“Chi va là?!” Chiese con voce
tremante. La luce del soggiorno illuminava debolmente le scale che scendevano
fino all’ingresso. Un gigante, non c’erano altre parole per descriverlo, le
dava le spalle guardando verso la porta. Si girò molto lentamente e una risata
sommessa e profonda la accolse.
“Mi stai minacciando con una padella?
Su serio?” Chiese divertito l’intruso. Non riusciva a vedere bene nella penombra
ma le sembrava di conoscerlo.
“Nei film di Bud Spencer funziona… e
tu sei un gigante! Cos’altro dovrei fare?” Replicò stizzita Sara. “E nell’altra
mano ho il telefono!” Si affrettò ad aggiungere: “Dimmi cosa stai facendo in
casa mia o chiamo la polizia!”
“Mi sto nascondendo. Dei paparazzi mi
inseguono e non mi danno tregua da giorni. Sono sfinito. Voglio solo un po’ di
pace e potermene tornare al mio hotel senza essere stressato da domande idiote
su…”
“Sali un paio di gradini, lentamente,
voglio vederti in volto.” Lo interruppe lei. Il gigante si mosse piano, con
eleganza e quando entrò nel cono di luce della lampada, Sara poté vedere il
volto abbronzato dell’invasore, il mento deciso, le labbra piene tirate e
piegate leggermente all’insù come a trattenere un sorriso, il naso diritto e
gli occhi verdi che brillavano divertiti e la scrutavano con calma, la fronte
rilassata sotto i folti capelli biondo scuro.
“Ti stanno inseguendo, dici?” Chiese
appena si fu ripresa dallo shock di essersi ritrovata con una divinità nordica
sul pianerottolo di casa.
“Guarda fuori dalla finestra, sono
ancora qui che girano, quei maledetti” suggerì Thor a bassa voce.
“Stai lì dove sei” intimò lei: “non
muovere un muscolo!”
Il gigante sollevò lentamente entrambe
le braccia in segno di resa e sorrise: “non mi muovo di qui, capitano”.
Sara fece un paio di passi
all’indietro e andò a vedere alla finestra. Quattro o cinque uomini con delle
macchine fotografiche enormi si aggiravano per la via come a fiutare la preda.
Tornò da Thor e gli ordinò: “D’accordo, mi hai convinta. Sali, togliti la
giacca e siediti pure al tavolo. Vado a preparare un tè. O preferisci un
caffè?”
“Un tè, per favore. Sono mezzo
congelato. Sono quasi sicuro che stia per nevicare di nuovo.”
Il gigante salì le scale, sempre con
le braccia alzate e un sorriso spavaldo incollato alla faccia.
“Oh, per piacere, puoi abbassare le
braccia! Quante storie!” Sbuffò Sara.
“Sarai anche un folletto, ma sei ancora armata.” Fece lui fingendo di essere serio.
Sara lo guardò confusa per un secondo
prima di accorgersi di stare ancora brandendo la padella che aveva afferrato
d’istinto quando aveva sentito la porta d’ingresso aprirsi e scoppiò in un riso
nervoso. “La metto via, scusami. Mi sono spaventata quando ho sentito aprire la
porta.”
“Nessun problema.” Disse Thor salendo
le scale e togliendosi la giacca.
“Dove stai andando?” Chiese lei
allarmata quando le passò davanti.
“Ad appendere la giacca. Dan non
tollera il disordine e le mette sempre via in quell’armadio.” spiegò l’uomo
indicando il guardaroba di legno antico sul fondo della stanza.
Senza parole Sara andò in cucina e
accese il bollitore elettrico. Il gigante la seguì e si sedette su uno sgabello
dall’altra parte dell’immensa isola con il top di granito scuro. Dan aveva una
cucina da sogno. Grande, spaziosa, super-attrezzata. Aveva persino i fornelli a
gas, cosa ben rara a Londra, e la moka Bialetti che gli aveva regalato lei per
Natale due anni fa. Aveva anche una macchina da caffè da fare invidia a un bar,
ovviamente. Il suo amico chef non poteva vivere senza caffè, pensò con
tenerezza.
Thor la studiava con calma, sembrava
che si stesse godendo quel momento di pace a cui diceva di anelare tanto.
Dopo qualche istante le chiese con
voce profonda e sommessa: “Allora? Hai deciso se chiamare la polizia?” E rise
nuovamente.
“Dipende da come ti comporti” rispose
quasi infastidita.
“Sarò un bravo ospite, lo prometto. Da
quanto conosci Dan?”
“Da sempre.” rispose Sara con
sincerità. “Siamo cresciuti insieme in un paesino sulle Alpi, abbiamo
frequentato lo stesso asilo, le stesse scuole… poi io sono andata
all’università e lui si è lanciato nel mondo della cucina.”
“Dan è un cuoco fenomenale.” Confermò
Thor. E dopo una pausa aggiunse stupito: “non vuoi sapere come lo conosco?”
“Hai le chiavi di casa sua. Dan mi ha
avvisato che un suo amico americano era in città e che ogni tanto viene a stare
da lui e -testuali parole- a mettergli in disordine tutta la cucina.”
Quella che accolse le sue parole non
fu una risata ma un rombo profondo.
“Dan è un ingrato! Cucino le lasagne
migliori del West!” Esclamò mettendosi una mano sul petto come se fosse stato
colpito a morte.
“E va bene, John Wayne, con questa
affermazione ti sei ufficialmente guadagnato il diritto di usare questa casa
come rifugio ogni volta che vuoi.” Rispose ridendo Sara.
“Ti piacciono le lasagne?” Chiese
stupito Thor.
“E a chi non piacciono? Sono calde,
soffici e parlano di casa e di domeniche passate in famiglia.” Spiegò lei con
semplicità.
“Tu sei la donna perfetta, lo sai?” La
informò Thor.
“Sì, come no? Mi sa che questa
informazione non è arrivata al resto della popolazione maschile.” commentò
asciutta la ragazza.
Thor la soppesò per un momento ma non
disse nulla.
“Senti, Tho..” Sara si accorse troppo
tardi dell’errore.
Un ghigno soddisfatto la accolse: “Mi
stavi per chiamare Thor!”
Perfetto. Ora sapeva cosa voleva dire
il detto “arrossire fino alla punta dei capelli”.
“Non conosco il tuo nome e tu sei un
gigante biondo, come altro dovrei chiamarti?”
“Thor era un dio.” Fece il gigante con
aria compiaciuta. “Aspetta, cosa vuol dire che non conosci il mio nome?”
Sembrava esterrefatto.
“Significa che oltre a entrare di
soppiatto in casa, non ti sei nemmeno presentato, per cui non so come ti chiami.”
Spiegò con calma lei versando il tè in due tazzine di porcellana a fiori.
Quando gliene passò una si ritrovò a sorridere. Sembrava minuscola e fragile
tra mani di quell’omone. Mani enormi, tra l’altro, attaccate a braccia
gigantesche e bicipiti così larghi che due sue mani non sarebbero bastate a
circondarli. Si ritrovò a chiedersi come ci si senta ad essere abbracciati da
braccia del genere. Male, ti verrebbe un attacco di panico, si sgridò.
Dalla luce divertita che danzava nei suoi occhi verdi e striati di nocciola - maledizione,
Sara, riprenditi! - era chiaro che aveva colto la direzione dei suoi
pensieri. Ma se anche fosse, si comportò da gentiluomo e non commentò.
Piuttosto posò la tazzina e le chiese con curiosità: “mi stai dicendo che tu
non hai idea di chi io sia, ma siccome avevo le chiavi di casa di Dan sei
tranquilla e mi offri un tè così come se niente fosse? Folletto! Potrei essere
un serial killer con un doppione delle chiavi! Potrei essere una persona
orribile e…”
“Ho detto che non conosco il tuo nome,
non che non so che tipo di persona tu sia.” Lo interruppe Sara impaziente.
“Conosci il temine mansplaining? Ecco, ne hai appena dato una dimostrazione
esemplare.”
“Ti chiedo scusa, folletto. Per il
mansplaining. Sono sicuro che tu ti sappia difendere bene da sola e valutare i
rischi senza bisogno che un Thor qualunque ti faccia una ramanzina.” Disse il
gigante con fare contrito. “Dimmi come fai a sapere che tipo di persona sono
senza conoscere il mio nome.”
“Ti ho visto ieri sera.” Rispose
semplicemente Sara. “Avevo avuto una giornata pesante: il volo alle 7, il
treno, la corsa in università per dare un talk e poi finalmente sono potuta
venire qui da Dan. Sono a Londra in vacanza per due settimane per le feste di
Natale. Non ho preso ferie per quasi tre anni e avevo bisogno di una pausa.” Si
ferma a prendere fiato: “Non so perché ti sto dicendo queste cose… tutti vanno
in vacanza, io ho deciso di prendermi un mese di pausa e… non importa. Ero
appena arrivata e avevo appena preparato un tè quando mi sono avvicinata alla
finestra e ho visto una bimba sola nella neve sotto un lampione piangere
disperata. Stavo per correre fuori a chiederle cosa ci fosse che non andava
quando sei passato tu con altri due uomini, ti sei fermato e ti sei abbassato
sulle ginocchia per guardarla negli occhi. Hai fatto un cenno ai tuoi
accompagnatori che se ne sono andati e sei rimasto con la bimba. Ti sei tolto
la giacca per assicurarti che stesse al caldo, hai fatto una chiamata con il
cellulare e dopo circa cinque minuti sono arrivati i genitori della bambina
correndo.” Il gigante le sorrideva, sottili linee intorno agli occhi, emanava
la calma di una persona che sta bene nella propria pelle.
“Quindi so che non sei un serial
killer e che non sei una persona orribile indipendentemente dal tuo nome.”
Concluse Sara.
“Potrei essere una persona orribile
che soffre a vedere una bambina in lacrime.”
“Hai ragione. Un duro con il cuore
morbido.”
“Sono molto duro.” Annuí con fare
serio. “Sono una divinità nordica, dopotutto.” E scoppiò a ridere. Una risata
potente, che ti coinvolge e ti fa sentire all’improvviso felice e leggera.
“Allora, folletto, vuoi rivelarmi il
tuo nome?”
“Mi chiamo Sara.”
“Piacere di conoscerti, Sara. Io
sono…”
“No, non dirmelo.” Lo interruppe
nuovamente Sara.
“Non vuoi conoscere il mio nome?”
Chiese perplesso Thor.
Sara lo guardò con dolcezza: “Prendila
come una garanzia.” La sguardo di Thor si fece corrucciato. “Se non conosco il
tuo nome, non posso dire a quegli sciacalli dove ti trovi.”
Il gigante si sciolse in un sorriso
travolgente: “Sei davvero la donna perfetta, folletto. Quegli sciacalli, come
li chiami tu, fanno solo il proprio lavoro, purtroppo.” Aggiunse con una nota
di amarezza.
“Non difenderli. Rovinare la vita alla
gente? Quello non è un
lavoro. Non riuscirai a convincermi del contrario. Ci sono un sacco di modi onesti per pagare l’affitto senza
inseguire divinità nordiche nel freddo dicembre londinese. Non offenderti ma
non ho intenzione di farti pensare che ti ho offerto riparo e un tè solo perché
sei qualcuno di famoso. Ti inseguono perché sei… famoso?” L’indecisione nella
sua voce era palpabile e il gigante chiese con voce sommessa “Tu non hai
proprio idea di chi io sia, vero?” Sembrava quasi che parlasse a se stesso e Sara
non rispose.
“D’accordo, folletto. Faremo come
suggerisci tu.” Disse poi a voce più alta. “Mi chiamano tutti per cognome e gli
amici… e a volte anche i paparazzi… usano un diminutivo del mio cognome per
chiamarmi. Cosa ne dici di usare il mio nome di battesimo? Altrimenti puoi
continuare a chiamarmi Thor, se preferisci. Fa di certo bene alla mia
autostima.” Aggiunse ridendo.
“Chissà come, ma ho l’impressione che
la tua autostima non abbia bisogno di aiuto.” Il rombo profondo della sua
risata la accolse nuovamente. “Ecco, come mi immaginavo. Ok, vada per il nome
di battesimo, Thor.”
Thor le fece l’occhiolino e disse:
“Puoi chiamarmi Nathan o Nate.”
“Nathan.” Ripeté lei testandolo. “E’
un bel nome.”
“Mi dispiace di esserti piombato in
casa così senza preavviso, Sara. Avevi dei piani per stasera? Non voglio
scombussolarti tutto.”
“A rischio di sembrarti patetica, no.
Nessun piano. Ieri sera ho preparato l’impasto della pizza e stasera volevo
cuocerla e collassare sul divano, ascoltare un po’ di musica, magari guardarmi
un film… Passano Triple X, l’avrò visto 500 volte ma lo riguardo sempre…”
Nathan spalancò gli occhi ed esclamò:
“i tuo piani per la serata consistono in pizza fatta in casa e un film con Vin
Diesel?”
“Ok, hai ragione, sono patetica. Ma
sono così stanca che proprio non mi va di fare nulla…”
“Donna perfetta, sposami!” Esclamò lui
con un sorriso a trentadue denti.
“Non se ne parla nemmeno. Ma puoi
farmi compagnia, se ti va.” Rispose ridendo lei.
“Aspetta, io ti dichiaro i miei
sentimenti con slancio e tu mi rifiuti così? Con sdegno? Guarda che sono un
buon partito, folletto! Non sono così male come mi dipingono.”
“Sei pericoloso, e lo sai anche tu. E
non mi vorrai dire che quella era una dichiarazione! Mettici almeno un po’ di
impegno!” Lo sgridò ridendo. Ma era seria. Tipi come Nathan non si incontrano
tutti i giorni. Era bello da svenire. Non era come i ragazzi con cui usciva di
solito. D’altronde, chi esce con uno come Nathan tutti i giorni? Era alto, con
due spalle così larghe da fare invidia a un armadio a quattro ante. La maglia
nera a maniche lunghe non nascondeva affatto braccia e torso. Era snello ma
solido, alto ma non allampanato. Ma quello che lo caratterizzava di più era che
la sua sola presenza cambiava l’atmosfera della stanza, la riempiva di gioia
pura e genuina. Il rombo della sua risata, la voce profonda e leggermente roca
e il sorriso che trapelava dal suo sguardo la rendevano allegra. Praticamente
un pericolo ambulante.
“Mi stai dicendo che non ti basta che
io mi dichiari?” Finse lo sconcerto più assoluto.
“No, John Wayne, non mi basta. Sarai
anche il pistolero più veloce del West,” e questa frase le guadagnò un’altra
risata potente “ma non sverrò ai tuoi piedi solo perché mi hai fatto l’onore di
una battuta.”
Gli occhi di Nathan brillavano
divertiti. “Ma non mi dire. Quindi non ho chances con te?”
“Temo di no, gigante. Non sei il mio
tipo.”
“E’ la prima volta che qualcuno me lo
dice.”
“C’è sempre una prima volta per tutto,
mi dispiace.” Rimarcò Sara.
“E chi è il tuo tipo, se posso
chiedere?”
“Non ho un tipo. E non ho intenzione
di averne uno nel futuro prossimo.” Qualcosa nel suo sguardo o nel suo tono
doveva averla tradita perché Nathan cambiò argomento quasi con eleganza.
“Allora, donna perfetta, dimmi che hai
della birra in frigo e dovrò concentrarmi su come convincerti a diventare mia.”
Sara annuí rigida: “La birra è in
frigo.”
Nathan la guardò con dolcezza e
sorrise prima di chiedere: “Posso aiutarti con la pizza?”
Sara era sempre stata orgogliosa della
propria ricetta. Aveva imparato a farla da sua nonna Nora a dieci anni e
l’aveva modificata piano piano fino a perfezionarla. La sua pizza veniva alta e
soffice perché la faceva lievitare in frigorifero per ventiquattro ore. La
pizza perfetta, diceva Dan.
Nathan si dimostrò subito abile ai
fornelli. Stese l’impasto con delicatezza, senza rompere le bolle, come se
stesse sprimacciando un cuscino di piume. Doveva essere per questo che era
amico di Dan. Non voleva troppi dettagli su di lui, non voleva scoprire chi era
per il resto del mondo. Voleva solo godersi la sua inaspettata e piacevole
compagnia per una serata.
Si sedettero sul divano con un piatto
di pizza fumante, stapparono un paio di birre gelate e iniziarono a guardare
Triple X.
“Confessa, folletto. Vin Diesel è il
tuo tipo.” Chiese Nathan a un certo punto posando il piatto sul tavolino e
prendendo un sorso di birra.
“Vin Diesel è il tipo di ogni donna
dotata di senno. E’ intelligente, ha senso dell’umorismo… altrimenti certi suoi
film non si spiegano… non se la tira e ha due spalle da impazzire.”
“Ah, ecco che facciamo qualche passo
avanti. Ti piacciono gli uomini con le spalle larghe, folletto?”
“Togliti quel sorriso spavaldo dalla
faccia, vichingo. Se è vero che Vin Diesel è il mio tipo, hai decisamente
troppi capelli.”
“Potrei sempre rasarmi a zero.”
Suggerì il gigante con fare imperturbabile.
“Non provarci nemmeno!” Esclamò lei
inorridita e, accorsasi della gaffe: “Oh cavolo, te l’ho servita su un piatto
d’argento, vero?”
Un sorriso da predatore gli si allargò
sul volto: “Ammetti che mi trovi attraente?”
“Neanche sotto tortura.” Ribatté lei.
“Oh, guarda, Vin Diesel! Non distrarmi, vichingo, potrei perdermi una battuta
essenziale.”
Lo sentì ridere sommessamente: “Come
preferisci, folletto.”
Rimasero così, in silenzio, a godersi
il film per un po’. Sara si ritrovò a osservare che non c’era nulla di strano o
imbarazzante nel trascorrere un momento cosÌ normale con un perfetto
sconosciuto. Nathan non aveva tutti i torti a considerarsi attraente. Diamine,
un cieco l’avrebbe notato ma erano la sua aria di pacifica sicurezza e il suo
buonumore che le facevano tremare le gambe. Devo stare proprio male se mi
trovo a fantasticare sullo sconosciuto sexy che mi è piombato in casa. Si
disse. Doveva essere dura essere inseguito dai paparazzi e non poter nemmeno
camminare per le strade come una persona normale. Che sia un attore? Di
sicuro ha il fisico, e un viso interessante. Lo guardò di nascosto e le sfuggì
un gridolino. La stava osservando con attenzione.
“Nope, honey.” Rispose alla domanda
che non aveva posto con un marcato accento americano: “non sono un attore.”
Sara scoppiò a ridere imbarazzata. “Mi
hai letto nel pensiero! Ma come hai fatto?”
“Non sei molto difficile da leggere,
honey. E arrossisci alla velocità della luce.” Rispose sorridendo.
Mandando al diavolo la propria
carnagione chiara, Sara si decise a confessare: “D’accordo, lo ammetto. Sono
curiosa! E’ deformazione professionale, sono una scienziata, e devo sapere. Se
non sei un attore, che lavoro fai? Perché ti inseguivano con tanta costanza?”
“Sono un atleta.” Rispose
semplicemente Nathan. “Un giocatore.”
“Continuo a non capire perché ce
l’abbiano con te. Sei qui per una partita?”
“No. Sono qui perché volevo fare una
pausa. Avevo un paio di settimane libere e me le sono prese. Se avessi
immaginato cosa mi aspettava una volta a Londra, sarei andato in vacanza nel
deserto di Atacama.”
“E’ un posto meraviglioso. Il deserto
di Atacama, intendo. Il cielo è uno spettacolo maestoso, il nero assoluto
tempestato di stelle. Nelle notti di luna nuova è pieno zeppo di stelle, tanto
che anche andare su quelle stradine scoscese a luci spente non è poi così
drammatico.” Si ritrovò a raccontare. L’esperienza in Cile era stata uno dei
suoi momenti preferiti degli ultimi anni.
“Ci sei stata?” Chiese Nathan con aria
sorpresa.
“Solo una volta, all’inizio del
dottorato in Fisica. Ho studiato fisica teorica ma volevo avere comunque un po’
di esperienza osservativa. Sono andata a imparare come si raccolgono i dati e…
ma non voglio annoiarti.”
“Non mi annoi. E’ questa l’impressione
che hai di me? Una mente vuota in un fisico ipersviluppato?” Chiese sorridendo
ma il sorriso non gli raggiunse gli occhi.
“Certo. Ti voglio solo per il tuo
corpo, baby.” Confermò Sara dandogli una gomitata giocosa sul braccio.
“Dimentichi i miei soldi.” Replicò
Nathan. “Sono ricco.”
“Ovviamente. Il tuo corpo e i tuoi
soldi, baby.”
“Mi stai dicendo che non ti importa?”
Chiese con voce roca il vichingo.
“I soldi?” Sara si trovò a riflettere:
“no, non mi importa. Guadagno una miseria e lavoro un milione di ore alla
settimana, non so cosa siano il weekend o la notte ma per ora va bene così. Il
mio lavoro mi assorbe totalmente. So che non potrò continuare per sempre. Se un
giorno avrò una famiglia o dei figli… potrò scordarmi il lavoro in università,
non c’è posto per entrambi purtroppo. O almeno così mi sembra al momento. Poi,
è chiaro… Con i mille euro che prendevo a inizio dottorato non si va da nessuna
parte ma già con mille e tre si stava meglio e ora sono postdoc quindi piano
piano guadagno di più.” Nathan la fissava a bocca aperta.
“Mille euro?” Chiese sconcertato.
“Già. Il mio primo stipendio. Mille
euro al mese. E mi è andata bene! Conosco gente che ne prendeva 600.”
Lo vide scuotere la testa lentamente:
“Ma con milleetre va meglio?”
“Oh, sÍ. Riesci almeno a risparmiare
qualcosa e a pagarti una vacanzina se la pianifichi bene.” Confermò lei.
“Certo. Mi sembra ragionevole.” Fece
Nathan sorridendo gentile. Sembrava a disagio.
“Scusami,” si trovò a giustificarsi
lei: “non volevo metterti in imbarazzo parlando di soldi. Volevo solo
spiegarti… è chiaro che i soldi contano. Un minimo devi averne, per non
soffrire, e non stare sempre con l’acqua alla gola ogni mese. Ma tutto ciò che
viene dopo, è un di più. E non è vero che guadagno una miseria, so che c’è chi
guadagna molto meno di me…”
“Sara,” la interruppe lui serio: “non
devi rendermi conto delle tue parole. Sono d’accordo con te.” E prese
visibilmente fiato: “io guadagno molto di più di mille euro al mese ma non
spendo in futilità. Mi sono comprato casa nella città dove lavoro e un’auto. I
miei amici sono rimasti perplessi dalla scelta. Si aspettavano un loft, ma mi
danno l’idea di essere così vuoti e freddi…”
“Che sport pratichi? Non credo di
riuscire a non saperlo.” Chiese curiosa Sara.
“Secondo te?” Rispose beffardo. “Ti do
un indizio. C’è una palla.”
“La risposta scontata sarebbe calcio,
a questo punto. Ma non mi sembri un giocatore di calcio.”
“Questo è perché non sono un giocatore
di calcio.”
Sara rimuginò per un istante e la
colpì un’immagine a cui aveva assistito il giorno prima. Dopo il talk, aveva
deciso di fare due passi in un parco vicino all’università e aveva visto un
gruppo di ragazzi giocare in una radura.
“No! Non può essere.” Esclamò: “Dimmi
che mi sbaglio! Non giocherai mica a cricket, vero?”
Altro che rombo, questa volta la
risata di Nathan fu un vero e proprio boato. Non sembrava riuscire a
controllarsi, si teneva la pancia con le mani ed era piegato in due dalle
risate, le lacrime che gli rigavano le guance.
“Ok, non c’è bisogno di farla tanto
lunga.” sbuffò Sara mezza offesa. “Non giochi a cricket, questo è certo.”
“No, folletto mio, non gioco a
cricket. Mai giocato a cricket.” E continuò a ridere.
“Rugby, forse?” Azzardò allora. Grande
e grosso com’era, poteva anche starci.
“Altro indizio: sono americano.”
Sorrise in attesa.
Sara sbarrò gli occhi: “Football?
Quello sport dove ti devi mettere un casco e proteggere le costole perché degli
energumeni ti saltano addosso per rubarti una palla deformata?”
Il vichingo buttò indietro il capo
ridendo nuovamente e le diede un buffetto lieve sulla guancia prima di
rispondere: “Mancavano solo golf e tennis e avevi finito gli sport con una
palla.”
“Dimentichi il ping-pong e il
calcio-balilla” replicò torva.
“Avresti preferito che giocassi a
cricket?”
“No. Il cricket non lo capirò mai. Non
capisco nemmeno quale sia la differenza tra le due squadre in campo,
figuriamoci.”
“Il football non è solo un branco di
energumeni che litigano per una palla deformata.” Continuò lui serio. “Non
fraintendermi: non voglio farne più di ciò che è. E’ uno sport come un altro.
Ci sono due squadre e una palla. Ma è una parte importante della mia vita. Al
momento, a dire la verità, sembra essere tutta la mia vita. E’ un lavoro ma è
anche una passione. Ed è uno sport violento, hai ragione. Ogni volta che scendi
in campo rischi di uscirne su una barella, ferito sul serio. E di sicuro ti
farai male ma” e alzò le spalle come a scusarsi “al dolore ci si abitua.”
“Il dolore ti aiuta a concentrarti.”
Completò lei. “E’ qualcosa che capisco.”
Nathan la guardò stupito: “Pare di sì.
Come mai?”
“Capisco la determinazione. Il mettere
tutto te stesso in qualcosa. Il sacrificare tutto il resto per quel qualcosa.
Capisco quando dici che sembra essere tutta la tua vita. Per me è la stessa
cosa con la scienza. E’ un’esperienza totalizzante. Ho molti amici, sparsi per
il mondo. Ma non riesco ad avere una vita separata dalla mia vita di
scienziata. La mia carriera mi definisce e le ho sacrificato tanto. Ma è la mia
passione, fatico a distinguere lavoro e divertimento. A volte sono così stanca
che penso che mi stia per esplodere il cervello. Sono certa che quando sarò
vecchia e demente sparerò equazioni senza senso, tante ne ho in testa. Quando
sono così devastata, l’unico modo per riprendermi è andare a correre o a
nuotare. E lo faccio fino allo sfinimento, fino a quando tutti i miei muscoli
si lamentano per la fatica e il dolore. Solo allora smetto. Solo allora riesco
finalmente a dormire con un po’ di serenità.”
Lo vide sorridere con comprensione.
“Ok, ora sono riuscita finalmente a
convincerti di essere una nerd pazza e senza vita sociale, bel lavoro,
Cherubini.”
“Ti chiami Cherubini di cognome? Come
l’angelo?”
“Sì”.
“Be’, caro il mio angelo, no, non hai
fatto altro se non convincermi che sei una persona dannatamente interessante. A
questo punto, però, devo alzarmi ed andare. Spero di averli seminati.” E iniziò
a sparecchiare il tavolo. Quando lo vide caricare la lavastoviglie, Sara provò
un misto di commozione e dolore.
“Posso chiederti il tuo numero di
telefono, Sara? Così la prossima volta ti avviso prima di invaderti casa.” Le
chiese mentre si stava infilando la giacca.
Decisamente non la serata tranquilla
che si era immaginata. Molto, molto meglio, atrocemente meglio. E ora che
Nathan se ne stava andando, Sara si sentiva dolorosamente sola.
“Certo. Non vorrei mai ritrovarmi con
te in casa quando esco dalla doccia.” Rispose scrivendo il proprio numero su un
foglietto trovato vicino al telefono.
Lo sguardo di lui sembrò per un
momento suggerire il contrario. Poi si riscosse, le prese il foglietto dalle mani,
la ringraziò di cuore per l’ospitalità, le prese con delicatezza una mano nella
sua e la sfiorò con le labbra. “Arrivederci, folletto, dormi bene.” E così
dicendo se ne andò.
§
Sconosciuto: Mi sono dimenticato di darti il mio numero di telefono,
folletto.
Sara: Forse sono stata io a non chiedertelo, energumeno.
Thor: Così ferisci i miei sentimenti, honey.
Folletto: Ah, dimenticavo che sei un duro con il cuore morbido.
Thor: Ho la scorza dura del guerriero vichingo, io, e un fisico
scultoreo.
Folletto: Sei morbido e dolce come un pancake, Thor. E conosci il
termine “scultoreo”, ammirevole!
Pancake: Ouch! Tutto ciò che di maschio c’era in me è stato appena
annientato da questa tua affermazione, folletto.
Pancake: E ho studiato all’università, per tua informazione. Per 4
lunghi anni.
Folletto: 4 lunghi anni di feste interminabili, vorrai dire.
Pancake: E di allenamenti strazianti e notti a rompermi la schiena
sui libri.
Folletto: Ma soprattutto di feste.
Pancake: Non ho mai amato particolarmente le feste. Tu?
Folletto: Sono andata a circa 3 o 4 feste in tutto. Lavoravo e
studiavo e non avevo mai tempo.
Pancake: Quindi niente notti insonni e incontri bollenti?
L’abbandono dei sensi?
Folletto: Non sono fatta per lasciarmi andare e perdere il
controllo.
Pancake: Non l’avrei mai detto.
Folletto: Divertente. Be’, non tutti sono a proprio agio con se
stessi come te. A questo punto credo che andrò a dormire. Buonanotte,
energumeno.
Pancake: Pancake, vorrai dire. E forse non hai ancora trovato la
persona giusta con cui lasciarti andare. Perdere il controllo può essere
fantastico.
Folletto: o terrificante. Io propendo per terrificante. Buonanotte,
pancake.
Pancake: Buonanotte, folletto. Sogni d’oro.
Sara scelse di passare la giornata
seguente a vagabondare per la città senza una meta precisa. La mattina la
dedicò all’immancabile visita al mercato di Camden Town, già addobbato per le
feste. Le bancarelle che invadevano pacificamente tutto il quartiere erano una
sua destinazione fissa ogni volta che visitava Londra. Sempre allo stesso posto
da anni, nel padiglione vicino al naviglio, c’era quella bancarella che vendeva
sciarpe dove infallibilmente lasciava una somma ragguardevole di denaro. Ne
comprò due per sé, una per sua sorella, una per sua mamma e una per Daria, la
loro vicina di casa da sempre. Come previsto, spese una fortuna. Per
risparmiare un po’, pranzò a casa di Dan con gli avanzi della pizza della sera
prima e chiamò il suo ospite mentre si gustava un ottimo caffè macchiato fatto
con la sua moka.
“Daniele, io e te dobbiamo parlare!”
“Hai da ridire sulla bomba sexy che ti
è entrata in casa ieri sera?” Sara lo sentì ridere, il disgraziato.
“Esatto. Potevi dirmelo! Mi sono presa
un colpo! E’ un gigante!”
“E una bomba sexy.” Precisò Daniele.
“Parliamone. Ma dove l’hai trovato? Ci
hai provato, per caso?”
“E mi ha dato un due di picche
clamoroso.” Le disse ancora notevolmente infastidito.
“Ma non mi dire. Non pensavo che
succedesse anche a te.” Dichiarò Sara ridendo.
“Capita ai migliori tra noi. Allora,
cosa ne pensi?”
“E’ un tipo interessante.”
“Un tipo interessante. Certo, come no?
Sputa il rospo, Cherubini!”
“Ok, mi ha fatto ridere un sacco, ho
passato una serata meravigliosa.”
“Ma?” La incalzò Dan. Mai che le desse
tregua.
“Ma è una bomba sexy. E ha un cartello lampeggiante con la scritta pericolo
sulla fronte.”
“Sara, non puoi escludere a priori un
uomo solo perché ha dei bicipiti da urlo. Non è colpa sua. Chiamalo. E’ a
Londra per due settimane, da solo. Sta cercando di riprendersi da un brutto
incidente e ha finito da poco la fisioterapia. Meno pensa al football e meglio
è, credimi. Tu ti stai prendendo la prima pausa da mezzo secolo. Goditi queste
due settimane, esci con lui, divertiti. Lasciati trasportare dallo spirito del
Natale.”
“Stai cercando di vendermelo, oh
piccolo aiutante di Babbo Natale?” Fece Sara sconcertata.
“No. Sto cercando di dirti che siete
due bei ragazzi, single, entrambi siete a Londra a leccarvi le ferite ed
entrambi avete bisogno di ricominciare. Sara, sono tre anni che non esci con
qualcuno. Sei praticamente una vergine di ritorno.” Lo poteva sentire scuotere
la testa.
“Mettiamo un paio di cose in chiaro.
Primo, non c’è qualcosa del tipo vergine di ritorno. Una volta andata,
l’imene è andata per sempre. Per fortuna, aggiungerei. Secondo, bello lo è lui,
di sicuro. Io sono un fisico teorico, niente a che vedere con il bello. Terzo,
non è vero che non sono uscita con nessuno per tre anni.”
“Non sei uscita per più di mezz’ora
con nessuno per più di tre anni. L’appuntamento con il dottore noiosissimo non
conta. No,” la interruppe “nemmeno il mezzo stalker conta. Senti, tesoro, devo
andare. Mia nonna vuole a tutti i costi preparare gli gnocchi alla zucca per
domani. Chiama Nathan e divertiti. Solo ricordati che non ha il cuore di
ghiaccio. Non romperglielo.”
“L’unica a rischio qui sono io,
credimi. Sono certa di non essere il suo tipo. Salutami tutti a casa, Dan. Mi
mancate!”
“Certo, tesoro. Ci vediamo fra un paio
di giorni! Buona giornata!”
Londra a dicembre la affascinava da
sempre. Le luci di Natale la illuminavano a festa, l’odore delle caldarroste e
della resina si spargeva per le viette intorno a Covent Garden, le vetrine dei
negozi colme di oggetti luccicanti ammiccavano ai passanti e c’era quel
ristorante indiano… solo a pensarci le veniva l’acquolina in bocca. Sarebbe
stato di certo la sua meta quella sera. Le era mancato troppo. Una sfortuna che
Dan non fosse lì con lei. Ma l’avevano invitata a presentare il suo lavoro in
una delle università più prestigiose della Gran Bretagna, con un programma di
Astrofisica all’avanguardia, il 20 dicembre. Per quanto fosse una data folle
non aveva potuto dire di no. E aveva così tanto bisogno di una pausa, di
pensare al proprio futuro senza avere intorno la famiglia e gli amici di sempre
che aveva accettato l’offerta di Daniele. Poteva stare da lui nei giorni prima
delle feste, tanto casa sua era vuota, e poi avrebbe passato il Natale e il
capodanno con lui. Poteva visitare tutti i suoi musei preferiti, magari andare
a qualche concerto di Natale e a vedere un paio di musical se riusciva a
comprare qualche biglietto scontato. Aveva così tante ferie arretrate che si
sarebbe potuta prendere due mesi di vacanza e nessuno si sarebbe potuto
lamentare.
Decise di passare il resto del
pomeriggio a vagare per il British Museum. Ci era già stata un numero
imprecisato di volte e ci tornava sempre, anche se solo per un paio d’ore. Le
stanze enormi trasudavano storia, amori e drammi. Potevi immaginarti di
camminare tra le strade affollate di Ninive, perderti per ore ad osservare
l’elegante bellezza del Partenone e sognare il mondo alla morte di Alessandro,
diviso in regni governati dai suoi generali, il ritorno dell’interesse della
letteratura ai temi privati…
Pancake: Credo di averti appena vista davanti alla stele di Rosetta.
Folletto: E’ possibile. Sei al British Museum?
Pancake: Mi crederesti se ti dicessi di sì?
Folletto: Ieri hai confessato di aver passato quattro anni sui
libri.
Pancake: 4 lunghissimi anni. Quindi so leggere e scrivere. :)
Folletto: Sei interessato alle ceramiche cinesi?
Pancake: Più alla stanza degli orologi.
Folletto: Sei un uomo da sposare.
Pancake: Ti ricordo che recentemente hai reagito con orrore alla
mia proposta ferendo il mio orgoglio e i miei sentimenti.
Folletto: Ogni giuria sarebbe dalla mia parte nel dire che non era
una proposta seria.
Pancake: Dimmi come fare una proposta seria, angelo, e l’avrai.
Folletto: Ti conosco appena.
Pancake: Allora conoscimi. Iniziamo dalla stanza degli orologi.
Folletto: Solo se poi mi accompagni a mangiare al ristorante indiano.
Ti avviso, puzzerai di curry per almeno una settimana.
Pancake: Allora puzzeremo insieme, angelo. Ci sto sempre quando si
parla di cibo indiano.
Il resto della giornata e la serata
passarono in un attimo. La stanza degli orologi del British Museum era
meravigliosa come sempre. Piccole stanzette dalle pareti scure colme di
manufatti preziosi e curiosi. Fin dalla prima visita al museo, quando aveva
quindici anni ed era venuta in Inghilterra per imparare l’inglese, Sara era
rimasta affascinata da quel luogo pieno di ingranaggi, orologi meccanici,
carillon e cronometri marini. Nathan guardava con interesse tutti i pezzi in
esposizione, ne leggeva i dettagli e sembrava totalmente assorto nella visita.
Era una compagnia piacevole, presente ma non stressante, a suo agio tra i
reperti come sospettava fosse sul campo.
Andarono a cena nel suo ristorante
indiano preferito, vicino a Covent Garden, in taxi. Nathan le disse che era la
loro unica chance di evitare turisti americani che l’avrebbero potuto
riconoscere e tradire la sua presenza ai paparazzi. Il trucco era scendere dal
taxi non troppo lontano dal proprio obbiettivo ma nemmeno troppo vicino, così
da non rivelare al tassista la propria destinazione finale.
“Hai totalmente ragione. Queste sono
senza dubbio le migliori zucchine al curry dell’Universo. Fino ad oggi non
sapevo che ci fosse qualcosa come le zucchine al curry ma sono da urlo.” Disse
con chiaro apprezzamento Nathan dopo aver assaggiato il piatto che aveva
consigliato lei.
La voce sommessa e profonda la
riscosse dai suoi pensieri: “Nulla le batte.”
“Cosa ti tormenta, angelo?”
“Nulla!” Esclamò forse con troppa
energia. “Solo… oggi ho parlato con Dan e mi ha detto alcune cose che mi danno
da pensare.”
“Dan è un pettegolo della peggiore
specie. Vuoi parlarmene?” Chiese con cautela Nathan.
“Non qui. Quando siamo a casa.” Lo
vide sorridere sornione.
“Non volevo dire che… cioè…”
“Inspira a fondo, Cherubini.”
“Sei un macho, lo sai?” Disse
stizzita.
“Sono un vichingo.” La corresse lui
divertito. “E mi farebbe molto piacere venire da te stasera.”
Questa volta fu lui a prendere un bel
respiro: “Sara, devo chiederti un favore ma mi mette in imbarazzo.”
Questa poi… il gigante a disagio, chi
l’avrebbe mai detto?
“Ieri sera quando sono tornato al mio
albergo, c’erano ancora un paio di giornalisti accampati. Sono entrato dal
retro e stamattina sono sgusciato via da un’altra porta di servizio. Però sono
infastidito. Dan mi ha suggerito di chiederti asilo per un paio di notti. Dice
che magari si stancano di cercarmi se non mi faccio vedere per un po’.”
“Nathan, la casa di Dan è ridicola
tanto è grande. Ci sono tipo tre stanze degli ospiti. E’ ovvio che tu sia il
benvenuto. Dobbiamo passare a prendere le tue cose?”
“No, grazie. Ho un paio di cassetti
pieni a casa di Dan. Praticamente una di quelle tre stanze è il mio rifugio
usuale quando sono a Londra e voglio nascondermi per un paio di giorni. Dan è
sempre molto ospitale.”
Sara annuì. Daniele aveva un cuore
d’oro. Non avrebbe mai lasciato un amico in difficoltà e poteva tranquillamente
immaginarsi come l’idea di una persona cara assediata dai giornalisti in un
momento complicato lo potesse mandare in bestia.
Dan era arrivato a Londra a diciannove
anni, si era da subito rimboccato le maniche e aveva iniziato a lavorare in una
cucina come tuttofare. Viveva in un ostello e studiava in una scuola da chef o
qualcosa del genere. Piano piano si era fatto notare e aveva iniziato a fare
carriera. A ventisette anni aveva aperto il proprio ristorante ed era già un
giovanissimo chef, amato dalle star e dai palati più esigenti di Londra. A
trent’anni poteva tranquillamente dire di avere sfondato. Ma tutta questa
notorietà non lo aveva cambiato di una virgola. L’unica differenza era che ora
poteva permettersi di prendersi due settimane di ferie prima del Natale, il
periodo più stressante dell’anno come diceva lui, e tornare nel suo paesino
appollaiato sulle Alpi orobiche. Gli amici e la famiglia venivano sempre al
primo posto. Sara era molto alta in classifica e si sentiva sempre al sicuro
con lui. Anche ora che non era lì con lei, casa sua era una vera e propria oasi
di pace.
Nathan sfruttò la sua distrazione per
pagare il conto e chiamare un taxi. E accettò stoicamente e in silenzio le sue
recriminazioni perché era un vichingo maschilista che si sentiva in dovere di
pagare il conto e tenerle aperta la porta del ristorante e del taxi e che si
era persino alzato in piedi quando lei era andata in bagno e quando era
tornata.
La seguì dentro casa e una volta in
soggiorno, le prese la giacca e andò a riporla nel guardaroba.
“Sara,” le disse con serietà “non è
questione di maschilismo. Il fatto che mi comporti da gentiluomo non significa
che io ti reputi inferiore a me, meno capace o che so io. So benissimo che sei
in grado di aprire una porta, di ritrovare la strada per il tuo tavolo al
ristorante una volta che sei andata in bagno”, lo vide sorridere beffardo al
ricordo delle sue proteste, “e che ti puoi permettere di pagare una cena da
diciotto sterline. Hai un dottorato in fisica teorica, per l’amor del cielo.
Niente è più impressionante di così. Sei la persona più interessante che io
abbia mai incontrato. Hai un debole per i musei e per la storia, ti piacciono i
film di Vin Diesel, cucini la pizza migliore dell’Universo e hai un senso
dell’umorismo da impazzire. Non so perché tu stia ancora perdendo il tuo tempo
con me ma ho intenzione di godermi ogni secondo della tua compagnia. Fatto sta
che non mi comporterò da vichingo sgarbato con te solo perché hai inutilmente
paura che non ti stimi abbastanza. Ti conosco da ieri sera e ti ammiro già come
se fossi il tuo fan numero uno. Sei sorprendente e meravigliosa. Ma io sono stato
cresciuto da gentiluomo. Perciò, rassegnati. Le porte le apro io, quando ti
alzi da un tavolo mi alzo anche io. Credimi, faccio abbastanza ginnastica da
riuscire a farlo. E il conto lo pago io. Ho uno stipendio esagerato e posso
permettermelo.”
Tutto ciò che Sara riuscì a fare fu
annuire, a questo punto.
“Perfetto. Ora che ci siamo chiariti,
ti va un tè?” Sara annuì di nuovo.
“Hai intenzione di continuare ad
annuire?” Sara ripeté il movimento con un sorriso.
“Allora, mi vuoi dire cosa ti
affligge?” Il movimento morì sul nascere. “Cosa ti ha detto Dan?” Incalzò lui.
Sara si sedette su uno sgabello vicino
all’isola e si decise a parlare: “Nathan, mi trovo a disagio. Chiamami egoista
ma mi sto godendo questa nostra non-conoscenza. Non voglio dire che non voglio
conoscerti, voglio dire che sto avendo l’opportunità di conoscerti con calma,
senza pregiudizi, senza gossip, e sono certa che questa non sia un’occasione
che si presenta spesso.” si affrettò ad aggiungere.
“Sara,” le rare volte che pronunciava
il suo nome lo caricava di dolcezza: “mi sto godendo anche io questo momento.
Non sei egoista. E hai ragione. In genere, conoscono tutti una versione
pubblica di me, che mi piaccia o meno. Ogni mio errore, ogni frase viene
sezionata e sbattuta sui giornali, sui blog. Internet è l’inferno per uno come
me. Il fatto che tu non mi conosca come il giocatore di football che sono mi
riempie di gioia. So che sembro un ingrato. Amo il mio lavoro e la mia squadra.
Mi ha dato degli amici inseparabili nel corso degli anni. Sono praticamente la
mia famiglia e mi sono sempre vicini. Il football ha fatto di me una star, non
avrò mai problemi di soldi, la gente mi vuole bene, anche se ci sono in giro un
paio di pazzi che mi vogliono morto, credo. Ma difficilmente mi sono sentito
così bene come in queste ultime ventiquattro ore. Sarà che non ti importa un
fico secco del football, sarà che non sei americana, ma riesco a essere me
stesso. Non riesco nemmeno a usare un filtro quando parlo, accidenti a me.”
Sara rise divertita: “Non dirlo a me!
Sembra che io abbia l’istinto di raccontarti qualunque cosa mi passi per la
testa!”
“Usiamo questa dichiarazione:
differenze tra rugby e football. Tre, due, uno…”
“Oh, sì. Il football è molto più violento del rugby che è
uno sport violento.”
“Non ti piace il football?”
“Assolutamente, no. E’ terribile. Non ho mai guardato una partita, a
dire la verità, lo so che non dovrei giudicare, ma non capisco proprio cosa ci
sia di entusiasmante. Il rugby lo capisco un po’ di più. Ho
visto una partita bellissima, una volta.”
“Davvero?”
“Sì, Italia – All Blacks tanti anni fa. Quella sì che è stata una partita magnifica. Non c’era
gioco. Il rugby non è un gioco molto popolare in Italia, non da molto comunque, e gli italiani non hanno sempre il
fisico per contrastare i neozelandesi. Se fossi stata uno di loro appena visto
il loro inno mi sarei fatta stordire da un amico così non avrei dovuto giocare
contro di loro. Mi hanno fatto paura persino dalla televisione. Guarda che non
c’è nulla da ridere! Avresti dovuto vederli!”
“Li ho visti. Sono enormi davvero, hai ragione.” Disse lui
ridendo. “E come è andata la partita?”
“Be’, innanzitutto c’erano un sacco di famiglie sugli
spalti. Non ho mai visto tanto spirito sportivo. Mi ha fatto enormemente
piacere. Negli stadi di calcio, in genere lo lasciano a casa. Bene, gli All
Blacks stavano vincendo cinquantasei a zero. Il pubblico incitava comunque i
nostri a fare del loro meglio. Ma sapevamo tutti che non sarebbero riusciti a
fare nemmeno un punto. Insomma, non prendiamoci in giro. Era come una partita
di calcio fra la nazionale italiana e la squadra della scuola elementare
dell’Isola di Pasqua. Nonostante la loro
buona volontà, non avevano chances. Eppure, verso la fine, uno dei
nostri è riuscito a segnare un punto. Non so se sia stato davvero per sua
bravura o perché si era trovato lì con la palla. Però ha segnato. 56 a 1.
Un’esplosione di gioia ha investito gli spalti. E gli All Blacks dopo i primi
momenti di comprensibile sconcerto lo sai che cosa hanno fatto?”
“No, cosa?”
“Hanno sollevato il ragazzo italiano e l’hanno portato in
trionfo per tutto lo stadio. Non si aspettavano nemmeno un punto dagli italiani
e invece si sono trovati davanti una squadra che nonostante la visibile e ovvia
inferiorità ha continuato a giocare onestamente e cocciutamente. E alla fine è
riuscita a fare loro un punto che valeva per noi come una vittoria. E’ stata
una manifestazione di grande sportività. Da noi se ne è parlato per una
settimana. Ed è stata una bella lezione per tutti.”
“Sì, spesso si pensa solo a violenza e odio e si dimentica
che lo sport è soprattutto un gioco. Anche nel football è così, sai? Quando entri nella NFL
diventa un lavoro e la pressione è immensa, ma prima, quando ancora giochi al
college… nulla è meglio di cosÌ.”
“NFL?”
“National Football League”, spiegò
divertito.
“E’ come la serie A del calcio
italiano?”
“Qualcosa del genere.”
“E in che ruolo giochi?”, si azzardò a
chiedere.
“Secondo te? In che ruolo gioco?”
“Portiere?”
Una risata fragorosa accolse il suo
suggerimento.
“Non… non c’è il portiere.”
“Stai balbettando, te ne rendi conto?”
“Ok, mi riprendo, scusami, è che…
portiere…” e rise di nuovo.
“Quindi? In che ruolo giochi?”
“Le chiamiamo posizioni. Sono un
quarterback. Se proprio vuoi continuare con il paragone con il calcio, sono una
specie di attaccante.”
“Sei quello che segna i goal?”
“Di solito sì.” Sorrise soddisfatto.
“Allora, cosa ti ha detto Dan?”
“Non ti arrendi mai?” Chiese
esasperata Sara.
“Non è nella mia natura, no.”
“Dan mi ha detto che sei qui per
riprenderti da un brutto incidente, che hai appena finito la fisioterapia. So
che nel football sono comuni le commozioni cerebrali e questa informazione mi
ha turbata.”
“Per fortuna, no. Non ho mai sofferto
una commozione cerebrale e spero che non capiti mai. Hai ragione ad esserne
spaventata. Si rischiano danni permanenti al cervello. Il mio infortunio è
stato alla spalla sinistra. Sono stato fuori per un pezzo. Ma ora va molto
meglio, ho già ricominciato con degli allenamenti leggeri.”
“Perché sei a Londra?”
“Sto pensando di lasciare. Sono stato
fortunato con la spalla, poteva essere la schiena. Non lo so, è stata come una
doccia fredda per me. Come ti ho detto, il football è tutta la mia vita al
momento. Gioco da professionista da nove anni e forse è giunto il momento di
lasciare. I giornalisti hanno fiutato qualcosa e non mi danno tregua. I miei
amici dicono che sono depresso e che passerà appena sarò ritornato sul campo.
Dan dice che sono un idiota anche solo a pensare di voler tornare a giocare.”
Sorrise leggermente scuotendo la testa.
“Lo capisco.” Ammise Sara. “A noi
sembrano quasi scene di guerra, con quegli energumeni così bardati. Sta meglio
la spalla?”
“Sì. Ho la mia cicatrice di guerra e
via. E tu? Perché sei a Londra?” Chiese a bruciapelo.
“Sto pensando di lasciare
l’università. Mi è stata offerta una posizione prestigiosa e non sono certa di
volerla accettare. Un paio di anni fa avrei fatto i salti di gioia.” Confessò.
“Solo Dan lo sa. Non voglio dare pensieri a nessuno. Mi sembra di aver
sacrificato così tanto. Ho traslocato già parecchie volte. Sono stata a Bologna
per l’Università, a Marsiglia per la tesi, a Monaco di Baviera per il dottorato
e ora sono a Heidelberg come ricercatrice. E nel mentre ho fatto lunghi viaggi
di lavoro, tra gli Stati Uniti, il Cile e Giappone. Non sono più certa che il
gioco regga la candela. Mi sembra che manchi qualcosa nella mia vita e non so
come fare a riempire questo vuoto.”
“So che sei stata ferita, e molto.”
Aggiunse con cautela Nathan e spiegò: “Dan non mi ha detto nulla, non temere.
E’ qualcosa che ho notato subito in te. Essere un bravo osservatore fa parte
del mio ruolo. So che qualcuno ti ha fatto del male. Vedo come mi guardi, come
sembri a disagio se qualcuno ti passa troppo vicino, come ti muovi a volte con
circospezione. Non devi dirmi nulla se non te la senti. Voglio solo dirti che
so, che non ti farò mai volontariamente del male e che non ti bacerò finché non
sarai tu a chiedermelo.”
“C—cosa?” Non esattamente cool.
“Non prendermi per un pazzo ma
desidero baciarti da quando ti ho visto brandire quella padella ieri sera. E
ogni minuto che passo con te mi fornisce una ragione o due in più per farlo. Ma
non ho intenzione di spaventarti ancora più di quanto tu già non lo sia. So che
la mia mole ti mette a disagio. Non so esattamente perché ma posso immaginare
uno o due scenari.” e così dicendo si incupì. “Voglio solo che tu sappia che
vorrei tanto prenderti tra le mie braccia, sfiorare con la punta delle dita il
tuo viso, toccare le tue labbra e poi baciarti. Ti bacerei piano, con calma,
lascerei che ti abituassi alla sensazione e poi approfondirei il bacio,
metterei una mano tra i tuoi capelli e ti attirerei a me. Ma non lo farò finché
non sarai tu a chiedermelo.”
“Angelo? Non vuoi dire nulla?” Disse
con fare divertito: “Mi stai fissando a bocca aperta.”
Sara si riscosse, le gambe le erano
improvvisamente diventate di gelatina. Poggiò una mano sul piano di lavoro
dell’isola per trovare appoggio.
“Cosa… cosa dovrei dire?” E si lasciò
andare, mai che riuscisse ad attivare il filtro cervello-bocca in presenza di
Thor. “Mi stai prendendo in giro, per caso?”
Nathan reagì con tono quasi offeso:
“mai stato più serio in vita mia.”
“Ricapitoliamo: ti conosco da ieri
sera. Sei un atleta superfamoso. Sei divertente, intelligente e colto. Fino a
ieri non pensavo che fossero gli aggettivi perfetti per descrivere un giocatore
di football.” Questa affermazione le guadagnò un sorriso compiaciuto: “Sei una
bomba sexy, chissà quante donne somiglianti a Barbie ti si lanciano ai piedi. E
vorresti farmi credere di volermi baciare? E’ forse una specie di scommessa con
te stesso perché ti ho detto che non ero interessata?”
“Bomba sexy, eh? Mi piace la piega che
sta prendendo la nostra conversazione.” Replicò Nathan soddisfatto.
“Parole di Dan.”
“Lo so.” rispose lui soddisfatto. “Mi
chiama spesso così. E ora lascia che ti spieghi qualcosa, e non osare chiamarlo
mansplaining. E’ qualcosa che evidentemente non sai.”
Sara si irrigidì ma lo lasciò parlare.
“Hai ragione. Sono famoso. Ci sono un
sacco di Barbie, come le chiami tu, che farebbero follie per stare con un
giocatore di football professionista. Per le suddette Barbie, ogni giocatore
vale l’altro. Io sono la star del momento, per cui sono magari fissate su di
me, ma l’anno prossimo sarà qualcun altro. Con te è diverso. Tu vedi me. E so
che sei attratta da me. Per la prima volta nella mia vita, spero che il mio
aspetto fisico piaccia a qualcuno. Di solito l’idea mi infastidisce ma con te
ci tengo. Forse non riesci a vederti
come ti vedo io. Sei una donna bellissima. Sei snella e sportiva. Sei uno
scricciolo in confronto a me, ma non sei bassa o minuta. Mi fa impazzire come
quel maglione di lana bianca abbraccia tutte le tue curve. Mi fa impazzire
quando ti sciogli la coda e i tuoi capelli color cioccolato ti scendono sulle
spalle in onde morbide. Perché me lo sento, sono morbidi come seta. Mi
piacciono il tuo collo sinuoso, la tua bocca piccola, sempre pronta al sorriso,
le tue labbra color corallo, i tuoi occhi profondi e scuri. Mi perderei per ore
a guardarli. Sono così intelligenti e vivi e… e non dirò nulla di ciò che penso
dei tuoi jeans al momento perché ci conosciamo troppo poco perché possa
esprimere un pensiero del genere.” Rise di gusto ma continuò a guardarla negli
occhi. “Ma c’é altro. Mi piace come ti muovi, con grazia e calma. Adoro il
fatto che non indossi trucco e che porti scarpe basse perché ti piace
camminare. Trovo irresistibile il fatto che con te io possa parlare di arte e
di tecnologia, che possa raccontarti del football anche se sembri odiarlo. Mi
addolora pensare che tu non voglia parlarmi di scienza perché temi di annoiarmi
o, peggio, che io non capisca. Sono terrorizzato dal fatto che tu possa considerarmi
troppo immaturo o incolto o stupido…”
“Stop. Smettila.” Lo interruppe con
fervore Sara che era al contempo impallidita e arrossita alle sue parole. “Mai
e poi mai ti considererei stupido! E non ti giudico immaturo perché ami il
football. Lungi da me! So quanta dedizione, quanta fatica si nasconde dietro a
ogni partita. Quindi smettila di preoccuparti. Per quanto riguarda il resto,
non credo di potertelo dire guardandoti in faccia.”
Nathan fece un passo verso di lei.
Spalancò molto lentamente le braccia e le disse: “Permettimi di abbracciarti.
Così mi puoi parlare senza dovermi guardare in volto.”
Sara si immobilizzò. “Stai dicendo sul
serio.” constatò.
“Sono serissimo.”
Il respiro le accelerò, il cuore le si
mise a battere all’impazzata nel petto che sembrava a un passo dal voler
esplodere ma Sara decise che forse Dan aveva ragione e che doveva smettere di
scappare da se stessa. Fece un passo in avanti, poi un altro, fino a quando non
fu a pochi centimetri da Nathan. Posò la testa sul suo petto e notò che anche
il suo cuore batteva forte.
“Sto per chiudere le braccia.” Disse
lui con voce roca: “dimmi quando è troppo e le aprirò immediatamente.”
“Non sei stupido.” Ripeté convinta.
“D’accordo. Non sono stupido.”
acconsentì lui a voce bassa.
“Non sono abituata a parlare del mio lavoro
con i miei amici, con persone che non sono colleghi.”
“Lo capisco. Dall’esterno la
prospettiva è sempre diversa e di solito più rosea del dovuto. Anche lo sport è
visto con romanticismo. Nessuno vuole vederne gli aspetti negativi. Immagino
che sia lo stesso con la Fisica.”
“Sí.” rispose. Per un attimo non disse
più nulla, si lasciò cullare dal calore che emanava da Nathan, dal conforto che
il suo abbraccio le stava dando. Profumava di pulito e di spezie.
“Mi hai chiesto se ti trovo
attraente.” Aggiunse con un filo di voce. “Sei bellissimo, ovviamente ti trovo
attraente. Sei una montagna di muscoli. Solo a un alieno non piaceresti.”
Nathan fu scosso da una risata sommessa. “Ho paura di te. Rappresenti un
pericolo per me.” l’abbraccio si strinse leggermente, come a darle forza.
“Ti trovo così bello da essere
irreale. Il tuo sguardo è così intenso che non riesco a sostenerlo. Il tuo
senso dell’umorismo mi riempie di gioia. Sei comprensivo e dolce e
intelligente. Sei colto e so che ti ferisce il pregiudizio per cui uno sportivo
deve per forza essere una testa vuota. Non sto dicendo che al mattino quando mi
sveglio voglio poter discutere di Proust ma…”
“Stai citando Woody Allen? Sono io che
sono in pericolo. Adoro Woody Allen!” Lo sentì mormorare con sorpresa.
Si ritrovò a ridacchiare. “Non dico di
voler parlare di Proust al mattino, ma può capitare. Non voglio sentirmi in
colpa quando lo faccio. Io sono curiosa e non ho paura di ciò che non conosco,
di ammettere di non sapere qualcosa. Per tanta gente non è così. E so che con
te non mi devo preoccupare di ciò che dico. L’ho saputo subito.”
Prese fiato e si avventurò: “Ma ciò
non significa che io mi lasci baciare dal primo quarterback che attraversa il
mio cammino. Non dopo ventiquattro ore che lo conosco. Ti sto già dicendo più
di quanto dovrei. Ti sto lasciando fare più di quanto dovrei. Alla fine di
queste due settimane te ne tornerai in America alla tua vita di sempre e io
sarò a pezzi. Già lo so.”
“Mi sento male solo al pensiero ti
tornare alla mia vita di sempre.” Le sussurrò Nathan. “L’idea di non averti con
me mi addolora. Mi sembra di essere impazzito. Possono ventiquattro ore
cambiare tutto?”
“Non mi vorrai dire che ti sei preso
una cotta per me, pancake!?” Replicò lei cercando di ritrovare un po’ di
leggerezza.
“No. Non sono un sostenitore
dell’amore a prima vista.” Corresse lui. Non le sfuggÌ che avesse parlato di
amore, non di cotta. Sentì le guance bruciare all’improvviso e rispose:
“nemmeno io. Sono una persona troppo razionale per crederci.”
“Credi all’istinto?” Chiese lui con la
sua voce profonda.
“Sí. Con tutta me stessa. Fa parte di
me in quanto fisico e lo coltivo da anni.”
“Anche io. E’ stato l’istinto a
salvarmi sul campo. Ho come sentito che qualcosa non andava e mi sono mosso in
tempo per limitare i danni. A quest’ora sarei per sempre su una sedia a rotelle
se non fosse stato per il mio istinto. E il mio istinto mi dice che io e te
dobbiamo passare molto tempo insieme.”
“Nate.” La voce le tremava quando
disse: “non posso. Mi sono lasciata con il mio ragazzo e…”
“Quando?” Chiese semplicemente.
“Tre anni fa.”
Lo sentì aggiustare la posizione delle
gambe, come se si stesse preparando a ricevere un colpo.
“Cosa ti ha fatto?”
Era possibile che sapesse? Nemmeno Dan
sapeva tutto. Non avrebbe mai sopportato la vergogna di confessargli cosa era
successo.
“Siamo stati insieme tanti anni, anche
se avevamo una relazione a distanza. E’ un ingegnere, di un paio d’anni più
grande di me. Capiva tutto del mio lavoro, conosceva bene la fisica. Ha molto
talento.”
“Immagino. Era il tuo ragazzo,
dopotutto.” Confermò con delicatezza Nathan.
“Una sera eravamo…” e si fermò. Come
poteva dirgli queste cose?
“Vai avanti, honey, era il tuo
ragazzo. So che dovete essere stati in intimità. Non mi spaventerò per questo
anche se il pensiero mi disturba.”
Sara chiuse gli occhi, fece un respiro
profondo e sparò tutto d’un fiato: “Una sera eravamo a letto. Non so perché ma
non mi andava… non ero di buonumore o non me la sentivo. Non mi ricordo.” Le
braccia di Nathan la strinsero di più. “Fatto sta che gli dissi che non ero
molto interessata. Forse non l’ho detto con sufficiente convinzione, forse non
ha sentito… insomma, facciamola breve, si è preso ciò che voleva. Io ero come
paralizzata. Non riuscivo a muovermi o a parlare. Mi ricordo di aver premuto
con le mani sul suo petto, di aver provato a muoverlo ma niente. Mi ricordo
ancora di come mi toccava il seno, la sua aria soddisfatta dopo che era
venuto…” la sua voce era solo un flebile sussurro. Se non fosse stata tra le
sue braccia, dubitava che Nathan la avrebbe anche solo potuta sentire. “Forse
ne ho fatto un dramma senza motivo. Sono troppo sensibile… Non so. Si è rotto qualcosa. Ho rotto con
lui, tagliato tutti i ponti. Da allora non riesco a uscire con nessuno, ho
degli incubi, non riesco nemmeno a…” e iniziò a singhiozzare. Lui la lasciò
piangere e si limitò ad abbracciarla e a cullarla contro di sé.
“Riesci ad avere un orgasmo quando sei
da sola?” Le chiese con dolcezza quando si fu calmata.
Sara sobbalzò. “No. Mi irrigidisco.
Non ci riesco. Te l’ho detto. Ne ho fatto un dramma senza ragione.”
Sentì una mano ruvida sotto al mento.
“Guardami negli occhi.” Intimò lui.
La voce era seria e severa.
“Angelo, non pensarci nemmeno per un
secondo. Quell’animale ti ha violentata.”
Quelle parole crude la fecero
sussultare nuovamente.
“Honey, ti chiedo scusa se ti sono
sembrato privo di tatto. Ma dovevi sentirmelo dire. Era il tuo ragazzo, doveva
proteggerti, doveva capire come ti sentivi e non pensare con il cazzo.”
Borbottò un insulto a se stesso. “Scusami, non riesco a controllare il mio
tono. Sento vergogna nella tua voce ma non c’è nulla di cui vergognarsi. Sei
stata tradita e violentata. Il fatto che fosse un bravo ingegnere e che non
fosse in genere una persona malvagia, non cancella il fatto che fosse un
bastardo. Le persone purtroppo non sono solo bianche o nere, buone o cattive.”
Le lacrime ripresero a scendere
copiose sulle sue guance. Si sentiva svuotata e stanca. Abbassò nuovamente lo
sguardo e mormorò: “Ora sai. Non dirlo a Dan, per piacere. Starebbe solo male.
Te l’ho raccontato solo perché tu capissi. Io non posso, non riesco… non sono
neanche certa che potremmo fare l’amore, che tu riusciresti a… entrare…”
“Angelo, ci sono molti modi per fare
l’amore che non coinvolgono la penetrazione. E ti darei tutto il tempo che ti
serve, di questo ne puoi stare certa.”
“Non ti sei ancora arreso? Non capisci
che ci potrebbero volere mesi, anni?”
“Non sono mai stato un tipo da una
notte e via.”
“Adesso mi stai prendendo in giro.”
“No. Non ti nego di aver avuto le mie
brevi esperienze e, no, nessuna grande relazione fino ad ora. Ma ho appena
scoperto che ventiquattro ore possono cambiare tutto.”
“Mi hai detto di non credere all’amore
a prima vista.”
“Infatti. Credo all’amore che cresce
giorno per giorno, ma credo che inizi da qualcosa. Quel qualcosa è l’immagine
di te che brandisci una padella minacciandomi di darmi una lezione come in un
film di Bud Spencer.” E si mise a ridere di cuore.
“Prima o poi dovremo lavorare su
questa tua ossessione per le padelle.”
“E’ il mio nuovo sogno erotico.”
Commentò sempre ridendo Nathan.
“Andiamo a sederci sul divano?” Chiese
titubante Sara. Nathan lasciò la presa con delicatezza, come ad assicurarsi che
riuscisse a stare in piedi da sola e andò verso il divano.
Sara si sciacquò velocemente il viso
sotto l’acqua del lavandino, si asciugò con una salvietta morbida e si avviò
con decisione verso il suo vichingo.
“Non dire nulla. Resta seduto lì e non
ti muovere.” Gli intimò.
“Agli ordini, capitano.” Rispose
ridendo Nathan.
Sara strinse i pugni, prese un bel
respiro profondo e gli salì a cavalcioni sulle ginocchia. Lo vide trattenere
bruscamente il fiato. “Dan dice sempre che devo darmi una seconda chance.”
mormorò mentre gli accarezzava con esitazione il viso. Sentì la superficie
ruvida delle guance, la pelle morbida degli zigomi, vide quegli occhi verdi e
nocciola riempirsi di commozione e tenerezza e lo baciò leggermente sulla
fronte.
“Promettimi che mi ascolterai.
Promettimi che non mi farai del male.” pregò.
“Verrai sempre prima tu, folletto.” E
un sorriso gli si stampò in faccia.
“Era un doppio senso?!” Esclamò
divertita e sconcertata Sara. “Come osi?” E gli diede un pugno sul petto.
“Ahia! Ma cosa c’è lì sotto, acciaio?”
La sua risata profonda la accolse
nuovamente. “Sei curiosa di scoprirlo? Puoi scartarmi come tuo regalo di
Natale, se vuoi”. Aveva ancora le braccia lungo il torso, come se avesse paura
di spaventarla.
“Promesse, promesse… Piuttosto dimmi,
cosa hai studiato all’università, vichingo?” chiese.
Un’altra risata: “Psicologia e
matematica.” Fu la risposta.
“Dovevo immaginarmelo.” Concluse. “Eri
anche nella squadra di dibattito, per caso?”
“Se rispondo di sì, guadagno dei punti
o li perdo?” Rispose divertito.
“Pancake, baciami come hai promesso e
domani ti porto alla National Gallery.”
“Chiudi gli occhi e fai un bel
respiro, angelo. Stiamo per fare l’amore per la prima volta.”
E mantenne la promessa.
§
“Mac, se solo non ti amassi alla
follia, ti starei insultando. Dannazione, fratello, sono le 2 di notte. Dimmi
che è un’emergenza!”
“Alec, non ci ho pensato, scusami. Qui
sono le sette del mattino… E’ solo che…”
“Cosa c’è, Mac? Mi stai facendo
preoccupare.”
“Alec, mi sono preso una cotta da
paura.”
Il silenzio all’altro capo del filo
accolse le sue parole. Poteva sentire le rotelle girare nel cervello del suo
più caro e vecchio amico nonché compagno di squadra da sempre.
“Mac, lo ammetto, è una bomba
sentirtelo dire. Ma posso capire che una volta deciso, tu non sia riuscito ad
aspettare. E’ questo che ti turba? Sai che sono dalla tua parte, amico. Sempre.
Sono tuo fratello, dopotutto.”
“Ma cosa stai blaterando, Alec?”
“Ti sto dicendo che hai il mio
supporto. Hai intenzione di renderlo pubblico o volevi solo dirlo a me?”
“Ma cosa…?”
“E’ il tuo amico italiano?”
Uno scroscio di risa nervose lo colse.
Non sapeva se fosse il lato comico o la disperazione che lo faceva ridere ma ci
mise più di un minuto a riprendersi.
“Alec, siamo cresciuti insieme,
diamine! Ti pare che avrei potuto tacerti una cosa del genere? Siamo sempre
insieme, tipo venti ore al giorno!”
“Non mi hai chiamato per dirmi che sei
gay?”
“Ti ho dato mai l’impressione di essere
gay?”
“No, ora che mi ci fai pensare no.”
“Ecco. Ora ascoltami: Dan è un
carissimo amico e mi sta ospitando a casa sua ma non é per lui che ti ho
chiamato. Ha un’altra ospite… una sua amica italiana, assolutamente fuori dalla
mia portata.”
“Mac, poche donne sono fuori dalla tua
portata. Dovresti saperlo ormai. Se solo ti decidessi a uscire con qualcuna,
invece di vivere come un santo eremita, lo sapresti.”
“Alec, ha un dottorato in fisica ed è
bellissima.”
“Ok, dicevamo, fuori dalla tua
portata. Figurati se non andavi a sceglierti un mezzo genio. Quando l’hai
conosciuta?”
“Mercoledì sera, verso le sette.”
“Mercoledì sera come in circa 40 ore
fa?”
“Vedo che sai contare.” Commentò
asciutto Nathan.
“Sono fratello tuo, dopotutto.”
Rispose rassegnato Alec “Ok, te lo devo chiedere. Te la sei già portata a
letto?”
“No. Ma ci siamo baciati.”
“E?”
“E basta. L’ho baciata e ora sono
certo di essere innamorato di lei.”
“E chi sei, la bella addormentata nel
bosco? Strega! Cosa ne hai fatto di mio fratello, il quarterback?” Lo derise
Alec. “Senti, Mac, io queste cose non le capisco. La mia diagnosi in genere
sarebbe che non scopi abbastanza.”
“Ma?”
“Ma siccome sei tu e sei fuori di
testa, ci può anche stare. Vorrei solo ricordarti quello che hai detto a Jim
qualche mese fa.”
“Non esiste l’amore a prima vista.”
Ripeterono all’unisono.
“Però esiste la chimica.” Ribatté
Nathan “Ho detto anche questo a Jim. A volte si fa semplicemente click.”
“Spiegala con gli ormoni, con il tuo
periodo del mese, con quello che vuoi, Nate, ma stai attento.” La voce si fece
sommessa e roca: “Ti ho visto a terra come non mai negli ultimi mesi, fratello.
Dan e Jake erano preoccupati da morire. I ragazzi sono ancora mezzi scioccati
dall’incidente. Non ti voglio vedere di nuovo a pezzi. Ricordati che tra due
settimane sei di nuovo a New York. Come farai?”
Nathan rispose con un filo di voce:
“Non lo so. E’ per questo che ti ho chiamato. Non so come farò.”
“Maledizione, Nate. Vuoi che prenda il
primo volo? E' venerdì. Forse posso venire per il weekend.”
“No, no, Alec. Non ti voglio rovinare
il Natale. Devo affrontare questa situazione da uomo.”
“Questa ragazza, com’è?”
“Uno schianto. Ha un accento
fantastico. Sembra un elfo di Babbo Natale tanto è carina.”
“Dimmi che non glielo hai detto?!
Altrimenti ha tutte le ragioni per non dartela.”
“La chiamo folletto. E’ meravigliosa.”
“E le sta bene?” Chiese sconcertato
Alec.
“Mi ha minacciato con una padella due
sere fa.”
“Già mi piace. Me la dovrai far
conoscere, Mac. Ora me ne torno a dormire o il coach mi massacrerà
all’allenamento se scopre che non ho dormito come un neonato.”
“Certo, grazie, Alec.”
“Prima dimmi: ti stai allenando? So
che è un argomento che non ti piace e capisco che tu non ne voglia parlare ma
abbiamo bisogno di te.”
“Sono già andato a correre, mamma, e
ho fatto 350 addominali. Le flessioni… lo ammetto, ne ho fatte poche ma la
spalla mi fa ancora un male cane.”
“Mac, fa attenzione, fratello. E
vaffanculo.”
“Ti amo, Alec.”
“Anche io, Nate, e non so perché.
Notte.”
“Notte.”
§
“Che buon profumino!” Esclamò Sara
arrivando in cucina. “Oh, non ci credo! Hai usato l’astronave per fare il
caffè?”
“Quella macchinetta infernale non so
come funzioni.” Si giustificò burbero il suo gigante indicando la moka. Smettila
di chiamarlo il tuo gigante! Ti ha solo baciato, sei proprio disperata!
Disse una vocina malvagia nella sua testa.
“Hai dormito bene?” Chiese per
distrarsi.
Nathan scosse il capo: “Non ho
dormito. Tu?”
“E’ brutto se dico che non ho mai
dormito meglio? Mi sono tolta un peso dal petto.” E chiese con voce meno ferma
di quanto avrebbe desiderato: “Perché non sei riuscito a dormire? Forse ti sei…
ti sei pentito per ieri sera? Posso capirti, sai. Se è tutto troppo intenso, se
ti sembra di aver fatto un errore…”
Non poté continuare perché si trovò
avviluppata tra le sue braccia.
“Ok, non stritolarmi però.” E rise.
“Non dirlo nemmeno per scherzo.”
Esclamò Nathan e aggiunse con voce più calma: “Mi prendi per un pazzo maniaco
se ti dico che non sono riuscito a dormire perché ho pensato a te tutta notte?”
“E a cosa hai pensato? Non ci
conosciamo quasi, non può averti preso tutto quel tempo.” Rispose Sara ridendo.
“Ho pensato a tutto quello che vorrei
fare con te, i posti che vorrei visitare qui a Londra, a quello che mi hai
detto ieri.”
Sara si irrigidì e chinò il capo:
“Nathan, non so perché te lo ho detto. Forse perché non ti conosco affatto ed è
più facile parlare a uno sconosciuto, forse perché volevo che tu capissi le mie
remore. Che capissi che non riuscirò a prendere questa cosa tra noi troppo alla
leggera. Non te l’ho detto perché avessi pietà di me.”
“Sara, ti è stato fatto del male. Non
provo pietà, provo dolore.” Lo sentì tremare leggermente “E rabbia. Provo molta
rabbia. Per quanto riguarda la ragione per cui tu me l’hai detto, non è nessuna
di quelle che hai elencato tu. Me l’hai detto perché volevi spaventarmi.
Aspetta,” stroncò sul nascere le sue proteste: “non lo dico in senso negativo.
E lo capisco. Come hai detto tu, questa cosa tra noi è incredibilmente intensa.
Io vivo sul continente sbagliato, gioco a football… hai voluto assicurarti che
io sapessi che non stai cercando una scopata natalizia. Oops, scusa per il
linguaggio.” Si scusò dopo aver notato la sua smorfia. “Ho appena parlato al
telefono con un amico e…”
“Non scusarti. Hai ragione. Non sto
cercando una scopata natalizia. Anche volendo, non credo di farcela prima di
Natale.” disse ridendo. “Però mi piacerebbe.”
Fu scossa dalla risata profonda di
Nathan, che continuava ad abbracciarla e a non mollare la presa.
“Cosa ti piacerebbe, esattamente?”
“Lo sai e non me lo farai ripetere.”
Si finse offesa. “Ad ogni modo, hai ragione. Se proprio inizierò qualcosa,
voglio che abbia significato. Non deve per forza andare bene ma almeno avere
una prospettiva.”
Nathan la liberò dal suo abbraccio e
le diede un lieve bacio sulle labbra. “Troveremo una soluzione, folletto.”
mormorò.
E a voce più alta le chiese: “allora,
lo vuoi provare questo cappuccino? Ho anche comprato due croissant al bar
italiano qui di fronte.”
“Guarda che sono italiana, stai
correndo un grave rischio. Noi abbiamo un’ossessione per il caffè! E così
dicendo provò il cappuccino. Perfetto, figuriamoci. Glielo doveva aver
insegnato Dan. Lui era il maestro della schiuma.
Parlarono del più e del meno durante
la colazione e fecero piani per la giornata. Avrebbero visitato la National
Gallery e sarebbero andati a comprare un abete. Dan sarebbe stato felicissimo
di tornare a casa e trovarla addobbata per il Natale. Sara sapeva dove teneva
tutte le decorazioni e con un po’ di fortuna avrebbero anche trovato la scatola
con il presepe.
Il giorno passò in un soffio:
parlarono di tutto e di niente, camminarono per ore e si godettero una giornata
senza neve e non troppo fredda. Una volta arrivati a Trafalgar Square decisero
di non andare alla National Gallery perché sembrava troppo affollata e Nathan
voleva evitare a tutti i costi di essere riconosciuto. Andarono quindi alla
poco distante National Portrait Gallery.
“Ma insomma,
non è ridicolo istituire un museo dove sono conservate le facce ritratte di
gente famosa? E poi, sono sicuro che se andassi in giro con una T-shirt
con la faccia di Hegel stampata in grande nessuno lo riconoscerebbe.” Si lamentò Nathan. Da quando erano
entrati non faceva che bofonchiare e borbottare.
“Cosa c’è di male? E comunque Hegel
non era poi un gran bel vedere, con quello sguardo arcigno. E questo è un modo
per ricordare persone che hanno fatto la storia.” Si ritrovò a commentare lei.
“E’ una versione preistorica e per VIP
di Facebook. A cosa vuoi che serva sapere che faccia aveva … la regina Vittoria, per esempio? Oh,
guarda, Ian McKellen!”
“Oh, è uno dei miei attori preferiti!
Il miglior Gandalf che si potesse desiderare! Sono così contenta che abbia
accettato quel ruolo!” Esclamò lei ammirando il ritratto dal tocco moderno.
Nathan la guardò in un modo strano e
cambiò argomento: “Sto morendo di fame, dove andiamo a mangiare?”
“Ieri sera ho scelto io. Adesso tocca
a te.”
Un sorriso luminoso la travolse: “Solo
se posso pagare io.”
“Mi fai quasi paura.” Commentò lei
divertita: “Non so se voglio sapere dove andiamo.”
“Che sorpresa sia, allora!”
“Oh no, quanto mai l’ho detto!
Ricordati che ho i jeans.”
“Non me lo potrei mai dimenticare, credimi.”
Replicò il gigante fermandosi a osservarla per un istante.
Con sua grande sorpresa non presero un
taxi ma camminarono per due isolati fino a un ristorante italiano. Era un
locale grazioso e senza pretese e Nathan fu accolto come un habitué dal cameriere.
Vennero condotti in una stanza separata e fatti accomodare a un tavolo rotondo
vicino a un camino acceso.
“Non c’è nulla di più piacevole di un
camino acceso in un giorno d’inverno.” Commentò lui assorto. “Questo è, dopo il
ristorante di Dan, il mio posto preferito a Londra.”
“Ti piace la cucina italiana?”
L’informazione la riempì inaspettatamente di gioia.
“Tesoro, poche cose mi piacciono
quanto la cucina italiana.”
“Niente burgers? Tex-mex?”
“Anche.” Sara impazziva per quella
risata franca e aperta che la scuoteva nel profondo. “Ma siamo qui perché sono
mesi che mi sogno il loro risotto al radicchio, speck e brie.”
“E’ appena diventato anche io mio
posto preferito.”
Il cameriere prese le loro
ordinazioni, risotto e vino e portò loro un bicchiere di prosecco come
aperitivo e una bruschetta di benvenuto.
“Parliamo di decorazioni natalizie, la
domanda da un milione di dollari.” Iniziò Nathan.
Sara prese fiato e confessò seria:
“Hai ragione. E’ davvero la domanda da un milione di dollari. Ho delle idee ben
precise sulle decorazioni natalizie.”
“E sarebbero?” Il vichingo si stava
chiaramente godendo il suo evidente nervosismo.
“Le palline dell’albero sono rosse e
oro. In cima cosa metti? Stella o angelo?”
“Ti prego dimmi che sei una di quelle
che mettono la stella, folletto. Mi spezzeresti il cuore altrimenti!” Supplicò
lui ridendo.
“Sulla stella non transigo!” Rispose
sollevata. “Luci e altre decorazioni?”
“Più sono e meglio è.”
Sara confermò: “Il kitsch è necessario
a Natale.”
“Ieri mi hai detto che ti hanno
offerto un posto prestigioso e che non sai se accettarlo.” Il discorso virò
nuovamente su temi difficili. Sara annuì.
“Se due o tre anni fa mi avessi detto
che avrei potuto ottenere quel posto… non so come spiegare… è un sogno che si
avvera. Non ci avrei mai creduto. E ora mi sento orribile anche solo a mettere
in discussione il fatto che lo devo accettare.”
“Perché non lo vuoi accettare?” Le
chiese il gigante sorseggiando il suo prosecco.
“A parte la mole di lavoro e l’impossibilità
di avere una vita privata?” Cercò di ribattere con leggerezza ma si fece subito
seria: “E’ lontano. Più lontano del mio posto attuale. E non ho amici in quella
città. Conosco un paio di colleghi, ovviamente. Il nostro è un mondo piccolo,
ci si conosce quasi tutti almeno di vista. Ma sarei lontana dalla mia famiglia
e dai miei amici e mi spaventano i prezzi degli appartamenti. Ho dato
un’occhiata a degli annunci online ed è scioccante. Ma non mi posso lamentare.
La paga è buona e Dan mi ha detto che ha deciso di aprire lì un ristorante.
Dice che ci stava pensando da un po’ e che ha trovato un locale strepitoso in
centro e l’ha comprato. Quel ragazzo” disse scuotendo la testa con affetto: “è
bravissimo. Ha già organizzato tutto, assoldato non so che studio di architetti
per la ristrutturazione, trovato e formato il personale e ha deciso che passerà
là qualche mese per lanciare il ristorante, forse più di qualche mese. Ha
un’energia incredibile. L’altro giorno mi ha detto che ha intenzione di
comprare un appartamento anche lì e che possiamo dividere casa. Sono molto
indecisa. Mi piacerebbe vivere con lui ma il mio posto è per due anni e lui se
ne tornerà a Londra ben prima.”
Nathan l’aveva ascoltata con
attenzione fino a quel momento e la sorpresa si era fatta sempre più evidente
man mano che parlava.
“Non ci posso credere.” La interruppe
con voce malferma. “Non oso sperarci. Dove ti hanno offerto il posto?”
“Alla Columbia.”
“Alla Columbia? A New York?” Un
sorriso si allargò lentamente sul suo volto quando lei annuì. Scattò in piedi,
girò intorno al tavolo, la fece alzare e la abbracciò con calore.
Dopo un momento di confusione Sara
capÌ: “Dimmi che è vero. Dimmi che è come penso e sei di New York.”
“Meglio! Vivo a New York! Gioco per i
Giants.”
“Mai nome fu più azzeccato!” Commentò
allegra Sara: “L’avevo detto io che eri un gigante!”
Ridendo lasciò la presa e tornò a
sedersi al suo posto.
“Sara, quando dovresti iniziare?”
Disse dopo che il cameriere ebbe portato loro il tanto decantato risotto al
radicchio.
“Ho il posto da febbraio in poi. E’
anche per questo che sono confusa. Dovrei organizzare il trasloco e tutto il
resto. Non me l’aspettavo. Il mio contratto attuale scade a novembre, per
esempio. In genere, i contratti vengono pubblicizzati in autunno per l’anno
successivo a settembre o ottobre. Ma il posto si è liberato inaspettatamente.
Insomma, tanto inatteso non era. Il ragazzo che lo occupava prima è bravissimo
e si trasferisce a Harvard perché la sua compagna ha trovato un lavoro a Boston.”
“Puoi scegliere dove lavorare?” Chiese
stupito.
“Io no.” Rispose sorridendo Sara: “Lui
sì. E’ un astro nascente della fisica. Chiunque gli offrirebbe un posto.”
Nathan annuì e si fece serio.
“Sputa il rospo, Thor. Cosa ti turba?”
Chiese titubante Sara. La solita vocina maligna le stava suggerendo che gli
fossero venuti i sudori freddi solo al pensiero di essere nella stessa città
con lei.
“Vorrei che tu accettassi il posto.”
La sorprese lui. “Vorrei che tu ti trasferissi a New York tra due settimane e
che venissi a vivere con me. E so di essere egoista…”
“Non sei egoista. Sei matto.”
Interloquì Sara ridendo. “Mi conosci da due giorni e vuoi che venga a vivere
con te a New York? Potrei essere il tuo peggior incubo. Potrei russare come un
orso,” disse guadagnandosi un boato: “potrei essere un serial killer.”
“Folletto, peso forse il doppio di te
e sono un giocatore di football professionista.”
“Vuoi dire che russi?”
“Ti preoccupa?”
“Se dico di no, è brutto?”
Lo vide chiudere gli occhi: “Fatto sta
che sei venuta a Londra per riflettere sulla possibilità di dire di no.”
“Succede sempre così, no?”
“Quale è l’alternativa?”
“Mi prometti di non ridere?”
“Con una mano sul cuore.” Gli occhi
che brillavano di entusiasmo e la mano aperta sul cuore.
“Vorrei scrivere libri per bambini.”
“Niente scienza?” Chiese sorpreso, ma
non rise.
“Libri per bambini che parlano anche
di scienza.” rispose. “Non stai ridendo.”
“Perché dovrei? E’ un’idea
meravigliosa.”
“E tu? Cosa vorresti fare dopo il
football?” Nathan le sembrò all’improvviso timido e indeciso. “Non riderò,
promesso, e non lo dirò a nessuno. Ti puoi fidare di me.”
“Ho studiato matematica e psicologia.
Sono passati anni, è vero, ma vorrei tornare a studiare e fare qualcosa in una
di queste due direzioni. Io non ho però le idee chiare come te. Penso di più
alla psicologia ma ci devo riflettere con calma.”
“Puoi prenderti una pausa per
deciderti?” Chiese Sara titubante.
“Sì. Posso prendermi del tempo e posso
smettere di lavorare e tornare a studiare. Ho speso poco relativamente a quanto
ho guadagnato. Ho un buon agente e mi ha consigliato bene.”
“Fa paura, vero? Fermarsi e pensare,
dico.” Nathan annuì e Sara continuò: “Io non posso permettermi di smettere di
lavorare per molto tempo ma ho risparmiato un po’. Ciò che per me sarebbe
realistico è accettare il lavoro a New York e usare una parte del mio tempo per
scrivere e piano piano provare a fare la transizione. Ciò che più mi spaventa è
però cambiare completamente, lanciarmi in un altro ambiente… affrontare le
perplessità che sono certa la mia famiglia e i miei amici esprimerebbero.”
“I miei amici avrebbero un colpo se
sapessero cosa sto pensando di fare.”, confessò Nathan. “Mio fratello, Alec, ha
dei sospetti ma gli altri pensano solo che abbia bisogno di cambiare aria.”
“Come farai a deciderti?”
“Sono diviso tra il non volere
rimettere un piede in campo mai più e il sogno di portare la mia squadra al
Super Bowl e lasciare subito dopo.”
“Quand’è?”
“La prima domenica di febbraio.”
“Manca poco in entrambi i casi. Sarà
davvero uno shock per tutti.” Commentò Sara.
“Credo anche io. Ma non riesco più a
pensare di continuare. Ora,” disse alzandosi con eleganza: “Cosa ne dici di
andare a comprare un albero di Natale e decorare la casa di Dan?”
“Più Natale per tutti!” Esclamò Sara
entusiasta.
Scelsero un albero gigantesco, con le
foglie di un bel verde scuro venato d’argento e lo trasportarono a casa. Nathan
si rivelò molto utile nel sollevare l’albero e portarlo su per le scale fino
all’appartamento di Dan. Una volta arrivati, andarono nelle rispettive stanze a
farsi una doccia e cambiarsi dopo la giornata nello smog londinese. Quando si
furono ristorati, si prepararono un tè, accesero la radio e con José Feliciano
in sottofondo si misero all’opera. Sara andò a prendere nell’armadio in camera
di Dan le scatole con le palline e le luci e si lanciò con entusiasmo nella
decorazione. Nathan la aiutò in tutto ad eccezione di una breve pausa per
rispondere a una telefonata. Quando tornò aveva quasi finito.
“Manca solo la stella, mi sembra”,
disse guardandola mentre rimirava l’albero dalla porta.
“A te l’onore, gigante”. E così
dicendo gli porse la scatola che custodiva la stella dorata da mettere in cima
all’albero. Nathan la prese con cura e la mise al posto d’onore.
“Sei molto domestico.” Si trovò a
commentare Sara.
“Ecco che se ne va un altro pezzo
della mia virilità.”
“A proposito di cose che se ne vanno…”
iniziò la ragazza con voce malferma: “Eri serio quando hai suggerito di
scartare i regali?”
Nathan si voltò di scatto e disse con
voce grave: “Folletto, non ti prendere gioco di me. Certo che ero serio. Puoi
scartare il tuo regalo quando preferisci.” Un sorriso sensuale gli si allargò
sul viso.
“Non è ancora Natale. Forse dovrei
aspettare la notte della vigilia…”
“Sai che voglio molto bene a Dan e non
credevo che l’avrei mai detto ma, se mi chiamasse ora per dirmi che hanno
cancellato il suo volo e sarà in ritardo di un paio di giorni, non mi
dispererei troppo.” Continuò a voce bassa e decisa.
“Dan! E’ vero! Torna domani! Mi ero
già dimenticata!”
“Sara,” la interruppe Nathan:
“torniamo all’argomento scottante. Mi stavi forse proponendo ciò che credo?”
“Io non… non prendo mai l’iniziativa,
mi credi?” Rispose quasi balbettando Sara: “Scusa, forse non avrei dovuto, è
solo che… che mi sento molto attratta da te e non riesco a smettere di
pensare…”, la voce le morì in gola. Nathan l’aveva presa tra le braccia e aveva
iniziato a baciarla con passione. Quando furono entrambi senza fiato, lei più
lui meno, si staccò da lei e le sussurrò: “Angelo, non devi giustificarti con
me per qualcosa che desideri. Lo desidero anche io. E trovo dannatamente sexy
il fatto che tu me l’abbia chiesto.” E la baciò di nuovo.
“Ok, basta.” Si fece forza Sara. “Se
continui così non ci sarà proprio nulla da scartare alla fine.” Si staccò da
lui e lo prese per mano. In silenzio lo condusse verso la propria camera da
letto. Sentiva lo sguardo di lui bruciarle sulle spalle e farle stranamente
coraggio. Una volta arrivata vicino al letto prese fiato e si voltò: “Inizio
io. Non riesco ad aspettare un altro istante.” confessò. Stava per sollevare le
mani e iniziare a sbottonargli la camicia bianca quando si accorse che sembrava
titubante, quasi imbarazzato. “Sempre che tu voglia, ovviamente.”
“Certo… certo che voglio. Solo… non
vorrei deluderti.”
Sara scoppiò a ridere: “Scusa, non
voglio offenderti ma questa è chiaramente la mia battuta.” E rise nuovamente.
“Sara, sono serio. L’infortunio… ha
lasciato dei segni e ho altre… altre cicatrici sparse per il corpo.”
“Nate,” fece Sara con dolcezza: “non
mi farò impressionare, se è questo che temi. E non ti troverò meno attraente.
Sono ferite di guerra, fanno parte di te e di ciò che sei. Nessuno può giocare
a football al tuo livello e sperare di non avere nemmeno un segno. E io non
sono meglio, credimi. Ne ho fin troppe di cicatrici. Ne ho una lunghissima
sulla schiena… ma lasciamo stare. Quello che voglio dirti è che ciò che trovo
attraente in te è qui,” e gli mise una mano sul cuore “e qui” e la spostò sulla
tempia. “Poi, sì, è vero, sei una bomba sexy come dice Dan, e sei una montagna
di muscoli e non vedo l’ora di sbottonare quella camicia perché per ora hai
solo le maniche arrotolate fin sotto al gomito e tutto ciò che posso vedere di
te sono le mani e gli avambracci e sto impazzendo dalla voglia di toccarti e
baciarti. Quindi smetti di lamentarti perché i pacchi regalo di solito non lo
fanno, siediti sul letto e non muovere un muscolo. Altrimenti non finiremo più.
Ho in mente di accarezzarti e baciarti a lungo.”
Ridendo le ubbidì, si sedette sul
letto e confermò: “Hai scelto tu le regole del gioco. E va bene, angelo,
cercherò di non muovere un muscolo e mi lascerò torturare da te. Cosa succede
se perdo il controllo?”
“Non saprei” rispose incerta Sara:
“Potrei sempre decidere di bendarti.”
“Ahia, il gioco si fa duro.” Rispose
con un sorriso travolgente: “Ma io non sono abbastanza duro. Voglio vedere i
tuoi occhi, voglio vedere come reagisci a me. Puoi legarmi se vuoi, ma non
bendarmi, te ne prego.”
“Come preferisci, gigante.” Accettò
Sara: “Tu non muoverti e non ci saranno conseguenze.” E così facendo prese la
sua mano sinistra nelle sue, iniziò a sfiorarne il palmo ruvido con
delicatezza, a percorrerne le dita e a baciarla con baci leggeri. Quando prese
la punta dell’indice tra le labbra lo sentì trattenere il respiro. Lo baciò con
curiosità, succhiò, mordicchiò finché non lo senti fremere e mormorare: “Tu
vuoi proprio torturarmi.”
Ridacchiando lasciò la presa e iniziò a
mordicchiare il pollice, poi passò alla pelle sensibile del polso e lo sentì
irrigidirsi nuovamente. Esplorò con calma l’avambraccio esposto, lo accarezzò,
lo baciò e poi percorse con le mani la manica della camicia fino a che non
arrivò al collo. A quel punto sfilò i bottoni uno a uno, con lentezza
esasperante baciando la striscia di pelle che esponeva, e arrivata in fondo
ritornò con le mani in alto e lo aiutò a toglierla con delicatezza. A quel
punto restò senza parole. Non si mosse e non disse nulla, come paralizzata.
Lo vide strizzare gli occhi: “Angelo,
te l’avevo detto che…”
Sara lo zittì all’istante: “Non ci
pensare nemmeno. Santa polenta!” Esclamò in italiano guadagnandosi una risata
incredula: “dammi un momento. Mi devo riprendere… Non dovresti scorrazzare così
in libertà lo sai?”
“Prego?”
“Dovresti girare con un cartello
attorno al collo che avvisa la gente del pericolo. Altro che bomba sexy… sei…
sei bellissimo.”
“Sono bellissimo?” Le chiese a mezza
voce.
“E lo sai!”
“E’ piacevole sentirtelo dire.” Ammise
lui con un sorriso timido.
“Sei… sei… non ho mai visto niente di
più bello.”
“Adesso stai esagerando. O fai davvero
troppa poca vita sociale.”
“No, no. Sono sicura… Ok. Devo solo
decidere da dove iniziare.”
“Iniziare cosa?” Sembrava perplesso.
“A toccarti e a baciarti, che
domande.” E così dicendo lo baciò alla base del collo. “Credo che inizierò da
qui.” Spiegò dopo averlo sentito trattenere il respiro. Lo accarezzò senza
fretta, baciando e mordicchiando con delicatezza. Si prese tutto il tempo che
voleva per esplorare quelle spalle larghe, quei muscoli solidi che definivano
il suo torso, la cicatrice larga sulla spalla e le altre che raccontavano di
scontri violenti e incidenti sul campo. Leccò e succhiò i piccoli capezzoli
rosa e si beò della tensione e dei fremiti che provocava. Nathan rispettò la
promessa e mantenne il controllo, lasciando stoicamente che lei scoprisse i
suoi punti deboli, ciò che lo faceva impazzire, ciò che lo faceva imprecare.
Arrivata all’ombelico, iniziò ad accarezzare con curiosità la fascia di muscoli
sopra ai jeans e strofinò il naso sulla traccia di peli biondi che scendeva fin
sotto alla cintura. Inspirò con calma e slacciò la fibbia. Quando toccò il
primo bottone, lui le prese le mani nelle sue.
“Credevo avessi promesso di non
muoverti.” Lo rimproverò fingendosi arrabbiata.
“Cavolo, non ci ho pensato.” Rise imbarazzato lui. “Ok, puoi fare ciò che
desideri, solo… non voglio che tu ti senta in dovere. Abbiamo tutto il tempo
del mondo.” Le spiegò.
“Sto andando troppo veloce?” Si
riscosse Sara. “Se è così, scusami, mi sono lasciata prendere dall’entusiasmo
e…”
“Angelo, puoi andare a tutta velocità
per quello che mi riguarda.” Le rispose serio. “Se continui così non risponderò
più di me stesso. Se non ho fatto ancora nulla, è solo perché intendo ripagarti
con la tua stessa moneta. Ho intenzione di spogliarti lentamente e di esplorare
il tuo corpo con le mani e con le labbra finché non conoscerò tutto di te. E
poi ricomincerò da capo. Ciò che mi importa è solo che tu vada alla tua
velocità, che tu ti senta sempre a tuo agio con me. Voglio che tu ti senta
libera di dirmi quando c’è qualcosa che vuoi e quando c’è qualcosa che non
vuoi.”
Sara non lo guardò negli occhi quando
rispose a bassa voce: “E’ brutto se ti rispondo che l’unica cosa che voglio è
vederti senza questi jeans? Lasciami aggiungere che li trovo fantastici, ma non
vedo l’ora di vederti senza.”
“Senza jeans? Vuoi che me li tolga?”
Sara annuì. Nathan abbassò la cerniera
lentamente e si sfilò i pantaloni, lasciandole scoprire un paio di boxer neri
aderenti. Sara allungò una mano incerta e sfiorò la sua lunghezza evidente
sotto il tessuto sottile.
“So che è stupido ma ho paura di come
reagirò.” confessò.
“Non c’è nulla di stupido. E non
abbiamo fretta. Se e quando vorrai, potrai scoprirlo.” Rispose lui con voce
roca.
“Voglio… voglio scoprirlo ora. Solo…
ti prego, promettimi che non te la prenderai se non reagirò come ti aspetti.”
“Non mi aspetto nulla, tesoro.” La
incoraggiò lui. E così dicendo si liberò dai boxer rivelando qualcosa che lei
non si era decisamente aspettata.
“Ti stai coprendo la bocca con le
mani.” Commentò lui con ironia: “Avevi ragione. Non mi aspettavo una reazione
del genere.”
“Hai… sei… io…” balbettò non
distogliendo lo sguardo.
“Honey, fai un bel respiro e dimmi
cosa ti turba.” La incoraggiò divertito.
“Io… ti prego non prendermi per una
vergine inesperta… cioè, non voglio dire che io abbia poi tutta questa
esperienza ma…”
“Dicevamo, un bel respiro profondo.”
Continuò lui ridacchiando.
“Non ho mai visto…” e sollevò gli
occhi spalancati su di lui: “sei davvero un gigante.” A quel punto la sua
risata si fece aperta e profonda.
“Honey, sei una scienziata. Non credo
di doverti spiegare che anche tu ti espandi.”
“Non sono certa di espandermi così
tanto…” commentò stupita lei. Un nuovo boato di risa accolse le sue
perplessità.
“Non vedo l’ora di scoprirlo, honey.”
disse abbassando la voce e, avvicinandosi a lei, sussurrò: “Ci prenderemo tutto
il tempo necessario, tesoro. Quando finalmente faremo l’amore, sentirai ogni
movimento, ogni spinta, te lo prometto.”
Un tremito la scosse: “credo che
sentirti parlare così sia la cosa più sensuale che mi sia mai capitata.”
Confessò a mezza voce.
“Buono a sapersi, folletto. Ci
assicureremo che continui a essere così. E ora posso scartare il mio regalo?”
“Non pensarci nemmeno!” Esclamò con
forza. “Siediti di nuovo sul letto, mani sul materasso. Non ho ancora finito!”
Thor rise nuovamente ma fece come aveva chiesto.
Sara si avventurò a toccarlo, con un
dito, una mano e poi due mani. Gli diede lievi baci e scese ad accarezzare le
gambe. Stava per mettersi in ginocchio, per toccare meglio i polpacci solidi
quando sentì le mani di lui afferrarla e sollevarla di peso.
“No.” Le disse. “Non ho intenzione di
vederti in ginocchio. Non ora.” La strinse fra le braccia e la baciò. “E ora la
mia pazienza è decisamente terminata. Iniziamo con il togliere questo
maglione.” E così dicendo le sfilò il pullover nero.
“Eccoci qua, camicia bianca in partner
look. E’ tutta la sera che sogno di farlo.” commentò. “Ora voglio che ti sdrai
su questo letto morbido, honey, e che ti rilassi. Perché ci passeremo molto,
molto tempo. Il prossimo passo sarà sbottonare questa camicetta e levarla di
torno.” La fece sdraiare e fece esattamente come aveva detto. Sbottonò la
camicia con calma, sfiorando solo la delicata pelle del collo e passando con
delicatezza sulla canottiera, come a promettere senza sbilanciarsi. La fece
sollevare a sedere, le tolse la camicia e le disse: “Le mie regole sono diverse
dalle tue, honey. Non devi stare ferma, puoi fare ciò che vuoi, puoi toccarmi,
graffiarmi, stringerti a me. Ma devi sempre essere sincera. Se ti becco a
mentirmi… fammi pensare… che punizione sarebbe appropriata?”
“Smetterai di fare ciò che stai
facendo?” Chiese con un filo di voce Sara.
“Oh, no, honey. Sarebbe troppo facile
per te. E non c’é nulla di facile in ciò che intendo fare. No. Ecco, ci sono.
Ricomincerò da capo. Ricomincerò a baciarti da qui,” e le sfiorò il collo
sorridendo: “scenderò con calma qui” le sfiorò il seno e accennò a stringerle
un capezzolo tra due dita. “Passerò di qui:” disse sfiorando l’altro seno, “e
scenderò qui.” Disse percorrendo la pancia fino ai pantaloni. I muscoli le si
strinsero spontaneamente senza che potesse farci nulla. “Dopodiché ti bacerò
qui. Mille baci leggeri, e poi più intensi fino a quando non perderai ogni
senso del tempo e ti lascerai andare tra le mie braccia.”
“Non l’ho mai fatto.” La verità le
esplose di bocca prima che potesse attivare il filtro cervello-bocca.
“Cosa non hai mai fatto, honey?”
Chiese con dolcezza Nathan.
“Quello che hai appena descritto.”
Sara era così eccitata e così nervosa da dimenticarsi persino del proprio
innato problema a parlare di sesso apertamente. “E non ho mai… non ho mai
baciato o preso un pene in bocca.” Si lanciò. Tanto valeva giocare a carte
scoperte.
“Honey, mi hai baciato poco fa.” le
ricordò. “E non è qualcosa che devi sentirti in dovere di fare. Se e quando
vorrai provare, ti lascerò provare. Ma non ora. Ora voglio che tu riprenda
confidenza con il tuo corpo, un passo alla volta. E con il mio. Se ti disgusta,
lo posso capire.”
“No,” lo interruppe con energia senza
guardarlo negli occhi: “Non mi disgusta affatto. Cioè, credevo che l’avrei
trovato disgustoso. Lo temevo ma non è così. E’… è bello, fa un po’ paura…
sembra una barra d’acciaio coperta di seta… sembra pulsare… ma mi piace… mi
incuriosisce…”
“Come ti ho detto, un passo alla
volta. Per il resto? Come ti senti? Lascerai che esplori il tuoi corpo?” Sara
annuÌ. “Puoi sempre fermarmi, questo lo sai. Ma il mio piano prevede un esame
accurato e al centimetro di ogni tua zona erogena. E dato che non tutti hanno
le stesse zone erogene, intendo esplorare con cura tutto il tuo corpo.”
“Tu.. tutto? Oh devo smetterla di
balbettare!” Si sgridò. Nathan rise e le sfilò la canottiera.
“Confermo. Tutto il tuo corpo, al
centimetro.” Le sganciò il reggiseno e si fermò a guardarla. La tensione era
così alta che si coprì con le mani.
“Vuoi che ti guardi?”
“No… sì… non lo so… io…”
“Ho capito” disse spingendola con fare
giocoso sul letto. “Ricominciamo dall’inizio.” E così dicendo la baciò alla
base del collo, scese con calma verso il seno e seguì esattamente l’itinerario
che aveva dichiarato di voler seguire.
Quando le sbottonò i jeans, Sara era
senza fiato ed era convinta di aver avuto la cosa più simile ad un orgasmo da
tre anni a quella parte.
“Non riesco a stare ferma.” Si
lamentò.
“Nessuno te lo ha chiesto, angelo.”
Disse Nathan senza farsi distrarre dal compito di toglierle i pantaloni.
“Nathan,” lo interruppe lei “aspetta.
C’è una cosa che ti devo dire… Io… ecco, io vado spesso a nuotare e il costume
è un po’ sgambato ma io non… e so che ad alcuni uomini dà fastidio quando non
sei depilata del tutto…”.
Nathan avanzò su di lei con l’eleganza
di un predatore e le sussurrò all’orecchio mentre la accarezzava attraverso gli
slip muovendo lievemente il pollice avanti e indietro: “Alcuni uomini sono
degli idioti, folletto, e il look da teenager prepubertà non mi ha mai
interessato. Sei perfetta come sei, honey. E ora
spiegami perché stai cercando di rovinarmi la sorpresa.”
“Ah… non sto cercando di rovinarti la
sorpresa… solo non mi aspettavo di…” disse ondeggiando sotto il suo tocco
incessante e gli affondò le mani nelle spalle con forza.
“Nemmeno io me lo aspettavo. E’ un
meraviglioso regalo di Natale. E ora lasciamelo scartare in pace.” Disse
ridendo e continuando ad accarezzarla.
Con delicatezza le sfilò le mutandine
e si fermò a contemplarla. “Tesoro, non nasconderti,” la incoraggiò quando lei
strinse le gambe. “Apri bene e fatti guardare, honey. Sei bellissima.”
Sara si fece forza e strizzando gli
occhi allargò un poco le gambe rigide per la tensione. Lo sentì mormorare
compiaciuto e sentì che si avvicinava. Non la toccò ma soffiò piano facendola
divincolare e sospirare per la sorpresa. “Ti piace?” Mormorò e continuò a
soffiare muovendo la bocca lentamente dall’alto verso il basso. “Sembra di sÍ.”
Commentò ridendo con gioia quando Sara spinse il bacino in alto. A quel punto
la toccò. La accarezzò piano, senza mostrare fretta o impazienza, prima sfiorandola solo con la punta di un dito nell’incavo della
gamba, poi con più convinzione ma sempre
con estrema delicatezza, lasciandole il tempo di abituarsi ad essere nuovamente
toccata da un uomo. Infine la accarezzò con due mani, facendola sobbalzare.
Quando le sue labbra la sfiorarono, si ritrovò a conficcargli le unghie nelle
spalle. Le diede baci leggerissimi, quasi lo sbattere d’ali di una farfalla
finché lei non sentì i muscoli delle gambe rilassarsi e tendersi di nuovo per
l’eccitazione e l’attesa.
“E’ meraviglioso.” ansimò. “E’ sempre
così?”
“No, honey. Non per me, almeno.”
Rispose serio Nathan smettendo di baciarla. “Ma ti confesso che è la prima
volta che mi sento così.”
“Cosí come?”
“Completo. Rilassato, leggero,
eccitato…” scoppiò a ridere: “mi sembra di essere eccitato come un teenager
alla sua prima volta, devo essere impazzito”.
“Dan mi ha chiamata una vergine di
ritorno, se ti può consolare.” Il rombo della sua risata la circondò.
“Allora facciamo ciò che due vergini
farebbero a questo punto.” Commentò lui. La fece scivolare sotto le coperte, la
attirò a sé e la abbracciò. “Dormiamo insieme, folletto?”
“Non provare a sgattaiolare via
durante la notte.” Intimò lei e si lasciò cullare dalla sua risata e dal calore
del suo corpo.
§
Il mattino seguente venne svegliata da
un bacio leggero sulla spalla. “Honey, vuoi fare la doccia con me?”
“Gigante, ho bisogno di un momento da
sola, mi sa.” Confessò lei. “Aspetta che mi metto qualcosa…”
“Niente vestiti, è la nuova regola.”
Fece lui serio.
“E chi l’ha fatta questa regola?”
Chiese Sara ridendo divertita.
“Io. Per nulla al mondo mi perderei
l’occasione di vederti nuda alla luce del sole, folletto. Corri in bagno, fra
cinque minuti saremo entrambi sotto la doccia, dopodiché ricominceremo da dove
ci siamo interrotti ieri sera. Se ben ricordo non ho ancora avuto il piacere di
studiare né la tua schiena né il tuo derrière.”
“Cinque minuti soltanto? Ma sei un
despota!”
“Sono un uomo impaziente, è noto.”
“Non mi sembra.”
“Sto contando, folletto. Quattro
minuti e cinquanta secondi…”
Sara si lanciò dal letto e corse in
bagno ridendo.
Dopo una lunga doccia si vestirono e
andarono a fare colazione al bar italiano di fronte a casa, prima di andare a
fare la spesa per la cena della Vigilia e per il pranzo di Natale. La via era
vestita a festa, come il resto della città. Le vetrine erano ornate da nastri,
ghirlande e luci e in ogni negozio e caffè risuonavano le note delle canzoni
natalizie. Uscirono dal supermercato carichi di borse stracolme.
“Trovo questa tua decisione coraggiosa
e avventata allo stesso momento, folletto.” Ripeté Nathan per l’ennesima volta.
Sara rise divertita. “Miscredente.
Dovresti avere più fiducia in me. E per quello che ti riguarda, cowboy, sbaglio o un paio di giorni fa ti sei vantato di
preparare le lasagne migliori del West?”
“Infatti. Del West. Ma qui siamo a
Est. E Dan ha una stella Michelin.”
“Stella Michelin o no, Dan cucina
tutto l’anno e almeno a Natale si merita che siano i suoi amici a preparargli
da mangiare. Faremo come abbiamo sempre fatto quando vivevamo in Italia.
Stasera tortellini in brodo e pesce e domani lasagne.”
“Ma i tortellini non sono ripieni di
carne?” Chiese perplesso Nathan mentre attraversava la strada imprecando contro
tutti i pazzi che guidano sul lato sbagliato della strada e sul lato sbagliato
della macchina.
“Senti un po’, yankee, non oserai
mettere in dubbio una tradizione lunga decenni, vero? Non mi importa di ciò che
dice la gente: Dan e io mangiamo i tortellini e il pesce alla vigilia.”
“Ok, capitano. Tu impartisci gli
ordini, io ubbidisco.”
“Ci siamo capiti, soldato. Ora
dobbiamo darci una mossa perché abbiamo un fitto programma. Dobbiamo preparare
il dessert, gli antipasti e per fare i tortellini ci vuole un’eternità.” Salì
gli scalini di buona lena e si fermò solo un momento a inspirare profondamente.
L’aria di Londra non era esattamente quella del suo paesino sulle montagne ma
c’era qualcosa di simile, quasi un senso di attesa, che permeava l’aria allo
stesso modo poco prima di nevicare. Sarebbe stato un Natale perfetto, se lo
sentiva.
Nathan infilò la chiave nella
serratura ma prima di aprire la porta si volse verso di lei e specificò:
“Giusto per capirci, gli Yankees giocano a baseball. Io sono uno dei Giants.”
“D’accordo, gigante, datti una mossa.
Sto congelando qui fuori con tutti questi sacchetti.” Replicò ridendo e
dandogli una gomitata e sempre ridendo entrarono in casa. La voce di Nat King
Cole li accolse.
Everybody knows a turkey and some mistletoe,
Help to make the season bright.
“Dan!” Esclamarono in coro: “sei
arrivato?” E si affrettarono su per le scale.
Attorno all’isola della cucina erano
seduti Dan e due veri e propri giganti. Nathan sembrava persino piccolo in
confronto a uno di loro. Una massa selvaggia di capelli castano scuro, occhi
blu e un’aura di calma quasi zen, il gigante numero uno torreggiava su uno
degli sgabelli di legno, le gambe piegate in qualche modo sotto il piano di
granito, le mani comodamente poggiate sulla pietra. Il gigante numero due dava
loro le spalle. Era più basso del primo, anche se parlare di basso
sarebbe stato ridicolo.
“Alec! Jake! Cosa ci fate qui?” La
voce stupita e felice di Nathan la riscosse.
“Siamo venuti a passare il Natale in
famiglia, Mac.” Disse con voce profonda il gigante numero uno alzandosi con
cautela dallo sgabello.
Sara usò la scusa delle cose da
mettere in frigorifero per sgusciare verso Dan. Il suo amico la abbracciò
stretta per un lungo momento. Il familiare profumo di sandalo e agrumi della
sua colonia la accolse. Era stato il primo regalo di Natale che gli aveva fatto
dopo che le aveva detto di essere gay, a diciassette anni. Aveva risparmiato
per mesi per comprarglielo. Una colonia da usare su tutto il corpo. L’aveva
accompagnata con un pacchetto di preservativi e un biglietto che diceva “Per le
tue future conquiste!”. Lui era scoppiato a ridere, le aveva detto che era la
cosa più inappropriata che potesse regalargli e che lo adorava. Da allora aveva
sempre e solo usato quell’essenza. Sara era stata la prima a cui l’aveva detto
e lei gli aveva confessato di sapere già da un po’. Erano cresciuti insieme,
amici inseparabili e avevano condiviso tutti i momenti più importanti, dal
primo brutto voto al primo bacio, dalla prima delusione d’amore all’ansia per
la prima volta. Entrambi amavano correre e fare sport e spesso si allenavano
insieme. Chiaramente Dan non aveva smesso, anzi dai rigonfiamenti che poteva
sentire persino sotto il maglione sembrava che andasse spesso in palestra.
“Sono uno spettacolo per gli occhi,
vero?” Commentò Dan indicando i suoi ospiti con il mento dopo averla lasciata
andare.
“Sono enormi.” Mormorò lei mentre
svuotava le borse della spesa.
“Ha!” Esclamò Dan soddisfatto mentre
ne esaminava il contenuto. “Tortellini e pesce, ti adoro, Saretta!”
“E’ il tuo peccato segreto, Dan. Sai
che non ti tradirei mai.” Lo assicurò con un buffetto amichevole sulla spalla.
“Parliamo piuttosto di questi muscoli d’acciaio che hai sviluppato! Stai
compensando qualcosa con la ginnastica forse?” E rise. Dan non era mai stato
minuto. Era uno stangone di un metro e ottantacinque con la passione per la
pallavolo ma sembrava che le sue spalle già larghe avessero guadagnato dei
centimetri dall’ultima volta che l’aveva visto a Pasqua. La passione per le
giacche di pelle, i capelli ormai lunghi quasi fino alle spalle, così scuri da
sembrare neri e gli occhi di un blu intenso completavano l’opera e avevano
contribuito a farlo soprannominare il “bad boy” della cucina inglese. E i
critici non sapevano dei tatuaggi. Se avessero saputo, gli sarebbe preso un
colpo, le aveva detto una volta lui con un sorrisetto d’intesa.
“Non hai idea.” Rispose vago: “Sto
praticando l’ascetismo di un monaco buddista da mesi. In qualche modo devo
sfogarmi o finirò per esplodere come una pentola a pressione lasciata troppo
tempo sul fuoco.” E scosse la testa in segno di disapprovazione verso se
stesso. Cambiando bruscamente argomento le disse: “Sara, ho offerto loro di
usare le altre due stanze degli ospiti. Alec può dividere la stanza con Nate e
Jake si prende quella in fondo al corridoio. Spero che non sia un problema per
te.”
“Dan, è casa tua. Non è un problema
per me. Piuttosto, noi due dobbiamo trovare un po’ di tempo per parlare, mi
sembra. Ti vedo agitato e triste e non è da te. Sei un elfo di Babbo Natale di
solito in questo periodo dell’anno.” Replicò Sara.
Dan sorrise e stava per aggiungere qualcosa
quando venne interrotto dal gigante numero due che avanzava verso Sara con la mano
tesa.
“Direi che è il caso di presentarci.”,
disse. Sembrava uscito da una pubblicità tanto era bello. Gli occhi grandi e
neri, la pelle color cioccolato e i capelli corti, l’amico di Nathan aveva
indosso una felpa bordeaux dell’Università di Harvard e dei jeans slavati e lo
stesso atteggiamento rilassato che sembrava contraddistinguere tutti e tre. “Io
sono Alec. Gioco con Nate da sempre. Siamo cresciuti insieme.”
“Non farti intimidire dai suoi modi
burberi, Sara. Alec è iperprotettivo nei miei confronti ma è molto contento di
vederti. Anzi, direi che è volato fin qui solo per questo.” Disse Nathan
dandogli una solida pacca sulla spalla e abbracciandolo di nuovo.
“Ci puoi scommettere il tuo culo
bianco, fratello. Dopo la telefonata di ieri pomeriggio, era il minimo che
potessi fare.” Nathan sembrò all’improvviso in imbarazzo. Sara decise di non
commentare e si presentò: “E’ un piacere. Sono Sara, un’amica d’infanzia di
Dan.”
“Ho sentito molto parlare di te,
Sara.” Chiaramente Alec aveva intenzione di mettere a disagio Nathan e ci stava
riuscendo.
“Lei invece no.” Interloquì
infastidito Thor. “Sara, Alec è la mia palla al piede da circa venticinque
anni, quando i nostri genitori si sono sposati. Non ti ho parlato di lui perché
non saprei spiegare la sua invadenza.”
Sara rise sorpresa e lo corresse: “Mi
hai detto che è tuo fratello. E’ un piacere conoscerti, Alec, anche se non ho
sentito parlare molto di te prima d’ora. E’ evidente che succederà tra poco.”
“I due sono inseparabili.” Si
intromise il gigante numero uno. “Praticamente pensano all’unisono. Fanno quasi
paura.” E rise, una risata potente e contagiosa che li coinvolse tutti.
“Piacere, Sara, io sono Jake. Gioco con questi due pazzi solo da qualche anno
ma sono diventati la mia famiglia.”
“Il piacere è mio, Jake.” Gli strinse
la mano con energia. Ed era impossibile che non fosse un piacere. Jake era
circondato da una sfera di energia positiva. Un sorriso accattivante, una calma
da fare invidia a un monaco buddista e il corpo di un guerriero vichingo.
“Allora, è vero quello che dice Alec?
Che ti piace il Signore degli Anelli?” La interrogò con curiosità.
Sara scoppiò a ridere divertita.
“Nate, lo ammetto, non ti facevo così pettegolo.” E rivolta a Jake: “Sì, è
vero. E’ stato il primo vero e proprio libro che ho letto in inglese quando
avevo quattordici o quindici anni. Ho visto tutti i film e mi sono piaciuti
molto. Anche lo Hobbit mi è piaciuto molto.”
“La colonna sonora è fantastica,”
confermò Jake: “e i panorami sono magnifici. Sei mai stata in Nuova Zelanda?”
“No, purtroppo no. Nemmeno in
Australia. Ma mi piacerebbe molto visitare quella parte di mondo. La Nuova
Zelanda ha su di me un fascino particolare. Forse sarà perché è agli antipodi
dell’Italia, forse perché sono attratta dalla sua natura incontaminata, non
saprei. Ma un giorno o l’altro vorrei esplorarla.”
“Stiamo progettando un viaggio. Sono
anni ormai ma non riusciamo mai a prenderci il tempo al momento giusto.”
“Per via della stagione del football?”
Chiese lei.
“Ripeti football.” Le ordinò
Alec a bassa voce.
“Football.” ripeté Sara stupita senza
pensare.
“Hai ragione, Nate.” Disse Alec
rivolto a Thor. “Ha un accento delizioso.” E le rivolse un sorriso luminoso.
“Pazzesco, folletto.” Nathan esplose
in una risata allegra. “Basta che tu pronunci la parola football e
perdiamo tutti la testa per te.”
Passati i primi minuti di imbarazzo la
conversazione si fece più rilassata e disinvolta. Sara prese il comando della
cucina e distribuì i compiti in maniera equa. Il che voleva dire che Daniele
doveva starsene seduto su uno sgabello con un bicchiere di vino a chiacchierare
con loro mentre preparavano la cena. Ascoltarono un milione di canzoni di
Natale e quando fu tutto pronto si misero a tavola. Sara scoprì molte cose sul
conto di Nathan, prima fra tutte il suo nome: Nathaniel Macgregor, detto Mac
dagli amici e Nate da Alec. I due erano cresciuti come fratelli, anzi dato che
avevano la stessa età, come gemelli. Avevano frequentato le stesse scuole ed
erano andati insieme all’Università. Erano un caso speciale nel mondo del
football. I genitori erano un avvocato e un medico e volevano tutto fuorché
avere due figli giocatori di football. A quanto pare amavano il tennis e il
golf e Alec e Nathan avevano sempre potuto giocare solo a patto che non
trascurassero gli studi. Alec aveva studiato legge e Nathan matematica e
psicologia a Harvard prima di laurearsi e di continuare a giocare da
professionisti a New York. Sara non poté non ridere all’informazione.
“E pensare che sembravi persino
intimidito da me! Hai studiato a Harvard, ma ti rendi conto?” Gli sibilò a
bassa voce mentre erano in cucina da soli a far cuocere i tortellini.
“Sara, non so come sia possibile ma
non ti rendi conto di quanto tu possa mettermi in soggezione. Sei intelligente
e dolce e bella e piena di ironia… ovviamente sono intimidito.”
“Piccioncini, non fate scuocere i
tortellini, mi raccomando!” Li riprese Dan.
“Tu sei tutto matto, vichingo.” Disse
scuotendo la testa e tornando a tavola con i primi due piatti.
La serata trascorse veloce. Jake e
Alec raccontarono della vita a New York e della frenesia degli allenamenti in
vista delle ultime partite prima del Super Bowl. Le spiegarono che avrebbero
potuto vincere solo se Nathan fosse tornato in campo ma che non importava loro
molto. L’infortunio di Nathan li aveva chiaramente scossi nel profondo e la
loro unica priorità era vederlo nuovamente in forma. Era successo durante una partita
di beneficenza. Doveva essere una partita tranquilla ma gli avversari erano
particolarmente agguerriti perché sapevano che dovevano giocare contro di loro
dopo un paio di settimane nel campionato e li vedevano come ostacolo.
Attaccarono Nathan senza pietà per tutta la partita fino all’incidente.
Sembrava quasi pianificato, ma ovviamente non era stato possibile provarlo. Al
termine della partita ci sarebbe stata una cena di gala e Dan era il cuoco
incaricato per l’evento. Era stato invitato a vedere la partita ed era rimasto
così scioccato dall’infortunio di Nathan che era andato da lui in ospedale il
giorno dopo e si era preso delle ferie per passare del tempo con lui. A quanto
pare, era l’unica persona a cui Nathan permetteva di visitarlo e aveva fatto da
tramite con la famiglia, la squadra e gli amici per giorni, prima che Nathan si
ammorbidisse e accettasse di rivedere Alec. Da allora erano diventati molto
amici e aveva già visitato Dan parecchie volte a Londra quando lo stress della
fisioterapia e della necessità di recuperare la forma fisica si facevano
insostenibili. Arrivò mezzanotte e brindarono al Natale prima di congedarsi e
tornare nelle proprie stanze.
“I miei amici già ti adorano.”
Commentò Nathan prendendola tra le braccia quando furono in camera sua.
“Sono simpatici.” Confermò Sara. “Tuo
fratello mi sta ancora studiando. Sembra quasi che qui sia tu la ragazza a
essere in grave pericolo di prendersi una cotta da paura per una star del
football e non io. Sei fortunato ad averlo al tuo fianco.”
“Alec è una chioccia ma non potrei mai
vivere senza di lui. E’ il fratello migliore che potessi desiderare. Per quanto
riguarda l’essere in pericolo, temo di esserci già cascato in pieno, folletto.
Ieri mattina non ero riuscito a dormire e l’ho chiamato per raccontargli di te.
Non l’avevo mai fatto. Pensa che ha addirittura pensato volessi fare coming out
e dichiarargli il mio amore eterno per Dan.” Una risata lo scosse al pensiero:
“Sappi che mi avrebbe sostenuto.” E rise. “Devo ancora raccontarlo a Dan. Ad
ogni modo, ieri sera mentre stavamo facendo l’albero, Alec mi ha chiamato di
nuovo e mi ha chiesto come andasse. Gli ho raccontato della nostra visita alla
National Portrait Gallery, del fatto che ti ho parlato di Hegel e che sapevi
che faccia avesse.” Al suo sguardo stupito continuò: “ho avuto un periodo al
college in cui ero ossessionato dalla filosofia di Hegel, lascia stare. Ad ogni
modo, non ho mai parlato di Hegel con una ragazza prima.”
“Avresti dovuto provare.” Commentò
asciutta Sara: “Anche noi ragazze abbiamo un cervello, a volte.”
“Sembra proprio di sì.” Sorrise
malinconico Nathan. “Purtroppo le ragazze che incontriamo noi non sono quelle
con il cervello. O se ne hanno uno, preferiscono non sciuparlo parlando di idealismo tedesco con un giocatore di football. In ogni caso, Alec mi
conosce meglio di chiunque altro e ha capito qualcosa che so già da un paio di
giorni.”
“Sputa il rospo, Thor. Se ha a che
fare con la padella, io…” iniziò Sara.
“Folletto, se c’è una cosa che mi ha
insegnato il football, è saper prendere decisioni velocemente. Per velocemente
intendo nel giro di pochi millisecondi. E Alec lo sa. Non so come abbia capito,
ma credo di essere stato abbastanza goffo al telefono da renderlo evidente.”
“Cosa intendi dire?” Chiese confusa
Sara.
“Intendo dire che ci conosciamo a
malapena da quattro giorni e che non so nulla di te. Non so quale sia il tuo
colore preferito, chi sia il tuo scrittore o musicista preferito. Non so se
preferisci mangiare dolce o salato quando sei triste o arrabbiata e non so come
ti sei fatta quella cicatrice sulla schiena di cui mi parlavi ieri. Ma so già
che sei la persona che stavo aspettando. Ho sempre avuto la sensazione di
essere alla ricerca di qualcosa, di qualcuno che mi facesse sentire in pace con
me stesso, completo. Ho sempre saputo che un giorno il mio viaggio sarebbe
finito, l’ho sempre sperato.”
“Hai appena citato Shakespeare?”
Chiese incredula Sara.
“La dodicesima notte. Journeys end
in lovers meeting. E’ così che mi sento. Sara, so che ci sono molte
decisioni che devi prendere, che devo prendere. Molte cose cambieranno nei
prossimi mesi e, spero, impareremo a conoscerci. Litigheremo, faremo la pace,
rideremo, passeremo del tempo insieme e soffriremo quando saremo separati. Ma
c’è una cosa che non cambierà ed è per questo che Alec e Jake sono volati qui
di corsa, perché anche loro lo sanno, come lo so io.” lo vide prendere un
respiro profondo prima di confessare: “Angelo, un anno da adesso, se ancora mi
vorrai nonostante tutti i miei difetti e la mia pazza vita assediata dai
paparazzi, mi piegherò su un ginocchio, il cuore che batte all’impazzata nel
petto e un anello che avrò cercato in lungo e in largo e mi sarò portato
appresso per mesi - già lo so -, ti elencherò tutti i motivi per cui sei
l’amore della mia vita e, credimi, l’incidente con la padella a Londra farà la
sua comparsa, e ti chiederò di sposarmi.”
“Ripeto: tu sei tutto matto, vichingo.
Non mi conosci, non sai in cosa vai a impelagarti. Ho una famiglia allargata,
che comprende una mamma, una sorella, una vicina di casa ficcanaso e tutta la
folle famiglia di Dan, nonna Clelia inclusa. Sono casinisti e impiccioni e
meravigliosi. Ho amici sparsi in tutto il mondo che non riesco mai a vedere,
suono il piano malissimo, sono fissata con serie tv improbabili e guardo i film
che mi piacciono milioni di volte di seguito, leggo libri enormi, quando sono
malata passo ore a vegetare sul divano e guardare Orgoglio e Pregiudizio e
Guerre Stellari… perché ridi? E’ vero!”
“Conosco la nonna di Dan. E’ una donna
fantastica, le ho parlato due giorni fa l’ultima volta. E non credere che mi
farò spaventare da Jane Austen, folletto. Ho affrontato prove ben più ardue.”
“Ogni volta che sto male, incluse le
volte in cui il ciclo è particolarmente doloroso. Non sai di cosa stai
parlando, vichingo.” Ribadì Sara convinta.
“Mettimi alla prova, angelo.”
“Aspetta, cosa vuoi dire con le ho
parlato due giorni fa? Parli italiano?”
Nate rise di gusto. “Ti ho detto che
non ho fatto troppa baldoria al college. I miei avevano messo come regola che
dovevamo laurearci in tempo e bene se volevamo che ci sostenessero nel nostro
assurdo piano di giocare da professionisti. Non importa che fossimo a Harvard
con una borsa di studio, li abbiamo presi in parola. In realtà sapevamo che ci
serviva un piano B. Al primo anno dell’Università, Alec si era convinto che la
nostra unica chance di rimorchiare una ragazza nonostante passassimo le notti a
studiare come matti fosse imparare l’italiano. Mi ha trascinato in un corso
lungo due semestri per poi mollare dopo un mese dichiarando che il francese era
meglio per rimorchiare. L’ha persino imparato, quel matto. Io sono rimasto nel
corso di italiano e sono andato avanti quattro anni anche se non ho studiato a
sufficienza per imparare del tutto la grammatica. Facevo solo un’ora a
settimana, dopotutto, e non l’ho più parlato dopo la laurea. Ma qualche mese
fa, il giorno dopo l’infortunio, un cuoco italiano mi è piombato in camera. Mi
ha guardato per un istante, ha fatto un fischio e mi ha detto: Wow, bomba
sexy, mia nonna ti prenderebbe a calci se ti vedesse a commiserarti così. Sul
serio.” E rise. “E per chiarirmi il concetto ha chiamato sua nonna su Skype e
ha tradotto ogni parola che la donna mi diceva. Da allora la chiamo una volta alla
settimana e parliamo in italiano. Capisce forse un terzo di quello che cerco di
dirle ma sto migliorando.” E sorrise divertito al ricordo di Clelia. “E ora
torniamo a te, angelo. A parte le tue abitudini cinematografiche, la tua
famiglia fantastica e i tuoi amici giramondo, non trovi altre scuse per
rifiutare la mia proposta? E’ già la seconda volta che mi respingi”.
“Nate…”
“Aspetta, angelo. Spero che tu non mi
abbia frainteso. Non ti ho chiesto di sposarmi. Non ancora. Ma ti ho detto che
intendo farlo. E, te lo prometto, quando ti chiederò di diventare mia moglie,
lo farò con tutto il mio cuore. Non devi accettare il posto a New York. Usa
queste due settimane per decidere cosa vuoi fare della tua vita e dove vuoi
vivere. Io dovrò prendere una decisione simile tra non molto. Troveremo una
soluzione che si adatti a entrambi, ne sono certo. Voglio solo che ti sia
chiaro che, qualunque cosa succeda, voglio una relazione con te e che sono
convinto che tu sia la persona giusta.”
Sara lo abbracciò di slancio e lo
baciò con passione. Nathan aveva ragione, aveva ancora del tempo per decidere
cosa fare della propria vita professionale ma ciò che era più importante era
che solo lei poteva decidere della propria felicità e niente l’aveva mai resa
più felice se non trascorrere il proprio tempo con quel vichingo coraggioso,
dolce e testardo che la faceva ridere ed emozionare di continuo e che sembrava
capire e capirla al volo. Per la prima volta, dopo tanto tempo, il lavoro era
tornato ad essere ciò che aveva sempre desiderato fosse: una parte essenziale
della sua vita, non tutta la sua vita. Tra le braccia di Nathan non c’erano
indecisioni o dubbi, sapeva ciò che voleva e che sarebbe stata l’avventura più
terrificante ed emozionante della sua esistenza.
“Fra un anno, se ancora mi vorrai
nonostante tutti i miei difetti e la mia pazza vita fatta di scienza e articoli
scritti di notte, quando mi chiederai di sposarti, risponderò nel modo
sbagliato, scoppierò a ridere per l’imbarazzo, mi metterò a piangere per la commozione
e ti dirò di sì.”, rispose.
Fine
Nora June Peebles dice di sè: sono cresciuta in una città ai piedi delle montagne e me le porto nel cuore ovunque io vada. Dopo il liceo classico ho studiato Fisica e la mia passione per le stelle mi ha portato in giro per l'Europa. Le stelle mi hanno anche portato a conoscere il mio personale vichingo alle 9 di mattina del mio primo giorno di lavoro. Cinque giorni dopo il nostro primo appuntamento mi sono trasferita da lui e da allora siamo inseparabili. Undici traslochi dopo, ho lasciato la scienza, ci siamo sposati e ora ci godiamo il nostro lieto fine movimentato con un pulcino di tre anni e mezzo che crede di essere un pompiere, parla tre lingue mischiandole tutte insieme e sogna di uccidere un drago e sposare una principessa. Viviamo in Germania, dove lavoro per una grande azienda, e scrivere mi aiuta a non dimenticare il mio amato italiano. Due anni fa ho scoperto La Mia Biblioteca Romantica e ho scoperto di non aver mai capito cosa fosse veramente il romance, e quanto mi piacesse! Da allora ho letto molti libri e racconti, di qualunque sottogenere, fidandomi delle vostre recensioni e non pentendomene mai. Un vichingo per Natale è il primo racconto romance che scrivo.
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Bel racconto. Complimenti.
RispondiEliminaBellissimo! E' un racconto veramente dolce e pieno d'amore!
RispondiEliminaComplimenti all'autrice Nora June Peebles!
Anna
Grazie mille, Anna! Sono lieta ti sia piaciuto! Buon Natale!
EliminaNora June
Un grazie di cuore a Francy e a tutte le amiche di LMBR per quest'opportunità e per la fantastica cover! Dedico questo racconto a tutte coloro che come me credono alla magia del Natale e al rimettersi in gioco.
RispondiEliminaUn abbraccio,
Nora June
Bellissimo romance!!! L'ho adorato e divorato dall'inizio alla fine... piacerebbe anche a me trovare un vichingo così !!
RispondiEliminaCiao Annika,
Eliminasono contenta che ti sia piaciuto! Io un vichingo così l'ho trovato (anche se non giocatore di football :) ). Ti auguro di avere la stessa fortuna! :)
Nora June
Dolce, fresco, divertente e romantico. Grazie!
RispondiEliminaGrazie a te, Nimue!
EliminaNora June
Carino :D
RispondiEliminaMi sono iscritta ai lettori fissi... Buone Feste!
Grazie! Buone feste anche a te!
EliminaNora June
Vabbè, ma questo sarà il mio preferito.
RispondiEliminaL'autrice ci dica dove li trova i vichinghi così, che vado a vedere se hanno un fratello!
Grazie LadyEiry! Sarà un cliché ma il mio vichingo è figlio unico. :)
EliminaIn compenso, so per certo che Nate ha un paio di amici vichinghi ancora single e pronti a buttarsi nella mischia! ;)
Buone Feste,
Nora June
Racconto bello lungo e una narrazione fresca. Storia carinissima. Complimenti!
RispondiEliminaGrazie, Emiliana! Sono contenta che ti sia piaciuto!
EliminaNora June
Da oggi considererò il football con occhi diversi ... Bello il racconto. Intelligente, simpatico, dolce e anche un po' sensuale. Le mie congratulazioni all'autrice.
RispondiEliminaGrazie mille!
EliminaNora June
Bello.
RispondiEliminaNon c'è molto altro da aggiungere.
L'ho trovato ben scritto, con la giusta dose di ironia, ricco di spunti
interessanti, stuzzicante e malizioso al punto giusto.
Quattro cuori e mezzo molto meritati.
L'ultimo mezzo cuore se l'autrice ci regalerà una serie sui bei giocatori di football con qualche episodio futuro della vita di questa bella coppia.
Che belle parole, grazie! Non sai che tentazione sia scrivere il seguito! Anche perché so esattamente cosa accadrà a Sara, Nate e i loro amici... :)
RispondiEliminaNora June
Bellissimo storia, una favola moderna von i fiocchi! Sarebbe bello leggere anche degli amici di Nate e, soprattutto, scoprire che cosa faranni i protagonisti! Che bello sapere che l'amore vero esiste e che hai trovato il tuo vichingo, mi fa continuare a sperare di avere la stessa fortuna prima o poi. Ancora complimenti!
RispondiEliminaGrazie, Samantha! Posso confermare: l'amore vero esiste! :) Ti auguro di avere la stessa fortuna che ho avuto io!
EliminaNora June
Molto, molto carino! L'ho trovato divertente e nello stesso tempo romantico. Ad un certo punto ho avuto l'impressione che si dilungasse un tantino troppo ma poi ha ripreso vigore. Bravo il vichingo!
RispondiEliminaCiao Micaelac! Grazie del tuo commento!
EliminaSì, lo ammetto, mi sono fatta prendere dall'entusiasmo e mi sono concessa un paio di excursus per dare un po' più di sostanza ai nostri amici. :) Sono contenta che ti sia piaciuto lo stesso!
Buona serata,
Nora June
molto divertente! chi non lo vorrebbe un vichingo così? l'unico appunto che posso fare è relativo alla protagonista,
RispondiEliminache dà più l'impressione di essere più una vergine piuttosto che una che ha già avuto esperienze. il racconto comunque mi è piaciuto molto.
Grazie, Isabella!
EliminaSara ha avuto esperienze, è vero, ma pessime e, in parte, violente. Dopo tre anni e passa di astinenza, in cui si è dedicata soltanto al lavoro, si ritrova a tu per tu con un pezzo di vichingo come Nate... estroverso, disinibito e capace di leggerle dentro. Non riesco a biasimarla per essere un po' più impacciata del dovuto :).
In effetti, il suo è un viaggio alla riscoperta di se stessa, del proprio corpo e dei propri desideri e ci trovo degli aspetti in comune con chi scopre il sesso per la prima volta.
Buona serata!
Nora June
Ho appena finito di leggere questo racconto e devo ammettere che mi ha conquistata praticamente dall'inizio.
RispondiEliminaIl personaggio di Sara è bellissimo per non parlare di Nata, decisamente l'uomo ideale!
Sei davvero molto brava a scrivere, sei riuscita a farmi emozionare.
Spero con tutto il cuore, un giorno, di poter leggere un tuo romanzo completo, sono sicura che mi piacerà da impazzire.
PS: il tuo italiano è musica per i miei occhi.
Complimenti sinceri e più che meritati.
Katy