LA STORIA COMINCIA AD ENTRARE NEL VIVO...

SE NON AVETE ANCORA LETTO LA PRIMA PARTE, LA POTETE TROVARE QUI. BUONA LETTURA!

PS: D'ACCORDO, TROVARE IL TITOLO DI UN LIBRO DATI I NOMI DEI PROTAGONISTI ORMAI E' UNA COSA PIUTTOSTO FACILE, ALCUNE DI VOI HANNO GIA' SCOPERTO TUTTO MA...STATE AL GIOCO E GUSTATEVI QUESTE PAGINE, PROSSIMA VOLTA VI DICO TUTTO! :-)

SECONDA PARTE
CAP. 2
Man mano che la giornata entrava nel vivo, il mio panico un po’ diminuì.Rimasi tutta la mattina nell’aula B; non era molto diversa da un’aula scolastica, sebbene le pareti di calcestruzzo non avessero finestre, non ci fossero cartelloni appesi e l’atmosfera fosse tetra.Quattro sedie di metallo erano inchiodate al pavimento dietro ad ognuno degli otto lunghi tavoli disposti su quattro file, facevano accomodare un totale di trentadue uomini, con un corridoio nel mezzo. La mia sedia si poteva muovere, ma non era molto più comoda di quelle su cui dovevano sedere i detenuti; il tema dell’arredamento era minimalista.Tutto ridotto al minimo: pochi oggetti spostabili, poche attrezzature, pochi materiali con cui poter ideare un’arma in grado di pugnalarmi a morte.Prima che arrivassero i detenuti una guardia più anziana prese posto vicino alla porta, le mani intrecciate davanti a sé, schiena dritta come un fuso. John  l’aveva presentato come Leland. Aveva i baffi grigio acciaio, a manubrio. Con me non si fanno cazzate , annunciavano al mondo quei baffi.
La porta venne aperta dall’esterno alle nove meno due minuti e il cuore mi balzò  in gola. Mi sforzai di sorridere. Mi sforzai di deglutire. Mi sforzai di far smettere alle mie mani di tremare sopra al libro da scuola elementare sistemato sulla piccola scrivania piena di graffi davanti a me e di far smettere alle mie ginocchia di sbattere.I detenuti entrarono in fila indiana, chiacchierando e discutendo fra loro. La classe era  piena, ogni singola sedia occupata, il che mi portò a pensare che il corso di Alfabetizzazione di Base avesse una lista d’attesa. Gli uomini erano un po’ di tutte le taglie e le età. Tutti con le stesse uniformi blu scuro. Fra loro non vidi il numero 802267.«Buon giorno,» dissi. La mia voce aveva una nota acuta. Se la riuscivo a sentire io, la sentivano anche loro. Non potevo farci niente.«Sono la signorina Goodhouse, la nuova bibliotecaria per i servizi esterni della Biblioteca Pubblica di Darren. Benvenuti al corso  di Alfabetizzazione di Base.» Presi volutamente un lungo respiro per evitare che le parole mi uscissero troppo velocemente. Avrei voluto chiudere gli occhi così da far diventare indistinti le loro barbe, i loro tatuaggi e i numeri stampati sulle loro maglie  e poter far finta che fossero adolescenti e che mi trovassi nell’aula di una scuola.«Vi distribuirò delle dispense per gli esercizi,» dissi allungandone quattro agli uomini  in prima fila . «Per favore, fateli passare.» Trattenni il fiato mentre mi spostavo verso la seconda fila, ma nessuno mi toccò il fondoschiena. Gli occhi erano ovunque, e qualcuno mormorò:  «Ragazza del  sud,» ma non ci fu nessuna palpata. Terza fila. Quarta. Tornai a lunghi passi verso la parte davanti della stanza, mascherando il mio sollievo.«Questo è un corso di otto settimane. Se tratterò degli argomenti che già conoscete, per favore

considerateli un ripasso. Le lezioni diventeranno più impegnative man mano che le settimane passeranno. D’accordo? Allora, c’è qualcuno che non sa l’alfabeto?» Nessuno rispose o alzò la mano e a me non rimase che supporre che fossero sinceri.«Benissimo. Inizieremo con la fonetica di base. La fonetica è un modo per imparare a leggere e a  scrivere tramite l’ascolto dei suoni delle parole…»
La mente si staccò dalla bocca; avevo fatto quell’introduzione molte volte prima di allora, avendo lavorato come supplente in una scuola elementare e dato lezioni private per gran parte dei miei anni di università.
Però era molto strano dire tutte quelle cose a uomini adulti, detenuti, invece che a  ragazzini agitati.
Man mano che la lezione progrediva, alcuni uomini smisero completamente di parlare, difficile dire se perché molto concentrati o totalmente disinteressati. Altri erano più loquaci, vogliosi di fare domande solo per aver occasione di parlarmi. Di solito per flirtare .«Ehi, signora della biblioteca,» saltò su uno. «E’ sposata?»«Sì,» aggiunse un suo amico, «a chi legge le favole della buona notte quando è a casa?»«Chiudi il becco,» gli disse uno in prima fila , girandosi.«Pensi di avere qualche chance? Cazzo. Qualcuno di noi è qui per migliorarsi, stronzo!» Quello apparteneva a un altro gruppo, quello dei tipi iper seri, con poca pazienza per le stupidaggini, sempre pronti a chiedermi di rispiegare qualcosa che non avevano capito.
Nessuno era apertamente poco rispettoso o minaccioso, non nel modo in cui parlavano. Sentivo che quello che Karen mi aveva detto era vero: la possibilità di passare un’ora concentrando la propria attenzione su una donna sconosciuta era qualcosa  a cui tenevano. Speravo che qualcuno di loro fosse davvero interessato ad alfabetizzarsi, ma in mancanza di quello, la loro volontà di rispettare le regole in cambio di un’ora in cui poter mentalmente spogliarmi sarebbe stato sufficiente. Anche se, diciamola tutta, non ero davvero pagata abbastanza per quello.Dopo l’Alfabetizzazione di Base venne Composizione. Chiesi ai presenti, mentre entravano in fila, di sedersi per favore in ordine di capacità  di scrittura, da chi lo trovava “molto difficile” a chi lo trovava “ un po’ difficile” e “non troppo difficile”. Alcuni annuirono, mostrando di aver capito, ma ancora una volta si sedettero ai tavoli rispettando strettamente la divisone per colore di pelle.Era ovvio che cercare di dividerli in tre gruppi di livello era una causa persa, perciò distribuii dei fogli di carta a righe  e delle matite, quest’ultime fornite dalla prigione, e lessi loro la consegna.«Ognuno di voi per favore scriva per tre minuti sull’argomento “la mia stagione preferita”. Voglio semplicemente vedere a che livello siamo quanto ad abilità di scrittura.»Io giravo fra i banchi, nessuno mi aveva ancora toccato il sedere. Alcuni riuscirono a scrivere un paio di frasi, usando la scrittura lenta, in stampatello, dei bambini, altri un paragrafo o due. Quando misero giù le matite, raccolsi alcuni fogli di lunghezza varia da leggere ad alta voce. Stetti ben attenta a lodare quello che avevano fatto prima di estrapolare errori di uso o di grammatica per dare spiegazioni.« “La mia stagione preferita è l’estate”,» lessi ad alta voce, glissando sugli errori d’ortografia, «”perché da bambino non avevamo scuola e potevamo giocare tutto il giorno e non c’era nessuno a dirmi dove essere fino all’ora di pranzo. Odio l’inverno è troppo lungo qui in Michigan non come in Virginia da dove vengo.” Bene. Questo va molto bene. Rispetta la consegna con frasi convincenti e dritte al punto. Adesso facciamo una lezione veloce sull’uso della  punteggiatura, per indicare il ritmo delle nostre parole…»Il resto della lezione di scrittura non andò … disastrosamente. Andò un po’ fuori strada quando cercai di dare alcuni semplici consigli di grammatica. Forse, avvertendo il mio disagio, qualcuno colse l’occasione di farla diventare un dibattito politico  sulla “voce dell’uomo di colore” e  su quanto il linguaggio  da strada fosse più autentico  di quello che lui chiamava “la vostra elegante lingua da bianchi, mi capite?” Terrorizzata di innescare un litigio, lasciai che i detenuti si impegnassero in un’analisi semi civile dell’argomento, intervenendo con un vago e poco energico: “Sì, è un punto interessante” prima che le cose si scaldassero e Leland battesse contro il muro con il suo manganello dicendo a tutti di chiudere il becco.La lezione arrivò a conclusione, e mentre i detenuti si avviavano in fila  all’uscita, avevo i muscoli facciali che mi facevano male, a forza di sorridere, e  le spalle che stavano praticamente toccandomi le orecchie. Diedi un occhio a Leland nell’angolo, pregando che mi desse un segno, di qualsiasi tipo, positivo o negativo, che potesse dirmi come avevo gestito la lezione.Mi mostrò il pollice in su e il suo sguardo burbero, indifferente, diceva: non stressarti, ragazza, stai andando bene.
Feci il respiro più lungo di cui fossi capace, volendo credergli. ...
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