COME PUBBLICARE UN LIBRO E SOFFRIRE IL MENO POSSIBILE di Adele V.Castellano

LA RETE HA SPALANCATO LE PORTE DELLA PUBBLICAZIONE VELOCE E A BASSO COSTO ( O COSTO ZERO) A CHIUNQUE AMBISCA A METTERE NERO SU BIANCO LE SUE STORIE O I SUOI PENSIERI E FARLI LEGGERE  AGLI ALTRI. CI SONO QUELLI CHE NON  BADANO PIU' DI TANTO ALLA FORMA, L'IMPORTANTE E' PUBBLICARE, E CHI INVECE IL PROBLEMA SE LO PONE.
ADELE VIERI CASTELLANO, CHE DI LIBRI SE NE INTENDE, SIA PERCHE' LI SCRIVE, SIA PERCHE' LI LEGGE,  HA QUALCHE UTILE CONSIGLIO DA DARE AI NOVELLI SCRITTORI...

Emozioni. Tutti proviamo emozioni, trasformare le nostre sensazioni in segni o grafia è un atto ancestrale, precedente all’invenzione della scrittura: l’uomo di Cro-Magnon, sulle pareti della grotta dei Balzi Rossi a Ventimiglia, disegnò bufali, bisonti, cervi. In quelle pitture celebrava l’ansia, la paura, l’euforia della caccia. Nel suo modo primitivo di esprimersi, faceva parlare la sua anima e  comunicava con gli altri. Poi è arrivata la scrittura e i sentimenti, la gioia, il dolore sono diventate parole, testi, poesie. Essa non è solo un mezzo di comunicazione. È qualcosa di profondo, intimo ma dal semplice diario al romanzo, molta acqua scorre sotto i ponti.
Detto questo, tutti hanno una storia da raccontare. Ci innamoriamo delle parole, soprattutto di quelle che abbiamo scritto noi e il manoscritto, su cui abbiamo sudato per molte notti e molti giorni, è più di un parente prossimo: è un figlio. Per questo si scrive, per questo si ambisce alla pubblicazione e chi dice che non scrive per gli altri ma per se stesso mente, non sapendo di mentire. Nell’esatto istante in cui ha preso la penna in mano sa già che, prima o poi, qualcuno leggerà il suo intimo sentire, trasferito sulle pagine. Chi scrive, chi disegna, chi scava il marmo o modella la creta. Tutti lo fanno con un solo scopo: comunicare.
La carta è e resterà per sempre la testimonianza concreta di tutto questo, che sia di cellulosa o virtuale. Oggi con il self publishing è diventato facilissimo consegnare al mondo pensieri ed emozioni. Ma pare che esista ancora, prepotente e anelato dai più, il desiderio di essere pubblicati da una CE tradizionale. Desiderio più che legittimo, visto che vedere il proprio libro sugli scaffali delle librerie è davvero un’emozione unica.


Ma come si fa a pubblicare un libro? Quale sia la strada migliore o più rapida è scritto nelle stellequindi non lo sa nessuno. Direi che ogni manoscritto che arriva in una redazione segue un proprio destino, diverso e singolare. Andrà bene? Lo leggeranno? Perché non mi rispondono? Queste le domande, questi i miei suggerimenti, validi per tutte le pubblicazioni: cartacea, digitale o self-publishing.
Mandate il manoscritto a una casa editrice (CE) pertinente: niente gialli a chi pubblica saggi, niente storie d’amore a chi pubblica fantascienza e via dicendo. Sembra banale ma non lo è. Il “proviamoci lo stesso”, in questo caso, non ha senso. Vostro figlio finirà nel cestino, senza essere valutato. 
Classificate il vostro libro: fatelo rientrare in un genere commerciale. La maggior parte delle CE tende a eliminare i testi inclassificabili. Quindi cercate di capire in che genere può collocarsi il vostro manoscritto: romanzo storico, romance, chick lit, giallo con tutti i sottogeneri (noir, pulp, thriller, mystery, romantic suspense), fantasy, paranormal romance, young adult, horror, memoir e mi fermo qui ma voi no, voi indagate ancora.

Non dimenticate mai che con una CE tradizionale è condito sine qua non presentare un testo corretto, di buona qualità. Prima di tutto un testo con un font adeguato e credetemi, anche il font ha la sua importanza ed è fondamentale. Lasciate perdere il Comic Sans o l’Arial o il Cambria, usate un classico e non sbaglierete, il vecchio, abituale Times New Roman. Essere originali è un pregio, volerlo essere un difetto. Non spedite testi non giustificati a destra. Orrore! L’ordine innanzi tutto e imparate a usare le spaziature al posto delle tabulazioni (!) andate a capo con l’invio e NON con una serie di spazi vuoti, doppio orrore. Nei dialoghi, per cortesia, usate i caporali anche se non li trovate su word. Cercateli, la maggior parte delle CE li usa, fatelo anche voi.

Vedo già le vostre facce: ma dai, Castellano, tanto poi la redazione corregge. Vi faccio una domanda: voi andreste a un matrimonio vestiti di stracci? L’occhio vuole la sua parte e, per un addetto ai lavori, aprire un manoscritto e vederlo in “disordine” è un approccio negativo e non aiuta. E non ditemi: ma insomma, queste cose sono ovvie, le sappiamo a memoria. Non è vero. Ultimamente mi è capitato di mettere le mani su una serie di racconti e pochissime, delle aspiranti scrittrici, ha consegnato testi ordinati dal punto di vista grafico. Vi cito un proverbio, ma al contrario: l’abito fa il monaco, eccome!

La lingua italiana, questa sconosciuta. Voi invece dovete conoscerla come il palmo della vostra mano. Quando sarete famosi potrete fare come lo scrittore portoghese José Saramago, Nobel per la letteratura nel 1998 che, nel suo romanzo Le Intermittenze della Morte (2005), non usa né virgolette, né trattini, né a capo e, l’unica indicazione per l’inizio di una battuta, è data dalla maiuscola che segue la virgola. Non usa neppure i punti di domanda, né quelli esclamativi. La sua è una scelta consapevole, ha spiegato infatti che il suo è un tentativo di imitare il flusso della conversazione, così come si dipana nella realtà. Ma si possono stravolgere le regole solo se si ha ben presente cosa si sta facendo e perché e, comunque, attenzione: è tutto da dimostrare che i vantaggi superino i problemi e voi non avete ancora preso il premio Nobel.

Quindi un testo pulito, corretto ed efficace nelle tecniche narrative adottate e siate onesti: avete letto e riletto vostro figlio? Badate, non con l’occhio compiacente del genitore permissivo, che alle proprie creature concede tutto. Dovete leggerlo con l’occhio critico di colui che lo scopre per la prima volta. Ammetto, non è facile. Quindi dovrete darlo in mano a qualche amico? Conoscente? Parente? Lo zio Peppo, la zia Palmira, il cugino Simone, la mamma, Piero o la Giovanna o  Ernesto, o quel tipo che conosce mia sorella, grande professore all’università.

No, no e ripeto e che sia chiaro: no. Amici, parenti e altri “aficionados” non saranno mai sinceri. È più forte di loro, l’affetto, la stima, l’amicizia che vi lega non sortirà che complimenti entusiasti, dubbiosi o magari cauti, ma sempre lodi saranno. Non vogliono offendervi perché sanno che stanno parlando di vostro figlio e voi, dite la verità, glielo avete fatto leggere proprio per sentirvi dire: “ma che bello, ma come scrivi bene, io non sarei capace di mettere due parole in croce e invece tu… che genio!”. Forse non con cognizione di causa ma lo avevate sperato, eravate quasi certi che sarebbe finita così. 

E il professore di italiano? Chi meglio di lui può dirmi che mio figlio è un capolavoro? Attenzione anche qui: anche se hanno una laurea in lettere e anni di esperienza, ignorano molti dei criteri e degli standard adottati oggi dalle CE, ignorano il più spesso delle volte anche le tecniche della scrittura creativa. Finireste per ottenere un testo corretto solo dal punto di vista grammaticale che non è una bestialità, per l’amor di Dio, ma non basta.
Se dopo le lodi sperticate di amici e parenti avete spedito il manoscritto alla CE, seguendo almeno qualcuna delle indicazioni di cui sopra, non aspettatevi sempre e comunque una risposta. Quelli non sono vostri parenti (di solito), non sanno chi siete, non vi vogliono bene e del vostri sentimenti, che avete messo sulla carta, non gliene frega niente. Soprattutto sono professionisti che devono guadagnare e mi dispiace ma questa è la sola verità. Se la risposta la volete e sperate sia positiva, allora vostro figlio va prima messo in mano a un professionista qualcuno che sia imparziale, crudele, spietato come un assassino. Diciamo il vostro parente più antipatico, il professore più stronzo del liceo, l’amico insopportabile e saccente che riesce a far sembrare normale un participio. Oppure qualcuno che sia semplicemente, sinceramente, onestamente capace di dirvi la sacrosanta verità (scusate l'abuso dei -mente, ma qui ci volevano).

Fatto questo, fate riposare vostro “figlio” in un cassetto per un periodo di tempo più o meno lungo: quando lo riprenderete in mano voi stessi sarete più obiettivi e potrete ancora migliorarlo. Diventerete più critici perché, nel frattempo, siete cambiati perché la scrittura muta, è un divenire, magari avrete fatto un corso di scrittura creativa, avete capito che la rima sta bene solo nelle poesie, che il congiuntivo non è una malattia degli occhi e che la brachilogia non è un’affezione dei bronchi, ma una figura retorica e che gli avverbi sono inutili.
Ora non vi resta che aspettare e aspettare. Molte volte ho sentito queste frasi: "ma perché non mi pubblicano? Eppure scrivo bene! Eppure quella là ce l’’ha fatta e scrive come me. Insomma, ma cosa pretendono?" Come ho detto più sopra e che sia chiaro: gli editori non sono buoni samaritani, non sono vostri parenti e il loro indirizzo non è Lourdes. Non fanno miracoli, non trasformano uno scribacchino in uno scrittore, non vi faranno favori e devono guadagnare. Quindi, a meno che il direttore editoriale della CE a cui avete inviato il vostro manoscritto non sia un amico o un parente (capita, capita eccome se capita…), non sperate in un miracolo. La scrittura è sudore, sacrificio, lacrime e sangue.
Il resto della storia è tutta da scrivere e ricordate: se ricevete un rifiuto non sarà alla vostra persona,  alle vostre capacità o ai vostri sentimenti. Chi vi dice che ciò che avete scritto non va bene o è da cambiare, modificare, correggere, non è il vostro peggior nemico ma il solo amico che avete trovato, in quel mondo così facile da vivere che è la piaggeria. Il mio migliore amico è colui che mi stronca, con cognizione di causa. Ripetetelo allo specchio molte, molte volte, perché quel “no, non va bene” non vi deve mai offendere ma spronarvi a far meglio, a valutare con occhio critico vostro figlio, per studiare ancora e ancora ogni pagina, ogni parola.
Concludo, ma vi dico un'ultima cosa: la cattiva scrittura, qualunque criterio si adotti per definirla, qualche volta raggiunge la pagina stampata e la pubblicazione non la santifica. Nel corso degli anni mi è capitato di leggere di narrativa scritta male, errori, bestialità, obbrobri di ogni genere. Eppure quei libri erano là, sui famigerati scaffali di quella libreria in cui vorreste essere anche voi. Consoliamoci pensando che anche gli scrittori competenti ogni tanto sbagliano e così le CE e chi sceglie e decide di pubblicare un libro. In molti casi, quando un errore vistoso arriva fino alla pubblicazione, è perché la svista è oscurata dalla qualità dell’insieme. Molte volte ci sono altri motivi, più tristi e ovvi che non vi sto a citare. Non è questo il luogo, né avrei il tempo di farlo.
In bocca al lupo. 












SIETE AUTRICI O ASPIRANTI AUTRICI? COSA PENSATE DI QUESTI CONSIGLI DI ADELE? SIETE LETTRICI? AVETE AVUTO A CHE FARE CON LIBRI SCRITTI COSI' COSI' ULTIMAMENTE? AUTOPUBBLICATI O DI CASE EDITRICI NOTE? COME REAGITE SE UN LIBRO HA UN EDITING NON CURATO?


10 commenti:

  1. Molto bello e interessante questo post, per me che sono sia una lettrice vorace e onnivora sia un'aspirante scrittrice da (poco) tempo libero ;-)
    Sono d'accordo su tutto, l'unica cosa che mi sento di aggiungere è che mi risulta oscuro che sia ancora difficilissimo ricevere una risposta, qualunque essa sia, dalla CE a cui si inviano i propri manoscritti, in un'epoca in cui davvero, grazie alla posta elettronica, non costa nulla più che dieci secondi di tempo.
    I nostri "figli", come li chiama giustamente Adele, vengono gettati nel nulla e niente ci torna indietro. Anche un semplice "no, grazie", a volte andrebbe bene, ci sarebbe comunque un feedback, un segno che qualcuno li ha letti, li ha valutati, ha dato loro una possibilità. Poi magari non li ha trovati adatti, oppure non gli sono piaciuti per niente, qualunque sia il motivo, ma non pensate sia meglio avere comunque una risposta, piuttosto che il nulla più assoluto?
    In effetti, "il nulla più assoluto", in risposta a tanti sogni e aspirazioni, è esso stesso una risposta... ma parecchio frustrante!
    Per questo, nella mia limitata esperienza con le CE (sia le principali che quelle meno mainstream), mi sento di ringraziare pubblicamente le ragazze della Triskell Edizioni, che sul sito 1) hanno un regolamento preciso su come vogliono i manoscritti e 2) garantiscono tempi certi di risposta. Qualunque essa sia.

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    1. Aggiungo una nota dal punto di vista della lettrice: trovo che incongruenze spaziali e temporali, approssimazione, sciatteria, errori grammaticali e di sintassi... dovrebbero e potrebbero essere bene "tamponati" con un editing accurato e ragionato. Ma non è così. Tutta colpa di questa maledetta fretta, che ha invaso ogni aspetto della nostra vita, che impedisce di fermarci a pensare, rielaborare, riflettere, rileggere...

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  2. Un articolo interessantissimo! Parole che fanno riflettere e che invitano ad essere obiettivi e spietati con se stessi. Per quanto mi riguarda, prima di proporre un testo alle case editrici, lo leggo e lo rileggo almeno dieci volte, cercando di immedesimarmi nella figura di lettrice (che mi appartiene da sempre!). Complimenti ad Adele per l'articolo. E dato il suo successo in campo editoriale, non si può evitare di seguire i suoi ottimi consigli! ;-)

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  3. Brava Adele! Questo significa parlar chiaro. Sottoscrivo ogni parola.

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  4. non c'è nulla da fare, la forma è spesso più importante del contenuto, se ti presenti bene, hai già una possibilità in più, poi se hai talento prima o poi ce la farai. il tempo da far passare prima di rivedere un romanzo è, secondo me, uno dei consigli più importanti.
    io non scrivo romanzi (e me ne guardo bene, non avendo nè talento nè fantasia), ma scrivo quotidianamente relazioni/analisi su questioni gestionali che riguardano il mio lavoro, e spesso mi capita di rileggere un testo dopo qualche settimana e domandarmi se l'ho scritto proprio io. questo è la prova che un po' di "riposo" fa benissimo ad una storia, perchè con la mente più leggera si è più razionali e si riesce a vedere il testo in maniera pià critica. spero che le nuove autrici ascoltino questi consigli e che grazie a questi possano avverare il loro sogno di diventare scrittrici affermate.

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  5. Bell'articolo, Adele! Mi è venuto da sorridere quando hai fatto l'esempio dello scrittore esordiente che si rivolge al proprio insegnante di italiano per avere dei pareri. Perché mi è venuto da sorridere? Be', mia madre insegnava lettere alle medie e talvolta riceve manoscritti dagli ex alunni che non si rendono conto del fatto che lei è inflessibile nel trovare gli errori di grammatica (lo è con me, figurarsi con gli ex allievi) ma non sa nulla di tecniche di scrittura. POV, infodump, show don't tell per lei sono dei perfetti sconosciuti. Quindi, posso confermare quello che hai scritto. :-)

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  6. Beccato un refuso: "soprattutto" ha quattro "t"! Tanto per ribadire quanto sia difficile scrivere...
    Comunque il contenuto di questa riflessione mi sembra molto utile per che si vorrà avventurare nel periglioso mondo dell'editoria.

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    1. Grazie Marilba, i refusi sono davvero sempre in agguato! ;-)

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