20
dicembre
Juliet Wilde non era tipo da perdersi
d’animo. Tutt’altro.
Era, anzi, proprio il tipo di donna
capace di passare la notte in bianco pur di portare a termine un lavoro
arretrato o di guidare per chilometri in piena notte per raggiungere un’amica
in lacrime o di preparare una cena per dieci persone con un preavviso di solo mezz’ora
e senza avere neppure la benché minima idea di come poter accendere il forno
evitando allo stesso tempo di fare esplodere l’appartamento.
Semplicemente, Juliet Wilde non era una
che amava arrendersi.
Stringeva i denti, affilava le unghie e
andava avanti. Volta dopo volta.
Se si fosse arresa, del resto, non
sarebbe riuscita a diplomarsi con il massimo dei voti, accedere a una delle
migliori facoltà di legge del paese e infine a essere assunta nel più prestigioso
studio legale di Chicago.
Arrivare dove era arrivata le era
costato sudore, fatica e una quantità spropositata di sacrifici. E nonostante i
mille ostacoli e le innumerevoli cadute, da brava ragazza dell’Ohio quale era, Juliet non aveva mai ceduto
all’autocompatimento.
In perfetto stile Pollyanna, infatti, aveva
preferito piuttosto divertirsi a vedere sempre il lato positivo di ogni
situazione. Persino di quelle più disastrose.
Si concedeva giusto qualche minuto per
sguazzare amabilmente nella pozza di acqua stagnante creata dalle sue lacrime e
disperare della vita quanto basta per dirsi che era tempo di smetterla.
Poi si rimboccava le maniche.
No, Juliet Wilde non era una che si
tirava indietro.
Juliet Wilde, se colpita, ricambiava e picchiava
duro.
Di tanto in tanto, tuttavia, era anche convinta
che il destino esagerasse un po’ nel metterla alla prova. Com’era accaduto, per
esempio, quella mattina di dicembre.
Prima di tutto si erano scaricate le
batterie della sveglia e Juliet si era ritrovata ad aprire gli occhi soltanto
dopo le sette e mezzo passate. Un classico intramontabile aveva pensato
rotolando fuori dal letto e piombando addosso a un gatto estremamente suscettibile
e dall’animo aristocratico.
Mr King, infatti, le aveva rivolto uno
sguardo di puro sdegno e agitando la nobile coda l’aveva lasciata a contorcersi
in un viluppo di coperte.
La doccia fredda, dieci minuti dopo, era
stata come… beh, proprio come una doccia fredda.
Tonificante, disse Juliet
tra i denti che battevano al suo riflesso davanti allo specchio.
Quelle terrificanti occhiaie le aveva
sempre avute?
Con ormai un principio d’ipotermia in
corso si era immersa nel variopinto caos del suo armadio soltanto per
ricordarsi di aver dimenticato di ricordarsi di non dimenticare di passare a
ritirare il completo giacca/pantaloni in lavanderia.
Non sarebbe stato un grosso problema se
anche gli altri completi non fossero
stati ammucchiati in un angolo del bagno, in attesa di saltare dentro una
lavatrice.
Cercando di mantenere la calma, si era
detta che non sarebbe morta se per un giorno avesse indossato una gonna.
Respira
Juliet, respira.
Le smagliature sui collant si potevano
nascondere così come la macchia fresca di dentifricio sulla camicia immacolata.
Come diavolo aveva fatto a sporcarla poi?
Il peggio, però, doveva ancora venire.
La spia della segreteria telefonica
lampeggiava.
Beep.
Juliet, tesoro, sono la mamma. Si può sapere che fine hai fatto? Non rispondi
alle telefonate e ignori i miei messaggi. Ho parlato con Sadie Hawkins l’altro
giorno e mi ha raccontato che il figlio di Violet Harris si è trasferito a
Chicago per lavoro. Te lo ricordi il piccolo Theodore? Certo che te lo ricordi!
Giocavate sempre insieme da piccoli! Ricordo che una volta gli hai quasi
spaccato il naso con la mazza da baseball del padre… ma sono sicura che ormai
l’avrà dimenticato da un pezzo tesoro… comunque è un odontoiatra sai? Perché
non ti prendi il suo numero e lo chiami quando hai un po’ di…beep. Messaggio
cancellato.
Splendido, si disse tra se e sé Juliet
girovagando per la cucina. Non solo sua madre si ostinava a propinarle gli impresentabili
figli delle amiche ma non aveva neppure un chicco di caffè in tutta la casa.
Il fato aveva avuto 364 giorni in un
intero anno per manovrare i fili in modo che Juliet potesse arrivare, per la
prima volta in sei mesi, in ritardo ni ufficio, ma per motivi oscuri aveva
scelto proprio quel particolare giorno.
Il giorno in cui, ovviamente, si doveva
tenere un’importantissima riunione su un importantissimo caso e cui lei era
stata invitata a partecipare a fianco della sua mentore, l’efficiente ma
glaciale Sidney Blair.
«Sei spacciata» le sussurrò Amanda, la
sua segretaria, non appena la vide saltellare fuori dall’ascensore. «La
riunione è già iniziata. Santo cielo!» aggiunse spalancando gli occhi «Cosa ti
sei messa addosso?».
Juliet sospirò. Come aveva immaginato,
la sua gonna rischiava di travalicare i confini della decenza. Risaliva ad
almeno cinque anni prima, quando pesava ancora una cinquantina scarsa di chili.
All’epoca non la faceva sembrare una spogliarellista ma, dopo una quantità
incalcolabile di gelato alla vaniglia e dolcetti alla crema ingurgitati, l’effetto
doveva essere un po’ cambiato.
«Ho evitato per miracolo che un bambino
sul treno mi vomitasse addosso una disgustosa poltiglia verde. Mi sento già fin
troppo fortunata» rispose massaggiandosi le tempie.
Amanda scoppiò a ridere, facendo
ondeggiare i boccoli biondi appuntati sulla nuca e le porse un bicchiere di
caffè ancora fumante.
«Per te» disse. «Doppia panna. Merito o
no il premio segretaria dell’anno?».
Juliet lanciò uno squittio di pura
felicità.
Nervosismo e mancanza di puntualità erano
già di per sé un’accoppiata pericolosa, ma aggiungerci l’assenza di caffeina nelle
vene significava creare una miscela esplosiva.
Quella con il caffè, in effetti, era di
gran lunga la relazioni più solida e intensa che Juliet avesse mai avuto. Il
caffè la capiva, gli uomini con cui usciva no.
«Giuro che farò da baby-sitter a Diana e
Rosie la prossima volta che dovrai andare al cinema con quell’affascinante
ammasso di addominali perfettamente scolpiti…».
«Quell’affascinante ammasso di
addominali perfettamente scolpiti ha un nome».
«E quale sarebbe? Ah, aspetta, adesso
ricordo. Non si chiamava forse “sei il mio sogno erotico proibito fin dalla
prima volta in cui ti ho visto venirmi incontro nella tua sexy divisa da
pompiere”?».
Amanda rise di nuovo ma poi fece per allontanarlo
usando lo stesso gesto con cui si scacciano le galline.
«Non avevi una riunione cui prendere
parte tu? Fila via!».
Juliet sobbalzò. «Maledizione! Che cosa
farei senza di te?»
«Tanto per cominciare dovresti imparare
a far funzionare la fotocopiatrice da sola».
Juliet,
soffocando una risata, indietreggiò preparandosi a svoltare lungo il corridoio
principale. Stava per prendere il primo sorso di caffè quando,
inaspettatamente, il tacco della sua scarpa destra cedette.
Un tacco rotto, di per sé, non è una
grande notizia ma quando lo stesso tacco, oltre al rompersi, ti fa perdere
l’equilibrio, inciampare e svuotare una confezione di liquido bollente addosso
a qualcuno, allora la cosa assume decisamente un altro aspetto.
Juliet ebbe bisogno di cinque minuti
buoni per rendersi conto di quello che aveva combinato e, nel frattempo, quattro
paia d’occhi continuavano a fissarla stupefatti: quelli di Sidney Blair, del
Procuratore distrettuale Ethan Graves, del suo assistente Macey Cole e infine, a
pochi centimetri di distanza dai suoi, quelli di Logan Keller.
Il brillante
Logan Keller. L’affascinante Logan
Keller. L’irresistibile Logan Keller.
Idolo di Chicago, avvocato senza
scrupoli e dal passato oscuro, socio fondatore dello studio Keller, Blair &
Rogers: ecco chi era l’uomo cui lei aveva appena rovesciato addosso mezzo litro
di caffè.
«Io…io… cioè… non intendevo…» si ritrovò
a balbettare confusa senza riuscire a staccare lo sguardo dall’enorme macchia
marrone che si allargava secondo dopo secondo sulla sua camicia.
Un imbarazzante silenzio strisciò in
mezzo al gruppo e Juliet sperò ardentemente che la terra si aprisse per
inghiottirla.
Fu Sidney, tuttavia, a prendere in mano
la situazione.
«Signori» disse con la sua voce squillante.
«Vi posso presentare Juliet Wilde? Sarà lei ad assisterci per quanto riguarda
il caso Clennan».
Ethan Graves era il tipico uomo devoto
anima e corpo al proprio lavoro e si presentò in modo impeccabile seppur
rigido.
«Sono sicuro, Sidney, di averti già
sentito parlare della signorina Wilde» disse. «L’ultimo acquisto della
Georgetown o sbaglio?».
«Non sbagli, Ethan» rispose la donna con
un certo orgoglio. «Juliet era la migliore del suo corso».
«Credo di aver sentito parlare anch’io
della signorina Wilde» si intromise a quel punto una voce suadente e bella come
il peccato. «Come vi avevano definita? Ah, ecco: dotata di straordinarie
capacità colloquiali».
La testa di Juliet scattò in su.
Macey Cole, rampollo di una delle
famiglie più influenti della città e impenitente donnaiolo, rappresentava tutto
quello che Juliet detestava in un uomo. Non erano i soldi o il potere di cui
disponeva a irritarla, ma l’arroganza.
L’arroganza di chi non aveva mai avuto
bisogno di lottare per nulla.
«Anch’io ho sentito molto parlare di lei
signor Cole» ribatté ignorando quella vocina nella sua testa che le consigliava
di mostrarsi diplomatica e accondiscende. «Scommetto però che non le piacerebbe
sapere a che proposito».
Juliet avvertì Sidney trattenere il
respiro ma Macey non raccolse la sfida, limitandosi a un sorriso che non
raggiunse anche gli occhi, la cui luce si fece più dura.
Ethan Graves, invece, scoppiò a ridere.
«Beh Macey, forse la signorina Wilde non
possiede il dono di saper trovare subito le parole adatte ma quando ci riesce, non
c’è davvero bisogno di aggiungere altro».
«La signorina Wilde, evidentemente,
possiede delle doti che preferisce tenere per sé».
Logan Keller aveva la voce più roca e
suadente che fosse mai appartenuta a un uomo e Juliet quasi svenne dalla
sorpresa nel sentirlo infine aprir bocca. Nonostante lavorasse per il suo
studio da più di otto mesi ormai, erano state poche le occasioni durante le
quali aveva potuto studiarlo da vicino.
Juliet provava un misto di fastidio,
timore e reverenza nei confronti di Logan Keller.
Era un uomo di successo, famoso per i
modi bruschi e i toni accesi. Si raccontava in giro che addirittura non avesse
mai perso una causa. Era anche affascinante, ma non in modo classico. Il naso
aquilino era forse il suo tratto distintivo più interessante, insieme con un
paio di straordinari occhi grigi.
Occhi grigi che non smettevano un attimo
di osservarla.
«Nonostante il
piccolo incidente è stato un piacere conoscerla, signorina Wilde».
Ethan
Graves le strinse la mano facendo nello stesso tempo un segno di saluto a
Logan. «Per quanto riguarda quel problema, ne riparleremo presto. Andiamo
Macey».
«Bella
gonna» le sussurrò quest’ultimo con una strizzatina d’occhio passandole
accanto.
Sidney
attese che i due uomini sparissero dalla visuale per esclamare stizzita:
«Per l’amore di Dio Juliet, cosa ti sei
messa addosso?».
«È una lunga storia».
«Che ti esporrà più tardi, Sidney» disse
Logan. «Al momento vorrei scambiare quattro chiacchere con la signorina Wilde».
«Logan non credo che sia il momento
adatto. Il caso Clennan incombe e noi…».
«A
più tardi, Sidney».
La donna gli scoccò un’occhiata di fuoco
per poi dirigersi impettita verso il proprio ufficio. Batté la porta con forza
ma Logan non parve turbato dal gesto.
Juliet osservò l’uomo con la coda
dell’occhio, intimorita e incuriosita allo stesso tempo.
Le sembrava di aver a che fare con un
predatore senza scrupoli.
In verità, sentirsi addosso lo sguardo
da Logan Keller era proprio come fronteggiare un enorme squalo bianco.
Uno squalo bianco in giacca e cravatta però.
«Signorina Wilde,» iniziò «sarò breve. Se
il suo obiettivo era attirare l’attenzione generale, poteva limitarsi a
indossare quel pezzetto di stoffa che lei definisce “gonna” e presentarsi
puntuale in ufficio».
Juliet prese fiato.
«Le posso assicurare, signore, che non è
mia abitudine arrivare in ritardo e per la gonna…»
Logan la interruppe. «Vedo che insiste
nell’usare questo termine».
Il tono era velatamente ironico ma le
parole e lo sguardo erano più dure del ferro.
«Mi rendo conto di aver creato una
situazione imbarazzante e…».
«No signorina Wilde, il punto è proprio
questo. Lei non si rende conto. Il suo ritardo a una riunione riguardante un
caso di massima importanza ha provocato una notevole serie di disguidi. Questo
studio, signorina Wilde, ha una reputazione impeccabile e non permetterò che
una ragazzina ansiosa di farsi scopare da un coglione come Macey Cole mandi
tutto al diavolo. Mi sono spiegato?
Juliet strinse le labbra.
«Perfettamente signore».
«Le consiglio, quindi, se vuole rimanere
in questo studio, di tenere la bocca e le gambe ben chiuse. Siamo d’accordo?».
23
dicembre
Le parole di Logan Keller non facevano
che tormentarla.
Juliet affondò con foga il cucchiaino
nella vaschetta di gelato al cioccolato sotto lo sguardo commiserante di Mr
King. Da tre giorni ormai non pensava ad altro.
In pratica le aveva dato della
sgualdrina e lei, come la stupida che era, non aveva saputo controbattere. Avrebbe
potuto, in realtà, ma era rimasta paralizzata.
Più ci pensava e più cresceva la sua
furia.
Carol Wilde, sua madre, le ripeteva di
continuo di contare fino a dieci se le veniva voglia di fare qualcosa di
estremamente stupido.
Non sempre, però, Juliet ascoltava i
consigli materni.
Ecco perché alle undici di sera si
trovava su un taxi diretta verso casa di Logan Keller, pronta a difendere il
proprio onore offeso.
Mancavano due giorni a Natale e lei era
sola, triste e lontana da casa.
Con qualcuno doveva pur prendersela.
Le vetrine dei negozi erano un trionfo
di verde, rosso e oro ma Juliet era troppo impegnata a pregustare il momento
della rivincita per notarli.
Logan Keller, dopo che il portiere gli
aveva annunciato la sua visita, aprì quasi subito la porta d’ingresso.
Indossava ancora sia la giacca sia la cravatta.
Confezionati su misura, poteva scommetterci.
«Signorina Wilde cosa…».
Juliet non perse tempo e cogliendolo del
tutto alla sprovvista, gli piazzò un pugno dritto sul naso.
«Questo è per avermi dato della puttana,
razza di bastardo egocentrico» ringhiò massaggiandosi le nocche escoriate. «Sono
laureata con lode alla Georgetown e non certo perché mi sono divertita a
saltare da un letto all’altro!».
L’uomo la sbirciò imbufalito al di là
del suo naso dolorante.
«Forse non ha tutti i torti signorina
Wilde» sibilò in risposta. «Non riesco a immaginare un uomo abbastanza
coraggioso da portarla a letto. Anche solo per noia».
«Fossi in lei non mi porrei il problema»
replicò acida Juliet. «Dubito che potrebbe convincermi anche solo a sbottonarmi
la camicetta, figuriamoci a fare sesso».
Si fissarono in cagnesco finché Logan
sbottò dicendo: «O se ne va o mi da un altro pugno o entra. Non mi interessa
cosa decide ma si sbrighi a farlo. Sto gelando».
Avrebbe dovuto andarsene o assestargli
un altro pugno ma scelse di entrare.
L’appartamento era il classico
appartamento da scapolo, arredato con uno stile funzionale ma per come la
vedeva lei troppo freddo e anonimo.
La fece accomodare sul divano, versò due
vodka lisce e si sedette nel posto davanti a lei.
«Io non vado a letto con Macey Cole»
proruppe Juliet dopo un poco e senza motivo apparente.
«Mi pare ovvio che non ci va a letto»
commentò lui.
«Che cosa vorrebbe dire?».
«Che quando un uomo possiede una donna,
trova sempre il modo per farlo capire agli altri uomini».
Juliet spalancò gli occhi. «Allora
perché diamine…».
«L’intenzione era quella di dissuaderla
dal farlo in futuro».
Il cellullare di Juliet scelse proprio
quel momento per mettersi a suonare.
«Non risponde?» domandò lui.
«È mia madre» spiegò Juliet rifiutando
la chiamata.
«Le confesso, signorina Wilde che faccio
fatica ad immaginare che tipo di donna possa averla messa al mondo»
«Non sforzi la sua immaginazione. È una
semplice cameriera dell’Ohio, pettegola e con un pessimo gusto nel vestire»,
«Siete molto legate?».
«Abbastanza».
«Suppongo che ogni figlia, d’altronde,
abbia un rapporto speciale con la propria madre».
Juliet gli rivolse una strana occhiata.
«Per me è diverso».
«Diverso in che senso?».
«Mio padre se ne è andato quando avevo
all’incirca dodici anni. Da quel momento in poi siamo sempre state soltanto io
e lei. La mia partenza per il college è stata un trauma per entrambe e anche se
so che non lo ammetterà mai, pur essendo orgogliosa di me, il fatto che abbia
ottenuto questo posto a Chicago le ha spezzato il cuore. È un’impicciona, testarda
e molto spesso inopportuna ma è stata per anni, ed è ancora, l’unica certezza
della mia vita. La parola madre non spiega neanche un po’ quello che la sua
esistenza significa per la mia».
Doveva essere impazzita. Perché stava
raccontando quella lagna stucchevole al suo capo?
Perché si sentiva sola e triste. Ecco
perché.
«Non si è più risposata?» chiese Logan
osservandola con attenzione.
Juliet scosse la testa. «No e non ne ha
mai parlato. Credo che non abbia mai smesso di amare mio padre, nonostante
tutto. Una volta, quando andavo ancora al liceo, sono entrata nella sua camera
per cercare un paio di orecchini e ho trovato, nascosta in fondo un cassetto
una foto di lei e papà insieme, nel giorno del loro matrimonio. Pensavo le
avesse stracciate tutte e non so perché abbia deciso di conservare proprio
questa. Era una di quelle foto scattate all’improvviso e troppo spontanee per
essere incluse in un album ricordo. Sembravano entrambi così giovani e felici.
Lei soprattutto, con indosso un vestito a fiori da quattro soldi e in faccia un
sorriso che non le ho mai più visto. Bionda, bella e aggrappata al braccio di
un imbarazzato uomo in divisa. Era nella marina mio padre, sa?».
Stupida, si rimproverò. Disturbare il
passato non era mai una scelta saggia. Cercare di combattere i ricordi che
questo ti scagliava dietro, lo era ancora meno.
Colpa del Natale, si disse. Colpa di
quella stupida festa e di tutte le scintille di speranza che si portava dietro.
Si aspettava commiserazione ma Logan le
scostò invece un ricciolo dalla fronte.
«Io sono cresciuto in una famiglia
tradizionale.» disse «I miei genitori cenavano con me e i miei fratelli tutte
le sere. Alle otto in punto. Non c’è mai stata una sola parola scortese fra
loro: solo silenzi, garbate discussioni a proposito del tempo e solitudine. Non
litigavano ma non per questo erano felici. Non erano niente. Poco più che
estranei che dividevano il letto. Da piccolo non capivo cosa non andasse in
loro ma crescendo divenni più attento e mi accorsi che non si guardavano mai
negli occhi. Come può un uomo ignorare in questo modo la madre dei suoi figli? Ho
sempre pensato che, una volta trovata la donna giusta, non avrei voluto fare
altro che affogare nel suo sguardo ogni giorno della mia vita».
Si guardarono per quello che parve a
entrambi un interminabile lasso di tempo ma, in realtà, furono poco più di
trenta secondi di puro sbigottimento provocati da qualcosa che non aveva nome.
Juliet non seppe mai come accadde ma
capì subito che non avrebbe potuto evitarlo.
Le mani e la bocca di Logan furono su di
lei e plasmarono il suo desiderio come argilla fresca.
L’afferrò per le natiche e la spinse
verso di sé.
Il tessuto sottile delle sue mutandine,
sfregato contro la dura presenza di lui, si bagnò all’istante.
Juliet boccheggiò e aggrappandosi alle
spalle di Logan, inarcò la schiena.
«Smettila» le sussurrò lui fra i
capelli.
Juliet, stordita e col petto ansante,
chiese: «Di fare cosa?».
Logan non rispose ma trasformò il suo
bacio in un vero e proprio attacco.
Rossa, accaldata e in fiamme.
Ecco come si sentiva Juliet tra le
braccia di quell’uomo che non smetteva un attimo di tormentarla con le mani,
con gli occhi, con le parole.
«Non te lo chiederò una seconda volta»
le disse tracciando una scia di baci umidi e bollenti dalla clavicola alla base
dell’orecchio mentre con una mano tornava ad avvolgerle il seno in una stretta
gentile ma decisa. Il pollice le accarezzava la carne ruvida del capezzolo e la
spingeva ad allargare le gambe per avvicinarlo di più a sé.
«Credo…» disse lei cercando
disperatamente di rimanere lucida «credo di aver dimenticato la domanda».
Lo sentì ridere sulla pelle del suo collo.
Una risata bassa e roca che alle orecchie di Juliet suonò come una melodia, una
melodia dolce e struggente.
Dolce e struggente come il desiderio che
la incatenava .
«Cosa vuoi Juliet? Cosa vuoi in questo
preciso momento?
Non le permise di rispondere perché
subito la sua bocca si impossessò di quella di lei, divorandola bacio dopo
bacio e facendola precipitare in un abisso di indescrivibile delizia.
Quando finalmente la lasciò andare,
Juliet aveva ormai un solo pensiero nella testa.
«Te» disse in un soffio «Voglio te. Qui.
Dentro di me. Ora. Voglio te».
La svegliò la vibrazione del suo
cellullare.
Juliet ci mise qualche secondo a capire
di essere nuda, piacevolmente indolenzita e, per la prima volta nella sua vita,
soddisfatta fra le braccia di un uomo.
I guai arrivarono il secondo successivo,
quando si rese conto di chi era l’uomo in questione.
Logan dormiva ancora, con una gamba
infilata fra le sue cosce e il braccio mollemente abbandonato sul suo fianco.
Le ciglia scure gli sfioravano le guance che cominciavano a mostrare un velo di
barba e lo facevano sembrare meno severo e irraggiungibile del solito.
Quella notte Juliet aveva scoperto un
lato di lui che non credeva potesse esistere.
Si era convinta che Logan fosse fatto di
ghiaccio e pietra ma quando lo aveva accolto dentro di sé, Juliet aveva visto
il ghiaccio sciogliersi e la pietra sgretolarsi. La passione che le aveva
mostrato era pura, limpida come l’acqua di una sorgente e intensa.
Era convinta che fossero pochi gli
uomini che facevano l’amore con una tale dedizione, con una tale urgenza da
rasentare la follia.
Gli aveva permesso di farla sua molte
volte e non se ne pentiva.
Il cellullare, intanto, continuava a
suonare.
Juliet si era imposta di non rispondere
ma la sua coscienza, stavolta, le suggeriva diversamente.
Vide il nome sul display e sbuffò
debolmente.
«Mamma» rispose cercando di mantenere un
tono di voce basso «non posso parlare per adesso. Sono…».
L’urlo che Carol Wilde lanciò abbatté
tutte le barriere del suono.
«Juliet Mary Anne Wilde non pensare
neppure di chiudermi il telefono in faccia la vigilia di Natale! Non ti fai
sentire da giorni e…»
«Mamma per l’amor del cielo!» sbottò
Juliet sollevandosi di scatto a sedere «Ci siamo sentite due volte solo ieri!»
«Appunto! Due volte, solo due volte! Oh
Juliet spero che quando avrai figli questi non ti trattino come tu tratti…».
Juliet roterò gli occhi. Sua madre a
volte era davvero una donna impossibile.
Juliet sobbalzò. «Mamma ti prometto che
ti richiamo appena posso ma ora non…».
«Juliet, tesoro» si intromise a quel
punto la voce ancora assonata di Logan. «Sei seduta sul mio braccio».
Carol, ovviamente, non perse neppure una
sillaba di quella frase.
«È la voce di un uomo?» strillò
stupefatta abbattendo ancora una volta le barriere del suono. «Sei con un uomo?
Hai dormito con lui?».
«No!» protestò Juliet in un sussurro
«Non è come…».
«Perché parli così piano?» si insospettì
subito sua madre. «Mio dio, dimmi che non è sposato!».
«Mamma!».
Il cervello di Juliet si mise a lavorare
freneticamente. Non era ancora pronta ad ammettere quello che aveva fatto con
se stessa, figurarsi a confessarlo a qualcun altro.
«Non è sposato. Lui è… insomma è…».
Carol, però, interpretò la sua titubanza
come un ammissione di colpa
«Oh tesoro mio! Non c’è bisogno di
mentire. Una madre queste cose le capisce. E non provare a dirmi che ti ha
promesso che lascerà la moglie per te! Lo sai, nessun uomo…».
«Mamma devi smetterla con tutte quelle
soap opera. Ti fanno diventare ancora più melodrammatica del solito. Ti ho
detto che non è sposato. Parlo piano perché non è mia abitudine urlare. E poi,
santo cielo, credi che in caso questa presunta moglie origli dalla stanza
accanto?».
«Amore mio, anche se si toglie la fede
con te non vuol dire che…».
«Per l’amore del cielo mamma! Non è
sposato, è soltanto il mio capo!».
Juliet quasi non credeva di essere
riuscita a zittirla.
Si illudeva però.
«Juliet» disse seria «So che soffri la
solitudine ma non pensavo che…».
«Ti saluto mamma». Era ora di far
riposare un po’ la testa dalle chiacchere di Carol Wilde. «Non stare in ansia.
Ti richiamo più tardi».
Juliet, sospirando, chiuse la
conversazione prima di farsi perforare i timpani per l’ennesima volta.
«Sei una donna rumorosa Juliet Wilde e
da non sottovalutare» commentò lui con una mano sotto la nuca. La sua espressione
era un miscuglio di divertimento, interesse e sensualità.
Juliet arrossì. Ricordò i gemiti a cui
si era abbandonata tra le sue braccia, le grida soffocate e i singhiozzi incontrollati
quando la tensione era esplosa furiosa dentro di lei.
Doveva distogliere l’attenzione da quei
pensieri. Per il proprio bene.
«Oddio» esclamò dando una rapida
occhiata all’ora. «Dovrei tornare a casa. Non posso lasciare Mr King troppo a
lungo da solo.
«Mr King?» domandò Logan perplesso.
«Il mio gatto».
«Credevo che i gatti fossero abbastanza
indipendenti».
«Non Mr King» specificò Juliet. «Lui è come un aristocratico francese
dal nome impronunciabile e del tutto incapace di provvedere a se stesso».
«Animale interessante».
«Forse un po’ troppo.» disse Juliet
buttandosi all’indietro sui cuscini. L’idea di presentargli Mr King la
inteneriva. «È la vigilia di Natale e devo ancora mettere le luci all’albero.
Le luci e le decorazioni. E i nastri. Un po’ tutto in effetti. Senza contare
che oggi passerà la signora Carter con provviste sufficienti a sfamare mezza
nazione. È convinta che in quanto donna nubile e lavoratrice io rischi la morte
per inedia ogni giorno».
Con la coda dell’occhio Juliet si
accorse che Logan stava sorridendo.
Era davvero tempo di tornare a casa ma
non ne aveva nessuna voglia. Facendosi forza, salto giù dal letto e cominciò a
rivestirsi.
«Perché non passi più tardi?» gli
domandò all’improvviso e senza rifletterci. «La Vigilia a casa mia in Ohio è
sempre il momento più bel…».
Lo vide alzarsi di scatto e allontanarsi
da lei.
«Ho detto…» chiese titubante. «Ho detto
forse qualcosa di sbagliato?».
Non le rispose e la temperatura della
stanza parve crollare di colpo.
«Logan?».
A quel punto l’uomo si girò e l’osservò
per qualche istante con quello sguardo freddo e indagatore che l’aveva reso la
temibile leggenda che era nelle aule dei tribunali.
Juliet faticava a credere che quei
glaciali occhi grigi fossero gli stessi che si erano velati di piacere appena
poche ore prima.
«Non illuderti ragazzina» le disse. «Non
provarci nemmeno. Finiresti solo col farti male».
«A proposito di cosa non dovrei illudermi?».
Senza rendersene conto, Juliet fece
volare lo sguardo fino al letto dove avevano fatto l’amore avvinghiati l’uno
all’altro.
Quando tornò a cercare gli occhi di
Logan non trovò che un immensa distesa di ghiaccio.
«Non potrà esserci un seguito a quello
che è successo ieri notte» continuò lui seguendo il suo sguardo. Non sembrava
turbato dalla vista delle lenzuola sgualcite dalla frenesia dei loro corpi e
impregnate di sudore e passione.
«Non era una proposta di matrimonio»
ribatté Juliet, irritata dalla sua sottile indifferenza e, in una remotissima
parte del suo cuore, ferita da quelle parole che le aveva lanciato addosso come
sassi.
Si sentiva davvero come una ragazzina in
quel momento. Si sentiva come una ragazzina stupida e innamorata. Lei però non era
un’adolescente infatuata. Era soltanto una donna che cercava di rimettere
insieme i pezzi del proprio essere dopo aver vissuto la più sconvolgente e
straordinaria delle esperienze.
Logan avrebbe dovuto capirlo ma, come
tutti gli uomini, aveva paura.
Una fottuta paura.
«Siamo stati bene insieme» continuò
imperterrito. «Abbiamo fatto del buon sesso. Cerchiamo di non rovinarne il ricordo».
A quel punto si alzò in piedi, raggiunse
il mobile bar e si versò due dita di sherry.
Juliet rimase per qualche istante
incantata dal gioco di muscoli che si intravedeva sotto la pelle abbronzata
delle ampie spalle.
C’erano ancora i segni rossi delle sue
unghie su quelle spalle.
Juliet si lasciò andare a una risata
bassa e amara.
«Se ho capito bene, mi stai dicendo che
sono stata una bella scopata e di non montarmi troppo la testa?».
Logan buttò giù il contenuto del
bicchiere in un unico sorso.
«Non ho detto questo».
«No? Beh, a me il senso pareva proprio
questo» ribatté. «Lascia però che puntualizzi una cosa. Il fatto che ti abbia
permesso di sfilarmi le mutandine una
volta non significa che ti permetterei di farlo una seconda»
L’espressione di Logan si era fatta cupa
e Juliet poteva quasi avvertire la sua tensione.
Il sorriso che poi le rivolse sapeva di
sfida.
«Non ho bisogno di toccarti per sapere
che sei pronta per me».
Juliet aprì la bocca ma non poté
ribattere nulla. D’improvviso sentì soltanto l’impellente necessità di allontanarsi
il più possibile da lui, di proteggersi, di salvarsi.
Non avevano più nulla da dirsi.
25
dicembre
Beep.
Juliet, sono di nuovo la mamma. Non pensare che mi sia scordata di… Beep.
Messaggio Cancellato.
Quello era il peggior Natale che Juliet
avesse mai trascorso.
Era in pigiama, con un gatto sulle
ginocchia e lo spirito a pezzi.
Non aveva intenzione di uscire di casa
per almeno una settimana, né di vedere anima viva. Per questo, quando il
campanello suonò, quasi scoppiò in lacrime al pensiero di dover affrontare una
qualsiasi conversazione con un altro essere umano.
Quello che non si aspettava di certo era
trovare Logan Keller sulla sua soglia di casa sua con una faccia sconvolta, in
tuta e senza la solita cravatta nera al collo.
«Ho passato una notte d’inferno» iniziò subito
lui. «Continuavo a rigirarmi in quel dannato letto vuoto senza poter trovare un
attimo di pace. Non mi era mai sembrato vuoto prima dell’altra notte. Prima di
te. L’hai occupato per appena qualche ora e adesso gli appartieni. Non capisco
come …».
Juliet lo interruppe prima che potesse
continuare.
«Sono stanca, depressa, e ho appena
finito una scatola intera di cioccolatini al liquore da trecento calorie l’uno.
Cerca di capirmi. Parlare con te è l’ultima cosa di cui ho voglia».
«Juliet» ricominciò invece lui
ignorandola. «Una parte di me è sempre stata convinta che tutta quella roba
delle famiglie felici e della gente che ama e perdona sia soltanto una
stronzata, un affare gonfiato ad arte dai romanzieri e dai pubblicitari. Non ho
mai visto niente resistere al tempo o al dolore o semplicemente alla vita. Fino
all’altra notte ero convinto che tutto fosse destinato a sfaldarsi e …
Juliet fece per chiudergli la porta in
faccia ma Logan, rapido, la bloccò con una gamba.
«Non ho intenzione di stare a sentire il
racconto della tua crisi mistico-spirituale. Fammi il favore di toglierti dai
piedi»
«Juliet…»
«Ti ho detto che non …».
«Dannazione Juliet!» imprecò Logan «Ti
sto chiedendo di ascoltarmi! La verità è che ho avuto paura. L’altra notte ho
avuto una fottuta paura e l’ho avuta perché mentre ti stringevi a me
singhiozzando di piacere ho creduto di aver quasi afferrato un pezzetto di
eternità».
Di colpo, Juliet ammutolì.
«Non so se è una scintilla di qualcosa
più grande e non so neanche come definire questo “qualcosa” ma so che scoprilo
ne potrebbe valere la pena. Immergermi in te è stato come toccare le radici di
un essenza segreta. C’è stato un momento in cui non ho più capito dove finivo
io e iniziavi tu. Il sollievo che ho provato non è stato soltanto fisico. È
stato come liberarsi dalle catene della realtà e sfiorare quello che conta
davvero.»
Da qualche parte, la voce intensa di
Bing Crosby intonò Deck the halls.
«Oh accidenti! Cosa devo fare con te?»
esplose Juliet tirando un po’ su col naso. «Non posso cacciarti via. Sta
nevicando ormai e poi è Natale».
Logan avvicinò il viso a quello di lei,
inondandola col suo profumo.
«Fammi entrare allora» sussurrò.
«Non sei l’avvocato brillante che dici
di essere Logan Keller» replicò Juliet con una nota di leggera ironia nella
voce. «Se pensi che un bel discorsetto possa esserti d’aiuto».
Logan si avvicinò ancora e si fermò
soltanto quando le loro labbra non si trovarono che a qualche centimetro di
distanza l’una dall’altra.
«Iniziamo con un bacio e poi si vedrà».
FINE
CHI E' L'AUTRICE
EMMA BIANCHI è lo pseudonimo di Alessia Lo Bianco, studentessa universitaria e grande amante della lettura. Si diverte a scrivere recensioni per il blog Sognando Leggendo (con il nick Cerridwen) del quale è una felicissima collaboratrice e dove, fra le altre cose, cura una rubrica dedicata al romance, Lovers Corner's. All'interno de "Le Stagioni del Cuore", rassegna di racconti romance organizzata da La Mia Biblioteca Romantica, è possibile leggere un frammento/estratto di romantic suspense, Fino alla Fine ( qui) , il suo racconto Aspettando l'alba è inoltre arrivato fra i sei finalisti della rassegna RossoFuoco(2012) sempre su questo blog ( qui ). Un suo racconto historical romance D'Oro e di Velluto, inoltre, è stato pubblicato sul numero 12 della rivista Romance Magazine. Con il racconto Miss Unity Freedom e la ragazza scomparsa ha vinto il concorso E-vamporismi mentre con un altro racconto fantasy Respiro di Drago ha vinto il concorso Le Terre del Mithril ed entrambi andranno presto a comporre due diverse antologie di genere. Il racconto "Scia di fuoco" ( qui ) ha vinto la segnalazione delle redattrici di questo blog per la rassegna Senza Fiato.
POTETE INCONTARE L'AUTRICE SULLA SUA PAGINA FACEBOOK
Intenso e coinvolgente. L'unico aspetto che mi lascia un po' perplessa è il modo in cui si è evoluto il loro rapporto... è passato forse un po' troppo bruscamente dall'odio all'amore, cioè, è bastato che lei parlasse di sua madre perché lui si rendesse conto che lei non saltava davvero da un letto all'altro? cosa in un certo senso contraddetta subito dopo, quando l'ha baciata e lei c'è subito stata ;) anche quando le ha praticamente dichiarato il suo amore è un po' frettoloso... però la lettura è coinvolgente e la prima parte mi ha fatto molto ridere :)
RispondiEliminabello se fosse stato un romanzo l'avrei apprezzato molto di più, in un racconto tutto succede in un attimo. Sembra andare tutto troppo in fretta ma la base, il plot mi è piaciuto!
RispondiEliminaMolto bello ed avvincente. Per me, invece la tempistica è stata corretta, dato che è un breve racconto. Le emozioni si avvertono tutte e si trasmettono immediatamente al lettore. Brava nel tratteggiare le lacune affettive di entrambi, che danno vita ed impulso al colpo di fulmine. Complimenti, questo racconto entra nel podio insieme a quello si Sabrina Parodi e Monica Lombardi.
RispondiEliminaMi è piaciuto molto, ma l'ho trovato troppo veloce, lo so che essendo solo un racconto deve essere corto ma in questo caso mi sembra di saltare da una scena all'altra senza il giusto intermezzo che ti permette di apprezzare in pieno la scena successiva.
RispondiEliminaSpiderHunter
Concordo con i pareri precedenti sul fatto che la relazione tra i protagonisti sia piuttosto affrettata, comunque questo non mi ha impedito di apprezzare il racconto. Ideale come lettura scacciapensieri ^_^
RispondiEliminaMolto bello questo racconto, anche se per brevità è da considerare che qualche limite ci sia . La storia si sviluppa troppo velocemente, ma è quello che accade nei racconti brevi. Ci starebbe bene un bel romano lungo con i due protagonisti.
RispondiEliminaComplimenti Emma, tra i racconti da me preferiti
L'intervento precedente è il mio.
RispondiEliminaPATTY
Salve, vorrei fare una richiesta alle redatrici del blog.
RispondiEliminaSe possibile, posticipate di un po' di giorni la scelta dei racconti.
Non so le altre lettrici, ma io non li ho letti ancora tutto e mi dispiacerebbe tralasciare qualcuno.
Grazie
PATTY
Poichè ci sono arrivate altre richiest ecome la tua, Patty, abbiamo pensato di estendere la fine delle votazioni ai racconti al 26 gennaio. Buona lettura!
EliminaIn effetti, anch'io ho notato che l'evolversi del rapporto è lievemente affrettato e, soprattutto, lui è un po' troppo intuitivo, di solito gli uomini lo sono poco o addirittura per niente! Cmq, la prima parte è veramente divertente, fa pensare alle screwball comedies americane. Si potrebbe dire che si tratta di un romanzo in embrione, c'è già dentro tutto, basta solo svilupparlo su una trama più estesa. Considerando la giovane età dell'autrice, direi molto promettente.
RispondiEliminaP.S. Grazie Francy x aver posticipato il termine, sono in ritardo clamoroso!