E così mi ero tuffata con entusiasmo nel mio lavoro, felice di aver
compreso alla fine quale direzione dare alla mia vita. Dalla mia parte, però
avevo solo la determinazione e il desiderio di scavare, riportando alla luce
brandelli nascosti del passato; contro di me, un sistema universitario non
sempre limpido nelle assegnazioni di borse di studio, di assegni di ricerca,
per non parlare poi dei posti di assistente universitario.
Eppure, con la caparbietà che mi aveva contraddistinto fin da piccola,
avevo sconfitto il mostro. Dopo infiniti tentativi e numerose porte in faccia,
avevo vinto un concorso come assistente universitario del mitico professor
Bellagamba, ordinario della facoltà di Archeologia greca e romana
dell’Università di Torino. Simpaticamente chiamato Cicciobello da generazioni
di studenti falciati ai suoi esami. Da quel giorno la mia vita era cambiata.
Non che lo stipendio fosse quel granchè, ma almeno vedevo riconosciuti tutti
gli sforzi messi in atto per arrivare fino a lì, insieme alla incredibile
possibilità di fare il lavoro per cui sentivo di essere nata. Da allora, avevo
macinato migliaia di chilometri su ogni mezzo possibile per andare a scavare,
convinta che fosse la mia unica travolgente passione, il mio unico amore. Dare
vita a ciò che vita non ne ha più, perchè ha già avuto il suo tempo in dono
dagli dei. Sfidare il tempo, il dio Chronos, ecco che cosa mi affascina di più
di questa scienza.
Ed è stato proprio quell’amore assoluto a portarmi su una mega nave da
crociera, facendo riaffiorare in me quelle sensazioni provate da bambina.
Sensazioni forti che, lo capisco solo ora, erano sopite, ma mai davvero
scomparse.
Dopo mesi e mesi di lavoro indefesso in diverse parti del
Mediterraneo, lo stesso mio professore mi aveva imposto una vacanza. Ad essere
sinceri, io non mi sono mai fidata del tutto di quell’ometto basso e tarchiato
con due furbi occhietti azzurri che lo facevano sembrare un simpatico bidello.
Quando dava in escandescenze, era capace di sollevare anche il preside della
facoltà. Moralmente, ovvio.
“E’ il momento che si prenda una vacanza, Silvestri. Ha dato molto
alla ricerca, ma non può vivere sempre qui. Là fuori c’è una vita. Non può
stare all’Università anche quando le formiche fanno a gara per andare in montagna!”
aveva tuonato, mentre lo inseguivo parlandogli di uno scavo in Medio Oriente.
Mi affannavo a stargli al passo mentre cercavo sullo smartphone una foto
inviatami da un collega americano sullo stato degli scavi a Nisa, in Iraq. Si
era fermato all’improvviso in mezzo al corridoio semi deserto, strappandomi di
mano il cellulare e rischiando che gli finissi addosso.
“Domani è il 20 dicembre. Lei è ufficialmente in ferie fino al 15
Gennaio 2018.” La sua voce chioccia e
baritonale aveva rimbalzato per il corridoio di vetrate, ormai scure, dal
momento che ormai erano le 8 passate da un bel pezzo. Un bidello ossuto aveva
occhieggiato da un’aula, spinto dalla curiosità di sapere chi fosse la vittima
designata di Cicciobello.
Lui, il professore, se ne era andato restituendomi lo smartphone sulla
mano ancora aperta, come la mia bocca.
Non ero stata in grado di replicare. Mentre tentavo di imporre la mia
volontà alla parte inferiore del viso, lui aveva alzato una mano grassoccia e,
come per scacciare una mosca, aveva aggiunto: “Si faccia una crociera, almeno
sarò certo che nell’acqua non potrà scavare!”
Deglutii l’aria, ma lo presi in parola. Voleva che andassi in vacanza
per non scavare, benissimo: ci sarei andata, ma poi non avrebbe potuto fermarmi
su nessuno di quei progetti che coltivavo da tempo nella mia testa.
E così eccomi qui, prossima a vedere da vicino un mostro metallico dei
mari e a tornare al mio elemento preferito, dopo la terra. Forse Cicciobello
non aveva torto.
“Accidenti! Ma quanto è grande! Sul depliant dell’agenzia le
dimensioni non mi sembravano così... colossali!”
La nave, ormeggiata ad una banchina del porto di Savona, sembrò
apprezzare quell’esclamazione di sorpresa, emettendo un fischio profondo che mi
echeggiò nel petto. Lo scafo bianco risaltava in maniera impressionante sullo
sfondo azzurro del mare e del freddo cielo di dicembre.
Due giorni a Natale, avrei potuto fare altre mille cose interessanti e
invece mi trovavo a rimirare un gigante dei mari. Senza accorgermene, lasciai
la maniglia del trolley che cadde rumorosamente a terra. Nemmeno sentii quel
tonfo disperato e, per essere certa delle dimensioni, tolsi anche gli occhiali
da sole. Niente da fare: era enorme anche a occhio nudo. Qualcosa nella mia
mente si agitò, forse i miei ricordi felici di bambina che scorrazzava sui
ponti delle navi traghetto.
“Le è caduta la valigia...”
Calde, basse onde sonore mi colpirono come la risacca sulla spiaggia.
Mi voltai di scatto, quasi irritata per quella voce che mi aveva fatto tornare
sulla terraferma quando io cercavo di individuare le analogie tra quel mostro
metallico e i delicati legni delle navi di Caligola affondate nel lago di Nemi.
Chi era quel tipo davanti a me? Apollo lo splendente, la statua
ripescata nel Tevere e ora in bella mostra a palazzo Massimo a Roma? O forse un
Apollo di Leocare nella sua posa così eroica?
Mi imposi di non mostrare alcuna emozione e tentai di chiudere la
bocca. Cosa non facile di fronte a due spalle larghe, un sorriso accattivante e
due occhi del colore delle foreste germaniche ai tempi di Arminio. Di fronte
alla bellezza, di qualsiasi genere è difficile rimanere lucidi, scatta la
sindrome di Stendhal, lo dicono anche gli psicologi.
Deglutii e tirai le labbra in una specie di sorriso. Con fatica
distolsi lo sguardo da quelle schegge verdi che mi osservavano divertite e li
diressi verso il mio trolley, disteso sul selciato grigio come un cane svenuto.
“Grazie” mi riuscì di dire gracchiando come un’aquila. Mi schiarii la
voce, non potevo uscire in modo così disastroso da quell’incontro che qualche
dio benevolo aveva deciso di concedermi.
Mi abbassai per prendere la maniglia, ma lo sconosciuto fu più rapido
di me e, a pochi centimetri dalla meta, le nostre teste cozzarono sonoramente.
“Ahia! Per essere un Apollo hai la testa dura!” borbottai seccata.
“Come, scusa?”
Feci rapidamente marcia indietro, “Niente, è che ho la testa dura.” Mi massaggiai la chioma ricciuta contribuendo a
scompigliarla ancora di più del solito. I corti capelli castani di lui invece,
erano in ordine rigoroso, nemmeno fosse appena uscito dal barbiere.
Fu più svelto e afferrò in fretta il manico del trolley, “Tieni, non
vorrei scontrarmi due volte nello stesso giorno con una bella ragazza... Io mi
chiamo Andrea”, aggiunse tendendomi la mano destra, dita lunghe, unghie corte e
pulite.
“Piacere di fare la tua conoscenza, sono Giulia.” Risposi
stringendogli la mano, una presa forte e decisa che, lo ammetto, mi disorientò
un poco. Qualcosa, credo, passò tra di noi, perché nella mia memoria quell’istante
è senza tempo. Mi sentii come catapultata da un’altra parte, preda di una
strana vertigine.
“Anche tu in vacanza?” chiese gentile, riportandomi, a sua insaputa,
nel mondo reale.
Annuii, pronta, scacciando la sottile inquietudine che aleggiava ancora
dentro di me: “Diciamo che sono stata costretta a riposarmi un po’ e allora ho
scelto lei.” indicai con un cenno della testa la mole imponente della nave che
già si animava di turisti ansiosi di partire.
Le vacanze di Natale sono un
periodo perfetto per una crociera, e anche uno dei più cari, aveva
sentenziato Clara, la mia più cara amica. Ma ero stata fortunata: con un last
minute, avevo ottenuto una cabina esterna ad un prezzo non eccessivo.
“Vogliamo andare?” chiese l’Apollo avvicinandosi pericolosamente al
mio fianco destro. Quella voce mi riportò di nuovo al presente. Mi sentii in
dovere di dire qualcosa.
“Da qua i passeggeri sembrano formiche agitate.”
Mi morsi la lingua, non era propriamente quella che si dice
un’osservazione arguta. A parte che sulla Terra forse due persone, al massimo
tre, avrebbero apprezzato espressioni più auliche, men che meno il tipo
belloccio di fianco a me.
Come al solito: se sono belli
non hanno cervello, la voce di Clara, nitida nella mia testa.
“Sei entomologa?” chiese curioso.
“Accidenti! Conosce anche qualche parola difficile”, mi trovai a
pensare. E per aggiungere un pizzico di pepe in più alla mia confusione, fu
allora che Eolo decise di cambiare direzione ai venti freddi che imperversavano
sul golfo ligure di Ponente: un aroma di pulito e muschiato mi investì in
pieno. Stordita da profumo e da una domanda così intelligente, balbettai: “Sono
archeologa, lavoro a Torino.”
“Non sapevo che ci fossero scavi anche in città.”
Confortata dalle opinioni di Clara sul sesso opposto, la mia lingua
lunga partì prima di ricevere l’autorizzazione del cervello. “Presso l’Università di Torino”
sottolineai piccata, “In realtà, giro un po’ per tutto il Mediterraneo,
terroristi e guerre permettendo.” Ovviamente sorvolai sul fatto di essere stata
quasi costretta dal mio capo a prendermi una vacanza.
Lui si abbassò un po’, facendomi sentire piccolina rispetto alla sua
considerevole altezza.
“Stavo scherzando” mi sussurrò, un guizzo divertito negli occhi. In
quel momento chiesi a una qualsiasi divinità infera di aprire una voragine e di
inghiottirmi all’istante, ma non ci fu nessun dio pagano che si prese la briga
di ascoltarmi per cui dovetti indossare un sorriso di circostanza e
allontanarmi con noncuranza dalla mia gaffe.
“Forse è meglio accelerare il
passo” suggerii quasi correndo verso la nave. Il freddo era pungente nonostante
il cielo limpido e cercai riparo nel bavero del giaccone scuro che mi aveva
accompagnato diligente nella mia ultima missione a Trento. Cercai di richiamare
alla mente i resti della casa del vetraio con quella miriade di schegge
colorate disseminate sul pavimento in romanissimo cocciopesto non pensando agli
strali gelati di quel vento malefico e soprattutto agli sguardi incuriositi di
quell’esemplare statuario che camminava accanto a me.
In grazia a qualche dio benevolo, gli stridii dei gabbiani che
volavano alti e il vocìo crescente dei turisti riempirono quei momenti di
silenzio imbarazzante. Mi misi in fila e presi un bel respiro, ero in vacanza:
non mi dovevo distrarre.
Ma quel profumo era sempre dietro di me a ricordarmi che le
distrazioni a volte fanno bene.
Mi raddrizzai ancora di più e cercai di non pensare a nulla che non
fosse la vacanza, le escursioni, il viaggio, il mare.
L’ingresso sul ponte principale della Diadema fu spettacolare. Altro
che navi traghetto: qui tutto era
immenso e luminoso. Luci, luci ovunque, dosate con equilibrio su una
tavolozza che virava dal rosso all’azzurro e al verde. Un albero di Natale,
alto almeno un paio di metri troneggiava a pochi passi dalla zona dove un
fotografo sorridente con tanto di cappellino rosso e pon pon bianco d’ordinanza
scattava le foto di rito dell’imbarco.
Feci pochi, timidi passi e intravidi lo scalone centrale il cui
corrimano era un tripudio di nastri rossi e rami verdi di pino. Ogni mio
respiro era accompagnato dalla voce baritonale di Michael Buble. Ero davvero
abbagliata. Mi sfuggì un ansito di stupore.
“E’ quasi disorientante, vero?” Senza pietà, la voce dell’Apollo mi
fece tornare in me.
Sobbalzai al sentirla così vicina, mi voltai di scatto e lo vidi a
pochi centimetri dal mio viso. Riuscii ad indovinare la scaglie oro in quegli
incredibili occhi verdi. Quella sua vicinanza ebbe il potere di disorientarmi,
sentii serrare un nodo in gola, nemmeno fosse stato quello di Gordio, tagliato
da Alessandro Magno con una spada. In quel giovane uomo c’era qualcosa che mi
faceva perdere il controllo della mia essenza più profonda. Era pericoloso,
forse.
Sbattei le palpebre un paio di volte. No. Non dovevo farmi incantare
in quel modo. Richiamai alla mente le immagini del mio ex fidanzato e un grumo
di rabbia mi chiuse lo stomaco. Ecco un altro uomo che mi avrebbe costretto a
scegliere, mi dissi facendo leva sul mio orgoglio. Meglio sola. Nessuna
complicazione, di nessun tipo, ripetei nella mente. Cercai di mostrarmi
disinvolta tirando le labbra in quello che, nelle mie migliori intenzioni,
sarebbe dovuto essere un sorriso.
“Già, ma non è la prima volta che viaggio in nave” osservai, glissando
sul fatto che le altre esperienze erano state su bagnarole rispetto alla
meraviglia su cui mi ero appena imbarcata.
L’Apollo, cioè Andrea, finse di non cogliere il tono piccato della mia
risposta e mi chiese a quale ponte si trovasse la mia cabina. A quel punto la
dea Fortuna intervenne e fece sì che per la mia pace mentale fossimo assegnati
a due ponti differenti, posizionati agli estremi opposti della nave. Avevo
buone speranze di non incontrarlo più, conclusi, alzando una mano mentre le
porte scorrevoli dell’ascensore si chiudevano. La sua ultima azione fu il gesto
cavalleresco di lasciarmi l’unico posto libero su uno dei numerosi ascensori a
vetri e la sua mano che stava passando nei capelli corti.
Il suo sorriso devastante fu l’unico ricordo che decisi di portare con
me. Avrei fatto di tutto per non rivederlo, decisi.
Allungai il collo per ammirare un simpatico Babbo Natale che stava
facendo il suo ingresso, ormai sotto di noi, al centro della pista da ballo in
tek del ponte centrale.
Devo ammettere che fu un’esperienza indimenticabile, il mare, il
vento, il profumo della salsedine e la pace profonda della navigazione mi
diedero l’impressione di essere rinata. Ogni giorno riuscivo a scovare un
angolo diverso dove rintanarmi dopo le escursioni che avevo deciso di effettuare.
Una volta la sdraio accanto alla colonna colorata di giallo della
piscina su cui si spandevano benevoli raggi di sole filtrati da una copertura
mobile di vetro trasparente; un’altra volta la poppa della nave a fianco di uno
dei numerosi alberi di Natale dai tradizionali colori vivaci. Quei momenti in
cui mi immergevo in un romanzo piuttosto che in un saggio di archeologia mi
permettevano di viaggiare con la mente. Un viaggio nel viaggio, avvolta da
un’atmosfera unica come quella delle feste di fine anno e benedetta da un mare
quasi sempre calmo e un cielo limpido. Il mio desiderio di bambina si era
avverato, dopo tutto.
Ad essere sinceri, qualche volta mi sembrò di intravedere l’Apollo ma
preferii osservarlo da lontano. Gustavo la mia libertà ed era tutto ciò che
desideravo in quel momento.
La notte di Natale fu spettacolare: in un tripudio di luci e colori,
passai dal teatro ad una delle sale da ballo, osservando i visi felici e
rilassati di chi viaggiava con me e condivideva la mia stessa esperienza. Anche
le trite e ritrite musiche natalizie che a casa faticavo a sopportare dopo
averle sentite qualche volta, qui erano la cornice ideale a rami di vischio,
nastri rossi e orpelli vari che decoravano ogni angolo della nave. Quella
vacanza era stata necessaria. Tra me e me, ammisi che Cicciobello aveva avuto
una bella idea. Il fatto che viaggiassi da sola mi permetteva di essere del
tutto indipendente e libera da ogni vincolo. Scoprii una volta di più che non
mi pesava affatto, anzi: era un motivo di soddisfazione.
L’ultima sera trovai il giornale di bordo con le indicazioni per lo
sbarco dell’indomani. La certezza di dovermene andare mi colpì come una
frustata. Senza accorgermene, all’idea di lasciare quel bel mondo associai
l’immagine dell’Apollo dagli occhi verdi incontrato poco prima dell’imbarco. Il
cervello mi diceva di non pensarci più, ma, come al solito il cuore e lo
stomaco facevano le bizze. Non erano d’accordo, loro. Alla fine decisi di
tacciarli, occupandomi d’altro.
Pur non amando la vita mondana, gli abiti lunghi e i tacchi a spillo,
avevo deciso di fare uno strappo alla regola per la sera della cena con il
capitano. Mi vestii con l’unico abito elegante che mi ero portata, lungo e
scollato, di uno splendente grigio con inserti rossi che ben si addiceva alla
mia carnagione e ai miei colori così… mediterranei. Mi sfuggì un sorriso al
pensiero di quella volta in Marocco dalle parti di Volubilis, quando una guida
del posto aveva chiesto a Marco, il mio collega, a quale tribù appartenessi.
Raccolsi i miei capelli ricci lasciando libera solo qualche ciocca
ribelle. Non potevo essere davvero perfetta, non era la mia natura. Calzai un
paio di sandali argento, esageratamente alti per i miei gusti, ma ormai non
avevo scelta. Feci un respiro e uscii. Mi aspettava una bellissima ultima
serata, mi dissi, mentre mi avviavo verso il salone centrale di uno dei ponti
più in alto. Mi affacciai per un istante dalla vetrata, il velluto nero del
mare rifletteva le luci della nave, ammantata dal buio freddo della notte. Una
falce di luna splendeva discreta e silenziosa in angolo. Credo che fu il
momento più bello della mia vacanza. Lo struggimento della partenza imminente
che non è ancora divenuto realtà, il piacere e la consapevolezza di avere
vissuto momenti sereni, comprendendo che quello era il posto in cui avrei
voluto essere in quel momento. Mi strinsi nello scialle nero e un lieve sorriso
agitò le mie labbra, avevo già capito tutto a 9 anni, pensai.
Musica, un sottofondo delicato di voci, luci e penombre. La cena del
capitano non poteva non essere che perfetta. Al tavolo dove ero stata assegnata
c’era una coppia di anziani della zona di Milano che avevano deciso di
regalarsi una vacanza. Avevamo fatto subito amicizia. La signora Nilde
ricordava mia nonna, capelli bianchi e spirito pratico. Lui, Liborio, burbero
per dovere ma con un cuore grande quanto la nave su cui viaggiavamo.
“Allora, cara,” mi chiese la signora,”ti è piaciuta la vacanza?” La
mano solcata da sottili vene azzurrine a toccare con noncuranza il raffinato
centrotavola con candela rossa e verdissimi rami di pino.
Alzai un sopracciglio, sapevo che prima o poi qualcuno mi avrebbe
costretta a fare un esame di coscienza. Tanto valeva farlo adesso e non
pensarci più.
“Direi di sì. E’ stata una navigazione tranquilla. Forse il mio capo
aveva ragione quando mi ha consigliato di staccare la spina e fare una
crociera.”
“Senta, so che non dovrei essere così curiosa, ma me lo chiedo da
quando si è seduta davanti a noi con quello splendido sorriso...” Un’occhiataccia
del marito mi fece intuire dove volesse andare a parare. “Non ha trovato
nessuno con cui condividere questo periodo di svago?...” Intercettò lo sguardo
di Liborio e corresse il tiro. “Un’amica, un parente...”
Prima che me ne rendessi conto le mie labbra si erano già allargate in
un sorriso sincero. Quella donna mi faceva davvero sentire a casa. Posai il
tovagliolo in grembo più per abitudine che per prendere tempo.
“Ho scelto di viaggiare da sola per avere un po’ di spazio per me. Ho
molte amicizie e anche un buon numero di parenti simpatici ma avevo davvero
bisogno di solitudine e ho capito di avere fatto la scelta giusta quando vi ho
conosciuti. Se avessi avuto compagnia come avrei potuto apprezzare le persone
che hanno viaggiato con me?”
Liborio intervenne con i suoi baffoni grigi che si muovevano ad ogni
respiro, “Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Si lascia un po’ di
sè e si porta via un po’ di noi...”
“C’è chi si sarà portato via molto ma non ci sarai mai chi non avrà
lasciato nulla.” conclusi. “Borges è uno dei miei scrittori preferiti.”
Mentre il cameriere portava il piatto degli antipasti Liborio guardò
la moglie con un sorriso affettuoso, “... E questa è la prova evidente che due
anime non si incontrano per caso.”
Il vento era freddo e salato. Il mare, divinamente calmo, faceva bene
alla mia anima. Dopo cena ero uscita all’aperto, volevo prendere un po’ d’aria.
Avevo trovato un angolo tra una panca di legno e una rientranza della parete,
abbastanza protetto per poter resistere qualche minuto con l’unico riparo dello
scialle e del cappotto sopra l’abito di gala. Stare da sola mi aveva fatto
bene. Mi sentivo rigenerata, desiderosa di affrontare nuove sfide. Il buio del
cielo, mischiato con quello liquido del mare, mi comunicava una grande pace.
Pensai che avrei voluto farne parte, in quel momento.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo il profumo della salsedine. D’un
tratto, mi sentii avvolta da un aroma familiare, qualcosa che avevo già sentito
e che mi suggeriva sensazioni contrastanti in fondo all’anima. Aprii gli occhi
nell’esatto momento in cui quella voce prese a parlare con un tono basso e
gradevole.
“Anche a me non piace molto la confusione. Il dio del mare deve essere
onorato con il rispetto e il silenzio.”
Mi voltai di scatto, ma cozzai contro un muro di solidi muscoli. Alzai
lo sguardo e, nella penombra degli eleganti lampioni che chiazzavano di luce
calda il ponte, riconobbi subito il bel ragazzo dagli occhi verdi con cui mi
ero scontrata una settimana prima. In nessun modo volevo dimostrare la mia
sorpresa, cercai di sembrare disinvolta. Mi spostai un po’ a destra nella
speranza di mettere tra me e quell’esemplare di maschio un refolo d’aria. Ma
incontrai un tronco che finiva con la sua mano appoggiata alla ringhiera del
parapetto.
Spazientita, decisi che forse con le parole avrei ottenuto qualche
cosa, “Ma... dove eri finito? Credevo che qualche tritone ti avesse divorato.”
Rabbrividii, non so se per il freddo o per il suo sguardo così cupo. Gli occhi
di un verde così profondo da temere di vederne il fondo. Eppure una parte di me
era curiosa di sapere cosa ci fosse nell’anima di quello splendido sconosciuto.
Nella penombra vidi brillare una chiostra di denti bianchi, chissà
perchè mi ricordarono il lupo di quella famosa foresta germanica. Il sorriso fu
accompagnato da un suono basso e prolungato, più simile ad un ringhio che ad
una specie di risata.
Scoprii che mi divertivo a prenderlo in giro. “No. Aspetta: forse il
tritone ti ha mangiato solo la lingua. Sono esseri terribili, metà pesce e metà
umani, tutti coperti di verde. In realtà è una divinità di origine fenicia...”
Qualcosa di morbido atterrò sulle mie labbra, simile ad un petalo di
rosa che si appoggia sull’erba. Il mio cuore si rifiutò di ascoltare il cervello,
obbligando il mio corpo a rimanere immobile. Forse era davvero quello che
volevo. Fu un bacio tenero, come se lui aspettasse una risposta da me. Lo
apprezzai molto. Che sapesse leggermi nel pensiero?
Si ritrasse appena, lo spazio di un respiro. Più che vederli, sentii i
suoi occhi su di me, una carezza per la mente prima che per il corpo.
Mi appoggiai alla balaustra, il freddo del metallo mi restituì un
minimo di lucidità. Riuscii a guardarlo in modo interrogativo.
Lui alzò le spalle larghe, fasciate da una giacca nera dal taglio
perfetto: “Era l’unico modo per farti tacere.” Si avvicinò di nuovo, “Ora
ascolta: ti ho osservato per tutta la crociera. Lo sbarco a Marsiglia, quando
hai fatto compagnia a quella donna con il bambino piccolo e avete vagato per le
bancarelle del Vieux-Port.”
“Conosco bene Marsiglia, so quanto sia suggestiva nel periodo
natalizio. Perché negarle il piacere di un pomeriggio sereno? Il marito aveva
deciso di non sbarcare… cosa si è perso”, sbuffai.
“Oppure a Palma quando sei riuscita a contraddire la guida a proposito
della cattedrale di Santa Maria.”
“Non ha detto che sotto l’impianto arabo probabilmente c’è un tempio
romano. E poi le ho parlato in spagnolo, in modo educato. I fedeli in preghiera
davanti quel monumentale presepe non si sono accorti di nulla.”
“E quando siamo arrivati a Cagliari? Hai passato tre quarti della
giornata tra l’anfiteatro e la villa di Tigellio, mentre la guida scortava
tutti gli altri nel centro storico con quell’enorme albero di Natale in Piazza
Costituzione.”
“L’attribuzione della villa a Tigellio Ermogene è errata. Non sono mai
stata a Cagliari, quale occasione migliore per colmare una lacuna sullo stato
dei lavori di scavo in città? Lo shopping non mi interessa.” Sentenziai.
“Alla Valletta hai cominciato a sproloquiare sui dipinti di
Michelangelo nell’oratorio della Cattedrale.”
“E’ la Concattedrale, ad essere precisi.”
“Nel Pantheon nonostante alberi, presepi e musica in tema natalizio,
sembravi in adorazione di qualcuno visibile solo a te, forse ti era apparso
Giulio Cesare in persona?”
“Magari fosse stato così” sospirai.
Inutile, non volevo dargliela vinta. Presi un respiro e attesi la
critica successiva. Era una specie di battaglia e a me le sfide sono sempre
piaciute.
Scosse la testa, sorridendo. “Sei unica” mormorò forse a se stesso. Ne
approfittai per prendere in mano la situazione.
“Deduco di essere stata seguita, ti posso denunciare per stalking.”
“Il bacio è piaciuto anche a te e non lo puoi negare” aggiunse con una
punta di sfida negli occhi, evitando volutamente la mia minaccia.
Ringhiai di rabbia. Come poteva leggermi dentro in questo modo?
“Giulia, non hai ancora capito che volevo conoscerti davvero? I tuoi
capelli ricci, i tuoi occhi scuri, l’eleganza innata che possiedi mi hanno
colpito, è vero...”
“Quasi quanto la capocciata...”, lo interruppi, ma confesso che in
quel momento maledii la mia lingua indomabile.
“Ma quello che ho visto in questi giorni è l’anima di una giovane
donna gentile, altruista e caparbia.” concluse, come se non lo avessi mai
interrotto.
Sospirai incrociando le braccia, il cappotto si aprì facendo
intravedere la pelle nuda della scollatura e la stoffa tesa dell’abito, Andrea
non fece nulla per nascondere il suo sguardo sul mio corpo.
“Tu non sai nulla di me e io non so nulla di te. Ti ho intravisto una
settimana fa.” Ripartii alla carica, non mollare. Mai.
“Sono un cardiochirurgo e lavoro all’ospedale di Pavia. Salvo le vite
delle persone. E’ la mia gioia più grande pensare di offrire un’altra
possibilità a chi arriva senza speranza. Soprattutto se sono bambini.”
Per poco non mi cadde la mascella. La mia rabbia era scomparsa,
soffiata via dal vento impetuoso delle sue ultime parole. Anche l’ultimo
baluardo di buon senso o, forse, di ostinazione era stato abbattuto da quel
giovane uomo con disarmante facilità.
Mi ritrovai a parlare ascoltando le parole che uscivano dalla mia
bocca, quasi senza rendermene conto.
“Il mio amore per l’antichità è simile al tuo, anche io faccio
rivivere ciò che sembra muto per sempre.” Avrei voluto almeno usare un tono
inquisitorio e minaccioso, e invece suonarono come una resa.
Ancora una volta mi diedi della stupida. Non volevo cedere a quello
che il cuore andava dicendomi da quando l’avevo incontrato una settimana prima.
Non dovevo fidarmi: “Chi mi dice che sei davvero ciò che dici di
essere?” chiesi, sperando in una sua esitazione.
Lui armeggiò con il telefono che aveva estratto da una tasca degli
eleganti pantaloni scuri dello smoking. Mi parò davanti una schermata con il
suo nome, cognome, titoli di studio, master, iscrizione all’albo dei medici di
Milano, specializzazione in cardiochirurgia e impiego al San Matteo di Pavia.
La luce azzurrata dello smartphone squarciò il buio intorno a noi come fosse un
colpo di spada.
Un sorriso divertito si dipinse sulle sue labbra espressive.
“Scusami...” cercai di giustificarmi. “Ma come potevo davvero essere
certa delle tue parole? Sei uno sconosciuto...”
Lui si avvicinò, “Non più. Da quando ti ho visto lasciare il trolley
facendo voltare tutti i presenti, ho capito che eri speciale. Ti ho anche
liberato della presenza di quel tipo invadente a Cagliari.”
Mi misi una mano gelata sulla bocca, “Eri tu allora che lo hai fatto
sparire dietro a quel vicolo...”
“E alla Valletta ho fermato la guardia della cattedrale, con una scusa” – aggiunse, sollevando una mano dal palmo quadrato – “prima che venisse
a buttarti fuori.”
Alzai lo sguardo timorosa, l’unica cosa positiva in quel momento era
la penombra che nascondeva il mio rossore sulle guance. Stavo cedendo come le
mura di Costantinopoli sotto il tiro dei cannoni turchi. Da qualche parte, una
voce mi suggerì che era proprio quello che volevo.
“C’è dell’altro?” chiesi, cercando di concentrarmi sul suo volto.
Inutile, nella penombra era ancora più affascinante.
“Nel Pantheon eri bellissima, ti ho immaginata con indosso una tunica
e una stola e, secondo me, eri davvero a colloquio con Giulio Cesare.”
Sorrisi per davvero questa volta.
Ma non potei fare a meno di puntualizzare: “O tutto o niente.” Dissi
seria. “Scavare è la mia vita.”
“Lo so”, la sua presenza, ancora più vicina. Ormai il suo alito alla
cannella mi sfiorava le guance. “A me non piace molto la confusione, preferisco
la tranquillità della suite per la cena. Invece nonna Nilde e nonno Liborio sostengono
che cenare al ristorante permetta di fare incontri interessanti. Forse questa
volta avevano ragione loro.”
Un singulto di sorpresa, coperto forse dall’infrangersi delle onde
sullo scafo della nave, mi salì dalla
gola. Il cuore mi martellava in petto, mi sentivo accerchiata dal Fato. Ma era
una sensazione positiva.
Lui proseguì, “Mi hanno raccontato di avere avuto al loro tavolo una
ragazza speciale, un’archeologa dal sorriso affascinante e dai capelli ricci e
indomabili. E no. Non farei mai nulla che potesse farti soffrire.”
Lo confesso: mi gettai tra le sue braccia e mi persi in quegli occhi
verdi foresta. Da qualche parte, ne ero certa, quel discolo di Cupido rideva
insieme a suo zio, il dio del mare.
Fine
Camilla Ferri è nata il primo marzo 1972. Abita da sempre in un
piccolo paese della provincia di Novara, affacciato sulla pianura padana e
ricco di storia. Forse questo è stato uno dei motivi che l’hanno spinta ad
amare la Storia e a laurearsi in Lettere Classiche all’Università di Torino.
Con il marito e la figlia viaggia spesso, soprattutto in Italia, alla ricerca
di angoli nascosti da riscoprire, perché il desiderio di imparare è per lei
fondamentale. Dopo una serie di impieghi differenti, insegna con grande
soddisfazione in una scuola secondaria. A volte si lascia prendere dalla
fantasia e scrive racconti e romanzi perlopiù ambientati nel mondo antico,
gelosamente custoditi nel suo pc. Si diletta a fare editing per amore della
scrittura e delle sue amiche.
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:D Profondo, Ironico, Invogliante a viaggiare, Divertente e Romantico :-* L' Autrice é stata DAVVERO BRAVVISSIMA : le auguro ogni bene ;)
RispondiEliminaGrazie infinite e buone feste
EliminaIl racconto è molto intrigante e avvincente, mentre i personaggi sono molto realistici. La novella è ben scritta e la trama è scorrevole. I riferimenti alla mitologia classica sono stati un'ottima idea: i rimandi al mondo greco e romano sono quelli che mi hanno affascinato di più.
RispondiEliminaGrazie mille?
EliminaLeggendo questo racconto mi sono immedesimata nella protagonista. Un viaggio che avrei voluto fare da ragazza
RispondiEliminaSono felice di averti fatto viaggiare almeno con la fantasia. Buone feste
EliminaSono contenta che ti sia piaciuto. Buone vacanze
EliminaBellissimo racconto .. vorrei essere al posto del protagonista .
RispondiEliminaComplimenti all'autrice che per un attimo mi ha fatto sognare .. un emozione veramente unica
Un bel regalo di Natale grazie Camilla spero di leggerti ancora
Grazie mille e buone feste
EliminaRacconto scorrevole e avvincente, ricco di riferimenti alle passioni dell' autrice, che ho la fortuna di conoscere personalmente: la storia antica e i viaggi per terra e per mare. Attraverso questo scritto, Camilla ci mostra uno spaccato della sua personalità colta, sensibile, romantica e ammantata da un pizzico di mistero...Buon cammino nell'affascinante mondo della scrittura creativa!
RispondiEliminaTi sono grata per le belle parole e per il tuo sincero augurio
EliminaGran bell'esordio per questa autrice colta, sensibile e raffinata. Un incontro insolito e stuzzicante con un uomo molto interessante. Complimenti.
RispondiEliminaGrazie mille!
EliminaAffascinanti gli elementi storici che intersecano elegantemente il racconto come un ricamo sulla seta cangiante delle parole di Camilla,musicali e immaginifiche. Ottimo lavoro
RispondiEliminaGrazie mille, Gabriella e buone feste
EliminaBellissimo racconto! Mi è venuta voglia di una crociera. :) Meravigliosi i riferimenti storici e le descrizioni. Giulia è un personaggio che è impossible non amare!
RispondiEliminaNora June
Grazie infinite!
EliminaLungi da me criticare i pareri altrui, ma trovo veramente eccessivo definire i personaggi ralistici.Una giovane archeologa che per le vacanze di Natale sceglie di partire da sola per una crociera dove incontra un aitante cardiochirurgo single in vacanza con i nonni a me sembra fantascientifico! Il racconto è un po' contorto, zero dialoghi, troppe spiegazioni, citazioni mitologiche sparse un po' a caso. È solo il mio parere ma pur trovando lo spunto per la storia carino, non ho apprezzato il modo in cui la brevità del racconto è stata gestita dall'autrice :-(
RispondiEliminaMi spiace che il mio racconto non ti sia piaciuto. Magari il prossimo ti piacerà. Buone feste a te
EliminaRacconto appassionante letto tutto d'un fiato! Come al solito le citazioni e i riferimenti storici lo rendono prezioso, pur mantenendo il suo carattere volutamente leggero e romantico. Brava Camilla!
RispondiEliminaBellissimo racconto che rivela la sensibilità e la profonda cultura classica della sua autrice. Una favola moderna che rieccheggia i miti antichi. Complimenti.
RispondiEliminaMi è piaciuto molto !!! Complimenti
RispondiEliminaGrazie infinite, Marina e buone vacanze
EliminaRacconto interessante.
RispondiEliminaAi personaggi non manca certo l'autostima, caratteristica che ho incontrato in molte persone reali, ma più difficile da attribuire ai protagonisti che di solito vivono conflitti interiori importanti. Per questo apprezzo la capacità e il coraggio di rappresentare caratteri diversi.
I riferimenti storici mi sono piaciuti, anche se a mio parere sono troppi in un racconto breve, racconto che vedrei molto bene come spunto per un romanzo o una serie di romanzi, dove le nozioni archeologiche potrebbero essere sviluppate e diventare parte di un'avventura, e perché no, di nuove scoperte. Camilla Ferri promette bene e grazie alle sue conoscenze può scrivere grandi cose. Complimenti!
Grazie infinte! Chissà che non metta in pratica i tuoi suggerimenti. Buone feste!
EliminaGrazie per aver condiviso la parte ancora nascosta. Ben scritto ed ambientato. Giulia mi è molto simpatica e vorrei saper vivere la solitudine e l'indipendenza con lo stesso spirito. Spero che ci sia un seguito....
RispondiEliminaGrazie infinite! Un abbraccio
EliminaIl racconto è scorrevole, ben scritto e di piacevole lettura:una pausa ideale nello stress della vita quotidiana.
RispondiEliminaE' proprio lo spirito con cui l'ho pensato e l'ho scritto. Grazie
EliminaMi sono piaciute le similitudini storiche e i vari riferimenti, ma secondo me sono un po' troppe. Ci sono più riferimenti mitologici/storici/ecc.. che non scambi di battute con il lui di turno. Manca qualcosa, secondo me, però il potenziale c'è tutto.
RispondiEliminaGrazie per il tuo commento. Lo so... devo ancora migliorare
EliminaComplimenti...il racconto mi è piaciuto molto e l'ho letto tutto d'un fiato.
RispondiEliminaGrazie Annalisa
EliminaMi è piaciuta l'ambientazione e in generale il racconto. La protagonista è molto indipendente e decisa a starsene per conto suo, perciò, in un racconto così breve, le interazioni con il suo lui sono state poche.
RispondiEliminaMi sono piaciute le brevi informazioni sui luoghi visitati e i riferimenti alla storia. Trovo anch'io che questo racconto sia solo una stuzzicante anticipazione di una storia che ha bisogno di un più ampio respiro.
Buon proseguimento,
E.
Grazie infinite
Eliminaracconto molto carino ricco di rimandi al mondo antico adattissimo per il periodo delle feste dove ognuno puo' viaggiare se non con il corpo almeno con la fantasia.brava Camilla Ferri.Elisabetta
RispondiEliminaGrazie mille, Elisabetta
RispondiEliminaGrazie per questa crociera. Nel racconto ho trovato citazioni che mi hanno fatto rivivere momenti magici lontani nel tempo. A parte ricordi e nostalgie, il racconto avrebbe meritato più spazio ma va bene anche così. Ciao!
RispondiEliminaracconto molto dettagliato dal punto di vista storico,
RispondiEliminacosa che ho apprezzato molto. i protagonisti però non li ho capiti molto, questa indifferenza durante la crociera non mi è piaciuta, avrei preferito che in qualche modo ci fosse stata un po' più di interazione, perchè altrimenti come fanno in lei a emergere i sentimenti nei confronti di lui? una cosa che non capisco è perchè è così importante per lei che lui si una cardichirurgo e solo dopo che l'ha scoperto gli ha dato una possibilità!! il finale mi è piaciuto molto!