I DONI SEGRETI DEL PASSATO di Evalith Adamas

- 1 –

 Lasciò il piccolo scatolone a terra, ai piedi dell’albero che anche quell’anno sarebbe rimasto spoglio. Andare in soffitta e tirare fuori tutti gli addobbi era l’unica concessione di Lilian al Natale e alla follia che lo accompagnava, non aveva intenzione di cedere al lato oscuro e trasformarsi in una sosia di sua sorella Margaret, la sola ad avere ereditato la passione della loro madre per le festività.
Avrebbe potuto ignorare del tutto le tradizioni e risparmiarsi la fatica di trascinare albero e scatoloni per due piani di scale solo per tenere tutto lì, in un angolo del salotto, senza il minimo desiderio di sistemare le luci colorate, le palline rosse decorate con rilievi di angeli dorati e le statuine di legno dipinte a mano da Margaret, la responsabile di quei regali indesiderati. Lilian adorava sua sorella, ma mal sopportava quando iniziava a comportarsi come se fosse posseduta da uno spirito demoniaco che la obbligava a distribuire ovunque andasse consigli su come addobbare case e giardini e sui regali più adatti per parenti e amici. Per non parlare di quando se ne stava lì, anno dopo anno, seduta sul divano di Lilian a ricordare ogni Natale vissuto nella casa dei genitori, fino all’ultimo, quando la loro madre decise di averne avuto abbastanza delle figlie e del marito e scomparve nel nulla proprio la mattina della vigilia.
Margaret aveva reagito cercando di colmare quel vuoto, mantenendo in vita ogni usanza e le piccole e grandi abitudini che erano entrate a far parte delle tradizioni familiari nel corso degli anni, conservando il vecchio ricettario della madre alla stregua di un testo sacro nel quale trovare la risposta a qualsiasi problema. Lilian, al contrario, aveva tentato di relegare ognuno di quei ricordi in un angolo della propria mente. Non avrebbe mai potuto dimenticare la donna che la aveva messa al mondo, ma non le avrebbe permesso di condizionare il resto della sua vita.
Un sospiro sconfortato accolse la solita voce nella sua mente che arrivava puntuale a farle notare che, in realtà, era proprio ciò che stava facendo. Quell’albero spoglio nell’angolo più buio del salotto era il testimone silenzioso della sua incapacità di perdonare sua madre.
Indossò il cappotto, si calcò il cappello di lana nero sui capelli castani che le arrivavano fino a metà schiena, e si avvolse la sciarpa rossa intorno al collo, unica nota di colore nell’abbigliamento nero; anche quella mattina avrebbe dovuto accontentarsi di un caffè e un muffin ai mirtilli comprato nello Starbucks vicino alla libreria nella quale lavorava come commessa da sei anni.
Superò la stazione della metropolitana di West Brompton e l’entrata del Brompton Cemetery, costringendosi a mantenere un passo sostenuto per combattere il freddo che avvolgeva Londra. Quando entrò da Starbucks, vide Emily farle un cenno di saluto con il capo da dietro il bancone mentre porgeva il resto a una ragazza con un caschetto di capelli rossi.
«Il solito?» le chiese, con il sorriso affabile che le riservava ogni mattina.
«Il solito» assentì Lilian, estraendo il portafogli dalla borsa per porgerle il denaro.
Congiunse le mani dinanzi alla bocca e soffiò piano su di esse nel tentativo di scaldarle, ma il soffio delicato si trasformò in uno sbuffo quando la pubblicità alla radio fu seguita dalle note di Winter Wonderland cantata da Michael Bublé.
«Questo periodo non passerà mai troppo in fretta» borbottò, mentre la collega di Emily le porgeva il caffè e la bustina con il suo muffin.
Salutò entrambe con un sorriso e un lieve cenno del capo e tornò a immergersi nell’inverno londinese, anche se solo per i pochi metri che la condussero all’entrata della piccola libreria gestita da una coppia di anziani sposati da oltre quarant’anni. Il signor Gunter era concentrato su una piccola matassa di lucine che avrebbe dovuto districare prima di poterle sistemare in vetrina e le rivolse un rapido saluto, chiedendole poi di aiutare sua moglie a esporre i nuovi arrivi sugli scaffali.
Lilian andò nel piccolo ufficio sul retro, lasciò il cappotto, la sciarpa e il cappello sull’appendiabiti e appese anche la borsa, dopo aver tirato fuori il cellulare. Si avvicinò al lato della scrivania di metallo cromato dove era posizionato il telefono e controllò la segreteria, sapendo che nessuno dei coniugi Gunter si sarebbe ricordato di farlo. Anche quello, col tempo, era diventato uno dei suoi compiti.
Riordinò i fogli in un angolo della scrivania e chiuse il registro dove la signora Gunter aveva segnato alcuni ordini in vista dell’avvicinarsi del periodo in cui le librerie venivano prese d’assalto, con il Natale ormai alle porte.
Sbocconcellò il muffin ai mirtilli e aveva quasi finito il caffè quando Edith Gunter la raggiunse, con una pila di libri tra le braccia. Lilian lasciò la sua colazione sulla scrivania e si avvicinò alla donna per aiutarla, posando i volumi sul divanetto a due posti di velluto verde posizionato accanto alla porta.
«Questi non vanno sistemati tra i nuovi arrivi?» chiese Lilian, con la fronte corrugata mentre osservava la copertina di uno dei romanzi. Era certa di averlo visto tra le nuove uscite della settimana in uno dei tanti blog che seguiva.
«Non ho intenzione di mettere quei libri accanto a quelli per i ragazzini» replicò l’anziana, rinforcando gli occhiali dopo averli puliti con il fazzoletto che infilò di nuovo nella manica del maglione rosso che indossava.
«Comprensibile, ma sa bene che negli ultimi tempi sono quelli che vendono di più. Non possiamo permetterci di non esporli, signora Gunter» cercò di farla ragionare. L’idea di sistemare dei libri erotici nello scaffale accanto ai classici per bambini e ragazzi non entusiasmava neanche Lilian, ma bisognava adeguarsi alla moda del momento o prepararsi a fronteggiare l’eventualità di un fallimento. «Posso pensarci io, se preferisce.»
«Hai ragione» farfugliò, distogliendo i suoi occhi azzurri da Lilian e rivolgendoli alla pila di libri sul divano. «Ma sono ancora dell’idea di non metterli su quello scaffale» aggiunse, decisa.
«Me ne occupo io, mi dia solo l’autorizzazione a cambiare la disposizione di alcuni reparti e le assicuro che non dovrà preoccuparsi di vederli gli uni accanto agli altri.»
«Benissimo, allora, procedi pure. Non so proprio come faremmo senza di te, Lilian» sospirò, lasciando una carezza sul braccio della giovane.
Trascorse il resto della giornata a svuotare scaffali e impilare volumi a terra, per poi risistemarli in modo da tenere ben distanti i reparti di fantasy e di libri per bambini da quello riservato alla letteratura erotica. Propose anche la creazione di un angolo con piccole sedie colorate e tavolinetti dove poter intrattenere i piccoli clienti con letture e giornate a tema. Era un’idea che aveva in mente da un po’, ma non si era mai decisa a parlarne con i signori Gunter, da sempre poco inclini ad accogliere cambiamenti e novità. Edith si mostrò più disponibile a valutare l’idea, mentre il marito continuava a tirare fuori ogni scusa gli venisse in mente pur di non ammettere che il suo rifiuto era legato soprattutto alla possibilità di ritrovarsi circondato da bambini urlanti incapaci di starsene seduti ad ascoltare una storia.
«Con la vecchiaia è diventato insofferente. E odia la confusione più di ogni altra cosa» borbottò la signora Gunter, scuotendo la testa mentre indossava il giubbino. «Ma a me l’idea di quell’angolo per i bambini piace, quindi dico di procedere.»
«È sicura che a suo marito non dispiacerà?» chiese Lilian, sistemandosi la sciarpa intorno al collo.
«Se ne farà una ragione. Se fosse stato per lui non avremmo mai aperto questa libreria, ma come vedi è ancora qui e adora questo posto quanto me. A volte bisogna forzare un po’ la mano alle persone che amiamo, quando ci rendiamo conto che la paura di cambiare qualcosa impedisce loro di ottenere ciò che desiderano.»
Uscirono dal piccolo ufficio sul retro e raggiunsero il signor Gunter, impegnato a sistemare accanto alla cassa i segnalibri con il logo della libreria con in quali omaggiava i clienti.
«Hanno lasciato questo per te» disse a Lilian, porgendole un pacchetto rosso con un fiocco dorato.
«Chi?»
«Un corriere. È appena andato via.»
Lilian si rigirò il regalo tra le mani, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse aiutarla a capire chi fosse il mittente. «Non c’era un biglietto?»
«No» rispose in un borbottio il signor Gunter, mentre apriva la porta e invitava le donne a uscire.
«A domani, cara» la salutò Edith, quando il marito aveva ormai chiuso a chiave e si apprestava ad attraversare la strada. Abitavano in un appartamento nel palazzo dirimpetto alla libreria, per la tranquillità del signor Gunter che poteva tenere d’occhio l’attività semplicemente affacciandosi alla finestra.
Infilò il pacchetto nella borsa e, con le mani nelle tasche del cappotto, si incamminò lungo la Old Brompton Road, superò l’incrocio sulla destra che la avrebbe ricondotta a casa e, dieci minuti dopo, si ritrovò nel piccolo ristorante italiano che suo padre gestiva insieme alla donna che aveva conosciuto tre anni dopo la separazione da sua moglie e con la quale stava ormai da venti anni. Laura era una donna affascinante, con i lunghi capelli castani raccolti in una coda e le rughe a impreziosire un volto che non perdeva mai l’espressione affabile che le rivolgeva anche adesso, mentre attraversava la sala vuota del ristorante e la stringeva in un abbraccio.
«Tuo padre è in cucina, sta provando una nuova ricetta che al momento è segretissima» le disse, con il suo forte accento italiano. Si era trasferita a Londra da pochi mesi quando conobbe il padre di Lilian, entrato nel bar dove Laura lavorava come cameriera per ripararsi dalla pioggia che lo aveva sorpreso mentre tornava a casa a piedi dal lavoro.
Lilian si lasciò guidare verso l’angolo bar e si sedette su uno sgabello, allentando la sciarpa e sfilandosi il cappello.
«Come mai questa visita? Stai bene? È successo qualcosa?» le riversò addosso le solite domande che le rivolgeva ogni volta che si incontravano senza che si fossero messe d’accordo prima, con l’apprensione tipica di una madre. Laura non aveva avuto figli, ma aveva sempre trattato lei e Margaret come se fossero le sue bambine.
«Sto bene» la rassicurò con un sorriso e tirò fuori il pacchetto rosso dalla borsa, posandolo sul bancone. «Hanno lasciato questo per me in libreria, oggi. E non ho idea di chi lo abbia mandato perché non c’era neanche un biglietto. Tu ne sai niente?» domandò, mentre Laura osservava il pacchetto come se riuscisse a vedere oltre la carta che lo avvolgeva.
«Non te l’ho inviato io, se è questo che mi stai chiedendo. E neanche tuo padre, lo avrei saputo.»
«Allora chi potrebbe essere stato? E perché diavolo non hanno lasciato neanche mezza frase per farmi sapere di chi si tratta?» si lamentò, sconfortata.
«Mi pare evidente che non vogliano che tu lo sappia» le fece notare, con un angolo della bocca sollevato in un accenno di sorriso. «Un ammiratore segreto, magari?»
«Figurati» sbuffò, lasciando cadere il pacchetto nella borsa.
«Perché no? A Natale tutto può succedere, lo sai. O almeno lo sapresti se vedessi una delle tante commedie romantiche ambientate nel periodo natalizio. Dovresti accendere la televisione, ogni tanto.»
«Non ho alcun problema con la televisione.»
«Ma con il Natale sì» mormorò Laura, versandole una tazza di caffè. «Lascerai quell’albero spoglio anche quest’anno, non è così?»
Lilian scrollò le spalle, circondando la tazza calda con le mani. «Tanto sono l’unica a doverlo vedere, non rovinerò lo spirito natalizio a nessun altro. Al di là di quello che pensa Margaret.»
«Tua sorella si preoccupa per te e vorrebbe che riuscissi a goderti questa festa come chiunque altro.»
«Non accadrà. Mi fa piacere che lei ci riesca, ma per me è diverso.»
«Eppure continui a tirare fuori quell’albero dalla soffitta ogni anno, mia cara. Magari un giorno troverai il coraggio di renderlo un po’ meno… triste.»
«Stai insinuando che io abbia paura di addobbarlo?»
«Sto insinuando che tu abbia paura di lasciarti il passato alle spalle. Se ne è andata, Lilian, non permetterle di continuare a renderti infelice.» 

- 2 – 

Lilian porse la tazza di cioccolata calda a sua sorella, che se ne stava raggomitolata in un angolo del divano; si sedette al suo fianco e soffiò piano sul contenuto della sua tazza fumante prima di concedersi un piccolo sorso.
«Hai intenzione di lasciarlo così anche quest’anno» non era una domanda, solo una constatazione, la stessa che borbottava con un sospiro ogni anno.
«Margaret, dovresti fartene una ragione, ormai» replicò Lilian.
«Prima o poi cambierai idea.»
«Non ci contare» biascicò, guadagnandosi un’occhiata in tralice dalla sua sorella maggiore.
«Ieri sera sono passata a casa di papà, Laura mi ha raccontato dei regali che qualcuno ti sta lasciando in libreria. Perché non me lo hai detto?» chiese, con una nota di rimprovero che non sfuggì a Lilian.
«Perché hai una visione tutta tua del Natale, della sua magia e tutte quelle storielle buoniste che tocca sopportare in questo periodo» rispose, scrollando le spalle.
«Non voglio discutere con te, Lilian. Sono solo curiosa, tutto qui.»
«Allora sono costretta a deluderti anche su questo, perché non li ho aperti.»
«Non sono delusa, fai bene ad aspettare la notte della vigilia per aprirli.»
«Sei impossibile» sospirò Lilian.
«Dimmi che almeno non li hai buttati. Ne saresti capace, purtroppo.»
«Non li ho buttati.»
«Non sono neanche sotto l’albero, però» le fece notare Margaret, indicando con un cenno del capo gli scatoloni pieni di decorazioni ai piedi dell’albero e sui quali si erano raccolti mucchietti di aghi verdi.
«Sono al sicuro.»
«Al sicuro, dove?»
«In soffitta» rispose, dopo lunghi secondi di silenzio.
«Non puoi tenere dei regali in soffitta» sbottò Margaret, che lasciò la tazza di cioccolata calda sul tavolino basso dinanzi al divano e si diresse con decisione verso la scalinata che conduceva al piano superiore. Quando tornò in salotto, una decina di minuti dopo, cullava tra le braccia i dodici piccoli pacchetti rossi con il fiocco dorato che Lilian aveva ricevuto nelle ultime due settimane. Ogni giorno era tornata a casa dal lavoro con un nuovo dono, senza avere la minima idea di chi li mandasse. Se il primo era stato consegnato da un corriere, gli altri erano stati lasciati in vari punti della libreria, trovati ora da lei ora da uno dei coniugi Gunter. L’ultimo era stato posato su uno dei piccoli tavolinetti rossi dell’angolo riservato ai bambini che aveva avuto il permesso di creare e dove, sotto lo sguardo rassegnato del signor Gunter, si riunivano ogni pomeriggio bambini ansiosi di ascoltare le storie che Edith era ben felice di leggere loro, seduta sulla sedia a dondolo che aveva preteso di poter sistemare in un angolo, con davanti le piccole sedie occupate dai più giovani clienti della libreria.
«Non sei neanche un po’ curiosa di sapere cosa c’è dentro?» le chiese Margaret, osservando i doni che aveva lasciato sul tavolino dinanzi al divano su cui era tornata a sedersi.
«Un po’» ammise Lilian.
«Immagino che nella libreria dove lavori non ci siano telecamere. Vorrei davvero sapere chi ha avuto questa idea. C’è un che di…»
«Non dirlo. Ti prego, non dire quella parola» la interruppe.
«… magico» continuò sua sorella, guardandola con un sopracciglio arcuato e l’accenno di un sorriso ironico.
«Hai quasi quarant’anni, Margaret, non dovresti smetterla di credere alle favole?»
«Lilian, tesoro, non si dovrebbe smettere di credere alle favole neanche a novant’anni» ribatté. «E ho dei figli, ricordi? Voglio solo che abbiano ciò che a noi due è stato negato quando lei se ne andò.»
«E poi adori lo spirito natalizio, ammettilo. Eri così anche prima di sposarti, quindi non nasconderti dietro i miei poveri nipoti» replicò Lilian, con una piccola spinta contro la spalla della sorella. Non voleva parlare della loro madre, non voleva ricordare i Natali passati con lei e quelli degli anni successivi al suo abbandono. Laura e Margaret avevano cercato di ricreare la serenità di un tempo, ma lei non era mai riuscita a scrollarsi di dosso la tristezza che la assaliva ogni anno in quel periodo.
Margaret scosse la testa e i capelli biondi oscillarono in morbide onde ai lati del suo viso; sua sorella aveva ereditato l’eterea bellezza della madre, con i capelli biondi e gli occhi verdi e una figura longilinea anche dopo la nascita dei due figli sembrava più giovane dei suoi trentasette anni. Lilian, al contrario, assomigliava al padre, del quale aveva ripreso i capelli e gli occhi castani.
«Ti aspetto per pranzo, domani. O hai qualche impegno di cui non mi hai parlato?»
«Margaret, hai intenzione di rinfacciarmi la storia di questi pacchetti ancora a lungo? Perché se è così sono tentata di declinare i tuoi inviti a pranzo per i prossimi dieci anni.»
«Non lo faresti, non per me ma per i tuoi adorati nipoti che non vedono l’ora di rivederti. Sono passate due settimane dall’ultima volta che sei venuta a casa mia» le ricordò.
«Sai che questo periodo è un inferno in libreria. E sarà sempre peggio fino a Natale.»
«Farò finta di accettare questa scusa» le concesse, impegnata a sistemare i suoi misteriosi pacchetti ai piedi dell’albero, dopo aver spostato gli scatoloni sotto la finestra. «Non toglierli da lì. E, soprattutto, non rimetterli in soffitta» le intimò, riprendendo il suo posto sul divano. «E poi domani è domenica, la libreria è chiusa. Cucina italiana, promesso. Non troverai sulla mia tavola nulla che provenga da quel ricettario che odi tanto.»
«Non odio il ricettario» biascicò Lilian.
«Sì che lo odi, tesoro. Come odi qualsiasi cosa che ti ricordi nostra madre» disse, posando la mano sulla gamba di sua sorella. «Ho chiesto a Laura di insegnarmi a cucinare alcuni piatti tipici della sua famiglia.»
«Tu adori le tradizioni della nostra famiglia, perché all’improvviso vuoi cambiarle?»
«Perché Laura è parte della nostra famiglia da tanti anni, è giusto che possa sentirsi a casa anche quando trascorre le festività da me.»

- 3-

Lilian congedò con un sorriso il cliente che aveva appena servito, seguendolo con lo sguardo mentre usciva dalla libreria. Dalla sala adiacente a quella principale, dove c’era il bancone con la cassa e gli scaffali erano occupati da libri di narrativa poco adatta a un pubblico troppo giovane, le arrivavano le voci di Edith e quelle più alte e vivaci dei bambini che stavano ascoltando la storia con la quale la donna aveva scelto di intrattenerli. Si avvicinò all’arco che divideva le due stanze e rimase lì ad ascoltare la fine del racconto, sorridendo per le continue domande che i bambini rivolgevano all’anziana interrompendo la lettura.
Lilian si mise dinanzi a uno degli scaffali che occupavano le pareti laterali e sistemò i libri che erano stati spostati, notando un altro pacchetto rosso con il fiocco dorato nel ripiano più basso, sulla copia di una raccolta di fiabe. Si chinò sulle ginocchia e lo raccolse, anche stavolta non c’era alcun biglietto e solo la scritta Per Lilian sulla carta che avvolgeva il dono indicava che era per lei.
Rimase in disparte per permettere al gruppo di bambini di uscire dalla sala insieme agli adulti che li avevano accompagnati, perlopiù genitori ma anche nonni e un paio di sorelle maggiori. Solo una bambina era ancora seduta su una sedia rossa, con i gomiti puntati sulle ginocchia e il viso paffuto tra le mani, mentre i suoi occhi azzurri erano fissi sull’arco che separava le due sale della libreria.
Lilian le si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco.
«Sto aspettando il mio papà» la informò la piccola, prima che lei potesse dirle qualcosa. Aveva già indossato il giubbino rosa e il cappello bianco, dal quale fuoriuscivano ciocche di capelli biondi.
«Possiamo aspettarlo insieme, che ne dici?» le propose, sedendosi a terra e lasciando il pacchetto accanto a sé.
«Ti hanno fatto un regalo?» le chiese la bambina, gli occhi fissi sulla scatolina rossa.
«Così sembra» sospirò Lilian.
«Chi è stato?»
«Non lo so.»
«Non puoi aprirlo prima di Natale» asserì con convinzione.
«Sì, me lo hanno già detto» concordò Lilian, con un sorriso.
«Lilian, dobbiamo chiudere» la informò il signor Gunter, la cui sagoma comparve sotto l’arco e sparì subito dopo.
«Il tuo papà ti ha detto quando sarebbe arrivato?» domandò alla bambina.
«Sono venuta qui con la mia mamma, ma è dovuta tornare a lavoro. È un dottore. Ha detto che avrebbe chiamato papà per farlo venire a prendermi» spiegò, indossando i guanti che aveva tenuto nella tasca del giubbino fino a quel momento.
«Allora, facciamo così. Hai visto lo Starbucks qui accanto?» la bambina annuì. «Che ne dici se noi due adesso andiamo a prenderci una cioccolata calda mentre aspettiamo il tuo papà? Ci sediamo al tavolino accanto al vetro, così lo vediamo arrivare.»
La piccola strinse le labbra, incerta.
«So che i tuoi genitori ti avranno detto di non dare confidenza agli sconosciuti e di non accettare nulla da loro, hanno ragione. Il nostro problema è che il signor Gunter, l’uomo che hai visto prima e che è il proprietario di questa libreria, deve chiudere e non possiamo rimanere qui dentro. Ma lo Starbucks è proprio qui vicino, non dobbiamo allontanarci troppo.»

Pochi minuti dopo si erano ritrovate sedute al tavolo accanto all’ampia vetrata e la bambina, che le aveva confidato di chiamarsi Emma, sorseggiava la sua cioccolata calda tenendo gli occhi fissi sulla strada in attesa di suo padre.

«Non ti piacciono le canzoni natalizie» le disse Emma, guardando Lilian da sopra la sua tazza fumante. «Ogni volta che inizia una di quelle sbuffi come faccio io quando la mamma mi obbliga a sistemare la mia camera.»

«Hai ragione, non mi piacciono molto» ammise, con un sorriso dinanzi all’espressione della bambina.

«Nessuno dovrebbe odiare il Natale» farfugliò Emma, riportando lo sguardo oltre la vetrata.
«Non ho detto di odiare il Natale» replicò Lilian.
«Allora, ti piace?» si sentì chiedere dalla bambina.
«No» rispose, in un mormorio appena udibile.
Emma non le domandò altro e continuò a sorseggiare la cioccolata calda, pulendosi la bocca con il tovagliolino e tenendo gli occhi azzurri sulla strada.
«Eccolo!» esclamò Emma. Si alzò rapida dalla sedia, si diresse verso l’uscita ma tornò al tavolo quando si rese conto di aver dimenticato il cappello.
Lilian la aiutò a sistemarlo, coprendole le orecchie, e la seguì fuori. Il freddo pungente e la neve che iniziava a posarsi sulle strade rendevano l’atmosfera ancora più natalizia, insieme alle luminarie che già rilucevano e alle decorazioni che ornavano le vetrine dei negozi e i balconi delle case.
«Papà!» lo salutò Emma, abbracciando un uomo alto con un lungo cappotto nero e i capelli scuri su cui si erano adagiati soffici cristalli di neve. «Lei è Lilian» continuò la piccola, sollevando il volto per incontrare gli occhi di suo padre, azzurri come quelli della figlia.
Lilian si avvicinò ai due, incerta.
«Lavora nella libreria. Mi ha fatto compagnia perché dovevano chiudere e tu non eri ancora arrivato» spiegò Emma al suo posto.
«Mi dispiace per il ritardo. Quando sua madre mi ha chiamato ero ancora al lavoro, sono riuscito a liberarmi solo poco fa» disse a Lilian, porgendole la mano. «Harvey Jenkins»  si presentò, con un sorriso che accentuò le rughe d’espressione intorno agli occhi, rendendolo ancora più affascinante. 
«Lilian Bailey» rispose, stringendo la sua mano.
«Grazie per essere rimasta con lei.»
«Mi ha anche offerto una cioccolata calda» lo informò sua figlia.
«E grazie anche per questo» disse Harvey, lasciando una carezza sulla nuca di Emma.
«Posso tornare anche domani? Edith ha detto che se torniamo finisce di leggere la storia.»
«Edith è la proprietaria della libreria, insieme a suo marito» spiegò Lilian, notando la confusione nello sguardo dell’uomo.
«Tesoro, devi chiederlo alla mamma.»
«Puoi venirmi a prendere tu e portarmi qui.»
«Sai che non posso, piccola» replicò, accarezzando il volto di sua figlia.
«Lo dico io alla mamma, così puoi venire» propose la piccola.
«Emma…»
«Non è giusto» interruppe suo padre, con un sospiro affranto.
«Siamo divorziati» disse Harvey a Lilian, quando Emma si era allontanata da loro per sedersi sulla panchina davanti alla libreria. «Per quanto cerchiamo di mantenere un buon rapporto per il bene di nostra figlia, a volte è complicato.»
Lilian annuì una volta soltanto, distogliendo lo sguardo dall’uomo e rivolgendolo alla bambina, che faceva oscillare le gambe e teneva il capo chino.
«Non era mia intenzione metterla in difficoltà, mi dispiace.»
«No, non si preoccupi. È solo che… non so mai cosa dire in questi casi. Mi è capitato di rispondere con un mi dispiace a una donna che mi aveva confidato di aver divorziato e mi ha risposto che in realtà era la cosa migliore che le potesse accadere» replicò Lilian. «Non… Mi scusi, non intendevo dire che…» sbuffò, imbarazzata. «Mi scusi, non sono affari miei» aggiunse, scuotendo la testa.
Quando rialzò lo sguardo verso il viso dell’uomo, si accorse che stava sorridendo.
«Non le dirò che divorziare è stata la cosa migliore che potesse capitarmi, perché so quanto sia difficile per mia figlia abituarsi a questa nuova fase della sua vita. Ma alcune storie finiscono e, per quanto si possa combattere per tenerle in vita, si arriva a un momento nel quale non si può fare altro che ammettere di aver perso.»
Lilian strinse le labbra, annuendo piano.
«Non voglio trattenerla oltre, ma grazie ancora per essere rimasta con Emma» le disse, porgendole la mano e avvolgendola in una stretta decisa. «E perdoni la confessione indesiderata, non volevo apparire come un mostro insensibile negando a mia figlia l’opportunità di tornare domani per ascoltare la fine della storia.»
«Non si preoccupi» replicò, con un sorriso cordiale. «E da come è stato accolto da Emma al suo arrivo era chiaro che non la considera un mostro, quindi mi fido del suo giudizio.»
Harvey rise, attirando l’attenzione di Emma, che tornò vicino ai due.
Lilian si chinò per ritrovarsi all’altezza della bambina. «Facciamo un patto. Se domani non sarai qui, la prossima volta che tornerai leggeremo insieme la fine di quella storia. Che ne pensi?»
Emma annuì, tendendo verso Lilian la mano guantata con il mignolo sollevato. «Promesso?» chiese la bambina, agganciando il dito a quello della donna.
«Promesso» assentì Lilian.

- 4 –

Dieci giorni. Ancora dieci giorni e quella follia sarebbe finita. Lilian completò l’ultimo pacchetto e lo infilò in una busta, porgendola alla cliente che uscì dalla libreria con un sorriso soddisfatto.
Si allontanò dalla cassa per avvicinarsi a un paio di ragazze che avevano richiamato la sua attenzione; le aiutò a scegliere un thriller per il padre di una delle due e un saggio storico per l’altro, le madri condividevano la passione per i romanzi rosa e avrebbero ricevuto in regalo l’ultimo libro di Lisa Kleypas.
Precedeva le adolescenti verso la cassa quando la porta si aprì e la piccola Emma irruppe nella libreria con il suo giubbino rosa, il cappello bianco e i biondi capelli adornati di cristalli di neve.
«Sono tornata» disse Emma a una sorridente Lilian.
Erano passati due giorni dal loro primo incontro, un periodo troppo breve per fingere di aver dimenticato la promessa che le aveva fatto sostenendo i suoi speranzosi occhi azzurri.
«Edith è di là con altri bambini se…» iniziò a dirle, ma Emma scosse la testa.
«No, voglio finire di leggere la storia con te» asserì decisa. «Per favore» aggiunse alcuni secondi dopo, quando avvertì la presenza del padre alle sue spalle.
Il signor Gunter le passò accanto e indicò alle ragazze di seguirlo. «Vai pure, me ne occupo io» disse a Lilian, salutando con un cenno del capo Harvey Jenkins, fermo al fianco di sua figlia.
«Sicura che non sia un problema? Possiamo tornare più tardi, o un altro giorno» chiese Harvey a Lilian, spostando lo sguardo sui clienti ancora presenti in libreria.
«Se avrà bisogno del mio aiuto verrà a chiamarmi» rispose, con l’accenno di un sorriso. «Allora, ricordi qual era il libro che vi ha letto?» domandò a Emma.
La bambina annuì e le disse di aspettarla lì mentre lei andava a recuperare il libro con la storia che dovevano leggere nella sala dove Edith stava intrattenendo gli altri piccoli clienti.
Quando Emma tornò, con il volume rosso stretto al petto, Lilian invitò padre e figlia e seguirla nel piccolo ufficio sul retro. Non poteva pretendere che la piccola la ascoltasse leggere in piedi o seduta a terra e Edith non aveva ancora terminato la sua lettura.
Emma si accomodò sul divano di velluto verde, indicando a Lilian di sedersi accanto a lei con la manina guantata. Harvey si mise dinanzi a loro, appoggiato alla scrivania che il signor Gunter aveva lasciato nel solito disordine di fogli sparsi e la tazza di caffè piena a metà. Emma girò le pagine del libro fino ad arrivare a quella dove si era interrotta Edith due giorni prima e lo porse a Lilian.
Tra i sospiri di Emma, le sue risate cristalline e le domande su come potesse uno gnomo abbattere un enorme albero con una piccola ascia, era trascorsa quasi un’ora quando Edith si fermò sulla soglia, con il volto sorridente e uno sguardo affettuoso rivolto a Emma, per informarli che stavano per chiudere.
«Finiremo di leggerla la prossima volta che tornerai» disse Lilian, dinanzi all’adorabile broncio sul volto della bambina.
«O compriamo il libro e Lilian può leggerlo mentre beviamo una cioccolata calda» propose Emma, rivolta al padre. «Vero, papà?» aggiunse, con lo sguardo di chi sa di avere l’assoluto controllo sull’altra persona. Lo sguardo a cui soccombe ogni padre.
«Tesoro, forse Lilian ha degli impegni. Non…»
«Hai da fare?» Emma interruppe suo padre, voltandosi verso Lilian.
«Emma» la richiamò Harvey, allontanandosi dalla scrivania e chinandosi dinanzi a sua figlia.
«La storia è quasi finita, non ci vorrà molto» disse la bambina.
«Va bene» Lilian intervenne prima che Harvey potesse sgridare la piccola per essere stata così insistente. «Ti leggerò la fine della storia.»
«Sicura? Non è costretta a…»
«Papà, ha detto di sì» lo interruppe di nuovo sua figlia, sul volto della quale si era disegnato un ampio sorriso.
Emma scivolò giù dal divano con il libro stretto al petto e uscì dall’ufficio.
«Davvero, non è costretta a farlo. È una piccola peste, trova sempre il modo per ottenere quello che vuole» disse Harvey, con un sorriso sul viso mentre scuoteva la testa pensando a chissà quale altra battaglia sua figlia avesse vinto.
«Non si preoccupi, non è un problema» lo rassicurò, mentre indossava il cappotto che aveva preso dall’appendiabiti; si calcò il cappello sui capelli, sistemò la sciarpa rossa intorno al collo e lasciarono l’ufficio, trovando la piccola Emma davanti alla cassa in attesa di suo padre, che pagò il libro e tenne la porta aperta per permettere a sua figlia e a Lilian di uscire dalla libreria.
Sedettero allo stesso tavolo accanto alla vetrata che Emma e Lilian avevano occupato la prima volta che erano state in quello Starbucks insieme. La piccola soffiava sulla propria cioccolata calda mentre la donna al suo fianco leggeva l’ultima pagina del libro per poi richiuderlo e lasciarlo sul tavolo, accanto al pacchetto rosso con il fiocco dorato che il signor Gunter le aveva consegnato prima che Lilian se ne andasse, dicendole di averlo trovato nella sala riservata ai bambini.
«È uguale al pacchetto che ti hanno regalato l’altro giorno» disse Emma, prima di posare le labbra sulla tazza e sorseggiare la cioccolata calda.
Lilian annuì, avvolgendo con le mani la sua tazza fumante.
«A Lilian non piace il Natale» la bambina informò suo padre, seduto dall’altra parte del tavolo. «E neanche le canzoni natalizie» aggiunse con un sospiro, scuotendo la testa.
Lilian sorrise per l’espressione sul volto della piccola, trattenendo lo sconforto per l’ennesima versione di All I want for Christmas is you che passò alla radio proprio in quel momento.
«Dev’essere… complicato, in questo periodo dell’anno» disse Harvey, tamburellando con un dito sul bordo della sua tazza di cioccolata calda.
Lilian distolse lo sguardo da quello dell’uomo seduto dinanzi a lei e scrollò le spalle. «Non è facile» ammise, con un sorriso lieve.
«Lo hai aperto l’altro pacchetto?» le chiese Emma.
Lilian scosse la testa. «Mi hai detto che non posso aprirlo prima di Natale, ricordi?»
La piccola annuì, soddisfatta della risposta ricevuta. «Chi te li manda?»
«Non lo so.»
«E…»
«Emma» la interruppe suo padre, con tono fermo.
«Non le sto dando fastidio» si difese la piccola. «Non ti sto dando fastidio, vero?» chiese conferma a Lilian.
«No, certo che no» rispose Lilian, lasciandole un buffetto sul mento. «Ora però devo andare» annunciò, mentre infilava il pacchetto nella borsa. Si alzò dalla sedia, imitata da Harvey.
«Sembra che non possiamo separarci senza che io debba sempre ringraziarti per qualcosa. Posso darti del tu, o…»
«Va bene, tranquillo» lo rassicurò Lilian, sistemando la tracolla della borsa sulla spalla. «E non devi ringraziarmi, mi ha fatto piacere finire di leggere quella storia con Emma» aggiunse, distogliendo lo sguardo da Harvey per rivolgerlo alla bambina.
«Possiamo farlo anche domani?» chiese Emma, con i grandi occhi azzurri colmi di speranza.
«Sono sicura che Edith…» iniziò a risponderle Lilian, ma fu interrotta dalla piccola.
«No, possiamo rifare questo» provò a spiegarsi, indicando con un cenno della mano il tavolo su cui erano disposte le tazze ormai vuote e il libro che avevano terminato di leggere. «Io e te. E papà.»
«Emma, magari Lilian ha altri impegni. Non puoi pretendere che rimanga con noi ogni volta che vuoi» le fece notare Harvey.
«Va bene» borbottò la bambina. «Ma se non hai altri impegni, lo rifacciamo?» tentò ancora, ostinata.
Lilian rise quando Harvey si lasciò sfuggire un sospiro sconfortato. «È molto… tenace.»
«Non sai quanto» mormorò l’uomo, sorridendole.
«Penso di essere libera, domani» riferì Lilian a Emma.
Lilian tornò a casa ancora con il sorriso che aleggiava sulle sue labbra, ma scomparve non appena si ritrovò al cospetto dell’albero spoglio per lasciare ai suoi piedi l’ennesimo dono segreto che aveva ricevuto.
Il giorno seguente Emma entrò nella libreria con l’usuale allegria, portando con sé i cristalli di neve che adornavano i suoi lunghi capelli biondi. Lilian la invitò a unirsi agli altri bambini che stavano ascoltando Edith, ma la piccola le disse che sarebbe andata a scegliere un nuovo libro da comprare per leggerlo insieme.
Finì di aiutare gli ultimi clienti e lasciò la chiusura della cassa al signor Gunter; recuperò il cappotto e la borsa, che come sempre aveva lasciato nell’ufficio sul retro, e il pacchetto rosso trovato dalla signora Edith nel reparto dedicato ai libri per ragazzi.
Raggiunse Emma e suo padre all’esterno della libreria. «Scusate il ritardo» disse loro, stringendosi di più la sciarpa intorno al collo quando fu colpita da una raffica gelida.
«Vuoi vedere il libro che ho comprato?» le chiese Emma, alzandosi dalla panchina su cui erano seduti.
«Che ne dici se andiamo a sederci lì dentro prima di tirarlo fuori dalla busta?» replicò Harvey, con tono affettuoso e sistemandole il cappello sulle orecchie.
Il tavolo accanto alla vetrata era occupato, così si sedettero a uno di quelli davanti al bancone nel quale erano esposti dolci di vario tipo, che attirarono l’attenzione di Emma. La piccola si allontanò dal tavolo per andare a scegliere quale fetta di torta mangiare mentre avrebbe ascoltato Lilian leggere.
«È stata una giornata pesante?» chiese Harvey a Lilian, impegnata a sistemarsi i capelli appena liberati dal cappello.
«Già» assentì la donna. «E la prossima settimana sarà anche peggio.»
«Immagino» concordò Harvey. «Se vuoi tornare subito a casa, non preoccuparti. Non sei obbligata a restare.»
Lilian scosse la testa, voltandosi verso Emma, ancora impegnata a decidere quale torta ordinare. «Non importa, davvero, non mi pesa stare qui. E le ho dato la mia parola che avremmo iniziato un nuovo libro.»
«Capirebbe se…»
«Non voglio deluderla» lo interruppe, in un mormorio. «Emma ha ragione, non amo molto le festività natalizie e tutto ciò che è legato a esse, ma non significa che non capisco quanto possano essere importanti per gli altri. Per i bambini, soprattutto. Se starsene qui a sentirmi leggere una storia è ciò che Emma desidera fare in questi pochi giorni che precedono il Natale, è quello che farò» disse, con un’alzata di spalle.
L’arrivo di Emma interruppe qualsiasi cosa Harvey si apprestasse a risponderle e Lilian fu invitata dalla piccola a iniziare a leggere il libro che aveva appena acquistato, sulla cui copertina faceva bella mostra di sé un albero di Natale ricco di addobbi e luci scintillanti con due bambini intenti a scartare i regali sotto lo sguardo amorevole dei genitori. Lilian si concesse un sospiro, sconfitta.

- 5 –

Gli ultimi giorni erano stati un inferno, tra clienti ansiosi al limite dell’isteria che avevano affollato la libreria, i doni segreti che qualcuno continuava a lasciare per Lilian e gli incontri con Emma e suo padre nello Starbucks lì accanto a leggere una storia di Natale dopo l’altra. Lilian aveva mantenuto la parola e si era sforzata di non far emergere la propria insofferenza mentre leggeva quelle pagine, ma una volta tornata a casa poteva crogiolarsi nella malinconia che la opprimeva ogni anno in quel periodo.
Mancavano ormai solo due giorni alla vigilia di Natale e pochi minuti alla chiusura della libreria. Lilian era impegnata con una cliente ma aveva rivolto un cenno di saluto a Emma, che era entrata con il suo solito entusiasmo e si era rifugiata subito nella sala riservata alla letteratura per ragazzi, dove Edith stava terminando la sua lettura davanti a un pubblico di bambini.
Cedette il posto alla cassa al signor Gunter e si diresse nell’altra stanza, trovò con lo sguardo Emma davanti a uno degli scaffali e si incamminò verso di lei, bloccandosi quando la vide estrarre dalla tasca del giubbino un pacchetto rosso con un fiocco dorato e posarlo su uno dei ripiani. Quando la piccola si voltò, con un libro stretto al petto, Lilian era ferma a pochi passi da lei, turbata.
Emma chinò il capo e si avvicinò alla donna. «Scusami. Non volevo ingannarti» mormorò con voce tremante.
«Li hai lasciati tu?» le chiese Lilian e la bambina annuì. «Perché? Chi ti ha chiesto di farlo?»
«Io… Io non posso dirtelo» sussurrò, senza alzare lo sguardo per incontrare quello della donna.
«Emma, non credi che io abbia il diritto di saperlo?»
«Ti spiegherò tutto» intervenne una voce alle spalle di Lilian e, voltandosi, si ritrovò dinanzi Harvey.
«Le hai chiesto tu di lasciare quei regali per me?» gli domandò, sempre più smarrita. «Ho iniziato a riceverli prima che vi conoscessi, come… Perché avresti dovuto farlo?»
«Possiamo parlarne più tardi» disse, ignorando le sue domande. «Ti racconterò tutto ciò che devi sapere, ma non qui e non adesso» aggiunse, tendendo un braccio verso Emma, che si rannicchiò al suo fianco. «Non era mia intenzione ingannarti, Lilian.»
«Lo hai fatto, però. Lo avete fatto» rispose, indicando la bambina con un cenno della mano.
Lilian non gli diede il tempo di replicare e si diresse verso l’ufficio sul retro della libreria, sforzandosi di non mettersi a correre; indossò il cappotto, si calcò il cappello sui capelli e si avvolse la sciarpa intorno al collo, ogni gesto intriso della rabbia che iniziava a sostituire lo smarrimento iniziale. Quando uscì da lì Harvey e sua figlia erano già andati via e accolse la loro assenza con un sospiro di sollievo, anche se desiderava ricevere le risposte che l’uomo le aveva negato fino a quel momento.
Aver scoperto di essere stata ingannata in quel modo le aveva tolto la fame così, tornata a casa, si rannicchiò sul divano con un libro tra le mani, incapace di concentrarsi su ciò che leggeva perché la sua mente era troppo impegnata a rimuginare su quanto accaduto, su quei regali che aveva accumulato ai piedi dell’albero spoglio e sul cercare una risposta anche se non aveva indizi ai quali appigliarsi.
Il trillo del campanello ridestò la sua attenzione, lasciò il libro sul tavolino basso dinanzi al divano e andò ad aprire, confusa nel sentire dall’altro lato della porta la voce di Harvey.
«Non mi sembra di averti mai dato il mio indirizzo» gli disse, aprendo la porta.
«Non lo hai fatto. Ho chiesto al signor Gunter» rispose senza scomporsi, indicando con un cenno della testa l’interno della casa di Lilian. «Posso entrare?»
Lilian si scostò con un sospiro stanco, permettendogli di entrare e richiudendo la porta.
«Quell’uomo avrà tanti difetti, ma non credo proprio che darebbe il mio indirizzo di casa a uno sconosciuto qualsiasi» asserì convinta, con le braccia conserte.
Harvey si tolse il cappotto e lo adagiò sullo schienale del divano, sedendosi senza aspettare un invito da parte di Lilian, che occupò la poltrona.
«Allora, come hai scoperto dove vivo? Sei un poliziotto, un investigatore privato o…»
«Sono un avvocato» rispose, interrompendola. «E ti ho già detto come l’ho avuto.»
«Scusami se non ti credo sulla parola» borbottò Lilian.
«Sono qui per raccontarti la verità su quei regali, Lilian, non ho intenzione di mentirti.»
«Ti ascolto» disse, per spezzare il silenzio nel quale si era spenta la confessione dell’uomo.
Harvey si concesse un profondo sospiro, con i gomiti puntellati sulle ginocchia e le mani intrecciate. «Ventitré anni fa il fratello di mio padre incontrò una donna. Se ne innamorò perdutamente e la convinse a fuggire insieme, anche se…» si interruppe e alzò lo sguardo per incontrare quello di Lilian. «Anche se era sposata e aveva due figlie. Margaret e Lilian» aggiunse, quasi in un sussurro.
Lilian socchiuse le labbra, confusa. «Mia madre» biascicò con voce tremante e Harvey annuì. «Ha abbandonato la sua famiglia per stare con tuo zio.»
«Erano…»
«Innamorati. Ho sentito» lo interruppe, brusca. «Pensi che questo migliori le cose? Pensi che mi faccia sentire meglio scoprire di essere stata abbandonata da mia madre così che potesse vivere la sua storia d’amore con un altro uomo?»
«No, non lo penso.»
«E allora perché sei venuto a raccontarmi questa storia?»
«Mio zio era l’unico della famiglia a sapere la verità su tua madre. Nessuno di noi era a conoscenza del fatto che avesse dei figli. Lui è morto sei anni fa e lei ha continuato a mantenere segreto il suo passato fino a…» si interruppe e Lilian scorse l’incertezza nel suo sguardo.
«Non credo che tu possa peggiorare la situazione. Qualsiasi cosa devi dirmi…» lasciò cadere il resto della frase, scrollando le spalle.
«Ho scoperto di te e di tua sorella due anni fa. Era malata di cancro, temeva di non sopravvivere all’operazione e alle cure e mi raccontò di voi. Ora sta bene» aggiunse, ma Lilian non reagì a quella rivelazione. «Mi offrii di contattarvi per mettervi al corrente delle sue condizioni ma me lo impedì e non potevo… Non me la sono sentita di tradire la sua fiducia. Avrei dovuto impormi, forse.»
«Non sarebbe cambiato niente.»
«Lei la pensava allo stesso modo. Non voleva implorare il vostro perdono perché sapeva di non meritarlo. Sa di non meritarlo.»
«Non lo merita, infatti.»
«Lilian» mormorò il suo nome in un sospiro. «Capisco quanto tu abbia sofferto a causa sua, ma non pensi che sia arrivato il momento di provare a…» si bloccò, sostenendo lo sguardo della donna. «Non ti sto chiedendo di dimenticare il passato e il dolore che ti ha inflitto. Ti chiedo solo di provare a chiudere quel capitolo della tua vita, della vostra vita. Lo devi a te stessa, prima che a chiunque altro.»
«Non sei nelle condizioni di poter pontificare sulla mia vita, Harvey. Lo avrai anche fatto con le migliori intenzioni, ma mi hai ingannato e hai coinvolto tua figlia in questa storia. E l’unica versione della storia che conosci è quella che ti ha raccontato la donna che ha deciso di abbandonare marito e figlie la vigilia di Natale senza mai tornare sui suoi passi. Non sono un mostro, mi fa piacere che non sia morta di cancro, ma ciò non significa che sono disposta a dimenticare come ha distrutto la nostra vita.»
«Non vuole che tu lo faccia, Lilian. Vorrebbe solo avere la possibilità di parlarti.»
«Non abbiamo nulla da dirci» replicò, con tono brusco.
Harvey estrasse un foglio ripiegato dalla tasca interna della giacca nera che indossava sulla camicia bianca e lo posò sul tavolino basso dinanzi al divano. «Ti lascio il suo indirizzo e il suo numero di telefono, nel caso cambiassi idea.»
«Ti ha chiesto lei di consegnarmi quei doni?» chiese, indicando con un cenno del capo i pacchetti rossi ai piedi dell’albero.
«Sì. Ma non ho idea di cosa contengano, se è quello che vuoi sapere.»
«Non ha importanza» borbottò Lilian.
«Non hai intenzione di aprirli, non è così?»
«Non mi interessa scoprirlo.»
«Li ha conservati per anni. Ha un baule pieno di pacchetti del genere, ma ha sempre avuto paura di farteli recapitare. Temeva che non avresti apprezzato.»
«Stai cercando di far passare me per la cattiva della situazione?»
«No, Lilian, sto cercando di farti capire che ha sofferto anche lei in questi anni.»
«Avrebbe potuto risparmiare a tutti questa sofferenza.»
«Lo so. E lo sa anche lei, non puoi dubitare che provi rimorso per ciò che vi ha fatto.»
«Quello che so è che ha mandato un perfetto sconosciuto a perorare la sua causa invece di presentarsi davanti alla porta di sua figlia.»
«Non mi ha chiesto lei di contattarti, sono stato io a insistere» ammise, lasciandosi andare contro lo schienale del divano mentre si passava una mano tra i folti riccioli scuri. «Ti ho detto di aver divorziato da mia moglie, quello che non ti ho detto è che sapevo da tempo che lei aveva una relazione con un altro. Non ho potuto fare a meno di ripensare a tua madre e alle conseguenze della sua scelta, non potevo rischiare che mia figlia vivesse una situazione simile. Non ho mai creduto davvero che Catherine potesse abbandonare Emma come ha fatto tua madre con voi, ma… Non potevo rischiare» ripeté, con un’alzata di spalle. «Lei era innamorata del suo amante e non era disposta a lasciarlo per tentare di salvare il nostro matrimonio, così non ho potuto fare altro che chiedere il divorzio. Come ti ho detto quella sera, non è sempre facile ma cerchiamo di fare del nostro meglio per non rendere la situazione ancora più difficile per nostra figlia.»
«La tua ex moglie è una madre migliore della mia» mormorò. «Mi dispiace per come è finita tra di voi, davvero, ma è un bene che cerchiate di non turbare Emma, per quanto possibile.»
«Sta soffrendo comunque, ma credo sia inevitabile. Forse col tempo riuscirà a comprendere che non potevamo agire diversamente, o almeno me lo auguro. E questa situazione non fa che riportarmi alla mente la storia della tua famiglia. Avrei potuto lasciar perdere e non entrare così nella tua vita, ma… Questo che sto per dire non ti farà piacere» la avvertì, riprendendo a parlare con voce incerta. «Prima di iniziare a farti recapitare i doni di tua madre, ho cercato di capire che tipo di persona fossi. Se avessi scoperto che ti eri lasciata alle spalle ciò che ti era accaduto, se l’abbandono di tua madre non avesse condizionato così tanto la tua vita… non avrei mai insistito con lei perché provasse a contattarti di nuovo.»
«Hai deciso di spiarmi? È questo che stai dicendo?» domandò, turbata dalle sue parole e dallo sguardo colpevole che le rivolse.
«Tua madre ti ha tenuta d’occhio, nel corso degli anni. Ha sempre saputo come rintracciarti.»
«Quindi è stata lei a dirti dove abito» dedusse Lilian
«No, non è stata lei. Te l’ho detto, è stato il signor Gunter.»
«E perché avrebbe dovuto farlo?»
«Forse dovresti chiederlo a lui» farfugliò, scuotendo la testa.
«Lo sto chiedendo a te, Harvey. Perché ha accettato di aiutarti?»
Harvey trasse un respiro profondo prima di rispondere. «Lui e sua moglie conoscono tua madre, o meglio la conoscevano molti anni fa, prima che fuggisse con mio zio. Quando ha scoperto di essere malata, due anni fa, aveva intenzione di incontrarti ed era andata nella libreria dove lavori, ma tu non eri lì quel giorno. Il signor Gunter la riconobbe e parlarono di te, quando andò via gli chiese di non raccontarti del loro incontro e di tutto il resto e lui, a quanto pare, ha mantenuto la parola. Quando iniziai a girare intorno a quella libreria per spiarti, lui mi beccò subito e mi intimò di smetterla, ma quando gli dissi perché ero lì capì che non avevo cattive intenzioni e decise che non era il caso di chiamare la polizia. È un tipo un po’ burbero, ma ti è affezionato» terminò, con l’accenno di un sorriso.
«Ne dubito» mormorò Lilian, con un sbuffo.
«È stato lui a recapitarti alcuni di quei pacchetti. Passavo in libreria al mattino prima di andare a lavoro per consegnarglielo, nei giorni in cui Emma non sarebbe potuta venire in libreria.»
Lilian appoggiò la nuca allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi, inspirando ed espirando lentamente, alla ricerca di una calma che le era scivolata via da quando aveva visto Emma con quel pacchetto rosso tra le mani.
«Avrei dovuto iniziare questa discussione con delle scuse?» chiese Harvey e, aprendo gli occhi, Lilian incontrò il suo sguardo fermo, non c’era rammarico né incertezza nei suoi occhi azzurri.
«Non sei affatto dispiaciuto per quello che hai fatto, quindi che senso avrebbe avuto scusarti?» ribatté Lilian, mentre si alzava dalla poltrona e raggiungeva la cucina. «Birra?» gli chiese, alzando la voce quanto bastava perché lui riuscisse a sentirla dal salotto e Harvey rispose con lo stesso tono per accettare.
Lilian gli porse una bottiglia di birra e riprese il suo posto sulla poltrona, concedendosi un sorso della birra che aveva preso per sé.
«Sei in collera con me?» le domandò.
«Sì.»
Harvey sorrise, avvicinando la bottiglia alle labbra. «Tanto da tentare di uccidermi con una birra avvelenata?» le chiese, un angolo della bocca sollevato nell’accenno di un sorriso.
«Forse» mormorò Lilian.
«Davvero non hai intenzione di aprirli?» chiese Harvey, lacerando il silenzio che era calato sulla stanza.
«Non lo so» ammise Lilian, quasi in un sussurro. «Stai per chiedermi perché quell’albero è ancora spoglio, non è così?»
«Te lo chiedono spesso?» domandò a sua volta.
«Credo sia inevitabile quando lo vedono.»
«Perché tirarlo fuori se non vuoi addobbarlo?»
Lilian bevve un altro sorso di birra, prendendosi del tempo prima di rispondere. «È stata mia sorella a regalarmi quell’albero e tutte le decorazioni, le devo almeno la fatica di tirarlo fuori dalla soffitta. Lei non ha la stessa avversione per il Natale, lo adora.»
«E tu lo odi» replicò Harvey, lasciando la bottiglia di birra sul tavolino.
«Amavo il Natale, prima che lei decidesse di scomparire nel nulla la mattina della vigilia. Ogni anno non posso fare a meno di ripensare a quel giorno. Sono passati ventitré anni, ma ogni volta sembra come se fossi ancora lì, nel salotto illuminato dalle luci del grande albero che avevamo addobbato tutti insieme ad aspettare di vederla rientrare con gli ultimi regali tra le mani. Passava così tanto tempo a realizzare a mano tutte le decorazioni che si riduceva sempre all’ultimo momento per riuscire a comprare tutti i regali.»
«Per questo non vuoi un albero pieno di addobbi in casa tua?»
Lilian annuì, con gli occhi fissi sulla birra che oscillava piano dentro la bottiglia.
«Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per te leggere quelle storie che Emma ha scelto negli ultimi giorni. Era convinta di aiutarti, voleva che tornassi ad amare il Natale e diceva che nessuno può odiarlo leggendo quanto rende la gente felice. Conosce tua madre e sa che non vi vedete da molto tempo, ma non sa altro.»
«Non è stato semplice, non lo nego. Ma non sono pentita di averlo fatto.»
«Pensa che tu non vorrai più vederla. Era convinta che ti avrebbe reso felice scoprire che erano i regali di tua madre e quando ha visto come hai reagito…»
«Dille che non ha fatto nulla di male. Non potrei mai avercela con lei.»
Harvey annuì, si alzò dal divano e riprese il cappotto, indossandolo. «Lilian, so di essermi intromessonella tua vita e che non ne avevo alcun diritto. Credevo che fosse la cosa giusta da fare, per lei ma anche per te.»
«So che lo hai fatto con le migliori intenzioni» replicò soltanto, alzandosi e seguendolo fino alla porta.
«La chiamerai?» le chiese, prima di varcare la soglia.
«Non lo so» ammise. «Non penso di avere la forza necessaria per affrontarla. Non sono neanche in grado di addobbare quel maledetto albero» sospirò affranta.
«Emma potrebbe aiutarti, adora appendere decorazioni. Rischi di doverti trovare un altro posto dove stare fino alla fine delle festività, quando avrà finito di addobbare ogni stanza di questa casa.»
«Non sono suo padre, non sarebbe così semplice indurmi a fare ciò che vuole» lo prese in giro, con un sorriso. «È una battaglia che tutti i padri sono destinati a perdere, rassegnati.»
«Non sei per niente incoraggiante.»
«Sono una figlia anch’io, conosco tutti i trucchi messi in atto dalla tua bambina.»
Harvey scosse la testa, sorridendo. «Buonanotte, Lilian.»
«Buonanotte, Harvey.»

- 6 –

Lilian era arrivata a casa di sua sorella in anticipo con l’idea di aiutarla negli ultimi preparativi per la cena della vigilia, ma Margaret aveva, come al solito, tutto sotto controllo e la invitò ad accomodarsi in salotto per intrattenere le piccole pesti di sette e cinque anni in attesa dell’arrivo dei nonni.
Sofia era la figlia maggiore di Margaret, con i lunghi boccoli biondi di sua madre e gli intensi occhi ambrati del padre, uno scrittore di thriller di discreto successo, anche se Lilian non era ancora riuscita a convincerlo a organizzare una presentazione nella libreria dove lavorava. David era uno di quegli autori che amavano scrivere protetti dalla libertà offerta dall’uso di uno pseudonimo, mantenendo i contatti con i propri lettori sul piano virtuale fatto di social e blog.
Richard, con tutto l’entusiasmo e la curiosità dei suoi cinque anni, se ne stava inginocchiato tra i pacchi ai piedi dell’imponente albero di Natale che riluceva di luci dorate tra addobbi rossi decorati a mano da Margaret. Lilian si avvicinò al nipotino prima che riuscisse a strappare la carta che avvolgeva uno dei regali, gli arruffò con un gesto affettuoso i ricci capelli scuri e si ritrovò a dover sostenere lo sguardo corrucciato dei suoi occhi verdi.
Approfittò dell’arrivo di David per lasciarlo alle prese con i suoi figli mentre lei raggiungeva Margaret in cucina.
«Avanti, raccontami tutto» esordì sua sorella, con un fianco appoggiato al bancone della cucina mentre mescolava il contenuto di una pentola fumante.
«Di che parli?» chiese Lilian, versandosi un bicchiere di vino rosso.
«Sei più taciturna del solito e sembra proprio che tu abbia la testa da qualche altra parte, di certo non qui. So che non ami…»
«Non mi dispiace essere qui a festeggiare con voi» la interruppe, con un lieve sorriso sulle labbra.
«Ma c’è qualcosa che non mi stai dicendo» replicò Margaret, convinta. «Senti, non voglio obbligarti a parlarmene se non vuoi. Ma sai che puoi dirmi tutto, vero?»
Lilian assaporò un altro sorso di vino, lanciò uno sguardo all’ingresso per assicurarsi che nessuno stesse arrivando in cucina e trasse un respiro profondo. «Ricordi i regali che qualcuno mi ha fatto recapitare in libreria nelle ultime settimane?» Margaret annuì. «Li ha mandati lei. Nostra madre.»
Margaret socchiuse le labbra, ma le strinse subito scuotendo la testa. Rimase in silenzio per alcuni secondi, rivolgendo tutta la propria attenzione al cibo che stava finendo di cucinare. «L’hai incontrata?» le chiese, in un mormorio appena udibile.
«No.»
«Come fai a sapere che te li ha mandati lei?»
Lilian le raccontò di Harvey e della piccola Emma, del signor Gunter e della verità sul motivo che aveva spinto la loro madre ad abbandonarle. Margaret la ascoltò in silenzio, senza interromperla, ma Lilian si era accorta che si era asciugata il viso più volte mentre le dava le spalle.
«Non avrei dovuto raccontarti nulla, non stasera. Mi dispiace, Margaret» sospirò Lilian, cingendo con le braccia la vita della sorella e posando il mento sulla sua spalla.
«Avresti dovuto dirmelo subito, invece» ribatté Margaret, voltando la testa quanto bastava per lasciare un bacio sulla tempia di Lilian. «La chiamerai?»
«Non lo so. Tu lo faresti?»
«Non lo so» sospirò Margaret e, quando si rigirò nell’abbraccio di sua sorella, i suoi occhi si fermarono oltre le spalle di Lilian, sulla figura ferma sulla soglia della cucina.
«Avrei dovuto raccontarvi la verità molto tempo fa» disse l’uomo, massaggiandosi la fronte con la mano.
«Papà» sussurrò Lilian, avvicinandosi a lui, che si sfilò gli occhiali e pulì le lenti con un fazzoletto che aveva tirato fuori dalla tasca della giacca blu, indossata su una camicia azzurra che fasciava il suo ventre prominente. I capelli grigi erano folti e ordinati, almeno fino a quando l’uomo non li scompigliò con una mano. «Sapevi che…» si interruppe, incapace di dar voce di nuovo al tradimento di sua madre.
«Sì, lo sapevo. Fu lei a dirmelo, ma rifiutai di concederle il divorzio. Speravo che riuscissimo a risolvere tutto… Mi sbagliai.»
L’irruzione in cucina di Sofia e Richard pose fine a quel momento e furono costretti a rimandare le spiegazioni a un altro giorno, per non rischiare di rovinare l’atmosfera di un’altra vigilia di Natale.
Era da poco passata la mezzanotte quando Lilian tornò a casa sua e si lasciò cadere sul divano, stanca per la serata e per le emozioni alle quali non aveva potuto dare sfogo. Avrebbe voluto interrogare il padre sul perché avesse mantenuto il segreto sulla fine del suo matrimonio per tanti anni, lasciando Lilian e Margaret senza una ragione che potesse dare un senso all’assenza della loro madre, ma ormai non poteva fare altro che attendere e sperare di chiudere finalmente quel capitolo della sua vita. Una pessima risposta è comunque una risposta, sempre meglio che continuare a essere prigioniera di un’incertezza opprimente che per anni non le aveva permesso di lasciarsi alle spalle quella pagina del proprio passato.
Estrasse il cellulare dalla borsa e compose il numero che Harvey aveva scritto sul foglio che le aveva lasciato su quel tavolino due giorni prima. Tre squilli, poi una voce femminile rispose, stanca e turbata, probabilmente per aver ricevuto una telefonata a quell’ora della notte. Lilian interruppe la chiamata e posò il cellulare sul cuscino vuoto accanto a sé.
Si alzò dal divano e si sedette a terra ai piedi dell’albero. Scartò i doni di sua madre, disponendoli in un cerchio all’interno del quale rimase seduta fino a quando non aprì anche l’ultimo pacchetto. 

- 7 –

Aveva dormito soltanto tre ore scarse quando il trillo del campanello la trascinò via dal suo sogno e la costrinse ad alzarsi. Borbottò una maledizione mentre indossava la vestaglia rossa di pile e raggiungeva la porta, ritrovandosi al cospetto di una bambina con grandi occhi azzurri colmi di speranza e un sorriso incerto sul volto.
«Emma» mormorò Lilian, riavviandosi i capelli arruffati con una mano. «Harvey» aggiunse, incontrando lo sguardo dell’uomo accanto alla piccola.
«Stavi ancora dormendo?» le chiese Emma, con un leggero tono di accusa che fece sorridere Harvey.
«Sono solo le… sette» sospirò Lilian, con un’occhiata all’orologio a muro del corridoio. «Che ci fate in giro a quest’ora del mattino?» chiese, spostandosi di lato per permettere loro di entrare.
«Li hai aperti!» esclamò la bambina, che corse verso i doni che Lilian aveva lasciato sul pavimento.
Lilian sentì la mano di Harvey posarsi sulla sua schiena. «Ce l’hai fatta» le sussurrò, con un sorriso affabile.
«E, come vedi, sono rimasti lì» replicò Lilian, in un sussurro che non poteva arrivare alle orecchie di Emma.
«È un primo passo» ribatté l’uomo, allontanando la mano dalla sua schiena e mettendole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Come promesso, ho portato rinforzi per l’albero» aggiunse e indicò Emma con un cenno del capo.
«Non mi sembra che avessimo stretto un accordo del genere. È così che lavori di solito, avvocato?» chiese Lilian, mentre si avvicinavano alla bambina accompagnati dalla risata di Harvey.
Lilian si ritrovò seduta a terra tra Harvey e la piccola Emma, che aveva tra le mani una delle decorazioni realizzate a mano da sua madre. Ne aveva trovata una in ognuno dei doni che aveva scartato. Erano statuine di legno dalle sembianze femminili, alcune raffiguravano delle bambine, altre delle giovani donne, ed erano dipinte con i colori preferiti di Lilian, rosso e verde, con qualche screziatura dorata a impreziosire i contorni. Tutte le statuine reggevano una piccola pergamena tra le mani su cui erano incisi versi di poesie e frasi dei libri preferiti di Lilian. Alcuni di quei libri li aveva scoperti molti anni dopo l’abbandono di sua madre, quindi era chiaro che fosse riuscita in qualche modo a tenersi informata su di lei.
«Assomigliano a quelle che realizzava quando io e Margaret eravamo bambine. Non le abbiamo più usate dopo che lei…» si bloccò, con un respiro tremante e lasciando a terra la decorazione che aveva tenuto in mano fino a quel momento.
«Sono bellissime» asserì Emma, accarezzandone una con un dito ancora coperto dal guanto.
Harvey aiutò sua figlia a liberarsi del cappotto, del cappello e dei guanti e li lasciò su una delle due poltrone insieme al suo giubbino, mentre Lilian si era rifugiata in cucina con la scusa di preparare del tè.
Avvertì i passi di Harvey alle sue spalle ma si impose di non distogliere gli occhi dal bollitore per non lasciare che vedesse le lacrime che stava tentando disperatamente di trattenere, anche se ormai la sua vista era offuscata in modo fastidioso.
«Credo di non avertelo ancora detto, ma il signor Gunter non mi ha dato soltanto il tuo indirizzo. Ho anche il tuo numero di telefono. E di cellulare» la informò, la sua voce sempre più vicina, ormai a un soffio dal suo orecchio. Le sue braccia le cinsero la vita e le sue labbra le sfiorarono la tempia.
«Ieri notte ho ricevuto una chiamata da tua madre, voleva sapere se conoscessi un numero che la aveva svegliata nel cuore del notte.»
«Non avrei dovuto chiamarla» biascicò. «E lei avrebbe potuto aspettare a fare la spia, invece di svegliarti a quell’ora.»
«Non stavo dormendo.»
«Buon per te» borbottò Lilian e quando tentò di defilarsi dal suo abbraccio Harvey glielo impedì, stringendola di più a sé.  
«Stavo sistemando i regali per Emma sotto l’albero. Alle cinque era già fuori dal letto pronta a scartarli.»
«Ha trascorso la vigilia con te?» gli chiese, obbligandosi ancora a non guardarlo.
«Sì. Tra un po’ devo accompagnarla da sua madre, devono andare a pranzo dai miei ormai ex suoceri.»
«Papà, posso iniziare ad addobbare l’albero?» chiese Emma, a voce alta per farsi sentire da loro che erano ancora in cucina.
«Tesoro, devi chiederlo a Lilian, è il suo albero» le rispose, con lo stesso tono della figlia.
Lilian sospirò a fondo, posando una mano su quelle di Harvey, intrecciate sul suo ventre.
«Non sei obbligata a dirle di sì. Se non te la senti ancora di usare quei doni, non farlo. Non sono venuto qui con Emma per costringerti a prendere una decisione, volevo solo che potessi avere la possibilità di scegliere senza pensare di doverlo fare da sola.»
«Emma, inizia pure. Ti raggiungiamo subito» le disse Lilian, che si ritrovò a ridere per l’esclamazione di gioia della bambina mentre sul suo viso erano scese le lacrime che aveva tentato invano di trattenere fino a quel momento.
Si portò le mani al volto per asciugarlo, ma Harvey fu rapido a farla girare nel suo abbraccio facendole nascondere il viso sul suo petto. Le accarezzava la schiena con gesti lenti e l’altra mano era nascosta tra i suoi capelli.
«Sono un disastro» biascicò Lilian contro il maglione azzurro di Harvey. «Avresti potuto avvisarmi che stavate arrivando» gli rinfacciò, assestandogli un leggero pugno sul petto.
«E perdermi la tua espressione di poco fa appena hai aperto la porta? No, tornassi indietro agirei esattamente allo stesso modo» replicò, convinto.
Lilian si scostò dal suo petto quanto bastava per riuscire a incontrare il suo sguardo. «Non sono sicura di non avercela ancora con te per avermi ingannata» ammise, seria.
«C’è anche solo una piccola possibilità che tu possa perdonarmi per non averti raccontato tutto fin dal primo istante?» chiese, dopo qualche istante di silenzio.
«Forse» rispose, le labbra distese in un lieve sorriso.
«Forse, mi piace. Infonde speranza, non credi anche tu?»
Lilian lo guardò con gli occhi socchiusi, indagatori. «No, non dirmelo. Sei uno di quelli.»
«Quelli, chi?» chiese, con una lieve risata.
«Riconosco quello sguardo. È lo stesso che ha mia sorella quando parla della magia del Natale e di tutte quelle…» Lilian fu interrotta dal dito di Harvey che si posò sulle sue labbra.
«Non dire quella parola, c’è una bambina in casa» la rimproverò, con tono ironico.
«Non stavo dicendo quello, uomo di poca fede» si difese, allontanando la mano di Harvey dal suo viso. «E tu sei decisamente uno di loro» aggiunse, decisa.
«E allora?»
«E allora? Hai presente con chi stai parlando? Sono quella che odia il Natale e non lo festeggia da più di vent’anni. Quella che considera lo spirito natalizio alla stregua di una infezione virale che andrebbe debellata. Quella che…»
«Ha accettato di addobbare il suo primo albero di Natale dopo vent’anni con le decorazioni regalatele da sua madre» terminò la sua frase, prendendo il volto di Lilian tra le mani. «Non credo che tu abbia mai odiato il Natale, tesoro, odiavi che ti ricordasse l’assenza di tua madre. Ora che sai la verità su di lei puoi decidere se darle o meno una possibilità di rientrare nella tua vita, è una scelta che spetta soltanto a te.»
Lilian abbassò lo sguardo, fissandolo sul maglione dell’uomo. «Le hai detto che ho scoperto di lei?»
«Non ancora.»
«Non farlo, allora. Non… non sono ancora pronta per incontrarla.»
«Va bene, non le dirò nulla.»
Lilian adagiò la fronte sul petto di Harvey, che tornò a cullarla tra le sue braccia.
«Stavo pensando…»
«A cosa?» lo sollecitò a continuare.
«Immagino che tu non abbia usato ancora nessuna decorazione natalizia in questa casa» Lilian scosse la testa, con la fronte corrugata mentre scrutava l’espressione dell’uomo. «Quindi non troverei nessun ramoscello di vischio sotto cui fermarmi ad aspettarti per rubarti un bacio.»
«Temo proprio di no» disse Lilian, scrollando le spalle. «Ho appena ucciso un po’ del tuo spirito natalizio, ammettilo» lo provocò, con un sopracciglio arcuato.
«No, perché farò in modo di appendere ramoscelli di vischio in ogni stanza e in ogni corridoio di questa casa» replicò, sfiorando le labbra di Lilian con le sue.
«Non credo che ti lascerei entrare con un scatolone pieno di vischio.»
«So che ti stai impegnando molto, ma non riuscirai a rovinare l’atmosfera ma-…»
«Non osare dire quella parola» lo interruppe, posando due dita contro le sue labbra.
«Tesoro, esiste soltanto un modo per impedirmi di pronunciare quella parola» la provocò, con la voce roca e un bacio lieve sulle dita che toccavano la sua bocca.
«Sono abbastanza certa che questo possa essere classificato come ricatto.»
«Lo è. E il tempo a tua disposizione sta per cadere. Se non vuoi che pronunci quella parola…»
Questa volta furono le labbra di Lilian a interromperlo quando si posarono sulle sue.
«Lilian! Papà!» li chiamò Emma dal salotto. «Chi viene ad aiutarmi a mettere le luci?»
Lilian nascose il volto sulla spalla di Harvey. «Vai, vi raggiungo subito» gli disse, libera dal suo abbraccio.
Harvey le lasciò un rapido bacio sulle labbra prima di allontanarsi da lei per tornare in salotto da Emma.
Lilian finì di preparare il tè e sistemò tutto sul vassoio, che appoggiò sul tavolino basso del salotto prima di riprendere il suo posto accanto a Emma, la quale le porse una delle statuine che ancora non aveva appeso sull’albero.
Quando a terra non rimase più alcuna decorazione, tutti e tre si ritrovarono seduti ai piedi dell’albero ad ammirare le luci dorate e le statuine che oscillavano piano quando Emma le sfiorava con un dito per scrutare il riflesso della luce sui colori accesi che sua madre aveva scelto per lei.
«Buon Natale, Lilian» le sussurrò Harvey, lasciandole un bacio lieve sulla guancia.


 FINE

L'AUTRICE DICE DI SE'...
L'arte, la storia e la mitologia sono tre delle mie più grandi passioni. L'amore per la lettura mi accompagna fin da bambina, quello per la scrittura è arrivato poco dopo quando, appena adolescente, ho iniziato a scrivere racconti e poesie. Quando non sono schiava del volere e dei capricci dei personaggi delle mie storie, mi concedo lunghe maratone di serie tv.

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16 commenti:

  1. Un racconto decisamente carico della magia del Natale, o semplicemente della voglia di smettere di soffrire per avvenimenti legati al passato e di ricominciare a sperare. Ben scritto, ben strutturato, bei personaggi e ottima tempistica degli eventi.

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  2. STRUGGENTE, IRONICO, COMMOVENTE, DOLCISSIMO, ROMANTICO.
    COMPLIMENTI VIVISSIMI ALL' AUTRICE.

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  3. Nonostante sia anche io "una di quelli" -o forse proprio per questo- non ho mai apprezzato particolarmente i racconti natalizi. Sono sempre un po' troppo smielati, un po' troppo finti, sviluppati con un po' troppa superficialità.
    Ovviamente, ogni regola ha le sue eccezioni, e "I doni segreti del passato" è una di queste, per mia fortuna!
    Naturalmente, affidarmi a Lith è stato andare un po' a colpo sicuro, avendo alle spalle la lettura di due suoi libri e diversi estratti.. e dopotutto, dopo un paio di mesi di disastrose esperienze di lettura, con la bellezza di 12 libri che nel migliore dei casi posso definire insignificanti (capiamo la gravità della situazione), avevo assoluto bisogno di, diciamo così, "vincere facile"... grazie ad Evalith e a voi per questa risanante lettura!

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  4. Questo bel racconto ha il sound di una storia vera che ci fà pensare che le favole possono avverarsi.
    Bella.
    Auguri.
    Antonella_78

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  5. Un racconto davvero originale!!! Traspira molto bene la sofferenza di chi è a disagio in queste feste(ed io ne so qualcosa). Complimenti ad Evalith.

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  6. Dolce e romantico racconto natalizio, da gustare al caldo con un tè fra le mani.

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  7. Mi è piaciuto molto. Per nulla stucchevole e "buonista", ma vero, autentico e sincero. Complimenti all'autrice.

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  8. questo libro è stato in assoluto il più bel libro che ho letto finora di christams love 2016 il mio voto e 30 e lode wow complimenti all'autrice

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  9. Letto e piaciuto. La parte romance ha poco spazio, ma i sentimenti di certo non mancano.

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  10. Molto bello. tenero, struggente, letto tutto d'un fiato. Complimenti. Marina

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  11. la storia in sè è molto bella e mi è piaciuta molto,
    ma il romanticismo è un po' assente in questo racconto,
    a mio avviso. non c'è nulla che fa intuire che lui nutra interesse nella ragazza a parte il volerla convincere a rivedere la sua decisione nei confronti della madre e dei suoi regali. e nemmeno da parte di lei si sente un particolare feeling nei confronti dell'avvocato.

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  12. Proprio un racconto natalizio. Struggente, malinconico per per i ricordi che Lilian vuole ricordare e dimenticare allo stesso tempo. Finale aperto ricco di speranza. Mi è piaciuto.

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  13. Questo è tra tutti il mio racconto preferito. Mi piace x tante ragioni, ad es x il suo romanticismo non stucchevole, per il tipo di situazioni create, per il riferimento abbondante ai libri ( e alla kleypas).

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  14. Bellissimo questo racconto! Voglio vedere l'incontro tra Lilian e la madre! Ho adorato la piccola Emma e il. Istero legato ai pacchetti che la protagonista riceveva!

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  15. delizioso commovente romanticissimo bambina adorabile che altro dire ....ELISABETTA

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  16. Il mio racconto preferito del Christmas in Love 2016! Una storia particolare, accompagnata dala curiosità per i pacchetti misteriosi e la simpatia per Emma e i suoi tentativi di riavvicinare Lilian al Natale. Ho apprezzato lo svolgersi della storia con i tempi giusti, che in qualche altro racconto mi è mancato, e una tenera conclusione che riaccende le speranze.
    Complimenti!

    Saluti,
    Simo

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