VIOLA di Emiliana De Vico

 

Suor Margherita la spinse verso l’ufficio amministrativo. « Dai, Violè, devi solo presentarti. Non mi sembra un cattivo ragazzo. Certo, è un po’ strano, ma io so vedere anche sotto la barba e penso che stavolta qualcosa stia girando per il verso giusto.»
«Barba?» Viola si aggiustò il grembiule che portava quando era di servizio: rosa a quadretti bianchi con un colletto di pizzo come quelli delle bambine dell’asilo. Poi si spinse indietro il ciuffo biondo.
«Sì, ha un look particolare, ma la voce di un uomo non si può mascherare facilmente. Se è un disgraziato lo si capisce subito, e lui mi sembra uno con  gli… ehm… al posto giusto. Violè, io devo correre dai bambini. Li abbiamo lasciati soli troppo a lungo.»
«Sono solo due minuti.»
«E dici nulla? Avranno demolito la stanza dei giochi.» Il velo candido di suor Margherita si gonfiò mentre correva lungo il corridoio. Dall’area destinata agli uffici non si udivano le voci dei bambini e ciò era un chiaro segno di pericolo. Quando se ne stavano zitti, qualcosa stavano combinando. Bussò e attese il permesso per entrare. L’ufficio di Laila era una commistione di professionale e personale. Una grossa scrivania ingombra di faldoni e cornici con foto dei suoi figli. Ai muri, quadretti di scorci fiabeschi si alternavano a disegni donati dai piccoli del centro attaccati con nastro adesivo. Un vasetto di erica rossa sul davanzale, tendine intarsiate ai vetri, e un mini alberello di natale sul monitor del pc. Fece un respiro profondo e fissò lo sconosciuto. «Buongiorno, sono Viola Linetti, educatrice del Centro…»
«Ben rivista, Viola.»
I brutti ricordi avevano sempre l’abitudine di tornare, di tanto in tanto. La sua mente aveva catalogato il volto, il tono di voce, il modo di guardare dell’uomo, sotto il file: Giorgio Nardi, pericoloso. Giorgio era più grande di lei di tredici anni. Più esperto nelle relazioni personali, più scaltro. «Cosa ci fai qui?» gli chiese mantenendosi rigida, con le mani in tasca e i pugni chiusi.
«Saprai che la gestione del centro di accoglienza “Il mandorlo” è passata a una nuova società. Io sarò il responsabile del servizio dal primo gennaio prossimo.»
«Mancano ancora pochi giorni» puntualizzò Viola.
«Ho bisogno di conoscere alcune cose prima di diventare operativo al cento per cento.»
«Sono solo un’educatrice e Laila, l’amministratrice, è in ferie.»
Giorgio si passò un dito sulla bocca. Era diventato più caratteristico esasperando le peculiarità della sua persona, pensò Viola. Se in passato aveva portato una barba appena accennata, ora era folta e piena, anche se ben delineata. I baffi erano accorciati e lasciavano le belle labbra rosa in vista. I capelli, che di solito portava corti, erano stati fatti crescere e li aveva legati in una cipolla sulla nuca. Ma gli occhi del colore del caffè erano rimasti uguali, intensi e indagatori.
«Non importa, ho solo bisogno di conferme ai dati in mio possesso. Quanti siete?»
Era un esame e Viola lo sapeva. Erano informazioni che avrebbe già dovuto avere prima di accettare un incarico, invece si divertiva a metterla a disagio. Forse a farle notare la sua incompetenza? «Il centro di accoglienza “Il mandorlo” ospita fino a un massimo di 10 minorenni, di età compresa tra i tre e dieci anni. È al completo, ma nel periodo natalizio parecchi bambini sono rientrati in famiglia o dai genitori di supporto, e in sede ne sono rimasti solo quattro» rispose pronta. Il centro era la sua attuale vita. Era nata per quel lavoro. Se c’era una cosa di cui era sicura era il fatto che la sua emotività era un facilitatore per avvicinarsi agli altri. La preparazione professionale l’aveva resa in grado di utilizzare strumenti adeguati.
Giorgio se ne stette in silenzio guardandola fissa.
«Ci sono tre suore che fungono da supporto all’équipe e sette operatori professionali suddivisi in turni giornalieri da otto ore.»
«Da quanto tempo lavori qui?»
Viola preferì abbandonare il suo viso e guardare fuori dalla finestra. Le curve dolci dell’Appennino centrale e le punte aguzze e innevate del Gran Sasso erano uno spettacolo della natura. Una stella natalizia a luci intermittenti appesa sul balcone del palazzo di fronte richiamò la sua attenzione. «Da tre anni.» Si chiese se stesse ricordando la data del loro ultimo incontro. Lo guardò di nuovo, ma non seppe vedere altro che un bel volto, un bel corpo, un bel capo a cui avrebbe dovuto fare riferimento dal nuovo anno. «Resterai qui per sempre?»
Lui fece ruotare la poltrona prima di alzarsi e avvicinarsi a lei. «Il mio è un incarico temporaneo. Il centro deve sfruttare tutte le potenzialità. Resterò fino a che la gestione non sarà più redditizia.»
«È in pericolo la mia permanenza?» Se c’era il rischio di un licenziamento voleva saperlo dalla sua bocca.
«Perché questa domanda? Valuto il personale in base alla loro professionalità non alla bravura a letto. Vero, bambina? Hai paura che l’aver avuto una storiella con il capo possa nuocerti? In genere è il contrario.»
Le era arrivato davanti. Entrambi in piedi in mezzo all’ufficio amministrativo. Lei con il grembiule da asilo, lui con un completo di sartoria. Aveva definito la loro relazione una storiella. Per lei era stata una sofferenza. Un dolore importante che aveva controllato e vinto. Era più giovane, più ingenua, più innamorata di quanto lo fosse stato lui.
«Stai ricordando, Viola?» Le passò un dito sul colletto immacolato, sul bordo che sfiorava la gola, sulla vena della giugulare e poi premette il dito in profondità a cercare le pulsazioni dell’aorta.
Viola non si mosse. Non era da lei fuggire dinanzi al passato. Ricordò le notti passate nel suo letto. Il modo in cui le sussurrava bambina prendine di più infilandosi in profondità nel suo corpo. E poi ripensò alla freddezza con cui la trattava il mattino dopo, quando si incontravano al lavoro. «Ricordo che ti sei fatto tutte le tirocinanti, e io ero solo una di loro.» Fece un passo indietro. Aveva conosciuto Giorgio presso il centro diurno in cui aveva svolto il tirocinio formativo. Dal suo ufficio al suo letto era stato un passo inevitabile. Non era il suo capo. Lui fungeva da jolly studiando i servizi che la società avrebbe voluto rilevare e strutturando un piano d’azione economico e pratico per le attività in perdita.
«C’è qualcosa che vuoi dirmi a proposito del centro?»
Viola ci pensò mentre lui tornava alla scrivania. «No. Sì… mancano due giorni a Natale e il pacco che aspettavamo non è ancora arrivato.»
Lui la guardò con un sopracciglio alzato. «Regali?»
Viola annuì. «Per i bambini.»
«Durante le feste il servizio trasporti deve aver subito un rallentamento. Ti lascerò dei soldi per comprare qualcosa di alternativo.»
«Oh, no, era qualcosa di speciale che… non importa, adesso devo andare. È ora di merenda e Suor Margherita ha bisogno di aiuto.»
«Vai pure» le disse e Viola si affrettò a lasciare l’ufficio.
I dipendenti erano in ferie e il corridoio era silenzioso. Le persiane chiuse oscuravano il percorso illuminato solo da un lumino posto sotto la statua della Madonna. Ritornò nell’area abitativa. I bambini stavano facendo merenda. Giovanni e Mattia aveva quattro anni e mangiavano seduti vicini. Giada di tre se ne stava addosso alla suora, e Alice di sei girava per la stanza con un panino in mano. I succhi di frutta e dei pezzi di panettone erano sistemati in un vassoio.
«Violè, ci hai messo un bel po’ di tempo.»
«Mi ha chiesto delle notizie sul centro.»
«Allora, che ne pensi? Quella barba potrebbe essere un problema per i bambini, perlomeno all’inizio. Ma non è detto che lui voglia conoscerli di persona.»
«Non credo gli interessi il lato pratico quanto quello economico gestionale.»
«A me è sembrato gentile. Non dimenticare che è venuto qui quasi alla vigilia di Natale e prima dell’incarico ufficiale, solo per conoscerci meglio.»
Viola si accomodò su una seggiolina per bambini, scartò una cannuccia e la porse a Giovanni. Una goccia di succo colò sul tavolo e lei fu lesta a rassicurare il piccolo con un sorriso. «Non so. Il centro non è mai stato un affare economico. Ho sempre paura che vogliano risanare il bilancio tagliando sul personale. E io sono l’ultima arrivata.» Smangiucchiò un pezzo di panettone togliendo i canditi e mettendoli da parte. Quando suor Margherita la guardò con un rimprovero nello sguardo prese il mucchietto e se lo ficcò in bocca. Gli adulti devono essere di esempio, le ripeteva. Ma i canditi non le piacevano proprio. Udì un leggero colpo alla porta e questa si aprì. La sala era in disordine. Puzzle a terra, bambole svestite e lasciate in giro. Gli occhi di Giorgio percorsero l’intero spazio. Stava valutando il loro operato? Giovanni si alzò dal suo posto e le scivolò in braccio. Aveva sempre avuto un po’ di timore verso gli sconosciuti. In quel momento si trovava davanti un uomo con barba e cipolla sulla testa. Anche Alice le si mise al fianco. Suor Margherita aveva sempre ragione. La barba aveva un effetto negativo su quei piccoli già provati dalle relazioni affettive.
            «Posso unirmi a voi?» chiese Giorgio a nessuno in particolare.
            «Certo, siamo sempre felici di avere delle visite. Bambini, questo signore si chiama Giorgio e lavorerà qui al centro. Lo vedremo spesso» spiegò con semplicità suor Margherita. Sebbene il tavolo ovale fosse ampio, i bambini si ammassarono tutti intorno a Viola.  Era un’esplicita richiesta di protezione. Lei sorrise a ognuno di loro incoraggiandoli a tornare a mangiare.
            «Può sedersi qui, signor Nardi» lo invitò a prendere posto.
            «Potete chiamarmi semplicemente Giorgio.»
Lui si piegò fino a toccare la sediolina e suor Margherita gli piazzò sotto il naso il vassoio con il panettone. «Ne prenda un pezzo e faccia merenda con noi. Rende più familiari condividere il cibo.»
Lui aveva sempre avuto belle mani. Le guardò di nuovo mentre lui prendeva un pezzetto di dolce e  la suora gli porgeva il brik di succo di frutto. Era strano avere un uomo a quel tavolo. Nel gruppo di educatori ce n’era solo uno ma mai si era unito a loro per mangiare.
            «Giovanni, finisci la tua porzione. Forza che poi sceglieremo un bel gioco da fare tutti insieme.» Vedere Giorgio che mangiava in silenzio le lasciò un nodo alla gola. Spezzettava il panettone accantonando i canditi e succhiando dalla cannuccia.
            «Bambini, facciamo vedere a Giorgio il nostro bellissimo albero di Natale.»
Qualche timido sì rispose a suor Margherita. Solo Mattia prese la mano della donna e accompagnò l’ospite vicino all’abete. Le decorazioni erano ammassate sui rami più bassi e i nastri pendevano flosci. Erano più le volte che l’albero cadeva a terra che quelle in cui stava in piedi. Solo in presenza di suor Maria Angelica i bambini restavano fermi e zitti come soldatini. La rigidità non era lo strumento migliore ma c’era chi la confondeva con chiarezza.
Viola osservò le sue spalle larghe. La cipolla sulla nuca era perfetta. I capelli di Giorgio sembravano essere stati allisciati e poi legati da una mano esperta. Lo vide sfiorare una sfera ammaccata, una pigna scolorita, una stella fatta all’uncinetto e i pacchetti in miniatura realizzati dai bambini.
Lui le lanciò uno sguardo veloce. «Molto bello» disse sfiorando la testa di Mattia.
Non poté non soffrire quando il bambino si scostò rifiutando la carezza. Gli operatori avevano imparato a conoscere i punti deboli di ogni ospite. Ma Giorgio era per loro uno sconosciuto. E di certo non poteva sapere che non tutti gli ospiti sopportano il tocco di un adulto.
            «Avete fatto richiesta per altre decorazioni?» Chiese Giorgio guardandola fisso.
            «No, abbiamo usato ciò che avevamo a disposizione.»
            «Perché?»
            «Perché ci sono cose più importanti a cui dare precedenza. E poi i bambini si sono divertiti a creare gli addobbi» rispose con semplicità.
            «Il Natale è nello spirito della natività, non nell’abbondanza delle decorazioni.» Suor Margherita sapeva sempre come sottolineare le cose fondamentali con le parole più semplici.
            «E il pacco che avete ordinato?» chiese loro. Il completo scuro era perfetto su di lui. Con la barba e la cipolla era sensuale anche se manteneva il tono di voce di uno che è abituato a comandare.
            «Non arriverà in tempo». Viola non riuscì a nascondere il dispiacere.
            «Oh, non essere così negativa, Violé. In fondo domani è la vigilia e le poste funzionano per una buona metà giornata» le sorrise suor Margherita.
            Chissà perché era convinta che avrebbero dovuto ripiegare su regali di fortuna.
Giorgio fece qualche passo per la sala guardando i disegni e gli oggetti. «Ora devo andare» disse rivolto alla suora.
            «Passi un sereno Natale.»
Non c’era stato un saluto speciale per lei. Un solo arrivederci generale che le aveva lasciato l’amaro in bocca.
            «Hai visto, Violè? Questa volta siamo in buone mani.» Il sorriso della suora era enorme mentre tornava verso il tavolo con ancora la mano di Mattia nella sua.
            «Hai detto la stessa cosa a ogni cambio di gestione.»
            «Vedrai! Bambini, che ne dite di mettere a posto il tavolo e fare un bel gioco?»

****

Era tornata a casa esausta. Lidia, l’educatrice del turno di notte, era arrivata in ritardo e Viola si era trattenuta per spiegarle le novità della giornata. Il loro discorso era stato fisso sul nuovo responsabile e lei si era sempre più sentita gelosa nel condividere i particolari di Giorgio. Parlare dei suoi capelli legati a cipolla e della barba scura, nonché del suo corpo le creava un senso di possesso mai sperimentato.
«Micia, hai fame? Quando mai non ne hai!» Riempì la ciotola e si rilassò sul divano lasciando libero il lato preferito dalla gatta. Per tutta la serata aveva pensato a lui, e i tre anni di distanza si erano dissolti all’improvviso. Aveva subito ripreso familiarità con le sfumature emotive del suo viso, i modi di tenere rigide le spalle e morbide le braccia, il busto eretto. Continuava a conoscerlo come lo conosceva un tempo. I sei mesi passati al Centro servizi dove aveva svolto tirocinio erano volati. Giorgio non era stato il suo capo ma faceva parte del gruppo decisionale che sceglieva gli appalti a cui partecipare, studiava i vari servizi da rilevare e strutturava un progetto per rendere redditizio ciò che non lo era. Lo aveva incontrato spesso e per lui era stato semplice abbordarla. Aveva sempre saputo di essere una donna passeggera, a venticinque anni era troppo giovane per lui che ne aveva quasi quaranta. Erano usciti qualche volta insieme al gruppo allargato e poi da soli. Il primo bacio era stato per lei sconvolgente. Il secondo paralizzante. Al terzo erano già a letto. Avevano smesso del tutto di uscire con gli altri e si erano goduti i momenti insieme sapendo che presto tutto sarebbe cambiato. Eppure Viola aveva sperato. E poi, poco prima del termine del tirocinio, l’aveva visto parlare sempre più spesso con la nuova tirocinante che avrebbe preso il suo posto e si era eclissata. Lui l’aveva lasciata andare.
«Dammi tregua, micia. Sono stanca, sai? Tu dormi tutto il giorno mentre io lavoro. Posso darti solo una grattatina. Dai, vieni qui.» Le fece posto sulle sue gambe. Averla addosso le faceva bene al cuore. Da tempo cercava di convincere il responsabile del servizio a prendere un cucciolo per i bambini, ma non ci era riuscita. L’accarezzò piano. Le sue amicizie si erano assottigliate all’osso. E i suoi genitori abitavano in un’altra città. Si acciambellò con micia vicino. Non voleva più pensare a Giorgio. Non voleva ricordare il suo profumo, né sapere se amava ancora mangiare gli anacardi dopo il caffè. Magari era fidanzato ufficialmente, oppure sposato. Anche se non aveva visto anelli non significava che non avesse un legame stabile. Chiuse gli occhi. Il suo tempo con Giorgio era passato.

**** 

«È ancora qui?»
«Si è presentato appena dopo le undici e mi ha chiesto di mandarti nel suo ufficio. Che c’è, Violé?»
«Niente, ma è la vigilia di Natale e lui dovrebbe stare da tutt’altra parte.»
«Che vuoi che ti dica? Neanche io me lo so spiegare, ma è il capo, e può fare ciò che vuole.»
Viola si trovò a ripercorrere il corridoio dell’area amministrativa. Questa volta la serranda della finestra era stata tirata e i raggi di un sole brillante ma gelido cadevano su un vasetto di primule rosa.
Batté un colpo timido e attese la sua voce.
«Vieni, Viola.»
Si aggiustò il grembiule, fece qualche passo nella stanza e si fermò nel mezzo, come il giorno prima. Sostenne il suo sguardo, lo conosceva troppo a fondo per fuggire da lui.
«Sei cambiata molto. I tuoi capelli sono cortissimi.»
Non poté trattenere una mano e si toccò la nuca scoperta. Aveva adottato uno stile più pratico. Solo il ciuffo biondo era più lungo e sfumato. Dei due, era lui ad avere i capelli lunghi.
«Ma così i tuoi occhi sembrano più grandi.»
Viola non faceva molto per esaltarli. Di un verde cupo, si enfatizzavano da soli sotto le ciglia scure. «Volevi parlarmi?»
«Cosa c’è nel pacco che avete ordinato? E perché ti sta così a cuore?»
«Non importa. Non è arrivato in tempo.»
«È qui, l’ho ritirato al deposito.»
Viola seguì lo sguardo di Giorgio verso un lato della stanza. In realtà si trattava di tre grossi scatoloni imballati.
«Ci sono dei giochi? Però qualcosa non quadra. Quelli mi risultano caricati su un’altra voce di bilancio.»
Viola serrò la mandibola. La stava di nuovo mettendo alle strette. «Delle tazze, dell’intimo e dei vestiti.» Sostenne il suo sguardo perplesso. Si buttò il ciuffo all’indietro, scoprì del tutto il viso. Era una battaglia. Nessun’altro educatore si era schierato con lei, tranne suor Margherita che, purtroppo, non aveva voce in capitolo. Invece suor Maria Angelica aveva liquidato le sue ragioni con un secco: stupidaggini. Eppure Viola aveva avuto il coraggio di insistere con l’amministrazione e aveva strappato un consenso. Un piccolo ritaglio dal budget per l’acquisto di quelle cose. Lo guardò con occhi prepotenti. «Sono tazze speciali. Su ognuna c’è un nome. Tutto è stato personalizzato. I vestitini sono stati scelti da loro, così come l’intimo.»
«Spiegami bene.»
Aveva tutta la sua attenzione. Viola era abituata a dare il suo parere, e il più delle volte a essere ignorata, ma aveva sempre continuato a fare il suo dovere. «I bambini che arrivano qui non hanno nulla di personale. La maglietta che oggi indossa Giada, domani la porterà Valeria. I pantaloni che piacciono a Giovanni domani verranno messi da Luca. Le bambole sono di tutti così come gli altri giochi. Non conviene affezionarsi a qualcosa perché non sarà mai un oggetto personale. Non sempre un atteggiamento socialista è positivo. Dire che un oggetto è di tutti è come dire che non è di nessuno. È una progressiva spersonalizzazione. Voglio che cambi questa visione e che ogni bambino sia libero di indossare la sua maglietta, avere la sua tazza personale e il suo gioco del cuore. Io non metterei mai gli slip di un’altra donna» disse sentendo il respiro farsi più veloce. Del tutto scoperta emotivamente davanti a lui. 
Giorgio era rimasto immobile ad ascoltarla toccandosi la punta della barba. Occhi densi come il caffè erano fissi nei suoi. «Avete abbastanza carta per fare dei pacchetti singoli?»
Viola si trovò a sorridere. Non l’aveva squalificata. In un certo senso aveva ricevuto la sua approvazione. Anche Giorgio sorrise e i suoi denti perfetti si affacciarono tra le labbra. Un solo canino era più sporgente, ma quel piccolo difetto lo rendeva ancora più attraente.
Trattenne il fiato mentre lui le veniva vicino. Le racchiuse il volto tra le mani.
«Sei ancora più bella» le soffiò sulla bocca.
Dagli occhi sensuali Viola scese a guardargli le labbra. Un leggero sorriso vi era disegnato. Ricordò quanto tempo aveva passato a baciarle.
«Vuoi mangiarmi, bimba?» le disse compiaciuto.
Socchiuse gli occhi vendendolo arrivare, mentre un bacio morbido si scambiavano le loro labbra. Un saluto, un nuovo tocco. Un contatto un po’ più lungo. Un momento per respirare e poi di nuovo labbra a labbra. Le era familiare baciarlo anche se la barba lunga le solleticava la pelle. Vi immerse le dita. I suoi peli erano forti come fili grossi, ma docili e lisci se accarezzati verso il basso. Pungevano se li si toccava contropelo. Si avventurò con i polpastrelli sulle sue guance mentre con la bocca lo accoglieva. Immerse le dita tra i capelli allentandoli dalla molla che li chiudeva a cipolla. Li tirò fino a che non li ebbe tra le mani. Si allontanò un istante per guardarlo. Era di una bellezza selvaggia, ora come allora. Gli catturò di nuovo la bocca mentre il cuore pompava forte. Era normale provare un tale trasporto per un ex, si disse.
«Viola, la mia Viola.»
Si aggrappò alle sue spalle, la bocca posseduta, bagnata, aperta. Arrotolò la lingua alla sua e gli permise di alzarle una gamba per incunearsi meglio. Come se fosse giusto. Ma non lo era. Bastò fare un passo indietro per mettere fine alla loro follia. Vederlo in disordine ebbe il potere di farla crollare. Quasi. «Non sono più una tirocinante» gli disse arretrando verso la porta.
«Lo so. Ma non ho mai dimenticato cosa siamo stati» le spiegò mentre si passava le mani tra i capelli ributtandoli indietro.
«Ma è passato. Tre anni interi sono passati. Quante altre tirocinanti ci sono state?»
Lui scrollò le spalle e si mise le mani in tasca. «Non ha importanza.»
Come poteva non averne? Il fatto che avesse portato i regali che disperava di ricevere non lo autorizzava a fare ciò che aveva fatto: entrare di nuovo nei suoi spazi mentali e fisici.
«È la vigilia di Natale, non hai una famiglia con cui stare?»
«Vivo ancora da solo. Andrò a trovarli a fine anno. Tu?»
«Anch’io.» Fece un altro passo indietro. Una fuga, lenta ma inesorabile.
«A che ora finisci il turno?»
«Perché?» Non di nuovo nella sua routine, pregò.
Lui indicò gli scatoloni. «Bisogna preparare i pacchetti per domani.»
Delusione e sollievo si mescolarono. «Alle otto. Appena avremo un attimo di pausa io e suor Margherita inizieremo a incartare. Ora devo andare.»
Non lo salutò. Aveva bisogno di spazi aperti, di aria pura, del profumo dei bambini intenti a giocare e del loro vocio. Ma non aveva bisogno di Giorgio. Non più.
Attraversò il corridoio e tornò nell’area abitativa. Giada faceva i capricci e Mattia si intestardiva a non volersi alzare da terra. Serviva un diversivo. «Vi va di fare una passeggiata in centro?» propose attirando subito l’attenzione di tutti.
«Violè, è una buona idea. Su, bambini, andate a prendere i cappottini nelle vostre stanze.» Suor Margherita attese un momento. «Che succede? Perché piangi, Violé?»

****

Non le piaceva fare il turno di mattina. Entrava al centro presto e ne usciva stanca. I bambini avevano sempre troppa energia da contenere appena svegli. Però, quello era il giorno di Natale. La sera prima, dopo aver passato un paio di ore a impacchettare, lei e suor Margherita avevano ammassato i doni sotto un albero ormai stremato dalle troppe cadute, ed erano tornate a casa. Lei nel suo appartamento in centro storico; la suora negli alloggi sopra il centro di accoglienza.
Si aspettava di trovare già qualche bimbo sveglio, invece dormivano ancora. Suor Maria Angelica stava preparando la colazione. «Buon Natale» la salutò.
«Buon Natale di nostro Signore anche a te.»
«Strano che non si siano ancora svegliati.» Il profumo di orzo e biscotti si diffuse nella stanza. Dolcetti fatti in casa e cose genuine da mangiare. Quello era il pasto preferito dalla suore. La donna aveva iniziato ad apparecchiare con le solite stoviglie. Non sapeva che quel mattino i bambini avrebbero avuto voglia di usare le loro tazze personali. Per il momento, si limitò ad aiutarla. Con sorpresa la vide mettere sul fuoco una caffettiera. Di solito non ne prendevano.  Non chiese per evitare di irritarla. Dalle camere provennero dei rumori e Viola si dispose ad accogliere i bambini. Con un grande sorriso attese di vedere le loro facce di fronte ai regali. Invece incontrò occhi color caffè e una barba folta. I capelli quel mattino lui li aveva stretti in una coda semplice. «Hai dormito qui?» Viola aveva deciso di non mettere il grembiule ma un maglione lungo e dei pantaloni stretti.
«Non ho infranto alcuna regola. Suor Maria Angelica mi ha detto che potevo restare.» E se lo diceva lei era tutto a posto.
«Li destabilizzerai. I bambini non sopportano le novità. Hanno bisogno di sapere che tutto è come sempre. Vederti qui li manderà in crisi.» Un uomo all’interno del centro era più che una novità.
«Non mi hanno visto. Sembri una teppistella» le disse abbassando la voce.  «Una bellissima teppistella.» Le sfiorò il ciuffo e passò oltre.
Giorgio si accomodò al tavolo facendo un sorriso quando la suora gli servì il caffè.
Altri rumori si udirono e Giada le corse tra le braccia. Sembrava un gatto arruffato, la strinse e le diede un grosso bacio. «Buon Natale, piccola.»
Solo a quelle parole la bimba ricordò di guardare l’albero. «Ci sono!»
«Sì, ci sono i regali per ognuno di voi. Andiamo a cercare il tuo» le disse tenendola ancora in braccio.
«Si scarteranno dopo colazione» si intromise la suora.
Viola non capiva come si potesse avere un pacco senza provare il desiderio di aprirlo. «Portiamolo al tavolo, Giada. Mangiamo e lo guardiamo.» Ma se la bimba guardava il pacco lei non poteva non osservare Giorgio. Il suo modo di muovere le mani, di sorseggiare il caffè, di toccarsi la barba.  Solo quando anche gli altri ospiti ebbero mangiato si poté cominciare a scartare. Giorgio aveva terminato di fare colazione ma non accennava a lasciare la sala.
Mattia fu il primo a tirare fuori la tazza e il bicchiere personalizzati con coccinelle rosse e nere, e il suo nome scritto grande. «Viola, guarda.» Le porse il bicchiere e lei lo prese tra le mani.
«C’è il tuo nome qui, sai? Questa è solo per te.»
Poi tirò fuori i vestiti e l’intimo, tutti etichettati e li distribuì. Alice insistette per avere un sorso di acqua nel suo bicchiere nuovo e Giada mise dei biscotti nella tazza. Giorgio era lì con loro, in silenzio, fermo. Con il mento sulle mani e i gomiti sulle ginocchia. E poi fu il momento di aprire i giochi. C’erano quelli destinati all’intero centro e quelli personali. Una bambolina, una borsetta, un elicottero, un pacco di costruzioni in legno. Ogni ospite aveva il proprio e se lo portava appresso per la stanza.
«Quando hai tempo, Viola, vieni di là» le chiese Giorgio andando via.
Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Cosa? Non appena i bambini ebbero messo a posto i giochi li lasciò in compagnia di suor Maria Angelica. Era diventata una costante attraversare il corridoio per recarsi in amministrazione. La porta era aperta e Giorgio in piedi davanti alla finestra. Aveva indosso i vestiti del giorno prima ma non erano sgualciti.
«In cosa ho sbagliato?» gli chiese alzando la testa.
Lui non le rispose, ma si voltò e a lunghi passi la raggiunse.  La baciò prendendola tra le braccia, cercando la sua lingua e carezzandola più volte fino a che Viola non perse l’interesse a capire il motivo che l’aveva portata lì.
«Viola…»la baciava spingendole indietro il ciuffo, stringendola come non aveva mai fatto. A occhi chiusi lo assaporò di nuovo. Capì di non averlo mai dimenticato, solo accantonato. Come se per loro non fosse arrivato il momento giusto per nulla. Per prendersi e per lasciarsi.
«Ti desidero, Viola. Ancora adesso.»
«Non sono più quella di una volta.»
Lui la strinse di più e la pelle di Viola si adattò alla stretta come se fosse un suo diritto stargli così addosso.
«Non voglio la bambina di un tempo. Voglio la donna che sei diventata.»
«Non è andata bene una volta. Non vedo come possa andare meglio adesso.»
«Lo so. Ma sono qui, per te. Sono tornato oggi e ieri solo per vedere te, il modo in cui ti muovi, parli e pensi in funzione del benessere degli altri. È te che ho cercato.»
Di nuovo si tirò indietro. Si sentiva piccola e spaesata come i bambini che arrivavano al centro di accoglienza. E lei non aveva neanche una tazza a cui aggrapparsi. Gli strinse un braccio percependo i movimenti dei muscoli sotto la camicia.
«Non mi va di vedermi rimpiazzare dopo sei mesi. L’hai già fatto una volta.»
«Non sei una donna che si può rimpiazzare. Non adesso che sei come sei.»
«E come sono?»
Lui le toccò una guancia, il ciuffo sfilzato. Un orecchino a forma di coccinella e uno di delfino. «Forte, come non lo eri all’epoca. Decisa e dolce con chi ne ha il diritto. Voglio assaggiare questa Viola.»
Questa Viola aveva una paura matta  e il desiderio folle di averlo ancora nella sua vita.
«Dammi un’altra possibilità» le chiese.
Viola gli diede un bacio.


FINE
CHI E' L'AUTRICE...

EMILIANA DE VICO (1973) vive in un paesino nell’entroterra abruzzese, insieme al marito e ai due figli. Laureata in scienze sociali, lavora presso i Servizi Sociali di zona. Appassionata di romance, approccia questo filone dall’adolescenza. Alcuni suoi racconti sono contenuti in antologie della Delos Books a cura di Franco Forte (365 Storie d’amoreSpeciale SFIl Magazzino dei Mondi 2).Vincitrice della terza edizione di “La vie en rose” 2012 con Indaco. Il racconto Rose sui tratturi è stato segnalato dalla giuria del Premio Romance 2013 indetto da Mondadori. Ha scritto diversi racconti per la collana Senza Sfumature di Delos Digital e per Sperling Privè e ha partecipato ad alcune rassegne su questo blog. A dicembre 2015 è uscito il suo nuovo romanzo Non lasciarmi mai indietro, primo della serie "Anime in gioco".


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28 commenti:

  1. Dolce e delicato. Questo ho pensato per tutto il tempo in cui ho letto questo racconto. Forse per la presenza dei bambini, o per il personaggio di viola che merita davvero di avere qualcuno accanto. Però il personaggio maschile non mi ha convinta, mi lascia in dubbio.

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  2. Un dolcissimo racconto reso ancora più tenero dalla presenza dei bambini che ne ha sottolineato l'atmosfera delicata. Complimenti all'autrice che, come per gli altri suoi racconti, si dimostra ancora una volta sensibile e profonda.

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  3. E' un bel racconto, ma Giorgio.... Una bella sberla gliela avrei data. Il finale fa pensare a un futuro piacevole per Viola, ma, con la mia fantasia, farei soffrire l'arrogante e solo dopo essere convinta dalla sue intenzioni mi abbandonerei a lui.

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  4. Complimenti per il garbo e la sensibilità dimostrati nello sviluppare questa storia, consorella Emiliana, che la Dea ti benedica... comunque pure io lo avrei fatto soffrire di più :)

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  5. Wow! Dolce e amaro al punto giusto! Belli e complessi entrambi i protagonisti, mi piacerebbe leggere il seguito ;-)

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  6. mi sembra solo il riassunto di un romanzo e la fine è un punto interrogativo

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    1. Mi scuso. Riproverò.
      Emi

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    2. Lady Mortifera02/01/16, 16:16

      Magari firmare i commenti sarebbe meglio caro unknown, si critica? Ci si firma!

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    3. Grande, Lady Mortifera! Hai perfettamente ragione! Almeno mettiamoci la faccia se si vuole esporre una critica, no?

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  7. Grazie a tutti per avere lasciato un commento. EMi

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  8. Un bel racconto..scritto bene ma anche a me non è piaciuta l'arroganza del personaggio maschile che dopo 3anni si ripresenta come se nulla fosse e peggio ancora la debolezza di Viola che accetta il tutto così ..da donna debole ma ovviamente questo è un bene per noi lettori perchè se il racconto suscita sentimenti contrastanti può solo significare che ha colpito nel segno!!!Brava Emiliana.

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  9. Adoro il modo di scrivere di Emiliana e anche stavolta non mi ha delusa. La sua è una storia intrisa di dolcezza e malinconia, una storia che fa riflettere, ma che infonde nei nostri cuori tanta speranza. Grazie, Emi, per questo piccolo regalo natalizio.

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  10. Piaciuto molto come anche il tuo ultimo ebook!

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  11. Penso di dover dare una limata a questi miei personaggi maschili. Stanno venendo su troppo arroganti. Grazie. Emi

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    1. non credo tu ti debba limitare...infondo noi sogniamo l'uomo dolce ma la realtà è proprio negli uomini che tu descrivi

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  12. Una mia curiosità! La descrizione della coppia si ispira ai due della pubblicità Trivago di qualche anno fa, l'uomo con la barba e i capelli lunghi e la ragazza punk che si incontrano in piscina e poi in ascensore (http://checkin.trivago.it/2011/04/il-viaggio-e-la-seduzione-il-nuovo-spot-di-trivago/)?

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    Risposte
    1. Oddio no, ma ora che mi ci fai pensare me li ricordo. Volevo due opposti controcorrente. Ho un amico con capelli lunghi e barba, bellissimo. Non ditelo in giro ma è un figo. Chìssà che non ci sia un po' di lui nel protagonista. :D Emi

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    2. Ma cara, presentamelo! ;-)

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  13. Storia interessante ma incompiuta. Milena

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    1. vero. finale aperto a ogni possibilità. Emi.

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  14. Mi è piaciuta la parte con i bambini, ma la storia d'amore non mi ha coinvolta, per via del personaggio maschile poco affidabile e di quello femminile troppo arrendevole. Secondo me Giorgio avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche per riconquistare l'amore e la fiducia di Viola.

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  15. Emiliana scrive benissimo e mi piace molto anche il mondo delle sue narrazioni. Ricordo un altro racconto stupendo in cui la prot cerca di tenere sotto controllo il suo impulso a infliggersi ferite. E poi c'è l'ambientazione che mi colpisce dritto al cuore. Ho una casa a pochi chilometri da dove vive Emiliana e anche dalle mie finestre vedo il Gran Sasso (e il mare).
    Ornella A.

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  16. Un bacio grande a te Ornella Albanese. Il mio raccontino si disintegra dinanzi alle tue opere stupende. Emi

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  17. Bello, bello, anche se il chiamarla 'bambina' mi ha un po' infastidito, ma il fatto che poi lui le dica che è diventata grande mi ha rincuorato. Però prima di perdonarlo lo avrei fatto penare un po' di piu'

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  18. youngmamy x 407/01/16, 02:20

    una storia delicata e un ritorno di fiamma tutto natalizio e piu consapevole...peccato che sia finito!!!!! ci sentiamo su fb (v.forte) ciaooo

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  19. Bello, delicato e tenero. L'argomento bambini poi ti intenerisce a 365°.
    Cry Trilly

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  20. Non so perchè, è il terzo commento che provo a inserire e che poi sparisce :(
    Dico solo che scrive da dio, mi piace come usa le parole e come è stata capace di dare una personalità e una evoluzione ai due personaggi. Brava

    RispondiElimina

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