CHRISTMAS IN LOVE: UN REGALO PER NATALE




C’era solo silenzio, intorno a lui.
La chiesa era vuota, ad eccezione di quelle figure che sembravano puntarlo con occhi severi, dal soffitto e nelle cappelle piene di affreschi. Si sentiva circondato da volti austeri, impositori, che avrebbero giudicato le sue mancanze e le sue colpe e che lo avrebbero condannato, per il resto dei suoi giorni, a un’esistenza infelice. Non ricordava nemmeno perché si trovasse all’interno di quel luogo, sacro ai fedeli ma tanto odiato da lui. Lui che non credeva in nessun Dio, in nessuna promessa salvifica, soprattutto adesso che aveva perso tutto. Soprattutto adesso che lei se n’era andata per sempre. La sua Jane, portata via dalla malattia, consumata e trasformata dalla sofferenza. Quale orribile disgrazia! Come poteva esistere un Dio benevolo se riservava alle anime più belle e giovani una morte così atroce? Se non concedeva loro nessun conforto misericordioso? Piangeva, mentre pensava a tutto ciò, con le mani a coprire il volto rigato di lacrime, inginocchiato sul pavimento freddo e scosso dai singhiozzi. Cosa sarebbe stato di lui? I ricordi riaffioravano veloci, come l’arrivo di un temporale che spazza via il sereno, e gli affliggevano tormento. Non avrebbe più potuto stringersi al suo petto morbido e vellutato, non avrebbe più potuto perdersi nei suoi sguardi dolci e devoti, non avrebbe più potuto trastullarsi con i suoi riccioli color dell’oro, non avrebbe più potuto premere le sue labbra su quelle lisce e accoglienti di lei. Non avrebbe più potuto amarla. Ecco che ritornava la sua voce limpida e modulata, la sua risata timida e sensuale, quel tono caratteristico che terminava con delle note acute, una pace per l’udito e per i sensi.
«Che gioco meschino ha tramato il destino contro di me! Che terribile agonia mi ha serbato!» si lamentava, in mezzo agli spasimi del pianto.
Le candele tremolanti creavano aloni luminosi intorno alle fiammelle, come tanti piccoli steli di stelle, uniche luci nel cuore di quell’uomo precipitato, invece, nel buio più assoluto.
***
«Oh, Christopher, sono stufa di questa tua ostinazione! Sono trascorsi tre anni dalla scomparsa di quella povera figliola e tu continui a non toccare cibo e a rifiutare qualsiasi gentilezza. Non credo proprio che Jane ti avrebbe permesso di abbandonarti a questo stato di apatia del corpo e dell’anima. Anzi, ne sono sicura, non te lo avrebbe permesso».
La donna aveva portato per lui un cestino ricolmo di pane fragrante, appena uscito dal forno, di marmellate dolci e saporite, con due fiaschi di vino rosso e alcune bottiglie di latte. Ma l’uomo non voleva saperne; non si era nemmeno degnato di ringraziarla. Dopotutto, era il minimo che potesse fare un gentiluomo di classe come lui. Al contrario, si limitò a borbottare.
«Ti prego, Miriam, non è il momento».
«Per te non è mai il momento, certo» sbuffò la donna, mettendosi le mani sui fianchi. «Ma sappi che non è affatto salutare e che è completamente da sciocchi comportarsi in questo modo».
L’uomo si portò una mano alle labbra e si mordicchiò le nocche screpolate. Aveva gli occhi lucidi e lo sguardo altrove. «Meglio comportarsi da sciocchi che fingere una vita che non possiedo più».
«Ma, Christopher, tu hai ancora una vita! Comprendo il tuo dolore, tuttavia…».
«Taci!» urlò l’uomo, sollevandosi dalla sedia e puntando un dito smagrito contro la donna. «Tu non conosci la morte perché non l’hai mai vista in faccia, perché ha ancora risparmiato la tua esistenza e quella delle persone che ami». Le si avvicinò e abbassò il tono della voce. «Tu non conosci dolore e sofferenza, tu non sai cosa significa rimanere in vita senza più un cuore, senza più sangue nelle vene, senza più ossigeno da respirare».
La donna trattenne il respiro e una lacrima furtiva le bagnò una guancia. «Io non conoscerò tutte queste cose, è vero, ma combatto ogni giorno contro la paura e la sofferenza che mi provocherebbe la perdita di un amico al quale voglio bene».
L’uomo restò immobile, colpito da quelle parole intrise di un sentimento che non sapeva bene identificare. Sembravano andare al di là del semplice e naturale affetto. Nella stanza di quella casa, la sua dimora di campagna, riscaldato dal fuoco che sfrigolava nel camino a parete, Christopher si sentì disarmato, spogliato di quella maschera che nascondeva le sue ferite agli occhi della gente. Non era pronto a dare ragione alle parole di Miriam, la sua amica d’infanzia, ma sapeva di essersi lasciato trasportare dalla corrente delle ombre, fino ad annegare insieme a esse. Diede bruscamente le spalle alla donna che gli stava davanti e si avvicinò alla grande finestra rettangolare, che dava sull’immensa distesa di campo della proprietà. Rimasero in silenzio per un po’ a riflettere sulle proprie audacie verbali.
«Non ti obbligherò, né ti assillerò» pronunciò infine lei, pacata. «Ma concediti una possibilità, una speranza. È la vigilia di Natale, dopotutto».
Christopher avrebbe voluto risponderle che il Natale era solo una stupida festa, che non v’era nulla di nobile o morale nel sedersi al cospetto di tavole imbandite per abbuffarsi, ma si astenne dall’esprimere quel pensiero a voce. Lo fece perché sapeva che l’avrebbe delusa ulteriormente e poiché, invece, quella donna si prodigava tanto per lui e nutriva dei sentimenti sinceri per la sua incolumità, non volle piegarsi a una simile crudeltà. Semplicemente, decise di rimanere assorto nel suo silenzio, a contemplare le immagini di un’esistenza remota che mai sarebbe tornata.
***

Quella notte fece un sogno assai strano e, allo stesso tempo, magnifico. Sognò Jane.
Si trovavano seduti sulla soffice erbetta di un prato, riparati sotto la chioma rigogliosa di una quercia. Doveva essere pomeriggio inoltrato, visto che il sole iniziava a tingersi di arancio e i suoi raggi ad affievolirsi. Nessuno disturbava la loro quiete ed era così piacevole immergersi nel silenzio della natura che, ad un certo punto, Jane aveva chiuso gli occhi e aveva esalato un profondo sospiro. Lui si sentiva fremere dentro, con il cuore a martellargli in petto e il sangue a pulsargli nelle vene. Quella fanciulla era ciò che di più prezioso al mondo un uomo potesse desiderare. Portava i capelli sciolti, una cascata di boccoli a solleticarle le spalle, e la sua pelle emanava un profumo delizioso, soave: di rose e gelsomino. Avrebbe voluto riempirle il collo di teneri baci, ma proprio quando stava protendendo il viso verso di lei, Jane parlò.
«Mi chiedo per quanto tempo ancora debba durare» disse. Non si trattava di una domanda, bensì di un’affermazione.
Christopher aveva spalancato gli occhi, sorpreso e confuso.
«Avanti,» proseguì lei, sempre a occhi chiusi «non fare quella faccia. Hai capito benissimo di cosa parlo».
«No, amore mio, credo di non capire».
A quel punto, Jane aveva aperto gli occhi e con un gesto gentile gli aveva afferrato le mani.
«Non puoi annegare nel dolore» gli disse, con un’espressione accorata sul viso. «Hai sofferto abbastanza per la mia morte, dentro il tuo petto batte il cuore di un uomo ancora vivo che vuole tornare a sperare».
Lui era sempre più interdetto. «Ma io credevo…».
«Tu hai creduto in troppe cose e troppe ne stai perdendo».
Gli accarezzò la linea della mascella, contratta per la smania di controbattere a quelle supposizioni senza, però, averne il coraggio, e gli sorrise.
«Christopher, se vuoi rendermi felice, ascoltami».
E gli confidò il suo desiderio, con gli occhi che brillavano di fiducia e le gote lievemente arrossate. Lui non aprì bocca, obbedendo alla sua richiesta, inebriato dal tocco di quelle dita delicate sul suo volto ispido e spigoloso. Un tocco che lo ammansiva nel profondo, acquietava le tempeste dell’animo, leniva le ferite dei suoi sentimenti infranti, ammorbidiva il suo sguardo freddo come ghiaccio, arrabbiato con il cielo per avergli rubato la sua stella più bella e splendente. Quando ella ebbe finito di parlare, la mano si ritirò, lasciandogli impresso sulla pelle un calore piacevole, intimo. Christopher ebbe l’impressione che qualcosa non andava. Stava perdendo la vista, forse? I contorni del viso di Jane si stavano sfuocando, la sua figura sembrava sdoppiarsi e poi riprendere il proprio posto, solo per qualche secondo. Sbatté le palpebre ma non cambiò nulla. Allora allungò una mano per raggiungere quella della sua amata, tuttavia gli risultava impossibile. Era come se le forze lo stessero abbandonando all’improvviso, come se stesse per svenire. Ed infatti, pochi attimi dopo, il nero inghiottì ogni altro colore e calò su di lui come un sipario.
***
Se ne stava fermo sul marciapiede, di fronte alla villetta addobbata con ghirlande e luci colorate dalla quale proveniva un profumo irresistibile di zucchero e cannella, mele sciroppate e cioccolato, con le mani nelle tasche del lungo cappotto e uno sguardo indeciso. La neve cadeva lenta, posandosi ovunque con leggiadria, e un fiocco si era sciolto sulla punta del suo naso. Christopher rabbrividì, ma si impose di aspettare ancora. Prima o poi, si disse, aprirà. Aveva calcolato tutto alla perfezione, non poteva non funzionare. Qualcuno si mosse all’interno dell’abitazione, un’ombra un po’ ingobbita. Doveva essere Harold, il maggiordomo. La porta d’ingresso si aprì e l’anziano signore lanciò occhiate indagatrici a destra e a sinistra prima di far cadere il suo sguardo in basso. Si accorse del cartone e capì finalmente da dove provenisse quell’uggiolio sommesso. Quando ebbe piegato infuori le alette della scatola, spalancò gli occhi ed esultò gioioso.
«Signorina Miriam, corra, presto! Credo che il primo ospite sia già arrivato».
Si udì il rumore di tacchi che scendevano precipitosamente le scale e poi Miriam sbucò alle spalle di Harold.
«Che succede?» gli domandò, trafelata.
«Guardi che creaturina adorabile!» cantilenò l’anziano signore.
Miriam chinò il capo e si portò una mano sul petto. Non poteva crederci, quello era un cucciolo di cane! Con una coccardina rossa attaccata al collare! Un magnifico dono di Natale! Ma, da parte di chi? Miriam sollevò l’animale dalla sua casetta di cartone e se lo strinse con un gesto affettuoso, materno. Lei andava matta per i cani e ne desiderava uno da quando aveva cinque anni. Ma non era mai stato possibile acquistarlo perché i suoi genitori erano contrari all’idea di avere un animale in giro per la casa. «È assolutamente inopportuno e pericoloso» la rimproveravano ogni volta che usciva l’argomento. Colpa della loro mania per il pulito. Ora che lei era cresciuta, però, ci stava seriamente riflettendo ed era quasi pronta a prenderne uno. Forse, ci aveva pensato il suo angelo a esaudire il suo sogno. La notte della vigilia di Natale. Istintivamente alzò lo sguardo e, immobile sul marciapiede di fronte alla sua abitazione, vide Christopher. Le stava sorridendo. Sì, non si sbagliava, quello era un autentico sorriso. Le sue labbra ricambiarono e i suoi occhi presero a inumidirsi di nuove lacrime. Stavolta, però, non di tristezza né di nostalgia. Erano lacrime di pura felicità e riconoscenza, perché l’uomo che vedeva davanti a sé non aveva più addosso i segni della sconfitta ma quelli sfavillanti della rinascita.
E quello era il suo più bel regalo di Natale.

ANGELICA STAR (*)

(*) Questo è uno pseudonimo, il vero nome dell'autrice verrà svelato a fine concorso.


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3 commenti:

  1. Quasi mi scende la lacrimuccia! Molto bello e scritto bene. Brava Angelica Star... chiunque tu sia.

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  2. Ho trovato la scrittura fluida, la trama interessante. Credo sia il migliore fra quelli che ho letto.
    Veronica

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  3. si, scruttura molto fluida, trama interessantissima, e t'invito a continuarlo...diventerà un bel romanzo se non lo chiudi in un cassetto! brava! giusy74

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