L'ORIZZONTE NON HA COLORE di Ledra Loi


Il giardino all’ingresso dell’ospedale era immerso in un silenzio imprevisto. Un grande abete troneggiava carico di palline multicolori.
Roberto parcheggiò l’auto e aprì lo sportello, inspirando l’aria frizzante del mattino. Il sole era luminoso e sembrava sorridergli ammiccante. Eccolo, il grande giorno. “Da oggi siamo una famiglia” si disse. Aveva desiderato a lungo quel momento, l’aveva sognato e immaginato in mille modi diversi. Ma ora che era arrivato quasi non ci credeva: quella sera avrebbe dormito per la prima volta con le sue due donne.
Si avviò verso l’ingresso, bersagliato da sensazioni molto diverse: eccitazione per la nuova vita, ansia di non farcela a essere un bravo papà, paura del futuro ma anche una grande, potente, impensabile felicità.  – Non dormirai – gli aveva detto Fulvio, la sera prima – e non per i pianti. Ma per la gioia di averla vicino.
E lui aveva riso per quelle parole, sapendo già che si sarebbero dimostrate vere.
Gli venne quasi da fischiettare, mentre le scarpe lo accompagnavano sul selciato. Era tutto pronto e perfetto. Perfino la ghirlanda sulla porta aveva un intendo profumo di agrifoglio e pigne. Non vedeva l’ora di riabbracciarle.

Genziana sistemò a Morgana il vestitino rosso. La piccola dormiva beata e inconsapevole di tutto il trambusto e la felicità che aveva portato.
I dolori del parto erano quasi scomparsi, insieme alla sensazione di inadeguatezza che aveva provato negli ultimi mesi. Sua figlia era lì. Tre chili e mezzo di tenerezza, strilli micidiali e richieste continue di attenzione. Genziana era stata ben lieta di assecondare a tutti i suoi voleri, coadiuvata dalle infermiere. – Ma ora siamo pronte, streghetta – la chiamava così fin da quando avevano deciso per quel nome, celtico e pagano, sicura di augurare alla figlia un futuro di forza e felicità. – Papà sta venendo a prenderci e finalmente ti farò vedere la tua cameretta. Ti piacerà, è piena di draghi!
Morgana la ignorò, continuando nel suo sonno sazio.
Andate già via? – Era la signora Balli, la sua vicina di stanza. Una vecchietta gentile e un po’ sorda, che le aveva elargito un sacco di consigli sulla sua nuova vita da madre. Mangiava avida dei biscotti al miele e, con gentilezza, glieli porse. Genziana la ringraziò con un dolce sorriso e ne gustò uno mentre le rispose: – Sì. Roberto sarà qui a momenti, e noi non vediamo l’ora di tornare a casa.
Te lo ricordi, Genziana, quello che ti ho detto? Chiamami, per qualsiasi cosa. E stai attenta all’ombra!
Genziana sorrise. Quella storia dell’ombra l’aveva assillata in quei tre giorni. La signora Balli era convinta che quest’ombra fosse una specie di spirito maligno, che seguiva tutte le neomamme per farle sbagliare. Raccolse Morgana dalla culla. Profumava di talco. Meglio godersi quell’odore, prima di vederlo trasformato nell’ennesima scarica di cacca!
Voci dietro la porta le allargarono il sorriso.
Roberto le apparve davanti, ancora più bello del solito. Era il ritratto della felicità ed era vestito in maniera impeccabile: camicia ben stirata, pantaloni rigidi, capelli in ordine. Erano sposati da anni, ma ogni volta che lo vedeva Genziana continuava a sentire i brividi.
Ciao, piccolina. – Roberto la oltrepassò, concentrato su Morgana. – Adesso andiamo tutti a casa.
Morgana fece lo sforzo di aprire uno degli occhi, prima di rituffarsi nel sonno.
Ssst! Non svegliarla, per carità! – Genziana indicò la valigia sul pavimento. – Puoi prendere quella?
Certo, amore, subito.
L’ultimo sorriso era per la signora Balli. – Arrivederci, allora.
Mi raccomando! – l’ammonì ancora lei, e Genziana lottò per non ridere.
Ritrovarsi fuori dall’ospedale le fece sentire felice. Osservò Roberto, mentre assicurava navetta e figlia ai sedili posteriori, e fili dorati che erano stati posti sulle siepi comparsi dopo il suo ricovero. La vita era andata avanti, e sarebbe stata ogni giorno più bella, ora che con loro c’era la piccola Morgana.
Salì in auto, e lanciò un’occhiata alla neonata, attraverso lo specchietto retrovisore, e fu allora che la notò. Un’ombra avvolgeva la navetta, una spirale grigio fumo intorno alla carrozzina rosa.
Sussultò, senza fiato.
Che succede?
L’ombra era scomparsa. Un’allucinazione, nulla di più. Genziana sorrise a Roberto. – Nulla, amore. Mettiamo un po’ di musica?
Lui non si fece pregare. Mise una allegra musica natalizia che rimbombò in tutto l'abitacolo.

Il resto del viaggio fu tranquillo, e Morgana non si svegliò nemmeno quando furono davanti alla porta di casa.
Genziana però era ben sveglia e poté ammirare la ghirlanda e lo striscione colorato di benvenuto che Roberto aveva appeso, insieme allo zerbino, raffigurante una cicogna. – Dove l’hai trovato quello?
Internet. Che te ne pare?
Carinissimo. Ora entriamo, dai.
Lui le aprì la porta, sorridente, come quando erano tornati dal viaggio di nozze.
Sul mobile di fronte all’ingresso c’era una stella di Natale rosa gigante avvolta da due palloncini della stassa sfumatura di rosa.
Non ti sembra di aver esagerato?
Per le mie donne non è mai abbastanza.
Con “le tue donne” intendi anche tua madre?
Roberto ridacchiò, scortandola fino alla stanzetta della loro piccola. Un tripudio di fiocchi, palloncini, le lenzuola con sopra raffigurata una principessa e un decoro sul muro che comprendeva castelli, valli incantate e un drago.
E questo?
Ho incontrato mago Merlino, un paio di giorni fa. È stato un po’ caro, ma ne è valsa la pena.
Tu sei tutto matto.
Ti piace, amore?
Non ti può ancora rispondere… e credo che non abbia nemmeno visto.
Non chiedevo a lei, chiedevo a te.
Genziana lo guardò. Gli anni di matrimonio non avevano spento nulla della passione che li aveva travolti, fin dall’inizio, ma avevano alimentato la fiamma della tenerezza. Sapeva di essere fortunata, e ne era così felice che quasi l’emozione le faceva scoppiare il cuore. Non gli rispose. Si limitò a sfiorare quelle labbra con un bacio struggente. Quanto le era mancato!
Morgana scelse quel momento per risvegliarsi, con i suoi strilli che monopolizzavano l’attenzione a dieci chilometri di distanza.
Ha una bella vocina – commentò Roberto, con una smorfia.
Sì, se continua su questo tono inizio a prenotarle la scuola di canto. – Genziana si piegò sulla carrozzina e raccolse il suo batuffolo rosa e lilla. – È tutto a posto, amore mio. Siamo a casa con papà.
Morgana aprì gli occhietti e le lanciò un’occhiata torva, aumentando gli strilli.
Posso tenerla io?
Genziana gliela passò, con attenzione. – Prova, ma non credo che… – s’interruppe, stupita. La neonata aveva smesso di urlare non appena era arrivata fra le braccia del padre.
Visto? – gongolò lui.
È una bimba di buon gusto. Scommetto che anche lei si è già innamorata di te.
Roberto sorrise, mentre Morgana, rilassata, si abbandonava di nuovo al sonno.

Fu quella notte.
Genziana si girava nel letto, agitata da un sogno che non avrebbe più saputo ricordare e che si spezzò, di colpo, quando il dolore al seno le fece capire che era quasi ora.
Si alzò, attenta a non svegliare Roberto.
La carrozzina era un’ombra, molto più scura delle altre nella stanza. Genziana se ne accorse mentre si avvicinava. Un’ombra densa e cupa come la trama fitta della nebbia. Qualcosa le attorcigliò lo stomaco, a metà fra il timore e l’angoscia. Ma avanzò, verso la sua bambina. Era un terrore irrazionale, una sciocchezza.
Quando raggiunse Morgana e la guardò, si accorse che l’ombra emanava da lei.

La mattina dopo sembrava tutto tranquillo.
Vincendo la repulsione e una strana voce che le parlava dentro, incitandola a non allattare la piccola, Genziana era riuscita a dar da mangiare a sua figlia. Era tornata a letto, il seno dolente per la voracità della neonata, e aveva impiegato più tempo del solito ad addormentarsi. Il sonno era stato agitato, terribile. Scene confuse le ballavano in mente, ma una era nitida. Morgana, trasformatasi in una creatura famelica, che le staccava il seno a morsi, e il sangue denso e nero che si raccoglieva in pozzanghere ai suoi piedi, puzzolenti e disgustose.
Dopo quel sogno, che l’aveva destata di soprassalto, era crollata in un sonno esausto. E, al risveglio, tutto le era apparso così assurdo che, pian piano, l’aveva relegato nelle allucinazioni da stanchezza.

Ma la Voce tornò. Mentre la cambiava.
Un’incitazione continua, inarrestabile.
Falla cadere. Cosa ti costa? Ti sta togliendo tutto, la vita, il sonno, e…
Basta.
Sì, basta. Liberati di lei.
Smettila! È mia figlia!
Appunto. Ti appartiene. Puoi farne quello che vuoi!
Basta! – Stavolta lo gridò e Morgana scoppiò in un pianto disperato. Prese la bambina fra le braccia, la cullò. E ancora una volta, guardandola, scoprì sul suo viso un ghigno che sapeva di sfida.

Ho bisogno di aiuto. – Ammetterlo non era una cosa facile, soprattutto con lui. Ma cos'altro poteva fare? Gli raccontò tutto, dell'ombra e degli strani pensieri che l'assalivano quando teneva Morgana in braccio. Sfuggì il suo sguardo, mentre parlava. Non aveva il coraggio di vedere la disapprovazione nei suoi occhi.
Roberto l'ascoltò in silenzio e solo alla fine parlò: – Quando è iniziato? –
Credo... – scavò nei ricordi e rivide la prima ombra, nell'auto. – Appena abbiamo lasciato l'ospedale. – Ricordò la signora Balli. Lei le aveva parlato dell'ombra. Brividi di freddo le trapassarono la pelle.
Ma c'erano due mani calde, leggere sulle sue spalle, e i brividi scomparvero. – Va tutto bene, amore mio. – La voce di Roberto, l'unica ancora di salvezza. – Ne usciremo. Insieme. –
Respirò il suo profumo, le lacrime sospese sulle ciglia. – Sei... sei arrabbiato? –
Sentì il bacio che le sfiorò i capelli e chiuse gli occhi.
Andremo dalla dottoressa Tintori. È quella che ha curato mia madre. Vedrai, ci aiuterà.
Perdonami. – voleva essere una moglie perfetta, per lui. Perché le era andato a capitare proprio questo?

Genziana scivolò sulla poltroncina, le gambe rigide come quelle delle Barbie.
La dottoressa, capelli morbidi e biondi, sorriso professionale. Aveva una collana di turchese al collo, sottile.
Lei deglutì, stringendo la mano di Roberto.
La stretta di rimando era salda, sicura.
C’erano parole che conosceva, in quella stretta. Bastava solo sentire le pieghe delle sue dita per sapere ancora quanto lui l’amava. “Qualunque cosa accada, l’affronteremo insieme. E ne usciremo vincitori.” Quante volte aveva sentito quella frase? Li aveva guidati, nei lunghi anni del loro amore, nelle difficoltà che avevano affrontato ogni giorno. Il loro progetto di vita.
Genziana cercò di lottare contro le lacrime.
Roberto, potresti lasciarci?
Genziana boccheggiò, inorridita.
La dottoressa Tintori continuava a sorridere.
Devo?
Sarebbe meglio, credimi. Io e Genziana dovremmo conoscerci.
Come si poteva avere quel sorriso, annunciando la peggiore delle condanne? Genziana strinse la mano di Roberto, frenetica.
Tranquilla, amore. – La stretta di lui si trasformò in una carezza. – Aspetto qui fuori.
Cercò l’aria per fermarlo, per chiedergli di restare. Eppure sapeva che la dottoressa aveva ragione. Strinse i denti e annuì.
Le labbra più dolci del mondo la sfiorarono, in un bacio che avrebbe voluto durasse in eterno. Ma quando finì si accorse di essere sola. Sola davanti alla donna che l’avrebbe messa a nudo. Sola davanti all’orrore di se stessa.

C’era troppa angoscia in quella stretta.
Roberto si appoggiò al muro, con un sospiro. Genziana era terrorizzata al pensiero di restare sola con la dottoressa Tintori. Si mordicchiò un labbro. Che cosa era successo? Perché quell’incubo era capitato proprio a loro? Il pensiero che sua moglie soffrisse gli era insopportabile. Avrebbe fatto di tutto per vederla di nuovo sorridere, di nuovo felice. Morgana era rimasta a casa con la nonna. Sperò che almeno la bambina non se ne accorgesse. La dottoressa Tintori l’aveva rassicurato, ma non si sentiva lo stesso tranquillo. Le sue due donne erano tutta la sua vita. Guardò l’orologio, poi si decise. Prima che Genziana uscisse, c’era una cosa importante che doveva fare.

Parlami di te, Genziana. Dimmi perché sei qui.
Genziana rimase a fissare la dottoressa, poi inspirò e iniziò a raccontarle tutto. Mano a mano che parlava si rese conto di quanto tutto le sembrasse così assurdo, estraneo. Una parte di lei continuava a ripeterle che era solo un brutto sogno, che presto si sarebbe risvegliata e tutto sarebbe scomparso. Ma sapeva che non sarebbe stato così semplice. – Io… davvero, non capisco cosa mi stia succedendo–  Era come un fiume in piena, i pensieri le si accavallavano in testa, diventando subito parole: – Ho un marito che mi ama, io lo amo, grazie a Dio non abbiamo problemi economici e poi c’è la mia bambina… – s’interruppe. Sembrava una lezione imparata a memoria. La voce le tremò.
Parlami della tua bambina.
È… è dolcissima, piange solo quando ha fame. È un angelo, nemmeno una colichetta. E quando mi guarda… – Strinse le mani sulle braccia. Risentiva gli ordini della voce, quella rabbia sorda e irrazionale che la coglieva davanti alla sua creatura indifesa. – Io non sono pazza.
Di questo ne siamo sicuri, Genziana.
L’occhiata che le lanciò di rimando doveva essere talmente perplessa che la dottoressa si sentì in dovere di aggiungere: – La tua condizione è molto più comune di quanto non si pensi, ed è curabile. Il primo passo, il più importante, l’hai già fatto venendo qui. Ora devi fare il secondo: seguire la mia terapia. Hai fatto dei sacrifici per nove mesi, ora devi fare l’ultimo sforzo e superare anche questa. Ce la puoi fare. Hai superato di peggio, lo sappiamo entrambe. E non sarai da sola.
Genziana le fissò la collana di turchese mentre parlava. La pietra della protezione, secondo gli sciamani d’America. La dottoressa Tintori parlava con dolcezza, come una fata. Ce n’era una, bionda come lei, nel murales che decorava la stanza di Morgana. La sua personale fata turchina. – Non sono sola.
No, non lo sei.
Ma la Voce aspetta che Roberto non ci sia per parlare. E io non posso costringerlo a restare sempre con me.
Impareremo ad affrontarla. Verrai qui, due volte a settimana. E nel frattempo prenderai questi farmaci.
Non sono dannosi per la bambina? Io sto allattando.
La dottoressa Tintori scosse il capo. – Certo che no, non ti preoccupare. Nelle dosi che ti ho prescritto non creano problemi. E ti aiuteranno a stare meglio.
Sembrava tutto così semplice. Le sorrise, di rimando. Forse l’aveva anche lei, la bacchetta magica. – E se non fossi in grado di fare la madre?
Nasciamo biologicamente predisposte per generare, Genziana. Dai retta al tuo istinto e vedrai che non sbaglierai. E se qualcosa dovesse andare storto, ricordati che c’è sempre un modo per raddrizzarlo. Non hai mai sbagliato con tuo marito? E lui con te?
Le tornarono in mente i loro litigi, e ancor di più i mille modi che avevano escogitato, ogni volta, per fare pace.
Ce la farai, Genziana. Sei forte, lo vedo. E sai di essere amata. Non dimenticarlo mai e la voce non riuscirà ad averla vinta su di te. Chiamami ogni volta che hai bisogno di parlarmi, e non aver paura di farlo. – Le diede un biglietto da visita.
Genziana lo raccolse e la salutò, ringraziandola. Era bastato così poco per ridarle fiducia in se stessa. Si sentiva di nuovo carica e pronta ad affrontare tutto.
Quando uscì fuori, Roberto la stava aspettando. Ma prima di vedere lui notò quello che aveva fra le mani: una splendida pianta di orchidee, gialla con striature violacee.
E quella?
Suo marito le sorrise. – Serve per ricordarti quanto ti amo.
Genziana lo guardò, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. E, quando si ritrovò fra le braccia di Roberto, per un attimo riuscì a sperare che tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Fallo!
Non posso.
Ti ho detto di farlo! – le urlò rabbiosa la Voce.
Genziana tremò. Le braccia distese nel vuoto e la piccola che urlava disperata. Voleva la sua mamma, il latte caldo e rassicurante. Non voleva stare lì, al freddo, con il vento tagliente che le penetrava nella tutina di ciniglia, rosa pallido come il suo viso.
Fallo, ameba! Muoviti, buttala giù. Da quando c’è lei non vivi più. Cosa aspetti? – le gridò nell’orecchio la Voce.
Genziana ebbe un sussulto, guardò nel vuoto e ritrasse di scatto le braccia. Si mise a baciare Morgana con amore, rabbia e senso di colpa. La bimba era scossa dai singhiozzi, aveva fame e freddo. Genziana rientrò in casa, prese una coperta, collassò sul divano e aprì con impeto la camicetta. Il seno turgido era pieno per rinfrancare Morgana. La piccola le si avvinghiò famelica: quella era la sua dolce mamma, la riconobbe con felicità.

Non ce la faccio più. AIUTATEMI. È normale avere solo voglia di piangere? Di non sgranare i denti in sorrisi macroscopici ogni 3 secondi quando vengono orde di parenti a farsi servire il caffè dalla mamma che deve essere la più felice al mondo? Di aver voglia di scappare, lontano, lontano e riprendermi la mia libertà? Di andare, di fare, di bastare totalmente a me stessa. Faccio brutti sogni, immagino cose orribili…Vi prego voi che siete tante in questo forum, ditemi: sono normale? Non voglio fare male al mio tesoro. A chi posso rivolgermi per non sentire più questo topo che rode il mio stomaco? Aspetto con ansia una vostra parola, anche cattiva ma non lasciatemi sola… vi prego”.
Spedita. Adesso doveva solo sperare in qualche risposta. Qualcuno doveva risponderle, doveva risponderle, doveva risponderle.

Le lacrime le bagnavano il viso mentre prendeva il cordless. Morgana finalmente dormiva tranquilla nel lettino. Ma perché ho deciso di venire ad abitare qui? Le era sembrato la realizzazione di un sogno poter comprare la torre del Castello. Ricordò con tristezza la gioia che aveva provato quando l’agenzia le aveva detto che era loro uno degli appartamenti ristrutturati della torre. Aveva abbracciato “Cenerentola”, adorava quel libro, e si era sentita bene. Abitare in un posto magico, senza spigoli, tutto rotondo… non immaginava…
Pronto?
Roberto, è tornata – balbettò Genziana con la voce rotta.
Torno a casa subito – le rispose il marito angosciato.
No, non è successo nulla. Per questa volta – sospirò. – L’ho scacciata, rimani pure a lavorare. Non voglio che ti licenzino per me. Non voglio che sappiano…
Amore, adesso non posso parlare, aspetta che mi sposto in corridoio – le sussurrò con dolcezza Roberto. – Telefona alla dottoressa e dille che questa sera appena torno ti fissi una seduta. Tengo io il nostro tesoro. Hai bisogno di lei: telefonale subito o vuoi che lo faccia io? Vado in bagno con il cellulare e la chiamo…
No, lo faccio io – gli rispose Genziana un po’ sollevata e un po’ in colpa. Non mi merito un uomo così. Sono solo capace di piangere e lamentarmi – Non ti merito! – glielo disse tutto d’un fiato, con dolore, con affanno, con tristezza e ansia. Prima o poi, era certa, l’avrebbe lasciata. Sola. Sola con la Voce… Maledetto castello… io qui dovevo essere felice.
Ti amo. Lo sai che quando ho detto quel sì era per sempre! Devo andare, ciao amore mio.
Ciao. – Premette il rosso. Sospirò. Doveva fare un’altra telefonata.
Studio medico.
Buongiorno, sono Genziana Romani e vorrei parlare con la dottoressa Tintori.
Mi spiace è occupata con un paziente, posso esserle d’aiuto io? – le rispose fredda e professionale la segretaria. Non le era mai piaciuta.
No, devo parlare con la dottoressa, è urgente! – Nell’ultima parola aveva messo più rabbia di quanto avrebbe voluto; trasse un sospiro tremolante, cercando di darsi un contegno e proseguì:
Quando avrà finito, può chiederle di richiamarmi? Le dica che la Voce è tornata.
Va bene signora, riferirò. Buongiorno – e riattaccò.
Stronza. Sei solo una stronza di segretaria. Non vali nulla, nulla di quello che valevo io… appunto… valevo. Si mise sconfitta sul divano: era l’ora di Beautiful.

Morgana si svegliò. Oh noooo, è già ora di tette e cambio pannolino? No, non riesco ad alzarmi, non ci riesco…
Certo che ci riesci. Muoviti! – la Voce le scoppiò dentro. L’ansia le strizzò lo stomaco. – Alzati, prendi un cuscino e falla tacere per sempre quella là!
Vattene via! – urlò nel soggiorno deserto, che rimbombò di quel grido stridulo. Per un attimo non le sembrò nemmeno la propria voce.
Si alzò e corse in camera. Baciò con impeto Morgana, la cullò. Piccola mia non piangere, ti prego non piangere. Non farmi piangere con te e per te.

Era ora di mangiare. Com’era bella la sua bimba. Tutti le dicevano che doveva essere felice, solare e allegra, che doveva ringraziare il Cielo per aver avuto una bambina così sana e forte… ma lei si sentiva stanca, tanto stanca, la stanchezza le penetrava nelle ossa, le scorreva nelle vene, le otturava i pori della pelle.

Mamma perché non arrivi? Ti prego, mamma, fa presto, sono le 13.57, ancora 3 minuti e arrivi… poi non avrò più paura. Mamma vieni, arriva, portami il tuo sorriso, la tua serenità. Lo so che ti sei accorta che sto male, perché mamma non ne vuoi parlare?
Non sempre facendo finta di nulla tutto passa, mamma ancora 2 minuti, sei sempre puntuale. Morgana ha bisogno di te. Io ho bisogno che me l’addormenti, che me la togli dalle braccia, che l’accarezzi e la baci come io non so più fare. O meglio, lo faccio, certe volte la stringo forte forte, forse troppo forte.
Mamma, sono le 14.01, perché non arrivi? Sarà successo qualcosa?
Adesso ti telefono, uno due tre, mamma rispondi, mamma rispondi… ma lo senti il telefono? Che cazzo ti porti in borsa il cellulare se non lo usi? Se non sai mandare i messaggi? Se non sai visualizzarli?
Okay, devo inspirare ed espirare. Uno, due. Tre, mamma rispondi…

Sentì la chiave nella toppa.

Oh eccoti, che cavolo hai da ridere lì ferma sulla porta? Sei in ritardi di 2 minuti… sei in ritardo…
Prenditi in braccio Morgana, eccola, ora non rischia più che le faccia male.

Sospirò.
 Grazie mamma di essere arrivata.
 Adesso, un po’ di quella fatica l’avrebbe portata la sua mamma..
Ciao tesoro, come stai oggi? Meglio? – le chiese Mara, con un sorriso preoccupato che le rattristava il viso.
Insomma…
Senti, piccola mia, ho pensato che forse è meglio che vieni ad abitare un pochino da me… Questo posto è troppo lugubre e chissà quanti fantasmi ci hanno abitato. Magari qualcuno c’è ancora! – le disse strizzandole l’occhio.
Ma mamma, non crederai mica ai fantasmi, vero? – le rispose Genziana, un balenio di sorriso le sfiorò lo sguardo.
Forse ai veri e propri fantasmi no ma… alle porte che scricchiolano.. – e si mise a ridere  tirando avanti e indietro l’unica porta originale ancora intatta. Piena di tarli ma sopravvissuta ai secoli. Poi con amore le chiese: – Che ne dici di una buona tisana allo zenzero e liquerizia?
Grazie mamma, mettici anche tanto miele.
Mara fece dietrofront per prendere anche i biscottini dalla dispensa. Non s’accorse che le guance di Genziana erano rigate di lacrime.

Pronto?
Buongiorno, signora, sono la dottoressa Tintori, c’è Genziana?
Gliela passo subito – le rispose Mara con voce squillante. Poi abbassando il tono: – La prego l’aiuti…
Signora, non si preoccupi, sto facendo il possibile – affermò rincuorandola la dottoressa.
Mara bussò alla porta del bagno.
Genziana, c’è la dottoressa al telefono.
Mamma, non posso, sono ancora sotto la doccia, chiedile se posso andare da lei questa sera.
Perfetto, ma stai bene? Sono 45 minuti che stai sotto la doccia.
Sì bene, lasciami qui tranquilla.
Lo scorrere dell’acqua calda la faceva sentire viva, lavava tutto il marciume che aveva dentro. Magari potessi stare qui per sempre.

Mamma, cosa ha detto la dottoressa? – le chiese Genziana, strofinandosi con l’asciugamano i capelli bagnati.
Ti aspetta domani alle 19 – le rispose Mara sbaciucchiando Morgana.
La piccola stava beata tra le braccia della nonna. Genziana sentì una fitta al cuore. Non può preferire mia madre a me… poi il dolore passò.

Fuori aveva appena smesso di piovere. Un arcobaleno dai colori intensi fece la sua entrata trionfale. Genziana guardava l’orizzonte dietro il finestrino della macchina, ma il suo sguardo fisso non sembrava percepire nulla.
Roberto guardò Genziana con tenerezza mentre l’aiutava a scendere con una cavalleria d’altri tempi. Lei gli sorrise con le labbra ma quell’emozione non le raggiunse gli occhi. Roberto percepì la sua tristezza che cercava di celargli per non farlo preoccupare.
Era contento d’avere chiamato la suocera per chiederle di tenere un paio d’ore Morgana. Una lunga passeggiata al lago le avrebbe sicuramente donato un po’ di colore sulle guance sempre più pallide. Lei adorava andare al lago d'inverno quando la folla non c'era più. Amava guardare il sole riflettersi sull’acqua e i cigni che, maestosi, nuotavano tranquilli. Roberto assaporò il vento lambirgli il viso e si sentì vivo, pronto a lottare contro quel male che voleva distruggere la sua famiglia.
Amore, ti va un super gelato caldo? Magari nella terrazza del nostro bar preferito. Chissà come è bello vedere da lassù gli alberi colorati –  le chiese con dolcezza.
Mmh oggi mi vuoi proprio viziare –  gli rispose Genziana con un tenue sorriso.
Se non lo faccio con te con chi devo farlo? –  le mormorò Roberto prima di baciarla. Aveva voglia di stringerla, di accarezzarla, di fare l’amore con lei come da tanto tempo non faceva. La gravidanza non era stata semplice e lui, anche se desiderava immensamente la moglie, si era fatto lunghe e ripetute docce fredde. Con ironia realizzò che mai come in quegli ultimi mesi aveva avuto continui raffreddori. Poi, staccandosi dall’abbraccio, prendendole la mano cominciò a dirigersi verso la più famosa gelateria del paese. Voleva viziarla, trattarla come un Principessa, fare tutto il possibile per ridonarle la serenità perduta, ma non sapeva come fare.
Dai sediamoci, una banana split ci allieterà questa già bella giornata –  la invitò con amore.
Genziana si sedette sul tavolino, composta e tranquilla.
Roberto avrebbe voluto scuoterla, farla reagire. Avrebbe dato tutti i suoi averi per una bacchetta magica che la guarisse, che le facesse tornare il riso sulla bocca e negli occhi, che le donasse la gioia di vivere che sembrava non dovesse tornare più. Si sentì impotente, aveva combattuto tanto nella vita: per lo studio, per il lavoro, per la casa e per il loro amore ma non sapeva come fare per combattere i demoni che agitavano Genziana. Si rese conto che non poteva impersonare il cavaliere senza macchia e paura che andava a salvare la sua principessa dal male estremo. Realizzò con dolore che lui non poteva vincere quella battaglia al posto suo. Se avesse potuto l’avrebbe fatto senza alcuna esitazione, lui era un uomo dinamico, d’attacco, adatto al problem solving ma ciò non era in suo potere.
La guardò di sottecchi mentre lei osservava il lago e la vele che ciondolavano serene, senza affanno, e la vide ancora più bella del primo giorno.
Le prese la mano: – Ti amo. Io ti amo –  le disse con semplicità.
Genziana lo guardò negli occhi, le lacrime che le brillavano con la voglia di sgorgare. Poi sospirò: – Anch’io, anch’io. Lo so che stai male per me, so tutto, vedo tutto, sento tutto… ma questo grigio mi perseguita – gli disse abbassando lo sguardo.
Arrivarono le due super coppe mentre Roberto annaspava nelle parole da trovare. Qualsiasi cosa da dire gli sembrava banale, lui si sentiva banale, impaurito e triste. Guardò il lago in cerca d’ispirazione ma sentì solo il vento che lo spingeva a reagire. Sospirò poi prese un cucchiaio, raccolse una generosa porzione di panna e lo portò alla bocca della moglie.
Genziana –  le disse con determinazione mentre lei apriva la bocca – io non lo so cosa accadrà, vorrei dirti che andrà tutto bene, vorrei rassicurati, ma sarebbero solo parole, vuote parole a cui tu non crederesti mai. Però ti giuro che ti resterò accanto, imboccandoti quando non mangerai e stringendoti a me quando piangerai. Lo giuro sulla nostra bellissima bimba, la persona più importante della mia vita insieme a te –  e sorridendole con amore continuò a imboccarla.

15 dicembre
Un altro giorno. Oggi è iniziato un altro giorno e io sono ancora stanca, distrutta, apatica e disperata. La consapevolezza di non farcela più mi assale continuamente, ho una morsa che mi stringe il cuore. Ma come è fatta una morsa? Non lo so, so solo che provo questo profondo dolore, nero e sordo, sordo e nero. Quando passa? Perché la dottoressa non mi dà qualcosa di più forte? Io non voglio più sentire niente, non voglio sentire la Voce.
Caro diario anche questa mattina è venuta: sempre la stessa identica storia, voleva che buttassi Morgana giù, giù nel profondo nero del mattino. Io non l’ho fatto, tenevo le braccia distese nel vuoto e lei che urlava disperata.. La guardavo e mi sembrava così distante… così distante…
E quello dormiva! Non si è accorto di niente… É stanco dice, Lui è stanco. E io? Io che sto tutto il giorno con lei? A pulire merda, pipì, a tirar fuori la tetta ogni 3 ore e a pulirle i rigurgiti? Io non sono stanca?
Lui dice che il suo lavoro è stressante… e io? Non mi stresso a fare la doccia con la porta aperta pronta a cogliere ogni suo rumore? A cullarla cento volte perché si addormenti? A collassare sul divano a comando per riprendere un pochino di fiato? Non mi stresso io? No LUI LAVORA!
Ciao Morgana s’è svegliata, ti riprendo in mano appena posso, sei l’unico amico che ho… e soprattutto che non giudica e non dà consigli non richiesti…

Mi spiace, ma devi prendere il Samir – le disse ferma la Dottoressa Tintori. – Puoi assumerlo anche in allattamento e vedrai che starai meglio. Naturalmente ci vedremo più spesso, direi tre volte la settimana. – Sorrise prendendole le mani. – Sconfiggeremo il male, vedrai ce la faremo. – Era incoraggiante, ma ce la farò? Se lo chiese con disperazione, purtroppo non aveva la risposta.
Ma allora se prendo quel farmaco lì non sentirò più la Voce che mi ordina di spaccare il computer portatile sulla testa di Morgana? Vero? – le chiese con angoscia.
Piano piano non la sentirai più. Ma devi trovare il coraggio e la voglia di curarti.
Ci penserò, io non sono – sospirò – ammalata. Almeno spero… Forse avrei bisogno di un esorcismo… o forse di cambiare casa, forse abitare in un castello ha fatto ritornare in vita le streghe prigioniere!
Macché esorcismo! Macché cambiare casa! – la investì la Tintori – Sei ammalata e prima te ne renderai conto, prima uscirai dal nero tunnel in cui la depressione post-partum ti ha gettata.
Genziana usci dallo studio medico con la convinzione che neanche la Tintori avesse ben capito il suo stato d’animo. Io non sono depressa, sto solo impazzendo o qualcuno mi sta possedendo... Scosse la testa terrorizzata da quel pensiero… e cominciò a correre tra il traffico e i rumori assordanti della città, a correre sempre più velocemente…

Bussa sempre di notte ad ogni ora
poi entra in casa sicura
si siede ai piedi del letto, non vuol più andare via…”
Ancora, ancora, ancora, la rimise ancora. “Forse anche Morandi ha provata quest’angoscia” pensò con un sordo dolore. Ansimò. L’ansia stava crescendo.
L’ho vista dietro lo specchio anche stamattina
Si era li seduta”
Ancora, ancora ancora.
Sono andata via ma solo per un minuto”
Ancora, ancora, ancora.
Parlami di te bella signora
Del tuo mare nero nella notte scura”
Ancora, ancora, ancora.
Voglio ascoltarla ancora. Morgana non rompere, puoi piangere fino a domani, ho la musica da ascoltare, NON ROMPERE! DORMI!
Ancora, ancora, ancora.
Cazzo, ma cosa hai da continuare a piangere???????????
Queste coliche sono bestiali, ti fanno rattrappire come un troll… non voglio usare il sondino, mi fa schifo, adesso ti massaggio, piano piano come mi ha insegnato l’ostetrica del corso. Sai Morgana, pensavo che quel corso mi aiutasse a essere una vera mamma come le altre… ma almeno tu ti sei divertita quando ti spalmavo di olio di mandorle e ti accarezzavo piano piano su tutto il corpo? Hai visto i maschietti che pipì facevano? Schizzi altissimi… All’improvviso… e le loro mamme ridevano… loro…
Due mesi di corso preparatorio… e non so massaggiarti, non so farti passare queste coliche, non so fare nulla… NO non è vero una cosa la faccio benissimo: piangere. Ma perché queste lacrime salgono traditrici? Siete salate, pungenti, aspre, vi odio, non vi voglio, mi avete preso il momento più bello della mia vita… vi odio… vi odio…
Uno squillo la fece sussultare.
Ma chi è che rompe? Sto telefono, suona sempre… sempre… e se non rispondo sono tragedie…
- Pronto? Ciao, sì sto bene, tutto bene…No non ho pianto oggi, sto ascoltando la musica con Morgana. Sta bene, è felice che io sia la sua mamma. Okay tel pure dopo quando vuoi. Sì va bene: ottima idea quella della rosticceria. Sì pollo e patatine. Ciao
Tanto a lui cosa gliene frega di me? Da quando c’è la principessa io sono diventata solo la serva… la serva… la serva…
Non è vero, è bravo, dolce, tenero, ma cos’ho che non va? Cos’ho?
Ma perché siete già di ritorno? Non ho fatto in tempo a prendere il fazzoletto. Maledette.

Decise di uscire. Morgana dormiva nel lettino. Doveva scappare. Non poteva rimanere in nessun modo lì.
La nebbia ovattava il buio. Sobbalzò. Non si era accorta di un grosso Terranova che la scrutava incuriosito. Il padrone lo richiamò e lei proseguì il cammino. Piano, affrettato, veloce, di corsa. Corse, corse senza una meta e un perché. Gocce di sudore le appiccicavano la canottiera, la maglietta, il piumino. Corse finché un conato la fere arrestare. Vomitò in un angolo, vomitò con la disperazione del nulla. Prese un fazzoletto e si asciugò la bocca sporca, lo buttò in un cestino e si guardò attorno. La nebbia l’avvolgeva, le penetrava nelle ossa, con un brivido realizzò dove fosse finita. Lentamente riguadagnò la via di casa. Sentì il campanile battere le ore. Si rese conto che se velocizzava il passo poteva rientrare senza che Roberto scoprisse che aveva lasciato Morgana da sola.

Basta coccolarla. Basta insaponarla! Spingila giù! L’acqua è calda, non sentirà nulla, sarà stato solo un incidente, ti è scivolata!
Genziana si guardò attorno. Paura. Aveva paura. Guardò Morgana che muoveva tranquilla le manine nella vaschetta. Si fissò le mani: una sorreggeva la testolina di Morgana, l’altra era libera per sciacquarla oppure per…
Scosse d’impeto la testa, con la doccia lavò in fretta Morgana. La bimba piangeva, non era abituata a quei modi bruschi.
Roberto preoccupato le fu dietro: – Genziana, cosa succede? Dammi immediatamente Morgana – le urlò per scuoterla dal torpore frenetico. Genziana gli spinse Morgana tutta bagnata in braccio e corse sul letto. Si mise a piangere disperata. Ma cosa sto facendo? Meglio che muoia io, non lei.
Si alzò dal letto, andò verso la finestra, l’aprì.
Genziana – urlò terrorizzato Roberto sulla porta della camera.
Morgana era splendida, avvolta dal suo accappatoio rosa con gli orsacchiotti. Roberto la stringeva a sé con tutta la forza della disperazione.
Avanti buttati, cretina. Cosa ci fai in questo mondo di merda? – le urlò dentro quella Bestia.
Genziana si girò piano, guardò Roberto e Morgana, poi guardò fuori dalla finestra. Ma da quando il cielo è così azzurro? Era di un colore brillante che non notava da tanto, troppo tempo. Guardò giù e vide il bellissimo abete adornato da una splendida stella Cometa. Sembrava che luccicasse solo per lei. Che l'invitasse verso il sentiero giusto.
All’improvviso si rese conto di avere il potere della scelta. E scelse, allungando la mano verso di loro.

FINE

CHI E' L'AUTRICE...
Ledra Loi è lo pseudonimo di due autrici italiane che vivono una nel Nord, l’altra nel Sud Italia e che, dopo essersi incontrate in rete, hanno deciso di iniziare a scrivere insieme. Hanno già pubblicato, da sole e in coppia, numerosi racconti, e hanno partecipato con successo a vari premi letterari. Il cielo è sempre più rosa è il loro primo romanzo per la collana Youfeel. A settembre 2015 è uscito anche il libro La disciplina del cuore.

PUOI TROVARE I SUOI LIBRI QUI


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16 commenti:

  1. Un racconto dolce e tenero all'inizio che diventa poi angosciante e tragico. Complimenti alle autrici per aver saputo esprimere il dolore e il senso di colpa di questa madre e per la nota di speranza alla fine. Molto bella la figura del marito devoto e innamorato.

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  2. Mi aspettavo un romantico racconto della Vigilia e invece mi sono ritrovata immersa in un'atmosfera stranissima, in un viaggio dall'ombra verso la luce. Complimenti, autrici care, per la delicatezza e il coraggio con cui avete affrontato una tematica che troppo spesso si cerca di ignorare. Avete dato un significato diverso ai segni del Natale. Mi avete davvero emozionata.

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  3. Molto bello e vorrei ringraziare le autrici per aver parlato con estrema delicatezza di un tema tanto diffuso e difficile in cui moltissime donne scivolano loro malgrado: la depressione post-partum. È vero, non a tutte capita, ma quando succede, le madri vivono una disperazione apatica che le distrugge dentro, e mi pare che Ledra e Loi siano riuscite a mostrarcela con grande attenzione. Grazie, ragazze, e buon Natale a tutti

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  4. Care consorelle, un racconto triste che infonde anche un po' di rabbia, ma pure tanta speranza. Che la Dea vi benedica

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  5. Un racconto angosciante. Un finale tragico. L'argomento è realistico. Molte donne, purtroppo, soffrono di depressione dopo il parto, ma la lettura è stata dolorosa.

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  6. Questo racconto affronta una tematica dolorosa e molto attuale. Mi è piaciuto lo stile delle autrici e il loro modo di descrivere l'angoscia di una madre assalita dalle ombre. Bello anche il personaggio di Roberto con la sua infinita dolcezza. Un racconto che è un messaggio di speranza. Buon Natale e grazie per averci regalato questa piccola perla natalizia.

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  7. un racconto tristissimo, storia difficilissima.... il finale è troppo brusco e non riesce a dileguare l'inqueitudine che la storia mi ha passato.

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  8. Lo leggo soltanto oggi, presa com'ero dalla frenesia dei preparativi per Natale... E mi ha scioccata. Ho letto parecchio dei problemi post-partum quando ero incinta, e fortemente, nonostante tutte le difficoltà sopportate e superate, non ne ho sofferto. Un grande abbraccio a tutte le neo mamme che devono affrontare una prova simile, augurandomi che abbiano accanto un 'Roberto' attento e premuroso come quello di questo racconto.

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  9. Tristezza, rabbia, paura, speranza... Tutto racchiuso in questo racconto. Molto bella la figura del marito. Brave, ragazze!

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  10. Il racconto è certamente scritto bene e affronta una tematica importante, ma la lettura mi ha lasciata un po' spiazzata visto che l'ho iniziato aspettandomi una storia più lieve e romantica e, invece, mi sono imbattuta in un genere che non rientra molto nelle mie corde.

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  11. Bello e inquietante. Scritto benissimo. La voce è quasi personificata e mette i brividi. Brave!
    Ornella Albanese

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  12. Meraviglioso... facile immedesimarsi nel tormento di Genziana, mi avete fatto piangere come una disperata! Bravissime!

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  13. Bello ma che tristezza lascia addosso!

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  14. Un racconto coraggioso. Parla di dolore, gioia e scelte. Complimenti alle autrici per l'audacia e la delicatezza che hanno utilizzato per parlare di un tema così complesso

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  15. Un problema affrontato con grande realismo, brave alle autrici ma non trovo sia stato un"bel regalo"di Natale e questo non vuol dire che non ami affrontare certi argomenti. Aghiacciante

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  16. La depressione dopo il parto è un problema di cui si parla poco, anche se affligge molte donne. Le autrici affrontano l'argomento con realismo e delicatezza insieme. Brave.

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