LE STAGIONI DEL CUORE presenta... UN INCONTRO PERFETTO di Virginia Parisi

Quarto lunedì del mese e torna l'appuntamento con con i racconti de LE STAGIONI DEL CUORE - RACCONTI PER UN ANNO, che sappiamo ha già ottenuto molti riscontri positivi tra le nostre lettrici. Leggere storie romantiche...può essere un bel modo per iniziare la settimana. Il racconto di oggi, UN INCONTRO PERFETTO firmato da VIRGINIA PARISI è una storia dolcissima che ha il sapore di altri tempi, di un'Italia che non c'è più, quando ancora ad un primo incontro ci si dava del Lei e i corteggiamenti avevano cerimoniali completamente diversi da quelli a volte fin troppo sbrigativi di oggi. Ma anche allora, l'amore poteva  colpire al cuore in un minuto e cambiarti la vita. In questo, nulla è cambiato.  Buona lettura.
Ho in mente una mattina di sole, in un giorno d’estate, la mia gonna a portafoglio, i miei libri sotto braccio. Mi ero fermata davanti alla sala da the in centro, quella con la grande vetrata sulla piazza del Cavallo, in attesa di incontrarmi con un’amica. Non vi ero mai entrata. Le signorine all’epoca non frequentavano posti simili.  Sapevo che in quelle sale tappezzate di velluto rosso si incontravano artisti e faccendieri, avvocati e giornalisti e che trascorrevano qualche ora in compagnia, fumando e bevendo liquori di buona qualità. Mi tenevo in disparte sapendo bene che non avrei dovuto guardare dentro, un po’ per educazione ma anche per paura di essere scoperta a spiare. Ma la curiosità aveva sopraffatto i buoni proponimenti e in un secondo avevo allacciato lo sguardo con uno sconosciuto. Si era fermato con il bicchiere a mezz’aria e mi osservava con interesse. Avreidovuto fuggire e invece me ne rimasi dov’ero. Percepivo in quel nocciola scuro una muta domanda, un silenzio profondo che mi faceva pensare ad abissi inesplorati che avrei voluto conoscere in un solo istante. Il suo sorriso, seducente e brillante mi ammaliava, mi entrava nelle viscere, destabilizzando ogni più insignificante pensiero logico.
Lo avevano chiamato e lui aveva forse chiesto di ripetere la domanda. Potevo sentire la sua voce oltre la porta aperta. Calda, vellutata, pastosa, morbida, mi arrivava dentro come energia liquida, nonostante la distanza. E nonostante l’assurdità di ciò che provavo, avrei voluto ascoltarla milioni di volte, ancora e ancora, come se fosse incisa su un disco.
In quel momento, mentre ci fissavamo al di là del vetro, con centinaia di persone fra noi, estranee e rumorose, con le proibizioni, le regole, i buoni insegnamenti, le convenzioni sociali a separarci, avrei voluto attraversare con le dita quella barriera sottile e sfiorare il suo volto. L’audacia di quel pensiero fu un ottimo ammonimento per la mia coscienza. Mi voltai, controvoglia e in modo meccanico e sgraziato,
pronta a tornarmene al sicuro nella mia casa, dando buca all’ignara amica che mi avrebbe atteso inutilmente di lì apoco. Ricordo pochi passi sull’acciottolato e la frescura dei portici a coprire il mio imbarazzo e le mie guance in fiamme e
sussultai portandomi una mano al petto.
“Signorina, chiedo scusa”.
La voce dello sconosciuto mi chiamò educatamente ed io mi voltai trovandomelo di fronte, in piedi, molto più alto di me, con la sua bella divisa militare e i capelli impomatati e il mio libro fra le sue mani.
Non ricordavo nemmeno mi fosse caduto.
Non un suono mi uscì dalle labbra.
Una folata di vento birichina mi portò il suo odore. Un misto di terra, aria e fuoco. Gradevole e accattivante, forse unito ad una colonia di buona qualità.
Non sapevo nulla dell’amore, ma l’amore mi trovò e mi travolse, mostrandomi la sua forza e la sua follia in pochi istanti. Io non ne ebbi timore né vergogna e l’assecondai. Il mio giovane cuore era libero e non conosceva remore o
indugi, palpitava allegro nel petto ed io ascoltavo il suo ritmo con pura meraviglia.
“Vi ho spaventata? Scusate ancora. Riccardo, Riccardo Venturi”.
Si presentò ed io gli porsi la mano, abbandonandola nella sua, calda, sicura, ben curata. Pensieri illogici mi si agitavano dentro ed io li lasciai a briglia sciolta perché inconsciamente volevo innamorarmi, quel giorno, di lui, nella penombra di
una città bigotta e borghese, con la mia aria innocente e il mio libro che era tornato sotto il mio braccio.
Mi parlava educatamente scrutandomi il volto, le lentiggini, gli occhi, il naso, la bocca ed io me ne stavo zitta, lasciando che mi ubriacasse con il suono della sua voce, lottando contro il bisogno di stringerlo a me e di sentirmi avvolta dalle sue
braccia, di premere un secondo le labbra sulla sua pelle, di sentire per riflesso il pulsare della sua anima attraverso le vene. Avevo bisogno di sentire il suo sapore e di mischiarlo al mio, di mormorargli sulle labbra parole che sarebbero state
confuse, inutili e senza senso. Ero consapevole di ciò che avrei provato e mi domandavo se per lui sarebbe stata la stessa cosa. Se in quell’abbraccio, in quel bacio, nel pressante contatto delle nostre mani, avrei potuto trasmettergli una
parte di ciò che mi si agitava dentro ed avvertire almeno un frammento di ciò che lui sentiva per me. 
Amore, pulsioni, emozioni, affanno, possesso, tormento.
Ogni cosa miscelata e unita, fragile e irreale e tuttavia densa come materia. Avevo in me, di quel tutto un po’ e non avrei saputo dire quale emozione fosse più intensa dell’altra. E sopratutto, nel mio bisogno irrazionale di tenerlo stretto anche per un solo minuto, l’urgenza di essere sola con lui e non fare altro che stare a guardare dove il nostro istinto ci avrebbe portato.
“Devo andare”.
Lasciai la sua mano come se mi fossi scottata. Avevo il volto in fiamme, vittima dei miei stessi proponimenti indecorosi, criminosi, licenziosi…Non avevo mai parlato con un giovanotto da sola, non avevo mai lasciato che mi si avvicinasse se non in presenza dei miei genitori, di mia sorella che era più grande di me e che non si era mai sognata di parlarmi di ciò che provava guardando il suo fidanzato.
Non avevo mai fatto nulla di tutto ciò e in un barlume di razionalità ritrovata, diedi la colpa al sole, al caldo, alla corsa in bici per raggiungere il centro.
“Aspettate, non mi avete detto il vostro nome”.
“Si è fatto tardi”.
“Ancora un minuto”. “No, non è corretto, qualcuno potrebbe vedermi, me e voi,
insieme...”
“Ci hanno già visto”.
“Chi, dove?” mi portai una mano al viso, guardandomi in giro con aria affranta. Riccardo ebbe forse compassione di quel gesto e di me che sembravo atterrita e smarrita in  un solo momento.
“Nessuno, nessuno. I miei compagni forse, ma sono amici e
non parleranno”.
Feci per andarmene, la mia spavalderia dimenticata, il momento di follia superato, raggiunto ormai dal senso di colpa sempre più vivo nella mente. Lui non si diede per vinto e mi si mise alle calcagna, tenendo il suo berretto da ufficiale
tra le mani.
“Devo rivedervi”.
“Non è possibile” mi agitai spaventata. Andavo avanti alla cieca senza ricordare neppure dove avevo lasciato la mia bicicletta. “Lasciatemi andare”.
“Se vi lascio andare oggi, acconsentite a rivederci, domani.
Qui o in qualsiasi luogo vogliate”.
Fraintesi, addossandomi al muro dietro di me, in preda al panico.
Come avevo potuto dare confidenza ad un perfetto estraneo?
“No” alzò le mani rimanendo a distanza e scuotendo la testa.
Fui sorpresa di trovare sul suo volto un panico identico al mio.
“Avete frainteso. Sono un ufficiale dell’esercito. Sono qui con alcuni commilitoni per la parata di domani. Dopo di che torneremo a Torino”.
“Bene, fate buon viaggio”.
Lui mi si parò dinanzi. “Ascoltate, siate buona, non vi chiedo altro se non potervi offrire un gelato e chiacchierare”  mi sorrise in quel modo accattivante da bravo giovane ed io seppi di essere perduta : “Due chiacchiere e un gelato e  il
vostro nome”.   
“Il mio nome, perché?”
“E’ un brutto nome?”
“No, certo che no”.
“Se non volete dirmelo, anche a costo di sembrarvi pazzo vi chiamerò vita mia” la mia espressione perplessa gli fece grattare il mento “Allora mia gioia, mia luce, cuor mio, mio tesoro…”
Una coppia di anziani ci sbirciò e ci sorrise e lui s’inchinò leggermente sfoderando tutto il suo fascino. Io ne approfittai per sgattaiolare lungo il marciapiede ed esultai scoprendo la mia bicicletta addossata ad un idrante poco più in là.
Ero già in sella, euforica per lo scampato pericolo, ma il mio giovane corteggiatore portava il nome di un grande eroe e non si era dato per vinto. Mi stava seguendo alla piccola corsa, con il suo berretto sulle ventitre. I denti candidi brillavano luminosi e sembrava divertirsi parecchio. Anche la mia bicicletta, che non si era mai sognata di lasciarmi a piedi, aveva simpatia per lui e decise di piantarmi in asso proprio quel mattino. La gomma dietro sibilò e scoppiò con una gran botta ed io oscillai pericolosamente tentando di mantenere l’equilibrio. Riccardo venne in mio soccorso e acciuffato il manubrio fermò la mia corsa e la mia probabile carambolata sul selciato.
“Ebbene?” mi chiese soddisfatto, sorreggendomi con il braccio libero, il suo volto pericolosamente bello, troppo vicino al mio.
Scivolai giù dal sellino con aria infastidita. “Vi dico grazie, signore. Non fosse per voi sarei caduta come una sciocca, ma ora posso arrangiarmi da sola”.
“Non sia mai che vi lasci in un simile pasticcio”.
“Non se ne parla neppure. Poco più avanti c’è un ciclista, lo conosco bene. Vedete?”
“Vi ci accompagno”. Mezz’ora dopo Riccardo e il ciclista erano diventati ottimi 
amici.
Io mi ero dimenticata il mio appuntamento, il perché non avrei dovuto cconsentire a rivedere quel bel giovanotto educato, cosa m’impediva di dirgli il mio nome e di mangiare un gelato con lui il giorno dopo.
Il buon senso e l’educazione, le bugie che avrei dovuto raccontare, e la probabilità non molto remota e non troppo trascurabile che una volta sola con lui non avrei esitato  a lasciare che mi baciasse: tutti ottimi ragionamenti.
Deglutii a vuoto perché lo desideravo anche adesso, mentre salutava il buon uomo e uscivamo dal suo negozio fianco a fianco. 


L’orologio della Torre Civica batté cinque rintocchi. Il mio cuore tamburellava contento nel petto, fracassandomi le costole. Sbirciai il giovane ufficiale di sottecchi. Aveva un profilo nobile e imperioso ad un tempo. Pur tuttavia mi aveva parlato con una dolcezza nella voce che mal si accompagnava con quei tratti decisi. Del resto era un soldato, impensabile che usasse simili modi nella sua professione.
Di botto mi ricordai che stavo passeggiando pubblicamente con uno sconosciuto. Ne andava della mia reputazione o meglio di quella della mia famiglia.
“Potete andare”.
“La riparazione è fresca. Il ciclista si è raccomandato di non utilizzare la bicicletta fino a domani”.
“Ho sentito ciò che ha detto. Signore, vi ringrazio, davvero e di cuore, ma ora andate, andate vi dico, io devo tornare a casa, si è fatto davvero tardi”.
“Riccardo, chiamatemi Riccardo”.
“Non è il caso”.
“Certo che lo è, non siamo più estranei e muoio dalla voglia di sentirvi pronunciare il mio nome almeno una volta”. “E dopo ve ne andrete? Mi lascerete in pace e non mi chiederete altro?”
Lui inarcò un sopracciglio. “Continuate a chiamarmi signore”.
“Siete testardo, signore”.
“Testardo è sinonimo di caparbio e risoluto. Lo sono, questo è vero. E voi, anche voi lo siete, signorina”.
“Avete intenzione di seguirmi fino a casa?”
“Solo fino al fiume, dopo tornerò indietro”.
Ero sollevata e anche un poco delusa, dovevo ammetterlo, ma sarei morta prima di lasciare che se ne accorgesse. “Allora vi arrendete?”
“Ne siete lieta?”
“Certamente”.
“E’ una bugia e lo sapete. Opportunità come queste non capitano tutti i giorni”.
“Quali opportunità?”
“Un incontro come il nostro. Una sorta di folgorazione”.
“Siete rimasto folgorato, signore? Sentivo uno strano odore nell’aria, pollo bruciato” e lo vidi sorridere “E poi non vedo nubi all’orizzonte, forse è il liquore che avete bevuto?”
“Se così fosse voi avete bevuto dal mio bicchiere, signorina”.
“Io non bevo”.
“Dovreste, scioglierebbe quel riserbo che vi siete cucita addosso nell’ultima ora”.
“Non sta bene dare confidenza agli estranei”.
“Ho visto come mi avete guardato fuori da quella vetrina”.
Ebbi una vertigine e avvampai.
“Perbacco, come vi permettete? Per chi mi avete presa? Era la prima volta che sbirciavo in quel locale, non mi ci ero  mai nemmeno avvicinata… Se lo sapesse mia madre le verrebbe un colpo… Cosa avete detto?” “Mi avete guardato con una dolcezza tale che ho abbandonato la mia sedia come un ladro e sono fuggito per
raggiungervi”.
Perbacco, mi sembrava quasi di avere un tamburo sonante nel petto. Sarei stramazzata al suolo, come una pera cotta dinanzi a suoi bei stivali lucidi.
“Io… Mi scuso. Non avrei dovuto fissarvi a quel modo”.
“E anche dopo, sotto i portici avevate lo stesso sguardo come se non poteste fare a meno di me, con pensieri che mi hanno sfiorato come se fossero reali”.
“Tacete. Vi prego”.
Non potevo respirare.
Lui si era fermato ed io lo avevo imitato senza rendermene conto.
“Ho solo cinque minuti, non un secondo in più. Poi sparirò dalla vostra vita” si tolse di nuovo il berretto e un ciuffo di capelli scuri gli scivolò sulla fronte ampia, un poco corrugata.
Un refolo di vento spirò su di noi e mosse l’orlo della mia gonna a portafoglio, una ciocca birichina della mia treccia corvina e mi portò ancora il suo odore sottile, assurdamente familiare e indimenticabile.
“Sono un bravo giovane, ho ventidue anni e l’unico vizio che reputo tale è qualche sigaretta ogni tanto. La mia carriera nell’esercito è appena cominciata, ma è promettente”. I suoi occhi corsero ai miei, li tennero incatenati, sfiorarono il mio
viso, le mie labbra socchiuse in cerca d'aria. Fu come se mi avesse accarezzato. Avrei potuto rimanere così fino alla fine dei tempi, sotto la sua ombra che mi riparava dal sole, allacciata al suo sguardo, dimentica del mondo e perfino del
mio nome.  La sua voce, diventata così cara in poche ore, mi entrava fin nelle ossa. E le scuoteva, così forte da farmi tremare.
Il mio silenzio prolungato lo indusse a proseguire. Lo  vidi sospirare piano in cerca forse del coraggio per continuare. “Posso offrirvi un domani sicuro, una casa decorosa, con poche cose semplici e pulite. Posso darvi quello che ho visto
nei vostri occhi sotto quel portico, per tutto il tempo che ci sarà permesso”.
Non trovai nulla da dire, come se il dono della parola fosse tornato di colpo al Creatore. Non potevo credere alla proposta che mi aveva fatto. Eppure era uscita dalla sua bocca e aveva sul volto un’espressione talmente seria e sofferta, da lasciarmi addirittura stordita, quasi inebetita.
“D’accordo”. Trovò la mia mano. La prese per pochi istanti nella sua. Si chinò sul dorso da galantuomo e pronunciò la parola “Addio”.
Non risposi.
Continuavo ad avere dinanzi agli occhi la visione della sua faccia per bene e della sua mano, del suo tocco caldo, sicuro e tenero. Mia madre mi ripeteva sempre che dalle mani di una persona si poteva riconoscere il buono che c’è nel suo cuore. E
non sempre le mani pulite e curate sono sinonimo di buone qualità.
L’apparenza è un bagliore fugace che solletica la nostra vista, ma inganna il nostro animo. Ciò che vediamo è ciò che ci piacerebbe fosse vero, ma non sempre rispecchia la realtà.
Io nelle mani di uno sconosciuto, di un giovane ufficiale che mi aveva stordito con i suoi modi gentili, con un suo fascino esuberante ed educato, nel contatto breve con il mio palmo, avevo sentito la durezza dei calli, la ruvidezza della fatica umana, della dignità tenace, dell’onestà caparbia, della cortesia generosa.
Avevo sentito lui e lui aveva sentito me.
Riccardo interpretò il mio silenzio e lo fraintese.
Si rimise il berretto, mi sorrise, salutò con due dita  sulla visiera e girò i tacchi, lasciandomi sul ponte come un’allocca.
Lo osservai camminare eretto con la sua bella divisa e non sapevo decidermi. Tutto quello che lui mi aveva detto era in me come una bella nostalgica canzone, ne sentivo il suono echeggiare attorno e compresi in un secondo che se lo avessi
lasciato andare non lo avrei rivisto mai più.
“Riccardo, aspetta!”
La voce mi si era incrinata e pedalando come una forsennata verso di lui, temevo soltanto di vederlo sparire come  se si fosse trattato di un bel sogno ad occhi aperti. Chiesi largo ai passanti inferociti che si spostarono temendo di essere investiti e piombai sul mio bell’ufficiale come un uragano, giacché la toppa sulla gomma appena riparata aveva ceduto di colpo ed era scoppiata facendomi carambolare dritta dritta tra le sue braccia aperte e in attesa.
“Sicura di saper andare in bicicletta?” rise con il mio peso sul petto. Mi stringeva talmente forte che ebbi l’impressione non volesse più lasciarmi andare. Mi tirai a sedere, frastornata, impolverata e affannata e ignorai la sua domanda.
“Anna, mi chiamo Anna”. 
Il suo volto si illuminò in un sorriso che mi abbagliò come se di colpo il sole mi avesse accecato. Annaspai tentoni e provai a rimettermi in piedi, goffamente. Ero riuscita a sollevare un tale polverone che presi a tossire starnazzando come un’oca.
Lui gentilmente mi venne in soccorso, mi porse un lindo fazzoletto con le proprie iniziali ben ricamate sopra, tirò in piedi la mia bicicletta con la gomma aperta a carciofo e il manubrio storto e attese paziente che mi asciugassi gli occhi
umidi di lacrime. Per la polvere o la commozione non avrei saputo dirlo.
Mi soffiai il naso con decisione e poi mi accorsi che aveva parlato.
“Meraviglioso”.
Sollevai il mento e quasi dovetti sollevarmi sulla punta dei piedi per fissarlo bene in volto e corrugare la fronte con aria interrogativa.
“Anna. Un nome meraviglioso”. “Oh beh, un nome come tanti”.
Allungo una mano ed io finii per appioppargli il fazzoletto caccoloso che così premurosamente mi aveva prestato. Rossa per l’imbarazzo, il disastro che avevo combinato, l’abbraccio odoroso di lui, il mio aspetto e la gente che non si era persa
una sillaba fino a quel momento, afferrai la bicicletta. Trovai un poco di coraggio, spirito battagliero, e un barlume  di raziocino e mormorai appena: “Domani, domani alle quattro, in questo posto” quasi balbettavo ma fui intrepida e conclusi
a ridosso di un grosso rospo che mi si era formato in gola “Io sarò qui ad aspettarti”.
CHI E' L'AUTRICE

Virginia Parisi vive da oltre un trentennio tra le belle colline del Monferrato. Originaria di Piazza Armerina, trascorre le giornate dedicandosi a due grandi passioni: la fotografia e la scrittura.Come fotografa si è specializzata in ritratti, reportage, eventi e spettacoli, ha realizzato servizi per diverse riviste a livello nazionale e foto di scena per compagnie teatrali e di danza. Collabora con la Domino Edizioni occupandosi del settore grafico.Come scrittrice ha esordito nel 2003 con il romanzo storico Animi Fortitudo, cui hanno fatto seguito nel 2004 il romanzo storico La Fiamma della Speranza e nel 2007 il giallo storico L'Ottava Pergamena.Nel 2004 ha seguito il corso di Scrittura Creativa di Patrizia Finucci Gallo.
VISITA IL SUO SITO:  http://www.virginiaparisi.it/rom/ani_sin.asp

VI E' PIACIUTO UN INCONTRO PERFETTO? UN RACCONTO DI PROVINCIA, CHE CI RIPORTA ALL' ITALIA DEL PASSATO?   ASPETTIAMO I VOSTRI COMMENTI.

20 commenti:

  1. Cassandra Rocca26/03/12, 09:34

    E' davvero carino! Delicato e tenero, mi è piaciuto... Complimenti!
    Cassie

    RispondiElimina
  2. Grazie Cassie!
    E grazie Francy per averlo inserito e per la magnifica immagine che lo accompagna, bravissima!!!
    Un bacione
    Virginia

    RispondiElimina
  3. Una lettura davvero romantica e deliziosa. Mi piacerebbe assistere anche al prossimo incontro fra i protagonisti.
    Complimenti Virginia! :-)

    RispondiElimina
  4. grazie Emy per aver letto! La seconda parte esiste... non potevo lasciarli così, no?
    Un bacione

    RispondiElimina
  5. Ciao Vi, cosa dire? Mi ricorda qualcosa..^__^ Ormai non mi stupisco più di nulla nel leggere i tuoi scritti, semplicemente mi acquieto e mi lascio trasportare dalle parole.
    Grazie Vi.
    Giulio.

    RispondiElimina
  6. Un racconto fresco, che profuma di tempi lontani ma allo stesso tempo di giovinezza. Sono lieta di aver conosciuto attraverso questa storia un'autrice che non avevo mai letto, e la cui scrittura mi sembra nelle mie corde, da seguire!
    Un complimento anche per i primi due racconti ( che non ero riuscita a commentare) e per l'eleganza delle copertine...
    Patrizia

    RispondiElimina
  7. E' vero Giulio, anch'io ho ritrovato il sapore di "La Fiamma della speranza"!
    A chi ha apprezzato questo racconto consiglio il fantasy epico "La leggenda di Ghelbes Tal" di Virginia :)

    RispondiElimina
  8. Un racconto dolce e carino; l'autrice ha saputo ricreare, anche attraverso un linguaggio adatto, lo spirito e il sapore di un'epoca ormai lontana (l'unica persona di mia conoscenza che usi ancora il termine "signorina" è mia suocera, che è un'anima candida).

    RispondiElimina
  9. Ma che bei commenti, grazie di cuore a tutte! Giulio e Monica un abbraccio! Pat e LadyMacbeth, molte molte grazie per aver trovato il tempo di leggere questo mio vecchio racconto che mi riporta indietro di qualche anno... E' stato bello ritrovare questi personaggi e condividere la loro storia con voi!

    RispondiElimina
  10. Molto bello..un racconto dolce e tenero..intriso di una delicatezza che ci fa nostalgia..complimenti!!!
    Juliet

    RispondiElimina
  11. Ciao Virginia, ho pensato a te l'altra sera; a Voyager hanno parlato del Marchese Aleramo vissuto più di 1000 anni fa (si perdonerà un filo d'imprecisione nel racconto delle sue gesta) che, secondo la leggenda, si aggiudicò le terre che poi sarebbero diventate il Monferrato cavalcando senza sosta x 3 giorni e tre notti. Un vero maschio tutto d'un pezzo, x così dire, protagonista perfetto di un romance storico, o sbaglio? ;-)
    A presto.

    RispondiElimina
  12. Cara Lady e cara Virginia, ho visto che la nostra autrice vive nel cosiddetto basso monferrato, mentre io bazzico l'alto...da queste parti si svolge, ad esempio, la cavalcata aleramica, anche se nessuno sostiutisce più i ferri dei poveri cavalli con mattoni....Divagazioni a parte, il basso piemonte è pieno di luoghi romantici e di antiche leggende d'amore e mistero, forse non molto conosciute...forse varrebbe la pena di farne una specie di guida!
    Patrizia

    RispondiElimina
  13. Complimenti fresco e divertente.

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  14. Un racconto leggero e delicato, che mi ha preso subito e mi ha lasciata con un sorriso... complimenti all'autrice!
    Dorothea

    RispondiElimina
  15. Carissime ragazze, i vostri post sono bigliettini preziosi da conservare in un cassetto... Grazie!
    Lady, Patrizia, lo storico è la mia isola felice... Nomi date luoghi, personaggi reali e fittizzi che si prendono a braccetto e viaggiano insieme su un treno che è per metà realtà e per metà finzione... Che meraviglia! Anche se in realtà non mi piace catalogare e parlare di generi letterari (e questo perchè sono fermamente convinta che siano i personaggi a trascinarmi di qua e di là e non il contrario) gli spunti nel nostro passato anche locale sono moltleplici e pieni di fascino... Cosa manca? Il tempo mie care, il tempo per fare i topini da biblioteca e imbastire un palcoscenico che sia reale tanto quanto i sentimenti dei personaggi che mi non smettono mai di sussurrarmi all'orecchio le loro storie...
    Un privilegio e un dono di inestimabile valore!

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  16. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  17. davvero meraviglioso questo racconto, mi ha emozionato tantissimo: leggendolo mi è sembrato di essere lì a fianco dei protagonisti...:)

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  18. romantico e d'altri tempi.... il sogno di ognuna di noi *_^

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  19. Grazie fanciulle care che avete letto, un abbraccio.
    Virginia

    RispondiElimina

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