CHRISTMAS IN LOVE 2015: " LA STRADA PER I SOGNI " DI MARIA CRISTINA ROBB


SIETE PRONTE A FESTEGGIARE  I GIORNI PIU' DOLCI DELL'ANNO CON LA RASSEGNA DI RACCONTI PIU' CLASSICA DEL NOSTRO BLOG? 

TORNA CHRISTMAS IN LOVE CON TANTI RACCONTI NATALIZI INEDITI, SCRITTI DALLE AUTRICI CHE PIU' AMATE E DA QUALCHE NEW ENTRY MOLTO PROMETTENTE. COME AL SOLITO ASPETTIAMO I VOSTRI COMMENTI. 

QUEST'ANNO I RACCONTI HANNO UN LEIT MOTIV COMUNE OLTRE AL SETTING NATALIZIO, SONO TUTTE STORIE CHE RACCONTANO DI "UNA SECONDA OCCASIONE PER AMARE". 

LA PRIMA A ROMPERE IL GHIACCIO E' MARIA CRISTINA ROBB, AUTRICE DEL "RACCONTO PREFERITO DALLE LETTRICI" DI SUMMER LOVING 2015, CHE CON LA STRADA PER I SOGNI FA INCONTRARE DOPO DIECI ANNI DUE PERSONE CHE NON AVREBBERO MAI PENSATO DI RIVEDERSI... BUONA LETTURA!



Busso alla grande porta di legno scuro dove campeggia la targa: ‘Professor Vittorio Logiudice’.
E’ strano tornare qui dopo tutto questo tempo. Gli alti soffitti a volta, i lunghi corridoi con i pavimenti un po’ sconnessi e i muri bianchi segnati dal passaggio continuo di personale e attrezzature.
Tutto come allora, eppure così diverso.
Io sono diverso.
Un tempo mi sentivo soffocare qui dentro, ero prigioniero, un topo dentro un labirinto di cui non trovavo l’uscita. Invece adesso, mi sembra un rifugio, una tana calda e accogliente dove infilarmi e sistemarmi comodo, per riprendere la mia vita dove si era interrotta.
Dove l’avevo interrotta.
“Avanti.” La voce baritonale del dottor Logiudice mi richiama a quella porta.
Abbasso la maniglia ed entro nello studio, inondato dalla luce opaca di un sole decembrino un po’ appannato.
L’imponente figura siede davanti alla scrivania che straripa di reperti professionali: riviste ancora avvolte nel cellophane, foto e dischetti di esami diagnostici, articoli sottolineati, buste e fogli sparsi, miniati in una calligrafia appuntita e decifrabile solo da pochi eletti.
“Buongiorno.” Entro deciso, la voce squillante, lo sguardo fisso su di lui. Voglio dare un’immagine giusta al mio nuovo primario.
“Buongiorno Luca. Sei riuscito a trovare posto in qualche studio?”
“Il Dottor Menchi mi ha fatto un po’ di spazio.”
“Bene.” Il professor Logiudice batte le mani sui braccioli e si alza, accompagnato da un sospiro di sollievo della poltrona.
“Allora possiamo andare in reparto e fare le presentazioni.”
Il direttore gira intorno alla scrivania e mi assesta una pacca sulla spalla.
“Sono contento che entri a far parte del mio gruppo. Un giorno mi racconterai della tua permanenza a
Pittsburgh.”
Sorrido e annuisco con la testa.
Speriamo che non venga mai quel giorno. Quel delirio vorrei lasciarmelo alle spalle.
Usciamo dallo studio e mi precede verso l’Unità Operativa con il passo marziale e lo svolazzare del camice attorno alle gambe.
Mi sono specializzato qui ma sono nervoso come se fosse la prima volta che percorro questo corridoio. Quanti ricordi. Ognuno vorrebbe dire la sua, ognuno spinge per farsi sentire, ma solo uno emerge da quel caos, vivido come una proiezione in 3D.
Ho saputo che lavora ancora qui. Sarà per questo che sono così agitato?
Entriamo nel reparto, seguiti dai deferenti saluti dei colleghi e dei parenti in visita, a cui Logiudice risponde con cenni del capo e monosillabi. Non è mai stato loquace, neanche quando era solo un aiuto. Diventare primario non lo ha certo reso più socievole.
L’ufficio della caposala è ancora la prima porta sulla destra e all’interno siede una donna alta e magra, con un taglio nero corvino alla Valentina da dove spuntano due pendenti turchesi. Indossa la divisa bianca bordata di rosso dell’ospedale e sulla targhetta, appesa al taschino, leggo ‘Coordinatore Infermieristico’.
Ero quasi certo di trovarci lei in questa stanza, chissà cosa ne era stato delle sue ambizioni. Forse si erano carbonizzate come le mie.
“Buongiorno Maristella.”
La donna alza gli occhi dal tabellone che sta compilando e sorride in modo meccanico, senza calore nello sguardo. “Buongiorno professore.” La voce roca per le troppe sigarette.
Il primo impatto non è un gran che.
“Questo è il dottor Arienti.” mi presenta.
“Piacere.” La caposala mi stringe la mano con poco entusiasmo e mi squadra come l’ennesimo scocciatore della giornata.
“Per favore.” aggiunge il direttore, “Potrebbe chiamare tutti in soggiorno? Vorrei presentarlo al gruppo.”
La donna fa un cenno con la testa ed esce dall’ufficio. Noi la seguiamo a ruota.
Il largo corridoio è nel suo abituale turbine di attività. Il personale entra ed esce dalle stanze, i carrelli spinti dagli operatori sferragliano sul linoleum marrone e un magazziniere sta scaricando alcune scatole pesanti in un angolo.
E’ tutto come allora, persino la disposizione delle stanze.
Il braccio dove si trovano la sala di medicazione e lo studio dei medici è di fianco all’ufficio della caposala, la guardiola degli infermieri in fondo e, dall’altro lato, la sala da pranzo e la cucinetta.
Qui il tempo sembra essersi fermato a dieci anni prima.
Il soggiorno, invece, è stato rinnovato. Adesso, il caldo color arancio degli arredi rallegra l’ambiente, una volta bianco e asettico.
La stanza è vuota, nemmeno qualche degente a guardare la televisione. Butto l’occhio sull’orologio a muro e ricordo. Alle dieci finiva la visita, i pazienti erano ancora nelle camere per essere sottoposti alle prescrizioni mediche.
Un brusio di voci si avvicina.
Ho le mani fredde a dispetto del solito riscaldamento tropicale.
Le persone cominciano a infilarsi dalla porta. Io li guardo in faccia, uno a uno, nella speranza di incontrare quegli occhi. Qualche collega solleva il mento in saluto, qualcuno si accosta al muro di fianco alla porta. Il personale infermieristico si dispone al centro dell’ambiente.
Eccoli! Ci sono anche loro.
Mi guardano e per un secondo riesco a leggervi dentro come una volta. Le palpebre si allargano, il petto si alza di colpo e il gelo polare scende sul verde limpido di quelle iridi, trasformandole in due stagni d’acqua ghiacciati.
Ho un brivido.
Non mi aspettavo un’accoglienza calorosa, ma speravo che il tempo avesse almeno mitigato la rabbia.
Invece no.
Ma è anche per loro che sono tornato.
“Buongiorno a tutti.” Il tono paterno del professor Logiudice mi ridona un po’ di calore. “Volevo presentarvi il dottor Luca Arienti. Qualcuno forse se lo ricorderà quando era un giovane specializzando in questo reparto. E’ appena rientrato dall’America e ha firmato un contratto di due anni per la nostra Unità Operativa.”
I due occhi si stringono e mi lanciano una freccia diritta al cuore. È solo per pura fortuna che non cado a terra in un lago di sangue.
Sollevo un angolo colpevole delle labbra solo per loro e poi indosso per tutti il mio sorriso da uomo affabile e cordiale, una maschera per nascondere il mio vero stato d’animo.
“Salve a tutti. E’ un grande onore per me poter lavorare qui, dove ho trascorso i miei anni da studente e poi da specializzando. Spero di poter essere un valido apporto per il gruppo e soprattutto per i pazienti.”
Tutti sorridono, più o meno, e qualcuno mi rivolge un gentile benvenuto. Colgo anche un accenno di calore nello sguardo di qualche ragazza carina.
Non è certo una festa ma, in fondo, per molti di loro sono uno sconosciuto.
Ma quegli occhi rimangono gelidi e tempestosi, un ribollire di pensieri e interrogativi.
“Il dottor Arienti comincerà domani.” riprende il direttore. “Mi aspetto collaborazione per aiutarlo a integrarsi nelle attività di reparto. Grazie.”
Il personale se ne va con mormorii di saluto e io seguo l’ondeggiare della coda bionda mentre si allontana.
Potevo aspettarmi qualcosa di diverso?
No. Non dopo come mi sono comportato. Eppure… ci avevo sperato. Se dopo dieci anni mi faceva ancora lo stesso effetto, forse anche per lei era uguale.
Che illuso!
Adesso ci fronteggiamo sui lati opposti della barricata.
La mia ex moglie l’aveva sempre sospettato. Povera Sophie.
Anche lì mi ero illuso: la figlia del luminare che sposa il giovane interno. Una brillante carriera e una donna al mio fianco che conosceva i sacrifici necessari per raggiungere la vetta.
Ma la realtà si era rivelata ben diversa. Nonostante il mio sbandierato cinismo, la voglia di emergere e di lasciare il mio nome negli annali di chirurgia, avevo lo stomaco troppo “delicato” per cavalcare quell’onda.
Se almeno avessi potuto metterci il cuore… ma come avrei fatto? Non aveva preso l’aereo per Pittsburgh con me. Era rimasto qui, tra le mani di quella donna che adesso mi guarda come se fossi un rifiuto abbandonato per strada.
“Lascia perdere amico.” Menchi, il mio compagno di stanza, mi dà una pacca sulla spalla. “Quella ha dato picche anche a Leardi.”
Chi è Leardi?
Sollevo le spalle e simulo un sorriso. Chi se ne frega di Leardi. Cosa ne sa di lei, di noi?
Devo trovare un modo per parlarle. È da troppo tempo che sono l’unico a darmi dell’idiota.

“Ciao, Cinzia.”
Alzo il braccio con un sorriso in risposta al saluto del barelliere. “Tutto bene?”
Lui mi fa un OK con le dita e prosegue la sua strada con il paziente nella carrozzina.
Mi piace fare il turno di mattina. Nonostante il passare del tempo, alzarmi presto non mi pesa, anzi. Ho un sacco di ore davanti a me e riesco a fare mille cose che mi piacciono.
Peccato che la “bella” sorpresa dell’altro giorno abbia un po’ rovinato questo piacere.
Il reparto è tutto in fermento. Abbiamo una nuova star, il bel dottor Arienti, atterrato proprio qui dagli States per illuminarci con la sua luce.
Io, invece, vorrei aver chiesto il trasferimento ieri. Sono furiosa. Possibile che abbia ancora una tale presa su di me, accidenti a lui?
Quando mi sono vista davanti quella faccia da schiaffi, gli occhi nocciola puntati su di me come un segugio, il mio cuore ha deciso di ribellarsi alla sua prigione e intraprendere una personale rivoluzione nel petto.
Strappo fuori la carpetta del successivo paziente dal carrello e la stringo contro il petto.
Il giovane dottor Arienti, promessa della chirurgia generale, adesso non è più tanto giovane.
I segni del tempo gli hanno marcato il viso, striato di bianco le tempie e offuscato la luce nello sguardo. Lo scintillio dei sogni si è spento, coperto da un velo che solo l’esperienza e il dolore possono aver lasciato.
Mi toccherà averlo intorno più di quanto vorrei, che sarebbe mai. Non ci posso fare niente. Per fortuna ci sono altre cose oltre il lavoro nella mia vita.
Entro nella stanza numero cinque con un sospiro e scosto la tenda che mantiene quel minimo di privacy fra un letto e l’altro.
“Buongiorno signor Stagni.” Gli tocco la mano stretta intorno alla sponda.
Un sorriso stanco tenta di farsi strada sul viso dell’anziano, operato due giorni fa.
“Buongiorno Cinzia.” mormora rauco.
“Com’e andata la notte?” Un’occhiata generale ai drenaggi e al sondino poi inizio a segnare i residui sulla sua cartella.
“Mi sono svegliato con un gran male stanotte.” mi dice.
I solchi neri sotto gli occhi arrossati e lo sguardo sfuocato raccontano di una notte insonne.
“Ha chiesto l’antidolorifico?” Per fortuna i parametri si erano mantenuti nella norma.
“Sì, ma c’è voluto un bel po’ prima che passasse.”
Continuo a scrivere sulla sua cartella mentre mi racconta del vicino di letto che ha fatto il diavolo a quattro tutta notte.
Fare la caposala? Neanche se mi pagassero il doppio, non m’interessa dirigere colleghi. Il mio lavoro è questo: osservare, analizzare, pianificare e poi rispondere ai bisogni dei miei pazienti e non diventare matta per coprire il turno dell’ennesimo infermiere malato.
“Buongiorno.”
Una voce nota alle mie spalle mi fa stringere i denti.
A proposito di stargli alla larga. A che ora si butta giù dal letto? Neanche fosse stato di guardia.
“Dottor Arienti.” Lo sguardo del paziente s’illumina e un sorriso sincero gli modifica l’espressione tirata. “Buongiorno a lei.”
Io faccio finta di nulla e continuo a controllare sulla mia cartella le annotazioni dei colleghi della notte.
Lui mi viene vicino. Lo fa apposta, lo so.
“Buongiorno Cinzia.”
“Giorno.” mastico via, scoraggiante.
“Come va il signor Stagni?”
Ok, ce la posso fare. Penso al paziente e torno a essere una professionista.
“Questa notte ha riposato poco. Hanno dovuto fare un’altra dose di antidolorifico alle due. I parametri sono normali, anche se stamattina è un po’ febbrile. Abbiamo fatto la batteria degli esami post-operatori.”
Lui si avvicina ancora per osservare i sacchetti appesi al letto e mi costringe a riempirmi le narici del suo dopobarba, sempre quello: secco, ma con una lieve nota pepata. Mi scosto e stringo le redini dei ricordi che minacciano il mio controllo.
“Dobbiamo tenere monitorata la temperatura. Programma la medicazione della ferita.”
Luca prende il polso del signor Stagni con le dita “Uhm, un po’ tachicardico.”
Alza lo sguardo di colpo e mi becca proprio mentre lo sto osservando.
“Ho bisogno di un rapporto sui tuoi pazienti, Cinzia.” dice con tono chiaro e forte. “Ti dispiace raggiungermi nello studio dei medici?”
L’hanno sentito tutti. Vuole fregarmi il bastardo.
Stringo i denti per non rispondergli male. Lo so, non posso rifiutare, qualcuno potrebbe farsi delle domande. Accidenti a lui! Non voglio parlargli. Mi fa male solo stargli vicino.
Il rancore non avrebbe dovuto cauterizzare tutto?
Guardati, invece.
È bastato rivederlo perché la ferita si rimettesse a sanguinare come una fontana.


PER CONTINUARE A LEGGERE IL RACCONTO 

MOLTI ALTRI SPLENDIDI RACCONTI NATALIZI VI ASPETTANO NEI PROSSIMI GIORNI SUL BLOG PER FESTEGGIARE  INSIEME LE FESTE.
E FRA TUTTE QUELLE CHE COMMENTERANNO I RACCONTI ALLA FINE DELLA RASSEGNAS ESTRARREMO BELLE SORPRESE!

CONTINUATE  A SEGUIRCI!



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