Christmas in Love: UN MOTIVO PER RESTARE di Emiliana De Vico


ULTIMO GIORNO DELL'ANNO...ULTIMI RACCONTI DI CHRISTMAS IN LOVE 2014. OGGI APPUNTAMENTO DOPPIO (UNO ADESSO E UNO OGGI POMERIGGIO) PER PASSARE IN DOLCEZZA QUESTE ULTIME ORE CHE CI SEPARANO DAL 2015. 

UN MOTIVO PER RESTARE DI EMILIANA DE VICO HA IL SAPORE DEI RACCONTI ROMANTICI DEL PASSATO, QUASI DI UN'ITALIA CHE NON C'E' PIU'... BUONA LETTURA!

"- Vieni domani a mangiare un panino con me o devi scappare da qualche fidanzato?
 - Ho chiesto a Babbo Natale di portarmene uno, ma devo essere stata cattiva perché non è arrivato. "
Un fidanzato bellissimo.
Un fidanzato normale.
Un fidanzato brutto.
Un fidanzato.
- Un panino, signorina!
Le sembrò normale ignorare il mondo e continuare a pensare ai fatti suoi. Si sarebbe accontentata di poco. Un uomo senza pretese. Avrebbe fatto una letterina e l’avrebbe nascosta tra quelle che i bambini della scuola elementare avrebbero appeso all’albero natalizio offerto dall’Amministrazione comunale ai cittadini. Intanto sistemò le palline colorate sul mini pino che avrebbe allocato sul bancone. Si immaginava già il rimprovero del medico sanitario. Polvere e pelucchi, signora non si addicono a una panetteria. Bene, avrebbe sopportato tutto e fatto di testa sua.  
- Insomma, vuole prepararmi un panino con la mortadella? Quella buona, signorina. Tagliata sottile come un velo di cipolla. E magra. Non ce l’ha più magra? E che non costi tanto. Sì, insomma, un buon rapporto tra qualità prezzo.
Viola lasciò le decorazioni e osservò il bancone del frigo, i salumi ordinati sul piano di metallo. – Mi spiace signore. La mortadella non c’è.
Non diede peso all’occhiata stranita dell’uomo che continuava a passare dal frigo a lei, ferma accanto al bancone.
- E quelle cosa sono? 
Avrebbe volentieri mozzato il dito dell’uomo che si era spiaccicato contro il vetro. Non era mica una lastra per schedare le impronte digitali dei mangiatori di panini. – Non hanno i requisiti da lei richiesti.
Le fiamme negli occhi dell’uomo le facevano un baffo.
- Allora mi faccia un panino col prosciutto cotto. Quello buono, signorina. Tagliato spesso quasi un dito. Non troppo magro. Non ce l’ha con più venature di grasso? E che non costi tanto. Sì, insomma, un buon rapporto tra qualità prezzo.
Viola si rassegnò a mettere i guanti in lattice e prese una forma di prosciutto cotto. - Questa è quella che vuole. – Non si fermò a guardare quale marca avesse preso. Un Rovagnati era lo stesso di un Casa Modena. Un Fiorucci assolutamente buono come a un Galbani. Ne tagliò un paio di fette, forse grandi come un dito. Forse sottili come un velo di cipolla e imbottì il panino che arrotolò nella carta del pane. - Ecco a lei signore. Buon Natale.
Prima che la porta fosse chiusa aveva già in mano lo straccetto per cancellare l’onnipresente chiazza digitale su una lastra che nulla poteva contro gli scostumati in giro per il mondo.
Riprese le stelle filanti che avrebbe messo qua e là, in giro nel piccolo negozietto. I panini freschi e il pane fragrante erano a posto. Le pizze rotonde impilate in bell’ordine e l’angolo degli affettati lustro come sempre. Lavorava lì da un anno. Era entrata single e ci navigava dentro ancora senza una soddisfazione affettiva. Un nastro luccicante andò attorno alla vetrata dell’ingresso e un cordoncino dorato profilò i banconi di legno e metallo. Non si poteva fare di più. Se fosse dipeso da lei avrebbe rivestito tutti gli insaccati con una tutina rossa allineandoli come tanti neonati in un nido d’ospedale. Ma le regole sanitarie imponevano che i salumi restassero nudi e crudi.
- Mi prepara qualcosa da mangiare?
Viola lasciò il lavoro di addobbo e si arrese alla fame cittadina. – Certo, una lasagna, un piatto di spaghetti un roastbeef? - Non aveva più voglia di fare panini. All’ora di punta tutto diventava più caotico, gli stomaci affamati muovevano le gambe della gente nel il suo regno di molliche e croste. Ma anche di fragranze e vapori di paste e frolle.
- Mi piacerebbe davvero, ma penso che lei stia solo cercando di farmi morire di fame con la bava alla bocca. Mi dia almeno un semplice panino.
Viola si allontanò dai nastri che ancora doveva sistemare. – Quale vuole? All’olio, di pane, con le olive, con il latte, la ciabattina o …
- Scelga lei. Ma faccia presto, la prego.
Non guardò che gli scompartimenti alla ricerca del panino tondo e liscio che, da sempre, era il suo preferito. Niente fronzoli. Crosta dura fuori e soffice pasta dentro. – Cosa ci vuole?
Si spostò nell’area dei salumi e solo in quel momento si rese conto che quell’uomo avrebbe potuto lasciare tutte le impronte digitali su ogni spazio del negozio. Non ne avrebbe tolto neanche una, anzi, pretendeva che allungasse la mano e oltre al dito lasciasse il marchio, palmo compreso. – Metta anche il viso.
- Cosa? Mi scusi non ho capito.
Si diede uno scappellotto mentale. – Si avvicini e guardi col viso rivolto… - si stava cacciando in una spiegazione ridicola e insensata. Il tutto per coprire la sorpresa. Non capitavano passanti di quella fattura. Con i jeans impolverati e un giaccone liso. Ma il viso chiaro con la barba appena accennata era sensuale. Gli occhi non classificabili ancora e i capelli cortissimi.
Anche se era sul rialzo, dietro il bancone, doveva comunque tenere il viso sollevato.
- Metta dentro quello che vuole. L’importante è che sia rapportato alla mia fame. E le assicuro che è tanta.
Non sapeva perché avesse preso la pancetta arrotolata. Forse perché la sua, di pancia, aveva fatto un salto ingarbugliandosi? Porse perché si sentiva annebbiata come in un affumicatoio?
Riempì il tutto fino a che non fu possibile unirne i lembi. Non era un panino con affettato, ma un affettato con un misero involucro di pane. - Ecco a lei. - Glielo porse e si tenne il più vicina possibile per capire di che colore fossero quegli occhi che avevano seguito tutti i passaggi per la costruzione dello spuntino. Azzurri? Blu? Restò sorpresa vedendoli di un verde cristallino, come l’acqua marina attorno allo scoglio scuro della pupilla.
- Grazie, le lascio qui i soldi.
- Certo, arrivederci.
Lo seguì attaccando il naso alla vetrina. Questa volta era stata lei a lasciare un’impronta nasale, ma non si staccò fino a che non vide l’uomo attraversare piazza Risorgimento ed entrare nel portone del palazzo, proprio di fronte al negozietto.
- È un mio vicino!
Studiò il pannello di legno scrostato, di un azzurrino che portava sulle venature gli anni passati. Borchie attorno e fasci di metallo. La facciata di un palazzo signorile in decadenza. Di un’origine a lei sconosciuta. Ma i fregi che contornavano i finestroni erano di una grazia squisita, sotto sfoglie di intonaco pendenti. Da quando lavorava in negozio non aveva mai visto nessuno entrare e uscire dal palazzo a due piani. Pensava fosse disabitato. E lo era, a giudicare dalla imposte chiuse e dalle condizioni dello stabile. Invece in quel preciso istante un’anta del primo piano si aprì e dal balconcino uscì l’uomo che l’aveva sorpresa con la sola presenza. Sembrava stesse respirando il fresco dell’aria montana, con lo sguardo abbracciava la piazza e le case in circolo. Lo vide scartare il panino e dargli un morso. Viola sentì sulla lingua il sapore della pancetta affumicata tagliata sottile e il gusto del pane saporito. Si ritrovò a masticare un boccone di nulla mentre lui mangiava in piedi e osservava il mondo, nascosta tra le tendine della vetrina.
 

Era un muratore. Un muratore solitario. Aveva costruito una impalcatura tutto da solo e ora si arrampicava su e giù per le scale di metallo. Con una pazienza certosina stava scrostando l’intonaco della facciata accumulando calcinacci a terra. Viola lo osservava da giorni. Sapeva ormai come si muovevano le sue gambe. Che inclinazione faceva la testa nell’osservare i fregi e gli stucchi che aveva fasciato con una carta chiara, proteggendoli dalla polvere e dalle intemperie. Sapeva quali orari faceva. Quando apriva il negozietto lui era già al lavoro. Non smetteva mai prima che lei chiudesse per il riposo pomeridiano, e quando rientrava lo trovava di nuovo sull’impalcatura.
- Viola, me lo incarti?
- Cosa? Eh, scusa, cosa vuoi?
- Sei tra le nuvole dolcezza. Sai chi è quello lì?
Le pettegole del paese avevano un solo elemento positivo. Sapevano tutto di tutti ed erano pronte a condividere il loro immenso sapere col mondo intero.
- No, non lo so, signora Agnese. Lei?
- E chi lo sa cos’è stato a portare qui quel ragazzo. Deve essere un nipote che ha ereditato la proprietà. Ci sta sprecando tutto questo tempo quando avrebbe dovuto buttare giù tutto.
- Perché? È un bellissimo palazzo.
- Ma dentro è una catapecchia.
- Ci è stata qualche volta?
- Tempo fa.
Voleva chiedere, quando, perché, cosa facesse di un palazzo signorile una catapecchia. 
Le tese la busta di carta con la baguette e attese altre notizie. Ma non ce ne furono. Si strinse il nodo della coda. Da sempre teneva i capelli in ordine tirandoli con una molletta. Lunghi, certo, ma ribelli, e scuri. Ciglia e sopracciglia come sbafi di carbone e occhi dal languido colore caramello. Ed esasperatamente single.
Tornò al suo posto da guardona e lo stomaco le fece un salto quando lo vide attraversare la piazza e raggiungere la porta del negozio. Fece finta di sistemare una lucina delle luminarie e arruffò la ghirlanda. - Buongiorno.
- A lei, signorina.
- Viola.
- Cosa?
- Può chiamarmi Viola. Se vuole.
Le piaceva quel modo intenso di guardarla. Profondo e carezzevole. Si stava soffermando sulla sua bocca. Ce l’aveva aperta, forse? Strinse le mandibole per esserne sicura.
- Viola. Molto bello.
Certo. Il suo nome era bello, ma lei, lei come persona com’era? – Grazie. Vuole un panino?
Aveva la giacca impolverata ma le mani erano pulite anche se un poco screpolate dal lavoro. – Io uso questa. Passare dal caldo al freddo dell’inverno è una sofferenza per le mani. - Gli tese un tubetto di crema.
- Mi cede la sua pozione magica?
- Le cedo il rimedio contro le screpolature. Qui ha uno spacco profondo. Non sente il dolore? – Incredibile, dal bancone si era sporta e gli aveva preso una mano seguendo col dito una lunga striscia rossa i cui bordi si erano induriti a contatto con la polvere dell’intonaco.
- Certo. Mi fa male.
- Come potrebbe non essere così. Tenga, ci metta questa e la copra con un guanto. Prenda tutto il tubetto, io ne ho un altro.
Perché la guardava sorpreso? Cosa aveva fatto di strano se non essere gentile con un muratore solitario? Nascose le mani dentro il grembiule da lavoro sentendo in quel momento il rossore alle guance di un tocco non premeditato, ma desiderato.
La facciata della palazzina era l’unica senza decorazioni natalizie. Ogni singola casa aveva un alberello scintillante, un filo di lucine colorate alle ringhiere dei balconi, un babbino di natale scalatore. Ma quel palazzo addormentato non aveva vitalità. Era una casa ancora addormentata, fasciata da bende bianche che l’uomo aveva posizionato in luoghi strategici. Una chiostra scintillante con un unico dente ancora da limare. Ancora da sanare.
- E’ gentile. Grazie. Mi preparerebbe anche qualcosa da mangiare?
- Un panino?
- È piccino. Oggi ho lavorato senza fare colazione.
Viola ci pensò su. - Guardi, le apro questa focaccia e ci metto dentro qualcosa di sostanzioso, così si sentirà meglio.
- Va bene, lascio a lei la scelta.
Affettò il prosciutto stagionato in fette lucide e sottili adagiandole in un verso, e poi ricoprì il tutto con un velo di formaggio piccante. Un filo d’olio e la focaccia era già bella che pronta. Incartò appaiando gli angoli e poi si volse. – Non mi dica che non le piace il formaggio.
- No, no. Anzi. Non avrei fatto un accostamento del genere, ma se me lo consiglia come rimedio antifatica lo accetto volentieri.
Prese il sorriso un pochetto ironico e lo conservò nel cassetto mentale che aveva cominciato a riempire, senza volerlo, con le immagini di un uomo sconosciuto. - Lo provi, se non funziona la risarcirò.
Sentì il brivido alla risata dell’uomo.
- Resterà in questo paese? - Perché si era adombrato?
- No, penso di no. Sono qui per lavorare alla facciata della palazzina. Quando sarà presentabile metterò in vendita il tutto.
- Oh, allora è questo che sta facendo? Lava la faccia a un palazzo antico e lo imbelletta per invogliare l’acquirente?
- Qualcuno lo chiama compravendita, Viola. E poi, ho bisogno di muovermi spesso. Di una via di fuga.
- Perché? È ricercato dalla polizia?
- Lei sa trovare le alternative migliori alla realtà dei fatti, mia bella commessa. Semplicemente, non ho motivo di restare.
Non aveva capito tanto altro di lui. Lo osservò fino a che non rientrò nel portoncino scrostato. La solita finestra del piano superiore si aprì e lui usci sul balconcino. Si accomodò su una sedia e iniziò a mangiare guardando il mondo accerchiato della piazza. Viola segui le sue movenze, scivolò sui capelli chiari e sul collo che scompariva sotto il giubbotto impolverato. In pieno inverno doveva essere duro lavorare all’aperto. Non arrivavano altri muratori in suo aiuto. Restava sempre e solo lui. Anche da lontano percepiva la sua solitudine. La necessità di stare da soli. Ma era ora di andare a casa. Salutò mentalmente il suo dirimpettaio e restò sospesa nel vuoto quando lui mosse la mano in un ok di approvazione.
Portò via le guance rosse dal vetro e si rintanò nell’ufficetto. Non poteva negarlo. Guardare quello sconosciuto era diventata un’esigenza, non solo un piacere. ...


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