CHRISTMAS IN LOVE E' LA TRADIZIONALE RASSEGNA DI RACCONTI ROMANTICI CHE E' ORMAI DIVENTATA UNA PIACEVOLE CONSUETUDINE PER IL NOSTRO BLOG. I NOSTRI "RACCONTI SOTTO L'ALBERO" VI REGALERANNO ANCHE QUEST'ANNO MOMENTI DI DOLCE PASSIONE NEL PERIODO DELL'AVVENTO. COSA C'E' DI PIU' ROMANTICO DI UNA STORIA D'AMORE ASPETTANDO LE FESTE?
IN UN NATALE CHE SI ACCENDE DI TE DI VIVIANA DE CECCO, GIULIA E DANIELE SI CONOSCONO DA UNA VITA, EPPURE LA PAROLA AMORE NON E' MAI STATA PRONUNCIATA DA NESSUNO DEI DUE. PERCHE' E' COSI' DIFFICILE APRIRE IL PROPRIO CUORE? QUESTO NATALE GIULIA TROVERA' IL CORAGGIO DI DIRGLI TUTTO O LO LASCERA' ANDARE PER SEMPRE?...LASCIAMO A VOI SCOPRIRLO. BUONA LETTURA!
IN UN NATALE CHE SI ACCENDE DI TE DI VIVIANA DE CECCO, GIULIA E DANIELE SI CONOSCONO DA UNA VITA, EPPURE LA PAROLA AMORE NON E' MAI STATA PRONUNCIATA DA NESSUNO DEI DUE. PERCHE' E' COSI' DIFFICILE APRIRE IL PROPRIO CUORE? QUESTO NATALE GIULIA TROVERA' IL CORAGGIO DI DIRGLI TUTTO O LO LASCERA' ANDARE PER SEMPRE?...LASCIAMO A VOI SCOPRIRLO. BUONA LETTURA!
"C'era un che di misterioso nel loro rapporto. Non erano bambini, ma non si sentivano nemmeno adulti. Erano sospesi in un cerchio dove passato e futuro si mescolavano in attesa che decidessero cosa fare del presente."
«È qui che s’incartano
sogni?» esclamò una voce maschile, dalla soglia del negozio, mentre la porta si
spalancava all’improvviso e trascinava con sé il soffio gelido dell'aria di
dicembre. Il tono caldo e avvolgente di quelle parole, invece, richiamò dentro di lei un impetuoso ricordo del
passato. Nella sua mente si fece largo la visione fuggevole di un ragazzo e di
una ragazza, avvolti dal cerchio soffuso di luce che proveniva dalla stessa
vetrina che ora si trovava a pochi passi da loro. Restò immobile e rigida come
una delle statuette del presepe con cui sua madre aveva composto un piccolo
villaggio ai margini dell’ingresso, allestito pochi giorni prima in occasione
delle feste in arrivo.
Ma la visione scivolò lontana come una stella cometa che non era
riuscita ad inseguire. In un breve
istante l'immagine reale del giovane sostituì quella che era appena risorta nella sua memoria. E mentre lo
sguardo di Daniele trafiggeva i suoi occhi, il suo corpo sembrava incapace
di rispondere ai comandi del cervello. Dietro
di lui, le decorazioni natalizie in vendita, esposte con cura allo sguardo
curioso dei passanti e dei possibili clienti, scintillavano in un trionfo di
palline rosse e argentate. Ghirlande verdi e dorate si mescolavano ai vibranti
colori di minuscole campanelle decorate a mano e all'accesa tonalità di cuori e
renne imbastite all'uncinetto, mentre le luci, che pendevano dal soffitto,
intrecciavano i loro fili metallici agli addobbi dell’albero di Natale.
A dicembre, la loro
modesta attività doveva rivaleggiare con il magico incanto dei mercatini che
sorgevano nei dintorni dell’Arena e con il lussuoso splendore delle catene
commerciali alla moda. Ma Giulia adorava il Natale che si respirava in quel
luogo ristretto, con quell’antica familiarità di legni e ceramiche, sfere di
vetro, nastri di seta e carte natalizie con cui avvolgere gli oggetti scelti
dalle clienti. Un regno dove scatole di porcellana spuntavano qua e là con il bianco
punteggiato di gialli, blu e arancio dei cioccolatini che le riempivano e tazze
in miniatura che accoglievano il dolce profumo dei biscotti custoditi nelle
veline trasparenti.
E in mezzo a questi
dolci aromi che si sprigionavano nell’aria, il suo respiro colse
l’inconfondibile essenza del profumo di Daniele.
Lui, guardandosi intorno,
dava l’impressione di volersi immergere in un’atmosfera di casa. Marta, la madre
di Giulia, in piedi come al solito dietro il bancone, inarcò il suo
sopracciglio ad ala di gabbiano con espressione perplessa. Rifinito con un
tocco di matita, sembrava pronto a librarsi dalla sua fronte, proprio al di
sopra dei suoi occhi azzurri che scrutavano il ragazzo sulla soglia, come se
volessero metterlo bene a fuoco. Ma l’unica che desiderava spiccare il volo, in
tutti i sensi possibili e immaginabili, era sua figlia. Aggrapparsi alla slitta
di Babbo Natale che risaltava nel bel mezzo della vetrina e sparire con il suo
carico di nostalgia e illusione, prima che le sue guance s’infiammassero dal
piacere e dal terrore che provava nel rivederlo.
«Ciao Daniele, sei
tornato fra noi, finalmente! A quanto pare, le luci di Parigi non ti hanno
stregato abbastanza da passarci il Natale!» esclamò Marta, quando finalmente lo
riconobbe.
Lui sorrise.
Se ne stava lì, davanti
ai loro occhi, con il suo giubbotto di pelle nera, che avrebbe indossato anche
se fossero stati colpiti da una glaciazione artica, i jeans scuri che
fasciavano le gambe tornite dalle partite di calcetto e la sciarpa blu gettata
con noncuranza intorno al collo, mentre le spalle ampie e la schiena dritta
rivelavano che non aveva smesso di dedicarsi alla palestra. Giulia lo fissò ipnotizzata,
come se dalla porta fosse appena entrato un fantasma.
«Preferisco senz’altro
queste. Di luci, intendo!» Daniele le strizzò l’occhio come se fra loro non
fosse cambiato nulla.
«Con questo complimento
ti sei guadagnato un invito alla cena di Natale!» disse Marta, con una risata
complice.
«Era quello che volevo,»
rise lui di rimando.
«Ah, un piano davvero
diabolico…» replicò ancora lei, mentre Giulia restava in silenzio ad ascoltare
la loro conversazione.
Il corpo alto e snello di
Daniele si stagliava nel suo campo
visivo in tutta la sua consueta bellezza. L'anno che aveva appena trascorso
all'università di Parigi, per il programma di scambi culturali del suo corso di
economia, non sembrava aver cancellato il suo fascino di ventenne italiano. Il
suo volto era un concentrato di linee sinuose e altre squadrate, con mascelle
decise che confluivano sul mento più arrotondato, le labbra carnose che si
allungavano al di sotto del naso ben disegnato e le sopracciglia scure, lievemente
inarcate verso il centro della fronte, donavano al suo sguardo
un’espressione sensuale e penetrante. I capelli neri e lievemente ondulati erano
più corti di quanto ricordasse, ma il ciuffo liscio e ribelle continuava a ricadergli sulla fronte,
minacciando ogni volta di coprire uno dei suoi intensi occhi scuri, come
un’eclissi a cui lei non voleva assistere. No, lei voleva vedere le sue iridi,
nere come una notte invernale, voleva guardare ancora una volta tutto ciò che aveva
sognato in quegli ultimi mesi e perdersi nel suo sguardo come una luna in una
coltre di nubi.
L’aveva sognato ogni
notte, ogni minuto, ogni secondo. Aveva contato i battiti del suo cuore come se
fossero i rintocchi di un orologio che scandivano il tempo che l’aveva separata
da lui, ma aveva tenuto nascosto il suo desiderio di rivederlo nel buio della sua
stanza. Nemmeno la sua migliore amica Laura si era accorta dei suoi occhi
arrossati, non certo dal freddo invernale, quanto dagli ingenui e irrefrenabili
pianti che avevano preceduto ogni suo
sonno. Quante volte aveva temuto che qualche bella ragazza francese, con il suo
accento morbido e sensuale, l’avesse rapito con il suo fascino irresistibile, come
se dovesse condurlo su un pianeta per lei irraggiungibile? L’aveva immaginato trasformato in un alieno che non
avrebbe più riconosciuto, in un estraneo dai tratti somiglianti a qualcuno con
cui aveva condiviso l’infanzia e l’adolescenza. A prima vista, però, sembrava
lo stesso.
E nella sua testa esplose
per la seconda volta un’istantanea che li vedeva protagonisti.
Due corpi intrecciati in
un abbraccio impacciato e un finto sorriso stampato sulle sue labbra che non riuscivano
a confessare di essere innamorata di lui. Di amarlo da sempre. Di amarlo a
dispetto di un’amicizia che sembrava durare da secoli, come se fosse nata nel
medesimo istante in cui i primi esseri umani avevano preso vita su questa terra,
dove lei e Daniele non avrebbero mai potuto stare insieme. O meglio, dove avrebbero
potuto stare insieme se, tra le eliche del suo DNA, fosse comparsa quella del
coraggio. E ripensò a quello che un giorno le aveva detto sua madre.
“Ogni cuore è un po' come una vetrina.
L'amore dovrebbe abbellirlo per restituirgli lo splendore della sua luminosità”.
A volte, sua madre era così. Un po' filosofa, un po' ristoratrice
di cuori infranti. E non la stupiva che, per le donne del quartiere, il loro
piccolo negozio di articoli da regalo fosse diventato un punto di riferimento, per
trovare consolazione in un dono da impacchettare, accompagnato da un consiglio
sincero e disinteressato per qualunque problema d’amore che ogni cliente le avesse
rivelato in un timido sussurro. Per questo, da qualche anno, era stata lei a
decidere che, durante il periodo delle feste natalizie, la vetrina dovesse
rimanere illuminata giorno e notte, come un grande occhio luminoso spalancato
sul buio della via. Era sicura che ci fosse qualcosa di rassicurante in quel vivido
bagliore che rischiarava la facciata oscura dei palazzi circostanti.
«Non vorrai dirmi che in
piena notte qualcuno potrebbe aver voglia di comprare un regalo?» esclamava
ogni tanto suo padre, osservando dalla finestra di cucina quella luce abbagliante che scivolava lungo
il marciapiede e invadeva un pezzo di strada. Il loro appartamento si trovava
proprio sopra il locale, in uno di quei vecchi edifici del quartiere storico di
Verona, stretti l’uno all’altro, con la loro imponenza medievale e la
suggestiva atmosfera creata dal fascino senza tempo di Giulietta e Romeo.
«Hai idea di quanto ci
costerà? Vedo che la crisi non ti spaventa…»
«A Natale tutto è
possibile. E l'amore non conosce giorno o notte. Se un innamorato passasse da
queste parti con la sua fidanzata e avesse voglia di farle un regalo, saprebbe
dove trovarlo! Gli basterebbe suonare il campanello ed ecco che scenderei io a
contribuire un po' a rendere il loro amore ancora più speciale!»
«Tu sei tutta matta, lo
sai?» rideva ancora lui, scuotendo la testa e cedendo come al solito alle
piccole manie che rendevano la moglie una donna un po’ fuori dalle righe.
«No, ho solo fiducia
nelle feste e nell'amore!» rispondeva lei, convinta.
Ma ora che lui era
entrato nuovamente da quella porta che aveva varcato migliaia di volte, fin da
quando erano stati due bambini poco più alti di un metro, Giulia avrebbe voluto
possedere la stessa fiducia di sua madre. Il suo cuore era una vetrina spoglia,
dove la luce dell'amore si era pian piano affievolita. Sprangata e tristemente
chiusa al sentimento che non riusciva a provare per nessun altro, all’infuori di
lui. Aveva sempre desiderato con tutta se stessa che lui si decidesse a vestire
i panni di un abile Arsenio Lupin, un
ladro che nella notte avrebbe scassinato il suo cuore per rubarne ogni
malinconia.
In quel momento Daniele
era fermo sulla soglia, con il manico del suo trolley ancora stretto in una
mano, ad indicare che non era ancora passato da casa sua. Il pensiero che quello
fosse il primo luogo dove avesse messo piede da quando era sceso dall'aereo, le
faceva scorrere un brivido di emozione lungo la schiena, mentre la paura e
l’imbarazzo del loro incontro imprevisto, la spingeva a rinchiudersi in un
guscio di prudenza.
«Non sei cambiato,» disse
entrando nel suo privatissimo Guinness dei primati per il benvenuto più stupido
della storia.
«Ti aspettavi che
arrivassi con una baguette sottobraccio, vero?» rispose lui, sfoderando il suo
sorriso malizioso e quasi sfrontato.
«Certo che no, ma nelle
foto che hai postato su Facebook mancava sempre qualcosa.»
«Ah sì? E cosa?»
«La tua faccia era
praticamente inesistente!»
«Ho preferito
immortalare Parigi. Non mi sembra che anche tu, Moon, abbia invaso i social
networks di notizie.»
Moon. Era questo, il
soprannome con cui l’aveva ribattezzata dieci anni prima. Giulia, nome da carta
d'identità e documenti ufficiali, era stata sostituita da Moon in una sera
d'estate in cui una caduta, in stile imbranata, aveva macchiato per sempre la
pelle del suo braccio destro. Erano in ritardo. Lei e lui, vicini di casa e
compagni di viaggio nel breve tragitto verso la scuola del centro, a poche
strade di distanza dalle loro case. Giulia era uscita dal portone come una
furia e un passante l’aveva investita in pieno. Uno scontro frontale, in cui
era piombata al suolo come un sacco vuoto. Sul braccio nudo, complice il caldo
estivo, era comparsa la sua ferita. Una linea sottile e profonda che, una volta
cicatrizzata, aveva assunto la forma di una mezzaluna.
«Half Moon è troppo lungo,» aveva
detto Daniele. «Moon, invece, è perfetto.»
«Dovresti smetterla di chiamarmi così. Non siamo un po’
cresciuti per questi vecchi nomignoli?» gli disse, cercando di mantenere il suo
autocontrollo. In quel preciso istante una donna, che spingeva un carrozzino,
entrò nel negozio e monopolizzò l’attenzione di sua madre. Dani approfittò di
quella pausa per muovere i primi passi verso Giulia, mollando il trolley in
mezzo al negozio e avvicinandosi lentamente. Quando si ritrovarono l’uno di
fronte all’altra, le prese delicatamente il braccio e le sollevò la manica del
grosso maglione rosso che indossava, scoprendo la pelle dell’avambraccio.
«Finchè ci sarà questa,
dovrò per forza chiamarti Moon, non trovi?»
«Be’, la colpa è anche
tua. Ti ricordo che sono caduta per inseguirti.»
«Ah, siamo già al punto
dei rinfacciamenti… Non posso assentarmi neanche un minuto che mi tratti così?»
«Non ti sei assentato un
minuto,» sottolineò lei, con la voce
che vibrava di nervosismo.
“Sì, la colpa è tua,” pensò “Perché tu
sei sempre stato la mia corsa. Una corsa a perdifiato per non perdere il tuo
stesso autobus e l’occasione di occupare il sedile dietro il tuo. Una corsa per
le scale del negozio ogni volta che, dalla finestra della mia camera, sentivo
il rumore del tuo pallone che rimbalzava sulle pietre del marciapiede. Ma io
correvo, correvo e correvo, con la sensazione di non poterti mai raggiungere. E
ti guardavo metterti insieme alle altre, giocare a fare il playboy del liceo e
comprare regali per le tue belle ragazze. Ancora adesso sei la corsa che il mio
cuore compie ogni giorno per restare al tuo fianco, solo con un pensiero, un
ricordo, un filo che ci possa tenere legati, nonostante tu ti sia allontanato.”
«Quindi ti sono
mancato?» sussurrò lui, mentre Marta continuava a distrarsi con la cliente
appena entrata.
Le sue dita non avevano
lasciato andare il suo braccio e il polpastrello del suo indice faceva ancora
su e giù sulla cicatrice, seguendone i contorni in una carezza che le stava
quasi annebbiando la vista.
«Ho avuto di meglio da
fare.»
«Certo, immagino che il
tuo nuovo ragazzo ti avrà impegnato molto.»
«Ragazzo? Quale
ragazzo?» lo guardò perplessa.
«In un anno succedono
molte cose, Moon. Credevo che…» Daniele lasciò la frase in sospeso e la osservò
con attenzione.
Il suo viso prese fuoco come una candela di
Natale. Con la faccia paonazza e il maglione rosso avrebbe potuto confondersi
tra gli addobbi.
«Comunque, che ne dici
se stasera mi aiutassi a scegliere i regali? Sono ancora negato in questo campo.
Ci possiamo vedere al solito posto. Potresti suggerirmi qualcosa da comprare
per i miei, per gli zii, per i parenti vari e per Anna. Mia sorella ci tiene a
queste cose. Come tutte le ragazze, del resto.»
«L’elenco è bello lungo.
Non devi includere nessun altro?» domandò lei, trattenendo il respiro.
«Non credo. Altrimenti
dovrò chiedere un mutuo!» scherzò lui, incurante del fatto che alludesse a se
stessa.
Dentro di lei, bruciava
ancora il ricordo di quella sera di diversi anni prima in cui era entrato nel
negozio e aveva chiesto a sua madre di aiutarlo nella scelta di un regalo. «Per una ragazza speciale,» aveva detto
lui. E Giulia, che ascoltava dal retro in cui stava sistemando gli ultimi
arrivi, aveva provato un tuffo al cuore. Anche allora, si avvicinava il Natale
e lei aveva creduto che per la prima volta avesse deciso d’infrangere il loro
patto di non scambiarsi regali. Tra loro non era il caso, si erano detti. Sai
che noia doversi scervellare per anni e anni su cosa acquistare. Con i gusti
che cambiano, sarebbe stato ridicolo.
«Tanto siamo fra noi,» aveva detto lui.
Già, un noi che sapeva solamente di amicizia e baci mancati.
«Ci vediamo stasera,»
rispose semplicemente, ritornando al presente.
Quella sera, prima di aiutarlo a scegliere i regali, si
ritrovarono a passeggiare nei dintorni di Piazza Bra. Immersa nella confusa
allegria dei turisti e nel gioco di luci e riflessi che, in lontananza, parevano
trasformare l’Arena in un colosso dai mille archi splendenti, Giulia tentava di
dominare l’istinto di tempestarlo con una raffica di domande.
Le aveva mandato un messaggio. Una frase concisa e secca,
com’era nel suo stile. Ci vediamo alle
otto. Aveva scritto in fretta, tra una visita e l’altra ai parenti che
doveva salutare per festeggiare il suo ritorno.
Daniele era una contraddizione vivente. Sapeva essere
divertente fino alle lacrime, socievole fino a rasentare lo stalking verso gli
amici e le ragazze, ma spesso riusciva a diventare indifferente e taciturno.
Dani, come l’aveva sempre chiamato, non si lasciava andare a facili confessioni
di sentimenti e persino con lei, colei che nella sua vita non aveva ancora una
definizione, trovava difficoltà ad esprimere le sue sensazioni. Lui odiava le
definizioni, i discorsi complicati e le dichiarazioni del cuore. Anche lei
cos’era per lui? Amica, compagna di studi, vicina di casa o futura probabile
ragazza? Il loro era sempre stato un legame indefinibile, in bilico sul confine
tra amicizia e amore, intimità e riservatezza. Laura l’aveva spesso rimproverata,
sostenendo che non si poteva portare avanti un rapporto senza mettere in chiaro
i propri sentimenti.
«Non si può vivere in
una Terra di Mezzo,» esclamava con la sua
voce acuta e prendendo spunto dal Signore degli Anelli di cui avevano appena
visto le repliche in tv.
«A volte, le parole
possono rovinare tutto. Potrei perderlo per sempre.»
«Perché, vuoi dirmi che
ora è tuo?»
«No, ma…»
In effetti, a quella domanda non esisteva una risposta
sensata.
Dani non forniva
certezze, ma solo il piacevole calore della sua presenza. Perché lui c’era
sempre stato, con le sue chiacchiere e i suoi silenzi, le sue luci e le sue
ombre. Era il ragazzo che in segreto le teneva compagnia nella penombra della
scala sul retro, quando lei litigava con Laura e piangeva per ore. Era quello a
cui non importavano gli esperimenti che faceva sui suoi capelli, tirandoli e
arrotolandoli in strane acconciature copiate dal web, finendo per lasciarli
mezzi piastrati e mezzi arricciati.
Era il ragazzo della finestra di fronte, come il Raul Bova
di quel film che le piaceva tanto, e che lei cercava di spiare da dietro le
tende senza che lui se ne accorgesse. Era quello di cui aveva immaginato il
bacio. Un bacio che, nonostante non avesse mai sperimentato, sapeva sarebbe
stato perfetto, diventando così nella sua fantasia l’unico a cui paragonare
quello degli altri ragazzi. Perchè lui era stato anche quello che non
s’ingelosiva quand’era uscita, nel tempo, con alcuni amici di Laura, nel vano
tentativo di strapparsi Daniele dalla testa. ...
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RispondiEliminaBello, dolce. Di solito non amo i racconti e i romanzi con protagonisti adolescenti o universitari, i "new adult" non sono nelle mie corde ma questo racconto mi e' piaciuto, soprattutto per l'ambientazione insolita a Verona e la tenerezza del sentimento che nasce da una bella e profonda amicizia. Complimenti a Viviana!
RispondiEliminaEva P.
Grazie Eva, in effetti a Natale mi concedo un po' di dolcezza. Il resto dell'anno mi dedico al sangue e agli omicidi dei thriller che scrivo... ihih...forse quello è il mio vero genere. Avrò la doppia personalità, chi lo sa... quindi, questo racconto, ho fatto un esperimento per vedere come sarebbe uscito. Mi fa piacere che l'hai apprezzato nonostante tutto...
RispondiEliminaTi ringrazio ancora, Viviana.