SECONDA E ULTIMA PARTE DEL RACCONTO WESTERN ROMANCE DI SARAH BERNARDINELLO
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Una settimana era passata
tranquilla. Max e due dei vice di Wallace avevano perlustrato tutti i giorni i
dintorni della città senza riscontrare cose insolite. Avevano dovuto fare a
meno di due persone, Henry aveva assegnato gli altri due uomini del suo ufficio
come scorta per il viaggio in diligenza del giudice fino a Casper e ritorno.
Cornell continuava a essere ospite
dei Wallace, occupando la piccola stanza sul retro della casa. Aveva cercato di
far capire ai due coniugi che non era il caso di rimanere lì, ma sia Henry che
Lizzie avevano liquidato la faccenda attribuendogli uno scarso interesse. Il
fatto che ospitassero una donna nubile non era di dominio pubblico ma, anche se
lo fosse stato, la donna in questione era sotto la protezione dello sceriffo e
tutto ciò aveva la sua importanza. I Wallace erano stimati e rispettati da
tutta la comunità.
Incontrava Devon solo a cena;
Lizzie aveva insistito che mangiasse con loro la sera, e di certo lui non
disprezzava la cucina della padrona di casa, tutt'altro.
Le prime volte c'era stato un po'
di imbarazzo, seduto com'era di fronte all'altra ospite, ma stava imparando a
conoscerla e ad ammirarla ogni giorno di più.
Aveva anche iniziato a piacergli
più di quanto fosse lecito, ma non poteva impedirselo. Lei aveva la battuta
pronta, non si nascondeva dietro falsi pudori. Si interessava a tutto,
conosceva i cavalli e il bestiame. Si capiva che non era solo la padrona di un ranch
ma anche lo amministrava.
Inoltre era generosa, e lo scoprì
il mattino del sabato quando, appena arrivati in ufficio, Wallace gli consegnò
una busta. Un biglietto accluso comunicava che era parte del denaro della
taglia su Carson.
«Perché a me?» chiese allo
sceriffo. «Questi dovrebbero essere di Devon.»
«È stata lei a decidere, io non
c'entro,» si difese Henry. «Glieli ho fatti avere, ne ha fatto quello che
credeva giusto.»
«Però non mi sembra corretto che li
abbia dati a me.»
Wallace sbuffò. «Ehi, non è a me
che devi dirlo. La prendi da parte e glielo fai presente.»
Non ebbe modo di seguire subito il
consiglio.
Aveva fatto il solito giro nei
dintorni insieme agli aiutanti dello sceriffo, e solo nel pomeriggio fu libero
di uscire dall'ufficio. Fu così che la vide ferma sul portico del saloon mentre
parlava con la maîtresse in persona.
Subito non la riconobbe: si era
rimessa i calzoni e con il cappello calcato sui riccioli scuri non assomigliava
affatto alla ragazza che non vedeva l'ora di incontrare la sera a cena. Scacciò
quel pensiero importuno come un insetto molesto e si diresse a passo di carica
al saloon.
Calzoni o no, lei si stava
intrattenendo con la proprietaria di un bordello, ci mancava solo che qualcuno
la riconoscesse.
Miss Belle gli sorrise, ma Devon
trasalì quando le arrivò accanto. Sfiorò la tesa, salutando le due donne.
«Dovete andare da qualche parte?»
chiese all'oggetto del proprio interesse.
«Beh, io...» Devon si zittì,
scambiando un'occhiata con Belle. Quest'ultima le sorrise e le prese la mano.
«Non vi preoccupate, mia cara. È
tutto a posto.»
«Ma, miss Belle...» iniziò lei, ma
l'altra si limitò a scuotere la testa.
«Grazie.» Devon sembrava
rassegnata. Belle li salutò e sparì all'interno del locale.
«Doveva essere una questione importante,
per farvi addirittura indossare i calzoni.» Si mantenne sul vago, ma era
curioso.
«In effetti sì.» La risposta fu
secca. Lei si incamminò lungo la veranda. Dopo una breve esitazione, le si mise
alle calcagna.
«Devon.»
Si girò a fissarlo. «Siete un guastafeste,»
lo rimbrottò. «Mi ero messa apposta i pantaloni per non causare imbarazzo allo
sceriffo e a Lizzie, nel caso mi avesse visto qualcuno.»
«Ho fatto fatica, infatti, a
ravvisarvi vestita così. Mi ero abituato a vedervi con le gonne.»
«E allora perché siete venuto a
rompermi le uova nel paniere? Ero quasi riuscita a convincere Belle a...» Si
interruppe di colpo.
«A fare cosa?» Era sempre più
incuriosito.
«Niente.»
«Avanti, miss Stanley. È un segreto
di stato?»
Lo fissò. Possibile che esistesse
una sfumatura di verde così intensa? Quegli occhi avevano il colore delle
foglie in primavera.
«No.» Si mise le mani in tasca. «E
va bene. Volevo ripagare Belle del vestito che ho rovinato.» Arrossì e anche
lui. Sapeva bene a quale vestito si riferisse.
«Dovrei essere io a farlo,»
mormorò.
Se possibile, lei avvampò ancora di
più. «Beh, non dovete preoccuparvi. Lei non vuole soldi.» Riprese a camminare e
l'affiancò.
«A proposito di denaro, non
dovevate dividere con me la taglia. Non ho catturato io Carson.»
«So che lo stavate cercando.»
«Sì, ma per una rapina in banca.»
Lei si fermò di nuovo. «Mi sembrava
giusto che aveste la vostra parte.»
«Tremila dollari? Non siete stata
equa con voi stessa.»
Alzò le spalle. «Ho tenuto solo una
parte per eventuali spese. Belle non ha voluto denaro, e neanche lo sceriffo e
Lizzie.»
«Avete offerto denaro anche a
loro?» domandò sorpreso.
«Mi stanno mantenendo.»
«Siete un'ospite,» ribatté lui. «Ve
l'ho già detto.»
«Ma io mi sento... mi sento...»
Tacque e Max dovette resistere alla tentazione di allungare la mano e
accarezzarle il viso, nonostante le dita gli prudessero dal desiderio di farlo.
«Ho capito. Magari potrete fare un
regalo quando nascerà il bambino.»
«Ci avevo già pensato. Ma è una
misera cosa rispetto tutto quello che stanno facendo per me.»
Non voleva che continuasse a
parlare di obblighi e doveri. Lei non doveva niente a nessuno.
«Non eravate neppure obbligata a
dare dei soldi a me.» Quel mattino, quando Wallace gli aveva dato la busta, si
era sentito mortificato. Gli aveva ricordato il momento in cui le aveva fatto
la proposta, e lei aveva rifiutato. Avrebbe dovuto essere contento di aver
ottenuto parte della taglia, era una somma considerevole, invece le sensazioni
era state altre. Non si sapeva spiegare il perché, ma gli sembrava un commiato.
«Anche voi!» esclamò Devon. «Ma che
avete tutti? Vi fanno ribrezzo i soldi? È il vostro lavoro, dopotutto.»
Perché era così arrabbiata?
«Ma no, non volevo dire...» Si
interruppe perché lei aveva ricominciato a camminare. Teneva le spalle rigide e
da quel poco che aveva imparato di lei, significava che era scossa. Riuscì a
raggiungerla e a prenderla per un braccio.
«Andiamo, non fate così. Volevo
solo dire che non avete obblighi nei miei confronti, come nei confronti di
altri. Posso solo ringraziarvi per la vostra gentilezza.»
Si ritrovò a fissarla negli occhi.
Non gli credeva, ne era certo.
«Sarà,» sbuffò alla fine. «Ci
vediamo stasera a cena.» Gli voltò le spalle e questa volta la lasciò andare.
Possibile che si sbagliasse nel giudicarla? Che davvero ci tenesse a dargli una
parte di soldi solo perché Carson era stato sulla sua lista dei ricercati?
Ancora una volta non riusciva a capirla e forse non ci sarebbe mai riuscito.
Lei non aspettava altro che essere su un treno diretto a Denver, e quel
pensiero gli metteva addosso una strana tristezza. Ma per il momento era lì.
Ci vediamo stasera a cena.
Sembrava una promessa. La cosa lo
rese inaspettatamente felice.
§
Uomini, pfui!
Devon si diresse a piedi verso casa
Wallace con il cuore che le batteva forte e gli occhi che le bruciavano.
Idiota di un Cornell. Pensava che
gli avesse lasciato quei soldi per un motivo diverso da quello che gli aveva
detto? Che volesse forse mortificarlo?
Strinse le labbra. La gente pensava
troppo. Poteva ringraziarla e basta, invece di mostrarsi così assurdamente
orgoglioso. Non era certo per altri scopi che aveva chiesto a Wallace di
consegnare una parte del denaro a Cornell. Era un modo per garantirgli un
guadagno, non per umiliarlo.
Arrivò sulla veranda dei Wallace e
tentò di calmarsi.
Aveva agito come la coscienza le
aveva suggerito. Avrebbe dovuto sentirsi meglio, più rilassata. Invece era
ancora in collera con lui.
Sbuffò e trasse un profondo
respiro. Non voleva farsi vedere da Lizzie in quello stato. Cercò di sorridere,
ma era certa che fosse solo una smorfia. Rassegnata, entrò in casa.
§
«Il vestito ti sta a
pennello,»commentò Lizzie soddisfatta.
Era aderente al punto giusto e
della lunghezza esatta. L'aveva acquistato quel mattino, insieme a un cappellino
pieno di nastri e a una borsetta ridicola. Non si era mai preoccupata troppo
degli abiti che indossava o che gli accessori fossero in tinta. Non era capace
di civettare o di sbattere le ciglia per ottenere qualcosa.
Era lei e basta.
Si guardò allo specchio. La
domenica i Wallace si recavano in chiesa e voleva accompagnarli senza farli
sfigurare.
«Credo di sì,» disse alla fine.
Aveva comprato altri due abiti, ma
aveva indossato quello perché, a detta di Lizzie, metteva in risalto i suoi
occhi. Non le fece notare che, a differenza delle altre signorine di buona
famiglia, la sua pelle era abbronzata e che soltanto sfregandosi per ore con il
sapone avrebbe potuto raggiungere un'accettabile pallore. Ma perché doveva
preoccuparsi di quelle sciocchezze? Presto se ne sarebbe andata.
Corrugò le sopracciglia, incerta.
Avrebbe dovuto esserne contenta, invece di sentirsi come se fosse in procinto
di perdere qualcosa, qualunque cosa fosse.
«Stai bene?»
Cara Lizzie, riusciva a capire
subito se c'era qualcosa che la turbava. Le sorrise.
«Sto bene.»
«È che mi sembri così triste.» Lo
sguardo della donna era indagatore, ma conteneva anche preoccupazione.
«Perché dovrei esserlo? È tutto a
posto.»
Sapeva di non averla convinta, ma
non aggiunse altro. Scesero in cucina e insistette per preparare la cena.
Lizzie protestò, ma lei la fece sedere.
«Lo so che stai bene,» le disse «ma
per una volta riposati. Sono capace di cucinare.»
Lizzie rise. «Gli uomini sono
esigenti.»
Gli uomini. Stava preparando la
cena per un uomo. Poco importava che fosse un ospite come lei. Avrebbe mangiato
qualcosa fatto con le sue mani. Si sentì riempire di uno strano calore.
«Ne sono certa,» replicò. Scacciò
il pensiero e cominciò a lavorare.
Pelò le patate, le mise a bollire.
Nel pomeriggio Lizzie aveva fatto una torta con le ultime mele. Insieme
all'arrosto di pernici che Cornell aveva portato il giorno prima dal giro di
perlustrazione, la cena sarebbe stata perfetta.
Mentre controllava la cottura,
scambiò due chiacchiere con la donna, che sembrava apprezzare l'ozio cui
l'aveva costretta.
«Grazie, Devon.»
Le gettò un'occhiata. «Per cosa?»
Lizzie fece un gesto con la mano.
«Per questo. Per la tua compagnia. A volte invito alcune delle signore a
prendere il tè, ma è così noioso. Si parla soltanto di abiti, stoffe,
cibi. Il tuo arrivo ha portato una ventata di freschezza.»
Arrossì. «Oh, andiamo. Non credo di
avere un grande merito.»
«Ti assicuro che è così.» Lizzie si
alzò e sollevò il coperchio. «Se il gusto è come il profumo, quell'arrosto sarà
squisito.»
«Lo spero.»
Le voci maschili le fecero
intendere che erano arrivati. Lizzie andò incontro al marito, ma lei rimase
ferma accanto alla stufa. Perché il cuore le batteva così forte? Una strana
sensazione le scaldò il petto. Cercò di ignorare quei sentimenti e schiacciò le
patate, mescolandole. La tavola era già apparecchiata, non poteva neanche
distrarsi con piatti e posate.
«Che profumo delizioso.» Henry
Wallace entrò in cucina.
«Buonasera, sceriffo,» lo salutò.
«Dovresti chiamarmi Henry.»
Lei rise. «Ci proverò.»
Lizzie comparve, seguita da
Cornell. «Devon ha preparato la cena,» annunciò.
«Non ho fatto niente di speciale,»
si schernì. Perché Cornell la stava fissando in quel modo? Si sentì in
imbarazzo e per sfuggirvi cercò di distrarre l'attenzione.
«Se volete sedervi, è pronto.»
Aspettò che tutti si accomodassero
e li servì. Seduta di fronte a Cornell, ne studiò le espressioni mentre
assaggiava l'arrosto.
«È buonissimo.» Sembrava sorpreso.
Wallace confermò. «Davvero.»
Ne fu lieta. Si accorse del sorriso
soddisfatto di Lizzie e lo ricambiò. Si ritrovò spesso addosso lo sguardo del
suo dirimpettaio. Non voleva ricambiare l'occhiata e sembrare sfacciata, ma non
riusciva più a evitare di incontrare quegli occhi scuri e caldi. Accennò un
sorriso. Il calore l'avvolse mentre lui ricambiava. I brividi che
l'attraversarono non erano certo di freddo.
Dopo cena, Lizzie li spinse fuori
dalla cucina.
«Andate sul portico, è una bella
serata. A riordinare penso io, Henry mi darà una mano, non è vero? La torta la
mangiamo dopo.»
Lo sceriffo protestò, ma Lizzie fu
convincente. Devon si trattenne dal farle notare che era sconveniente
incoraggiarli a restare soli, ma non aveva percepito malizia nella voce della
padrona di casa. Così si ritrovarono seduti sulle sedie in veranda, in
silenzio. C'era una strana tensione, ma non voleva approfondire la cosa.
«Quel vestito vi sta bene.»
Girò la testa a guardare l'uomo al
suo fianco. «Grazie. È nuovo, l'ho preso stamattina.» Sistemò le pieghe della
gonna. «Preferisco i calzoni, comunque.»
«Davvero? Non l'avrei detto.» Nella
voce maschile c'era una nota divertita.
Devon sorrise. «Non prendetemi in
giro, signor Cornell.»
Lui le prese la mano e ne sfiorò il
dorso con le labbra. Maledetto cuore, tra poco le sarebbe uscito dal petto.
«Non ne ho mai avuto l'intenzione.»
L'emozione le impedì di ribattere.
Rimasero a guardarsi per un lungo momento, occhi castani in occhi verdi, e lei
trattenne il respiro. Che le stava succedendo? Quelle sensazioni erano nuove
per lei e non sapeva dar loro un nome. Si rendeva solo conto del battito
forsennato del proprio cuore e del calore della mano di Max intorno alla sua.
Lizzie li chiamò e spezzò
l'incantesimo. Si alzarono e Cornell le lasciò il passo, posandole la mano alla
base della schiena. Un gesto gentile e intimo al tempo stesso, e alquanto
sconveniente.
Il dolce era squisito, i due uomini
ne chiesero una fetta aggiuntiva. Lizzie versò il caffè per tutti. La serata
passò fra risate e aneddoti. Devon parlò del ranch, del suo sovrintendente,
delle vacche che avrebbe potuto vendere prima dell'inverno.
Cornell sembrava averla ascoltata
con grande interesse e non aveva mai distolto lo sguardo. Quell'attenzione la
scombussolò, tanto che accolse il momento di ritirarsi quasi con sollievo.
Salutò i coniugi e Cornell, e il sorriso di lui nel ricambiarla le restò nel
cuore fino a quando si addormentò.
§
Max non riusciva a dormire. Andò a
sedersi in veranda, circondato dai rumori e dai profumi della notte. L'odore
della resina dei pini gli solleticava le narici.
Respirò a fondo, colmando i sensi
nel buio.
Quando l'aveva vista in cucina, nel
suo abito verde scuro, il grembiule che la copriva per non sporcarlo, si era
sentito a casa. Una sensazione che gli aveva tenuto compagnia per tutta la
sera. Proprio lì, sulla veranda, seduto vicino a lei, aveva dovuto imporre a se
stesso l'immobilità per non prenderla tra le braccia e baciarla.
Si strofinò la faccia, sporgendosi
in avanti e appoggiando i gomiti alle ginocchia. Quella ragazza, quella donna,
gli era entrata dentro come una ventata d'aria fresca. Lo rendeva felice, gli
faceva desiderare di fermarsi e mettere radici in un posto. Basta percorrere i
Territori in lungo e in largo, basta dare la caccia a criminali. Voleva
qualcosa di stabile, da chiamare casa, che gli facesse provare quel
meraviglioso calore in mezzo al petto.
Sbatté le palpebre nel buio,
consapevole della direzione presa dalla sua mente. Stupito e spaventato, si
rese conto che voleva Devon. Un desiderio del tutto irrealizzabile.
§§§
La domenica trascorse tranquilla.
Devon si era recata in chiesa con Lizzie ed Henry, aveva ascoltato il sermone
del reverendo Butler cercando di prestare attenzione e riuscendoci a stento,
persa com'era nei propri pensieri.
Al termine della funzione i Wallace
si erano fermati a chiacchierare con alcuni persone, e Lizzie l'aveva
presentata come una cara amica in visita da Denver.
Nel pomeriggio si ritrovò spesso
distratta. Gli sforzi per mostrarsi il più interessata possibile ebbero scarsi
risultati, tanto che Lizzie la spedì a fare una passeggiata.
«Hai bisogno di prendere un po'
d'aria.»
Tra sé la ringraziò per non aver
indagato sul suo stato d'animo e accolse con gioia la prospettiva di
sgranchirsi le gambe nei dintorni e di poter lasciar correre l'immaginazione
senza impedimenti. Quando il sole cominciò a scendere , in lei salì l'agitazione. Aiutò Lizzie a preparare
la cena, fece uno sforzo per apparire meno turbata di quanto fosse in realtà e
attese l'arrivo degli uomini.
Quando Henry comparve da solo,
senza produrre una sola giustificazione per la mancata presenza di Cornell,
tutta l'ansia e l'attesa che l'avevano travolta durante il giorno evaporarono
come l'ultima neve.
Mangiò in silenzio, riordinò e salì
in camera, conscia di avere aspettato tutta la giornata di vederlo a cena,
ridere delle sue battute, crogiolarsi in quegli sguardi caldi. I Wallace la
salutarono senza chiederle spiegazioni per la sua strana apatia.
Avvolta nel tepore delle coperte,
rifletté a lungo, chiedendosi se in realtà si fosse lasciata trascinare
dall'immaginazione nel vedere interesse dove invece non ce n'era. Era anche
possibile che ci fossero stati problemi alla prigione e Cornell fosse stato
trattenuto per motivi di ordine, ma lo sceriffo ne avrebbe parlato.
No, si era comportata né più né meno
come la ragazza che era. Era stata un'ingenua, credendo che i sorrisi e gli
sguardi fossero speciali. L'unica spiegazione era che la sua presenza fosse
venuta a noia al cacciatore di taglie.
§§§
Wallace arrivò presto in ufficio,
quel mattino. Era preoccupato, Cornell non gli aveva detto dove sarebbe andato
la sera prima quando si erano salutati, e di sicuro non aveva dormito nella
stanza sul retro. A cena si era ritrovato spesso a guardare la silenziosa
ospite, come anche Lizzie, ma nessuno dei due aveva chiesto spiegazioni sulla
palese mancanza di gaiezza. L'avevano lasciata in pace, certi che fosse la cosa
migliore.
Aprì la porta e si arrestò sulla
soglia. Max era stravaccato su una sedia, il cappello calato sugli occhi e i
piedi posati sulla scrivania. Stava dormendo, senza alcun dubbio.
Si avvicinò e senza alcuna remora
sollevò un piede dell'amico. Cornell trasalì e ritrasse le gambe di scatto,
facendo strisciare la sedia.
«Sei impazzito?» Max balzò in
piedi, gli occhi ancora annebbiati dal sonno.
«Non mi pare. E di te che mi dici?»
Cornell si sistemò il cappello.
«Che ho bisogno di caffè.» Andò alla stufa e si diede da fare per accenderla.
Henry lo guardò sistemare la legna,
sfregare un fiammifero e preparare il caffè.
«Dove sei stato ieri sera?» volle
sapere Wallace.
«A fare un giro di perlustrazione.»
«Di notte?»
Cornell si girò a guardarlo, un
ghigno divertito sul volto. «Sul serio, Henry, stai bene? Secondo te avrei
potuto andarmene in giro da queste parti di notte?»
Alzò gli occhi al cielo. Lo conosceva
abbastanza bene per riconoscere quando il bounty hunter era imbarazzato
o nervoso.
«E allora cosa hai fatto?»
Max si appoggiò alla stufa e si
versò del caffè. «Ho mandato Stanton a casa da sua moglie e ho preso il suo
posto. Si può sapere perché ti interessa tanto?»
Henry prese una tazza e il bricco.
«Perché non me lo hai detto ieri sera? Ti aspettavamo a cena.»
«Davvero?» Cornell si nascose
dietro la tazza.
Gli diede uno spintone, ma l'altro
sfuggì il suo sguardo.
«Avevo bisogno di qualcosa di diverso.»
«Come dormire su una sedia qui in
ufficio?»
«Si può sapere cosa vuoi da me,
Henry?» Max si raddrizzò e lo guardò fisso. «Ho forse qualche obbligo?»
Wallace represse una battuta
feroce. Era sorpreso e non in senso buono. Aveva visto l'amico sereno, due sere
prima. Si era accorto del modo in cui guardava Devon, e non era certo
disinteressato. La ragazza gli piaceva e avrebbe scommesso qualunque cosa che
il sentimento era ricambiato, altrimenti non si spiegava la tristezza e il
mutismo di lei la sera prima.
«Nessuno,» ammise alla fine. «Ma
Lizzie si è preoccupata quando non ti ha visto.» Non nominò la ragazza di
proposito. Sperò che abboccasse e gli chiedesse di Devon, ma Cornell si limitò
a finire il caffè.
«Vado a prendere il cavallo.»
«Max...»
L'altro gli diede un'occhiata.
«Faccio il solito giro di perlustrazione,» e uscì dall'ufficio.
Wallace rinunciò a ribattere.
L'umore di Cornell avrebbe fatto gelare il Colorado River. Cosa diavolo poteva
essergli successo?
§§§
Devon aveva accettato l'invito di Lizzie
a fare un giro in città. Doveva fare provviste e la prima tappa sarebbe stata
l'emporio. Così presero il carro e lei accettò di guidarlo.
Una volta acquistato il necessario
dal signor Wiley, si concessero una passeggiata guardando le vetrine dei pochi
negozi.
«Mi andrebbe un tè da miss Phriney.
Che ne dici?» le chiese a un tratto Lizzie.
Devon fece un pallido sorriso. «E
scommetto che un paio di pasticcini alla crema sarebbe l'accompagnamento
ideale.»
«Un paio?» replicò l'altra,
ridendo. «Dì pure una mezza dozzina.»
Accolse le parole con una risata, e
fu liberatorio. La tristezza che l'aveva accompagnata in quei due giorni le
aveva lasciato un sapore amaro in bocca. Forse uno o due pasticcini erano la
cura ideale.
«Oh, c'è Max.» Lizzie inarcò le
sopracciglia. «Voglio proprio chiedergli che fine ha fatto ieri sera.»
«Forse ha avuto altro da fare,»
ribatté. L'aveva visto, Cornell stava camminando nella loro direzione. Non era
sicura che si fosse accorto di loro, ma da come salutava le ragazze del saloon,
in ozio fuori del locale nei loro abiti discinti, non le aveva viste.
Il cuore le sprofondò nello
stomaco. Non poteva incontrarlo, non dopo averlo visto sfiorarsi la tesa del
cappello in direzione delle ragazze di Belle. Non dopo aver ricordato come la
guardava due sere prima.
«Andiamo alla sala da tè!» esclamò.
Lizzie la guardò sorpresa. «Non
vuoi fermarti a salutare Max?» Si girò verso l'uomo e dovette notare il modo in
cui sorrideva alle dipendenti del saloon. «No, forse non è una buona idea.»
Ma era troppo tardi. Devon, che lo
teneva sott'occhio, si rese conto che si era accorto di loro. Non potevano più
evitare di incontrarsi.
Quando furono a pochi passi, Lizzie
le strinse il braccio e alzò il mento a guardarlo.
«Max Cornell. Ci onori della tua
vista?»
«Buon pomeriggio, Lizzie. Miss
Stanley.»
Era ridiventato di una formalità
esasperante. Fece un secco cenno col capo, senza rispondere.
«Mi chiedevo che fine avessi
fatto,» aggiunse Lizzie.
Devon guardò altrove. Voleva solo
andarsene e voltare le spalle a tutto ciò che era successo, compresa la
conoscenza di quell'uomo.
«Ho preso il posto di Stanton,
anche lui ha bisogno di stare con sua moglie, di tanto in tanto.»
Che nobile gesto.
Incominciava a innervosirsi. Lizzie
dovette accorgersene, perché le strinse di più il braccio e le sorrise.
«Cara, perché non vai da miss
Phriney e prendi dei pasticcini per stasera?» Affondò la mano nella borsetta e
le allungò dei soldi. «Dille che ti mando io.»
«Come vuoi, Lizzie.» Chinò appena
la testa in direzione di Cornell e se andò, conscia della manovra della signora
Wallace. Decise che non le importava, e prima avesse dimenticato
quell'avventura, meglio sarebbe stato per lei.
§
Max guardò allontanarsi la snella
figuretta quasi sollevato. Aveva tentato di ignorarla come lei aveva fatto nei
suoi confronti, ma stava diventando un'impresa ardua. Adesso si aspettava un
rimbrotto da parte di Lizzie, ma la donna si limitò a sospirare.
«Che sta succedendo, Max?»
Alzò le spalle. «Proprio niente.
Abbiamo due prigionieri in cella che bisogna sorvegliare e siamo pochi.»
«Non stavo parlando di quello.
L'altra sera sembravi preso da Devon, non riuscivi a toglierle gli occhi di
dosso. E adesso vi ignorate a vicenda.» Lo guardò negli occhi. «Cosa è
cambiato?»
Strinse le labbra. «Chiedilo a
lei.»
«Lo sto chiedendo a te. Sei tu che
non ti sei fatto vedere senza dare spiegazioni.»
«Lizzie...»
Lei gli mise una mano sul braccio.
«Credi che non mi sia accorta che ti piace? E di sicuro la cosa è reciproca.»
«Nemmeno tu sembravi felice di
vederci.»
Si passò la mano sulla faccia.
«Lizzie, non ho bisogno di prediche. Che lei mi piaccia o no è irrilevante.
Appena sarà possibile, tornerà a Denver, a casa sua, e finirà tutto. Si
scorderà di quello che è successo oppure tenterà di farlo.»
«Ne sei certo? Sei davvero sicuro
che accadrà?»
Rise, ma era consapevole di quanto
amara suonasse la propria risata. «Certissimo.»
«Mi dispiace che tu la pensi così,
Max.» Lizzie sistemò la gonna. «Perché ieri non ha fatto che aspettarti, e
quando non ti sei fatto vivo ha cambiato umore. Hai presente i brutti temporali
che arrivano dalle montagne?»
Cornell non ribatté. Ci mancava
solo il senso di colpa, come se non ci avesse fatto ormai l'abitudine.
«Lizzie, che se ne fa di uno come
me? Sono un cacciatore di taglie, non un mandriano. Non avrei niente da
offrirle.»
«Hai le tue mani, il tuo cuore,»
sorrise lei. «Magari solo un po' di fiducia. Ti potrebbe sorprendere.» Si girò e
poi tornò a guardarlo. « Sta tornando. Vai adesso, e ricorda che ti aspetto a
cena.»
Max rinunciò a rispondere e si
incamminò verso l'ufficio, rimuginando su quanto Lizzie gli aveva detto. Ma
sapeva già che, per quanto ci sperasse, le cose non erano semplici. Poteva
rinunciare alla vita che conduceva ora se il motivo fosse stato valido.
Le elucubrazioni di due notti prima
lo avevano portato su un terreno instabile, sconosciuto, e la conclusione cui
era giunto era che non avrebbe mai potuto aspirare a nient'altro che a una
conoscenza che, complice la lontananza, avrebbe potuto affievolirsi nel tempo
fino a scomparire.
A meno che Lizzie non avesse
ragione, e che l'interesse che aveva cercato di scacciare non fosse davvero
reciproco.
Fiducia... erano davvero poche le
persone cui l'aveva o l'avrebbe data.
A lei? Quella era una domanda
ancora senza risposta.
§§§
Devon non sapeva se arrabbiarsi o
mostrarsi indifferente. Al rientro a casa, Lizzie le aveva fatto incidentalmente
capire che quella sera sarebbero stati in quattro a tavola. Forse, aveva
aggiunto tra sé. Se il quarto si fosse fatto vedere senza trovare scuse.
Non aveva idea di cosa avesse fatto
per farlo scappare, ma non intendeva scoprirlo comportandosi come una
ragazzetta desiderosa di attenzioni, né voleva perdere quel po' di dignità,
visto che gli sguardi comprensivi di Lizzie le avevano fatto capire che le
proprie emozioni erano di dominio pubblico e anelare di nascondersi da qualche
parte per la vergogna.
Doveva apparire noncurante nel modo
più assoluto. E soprattutto cercare di soffrire il meno possibile. Non si era
mai innamorata, ma se il dolore che aveva sentito in mezzo al petto quando non
lo aveva visto era solo un debole segnale di quel sentimento, allora non faceva
per lei.
Non voleva inganni. Voleva potersi
fidare senza incertezze, ma Cornell, per quanto onorevole fosse, non sembrava
il tipo.
Restava da vedere come si sarebbe
comportato quella sera. Si ripromise di valutare con cura le attenzioni, un
sorriso e uno sguardo non avrebbero più dovuto scombussolarla come avevano
fatto qualche sera prima.
Non le andava proprio di essere
presa in giro.
§
La cena si svolse senza incidenti.
Devon se ne restò sulle sue, rispondendo se chiamata in causa, ma preferì
studiare le espressioni dell'altro ospite cercando di non dare a vedere che
trovava piacevole la sua compagnia.
Questa volta Lizzie non li spinse
ad andare a sedersi in veranda da soli, e la ringraziò in silenzio. Cornell fu
un modello di cortesia, ma non vi furono calde occhiate, nessun sfiorare di
mani, nessuna parola allusiva. Fu solo una cena tranquilla.
Ma le fu difficile mantenere quella
facciata di calma esteriore. Lo guardava di sottecchi, e i ricordi affiorarono.
Una notte, due braccia forti che la circondavano, labbra morbide che si
posavano sulle proprie. Che lasciavano tracce ardenti sulla sua pelle.
Li scacciò con forza, ma il tremito
nel suo stomaco non scomparve. Le piaceva, inutile negarlo.
Ma presto sarebbe tornata a casa, e
lui con ogni probabilità l'avrebbe dimenticata in fretta, considerandola solo
una seccatura. Sarebbe diventata solo una vago ricordo.
§
Perché aveva dato retta a Lizzie?
La cena era stata ottima, come sempre, ma il cibo rischiava di rimanergli sullo
stomaco. Devon aveva parlato solo quando interpellata, ed era rimasta in
silenzio la maggior parte del tempo.
Che si era aspettato? E poi si era
girato di colpo e aveva colto il suo sguardo su di sé. Un rapido sbattere di
palpebre e lei aveva distolto quei magnifici occhi verdi, fingendo
indifferenza.
Strinse le labbra. Era stanco e non
aveva voglia di giocare, non adesso che il suo cuore si era dischiuso al calore
di quel sentimento nuovo. Gli era mancata, nonostante gli sforzi per scacciarla
dalla mente.
Lizzie aveva cercato di coinvolgere
entrambi nella conversazione, con suo marito a darle manforte, ma sembrava che
nessuno dei due volesse cadere nella rete.
Quando Devon si alzò annunciando
che intendeva ritirarsi, si levò in piedi a sua volta.
«Vado a dormire anch'io.»
«Miss Stanley.»
La ragazza aveva posato il piede
sul primo scalino. Si girò a guardarlo, il volto serio.
«Sì, signor Cornell?»
Si avvicinò, mise una mano sul
legno della ringhiera. La scrutò, cercando una traccia di interesse nei suoi
occhi.
«Volevo augurarvi la buonanotte,
Devon.»
Annuì. «Grazie.»
Era tutto. Forse Lizzie si era
sbagliata, dopotutto. L'interesse non era reciproco. Fece un cenno col capo e
si diresse verso la camera sul retro.
«Signor Cornell.»
La voce femminile lo fermò e lo
fece girare.
«Sì?»
«Buonanotte anche a voi.» Sorrise
appena prima di salire le scale, scomparendo alla sua vista.
Ascoltò i passi finché non vi fu
silenzio. Un lieve sorriso gli comparve sul viso. Forse aveva fatto bene ad
ascoltare Lizzie.
§§§
Quel mattino fecero colazione tutti
insieme, in un clima di cordialità ma senza eccedere.
Devon si scoprì ogni tanto a
guardare l'uomo di fronte a lei che beveva il proprio caffè mentre parlava con
lo sceriffo, cercando comunque di non farsi scorgere, ma lui stava facendo lo stesso, come ebbe modo
di appurare girandosi per prendere dell'altro caffè e ritrovandosi addosso
l'occhiata di quei caldi occhi marroni.
Qualunque cosa Lizzie gli avesse
detto il giorno prima, sembrava cambiato. Più cauto, forse, ma anche più simile
all'uomo di qualche giorno prima. Tuttavia doveva affrontare con calma quella
situazione, senza coltivare false speranze.
Lizzie salutò il marito e lei si
limitò a sorridere a Cornell, ricambiata apertamente.
«Ci vediamo nel pomeriggio,» disse
Lizzie. Lo sceriffo le stampò un bacio sulla bocca, incurante di avere degli
spettatori. La risata imbarazzata di Lizzie la fece sorridere e arrossire.
«Allora a oggi pomeriggio.» Cornell
le passò accanto e lei annuì.
Mentre gli uomini si allontanavano
a cavallo, non poté fare a meno di esprimere il pensiero che l'aveva tormentata
la sera prima.
«Cosa hai detto a Cornell?»
Lizzie le gettò un'occhiata.
«Quando?»
Alzò gli occhi al cielo. «Quando mi
hai mandata a prendere i pasticcini. Ho capito che volevi parlargli e non mi
volevi lì.» Le sorrise. « Cosa stai complottando?»
«Io? Proprio niente. Gli ho solo
detto che lo aspettavamo a cena.»
«Ma davvero.»
Lizzie le prese la mano. «Devon,
mia cara, non è che voglia vedere tutti felici, ma... Sia Henry che io teniamo
a quell'uomo, come teniamo a te, nonostante la conoscenza sia recente. Cornell
è una brava persona, è onesto e leale. Un buon amico. Tu, d'altra parte, sei
una brava ragazza, coraggiosa e di cuore. Forse il vostro incontro non è stato
dei più ortodossi, ma non significa che possa trasformarsi in qualcosa di più.»
«Stai cercando di dirmi qualcosa?»
le chiese.
L'altra alzò le spalle. «Beh,
quegli sguardi che vi siete scambiati non si possono equivocare.»
«Lizzie!»
«E poi siete così belli insieme.»
Si mise le mani sui fianchi,
indignata. «Non vorrai combinare un matrimonio?»
«E se anche fosse?» Lizzie sorrise.
«Non dirmi che non provi niente per lui, perché non ti crederei.»
Sospirò. «E lui?»
La risata che accolse la domanda la
fece sorridere suo malgrado. «E lui è nelle tue stesse condizioni, credimi.
Anche se ha qualche dubbio.»
Inarcò le sopracciglia. La notizia
che forse quella vaga sensazione che le stava sbocciando in fondo al cuore era
più che una speranza venne occultata dalle ultime parole.
«Che significa? Quale dubbio?»
«Tu sei ricca, Devon, e di ottima
famiglia. Cornell è solo un cacciatore di taglie.» Allargò le mani. «Non si
sente alla tua altezza, capisci. Inoltre, il senso di colpa per averti dato la
caccia lo tormenta ancora.»
Aprì la bocca e la richiuse. Era
quello il motivo per cui non si era fatto vedere? Aveva pensato di essere lei
la causa, ed era così, ma non perché gli fosse venuta a noia. Gli uomini e il
loro amor proprio. Perché non chiedevano prima? Per non vedere l'orgoglio
subire un brutto colpo, se la risposta fosse stata negativa. In fin dei conti,
gli aveva già detto no una volta, anche se la motivazione di quella
domanda era differente.
A dir la verità, lei non era
diversa. L'emozione le riempì il cuore.
«E se lo volessi così com'è?»
chiese a bassa voce. Lo sguardo sorpreso e felice di Lizzie la fece arrossire.
Ma aveva anche lei qualche dubbio. «Sei sicura che lui, ehm... tenga a me in
quel modo?»
«Se sono sicura?» Lizzie
l'abbracciò. «Se gli sguardi potessero parlare, chissà quante volte si sarebbe
dichiarato, a quest'ora.»
Arrossì ancora di più, se
possibile.
«E adesso dentro. Ci sono le
pulizie da fare.»
Devon la seguì. Forse impegnare
corpo e mente nelle faccende domestiche le sarebbe servito a fare arrivare
prima il pomeriggio.
§§§
Max ripose l'orologio nel taschino
del gilè. Incredibile come il tempo non passasse mai quando si attendeva
qualcosa.
Nella breve distanza tra casa
Wallace e l'ufficio dello sceriffo, aveva dovuto sorbirsi le occhiate allusive
di Henry, ma si era sforzato di non darci peso. C'era niente di sicuro, solo un
sorriso diverso, un saluto più pronto.
In cuor suo sperava che Lizzie
avesse ragione, che Devon provasse per lui qualcosa in più di un'amicizia
nascente.
E lui cosa provava? A quello non
era difficile rispondere. Quando l'aveva vista la sera prima, ma soprattutto
quel mattino, il cuore gli aveva mancato un battito. Lei era sembrata così
tranquilla, ma poi l'aveva guardata negli occhi e vi aveva visto albergare la
stessa ansia che sentiva dentro di sé.
Era pronto a rinunciare alla
libertà e a legarsi a una persona per il resto della vita? Ne sarebbe valsa la
pena? Ripensò al viso di lei, alle sue risposte argute, al coraggio che aveva
mostrato in più di un'occasione.
Ne valeva la pena, certo.
§
Henry si versò del caffè e ne offrì
anche a lui. Doc era venuto a dare un'occhiata alla mano di Carson, e si era
fermato a fare due chiacchiere. Ma, a parte quella visita, il pomeriggio
trascorreva troppo lento per i suoi gusti. Faceva caldo.
Bevve un sorso della bevanda
tiepida e gettò per l'ennesima volta un'occhiata fuori della finestra.
«Tra poco arriverà Stanton.» La
voce di Henry lo fece sorridere. Lo sceriffo sembrava aver compreso la sua impazienza.
«Certo.»
Quella sera avrebbe saggiato il
terreno. Se fosse stato abbastanza stabile da poter azzardare di camminarci,
avrebbe osato anche di più. Le aveva già fatto una proposta di matrimonio,
dettata dal senso di colpa e dal proprio innato senso dell'onore, che lei aveva
rifiutato senza pensarci due volte. Poteva capirla.
Però adesso le cose erano diverse,
aveva cominciato a conoscerla.
Lizzie gli aveva detto di darle
fiducia. Lo avrebbe fatto.
Si alzò in piedi. «Esco, ho bisogno
di sgranchirmi le gambe.»
Il sorriso che Henry gli rivolse si
perse nella barba.
«D'accordo.»
«Hai mai pensato di raderti,
sceriffo?»
Wallace si passò la mano sulla
faccia. «Soltanto se me lo chiede mia moglie, e finora non è successo.»
Cornell si mise a ridere. Fece il
giro della scrivania e si diresse alla porta. D'improvviso due figure
comparvero sulla soglia, facendolo arrestare di botto.
«Fermo!»
Le pistole spianate contro di lui
erano reali. Trasse un sospiro e la mano scattò alla Colt nella fondina. Era
veloce, lo sapeva, poteva farcela.
Strinse il calcio ed estrasse
l'arma. Un attimo dopo faceva fuoco. Uno dei due uomini emise un verso curioso
prima di cadere a terra, ma l'altro rispose sparando a sua volta.
Un dolore accecante gli esplose
nella gamba destra. Cornell si accasciò a terra con un gemito, stringendosi la
coscia. Nella nebbia di dolore che si era alzata udì uno strisciare e delle
grida.
«Fermo, se non vuoi che aggiusti la
mira.»
Sbatté le palpebre. Henry. Quel
bandito ce l'aveva con Henry.
«Stai fermo, Wallace,» gli intimò
Max.
Il complice di Carson si avvicinò e
diede un calcio alla sua pistola, spingendola lontano sotto un mobile, poi
portò l'attenzione sullo sceriffo.
«Prendi le chiavi, avanti.»
Cornell riuscì a girare la testa.
Wallace si era irrigidito ma non aveva obbedito all'ordine.
L'altro gli puntò addosso la
rivoltella. «Ho detto: prendi le chiavi. Vuoi che spari anche a te, sceriffo?»
Henry fece un passo indietro e si
avvicinò ai ganci attaccati alla parete. Cornell lo vide gettare un'occhiata
alla sua sinistra. La rastrelliera dei fucili.
Oh, Dio, non lo fare.
«Non ci pensare neanche, sceriffo,»
sbraitò il bandito. «Prendi le maledette chiavi delle celle e non perdere
tempo.»
Wallace afferrò il cerchio di
ferro, le chiavi tintinnarono. Il bandito si avvicinò e gli spinse la canna
nella schiena.
«Avanti, svelto.»
Sparirono oltre il cancello che
divideva l'ufficio dalle celle. Cornell si mosse per strisciare verso il
mobile, ma non fu abbastanza veloce. Udì un grido rabbioso e fece in tempo a
voltare la testa per vedere il complice di Carson ritto accanto a lui, prima di
essere colpito alla testa.
§
Devon fermò il carro davanti
all'emporio e scese per aiutare Lizzie. Era impaziente, cosa che non le
capitava spesso. Dovette sforzarsi per nascondere il sorriso che minacciava di
spuntare da un momento all'altro.
«Potremmo andare da miss Phriney e
aspettarli lì,» propose Lizzie.
Annuì. « Certo. Quei pasticcini ti
attirano, eh?» scherzò.
L'altra donna si accarezzò il
ventre prominente. «A lui di sicuro.»
«O a lei.»
Le accarezzò la spalla. «Henry
sarebbe felice in ogni caso,» le fece notare.
Salirono gli scalini, ma fecero
pochi passi. C'era uno strano trambusto. La gente era assiepata sul portico e
guardava verso l'ufficio di Wallace.
«Che sta succedendo?» Lizzie si
rivolse al signor Wiley, uscito dal negozio come tutti gli altri.
«Ci sono stati degli spari
nell'ufficio dello sceriffo.» Dovette rendersi conto con chi stava parlano,
perché strabuzzò gli occhi. «Signora Wallace...»
Devon la prese per un braccio.
«Vieni via, Lizzie.» Il cuore le martellava nel petto, la paura le aveva
seccato la bocca.
«Andare dove?» La donna aveva le
lacrime agli occhi. «Voglio sapere di Henry!»
Devon vide arrivare William
Stanton. Stava correndo proprio da loro.
«William!» esclamò Lizzie.
L'aiutante si fermò ansante.
Stringeva un fucile in mano.
«Signora Wallace.»
«Dov'è Henry?»
Devon evitò di chiedere di Cornell,
ma la domanda era latente.
Stanton le guardò. «Lo sceriffo e
Cornell sono dentro.»
Lizzie gemette portandosi la mano
al petto. Devon le passò un braccio intorno alle spalle, prima di riportare
l'attenzione sul vice di Wallace.
«Ditemi cos'è successo,» gli
ordinò.
«Abbiamo sentito due spari e delle
grida. Stavo andando in ufficio. Poi hanno gridato di non avvicinarsi. Mosley
si è appostato dall'altra parte della strada per tenerli d'occhio, ma al
momento è tutto calmo.»
«Dello sceriffo e Cornell si sa
niente?» chiese. Tentò di mantenere ferma la voce. Lizzie era appoggiata a lei,
una mano a coprirsi la bocca.
Stanton scosse la testa.
«Ci sono altri uomini ad aiutarvi?»
volle sapere. Di nuovo il vice fece un cenno di diniego.
Ragiona, Devon, ragiona.
«Si sa chi è stato?»
«Pensiamo siano i complici di
Carson. C'è un corpo sulla porta...»
Lizzie gemette.
Stanton le gettò un'occhiata di
scuse. «... ma non si tratta di Wallace
né di Cornell. Pensiamo che siano riusciti a fermarne uno. Poi non so.»
Alla fine si erano fatti vedere e
li avevano colti di sorpresa. Abbassò lo sguardo sull'arma che Stanton
stringeva tra le mani.
«Datemi il fucile, signor Stanton.»
L'uomo la guardò come se non avesse
capito. Lizzie invece si raddrizzò.
«Devon! Cosa vuoi fare?»
Tese la mano verso il vice. «Il
Winchester. Datemelo.»
Riluttante, l'uomo sollevò il
fucile. Devon lo afferrò, lasciando Lizzie. Abbassò e rialzò la leva, facendo
scattare il proiettile in canna.
«Attenzione.» Stanton sembrava
ansioso.
«Non preoccupatevi, lo so usare.»
Lizzie le strinse il braccio. «Che
vuoi fare?»
La guardò negli occhi. «Lizzie,
prometto di riportarti Henry tutto intero.»
«Oh no, no. Lascia fare agli
uomini, troveranno un modo.»
«Sono chiusi là dentro, hanno
parecchie armi a disposizione, se è come l'ufficio di Ballard. » Vide l'assenso
di Stanton. «Ho un'idea.»
«Vuoi farti ammazzare?» Ormai
Lizzie piangeva.
Nessuno dei presenti si era fatto
avanti. Il signor Wiley sembrava imbarazzato. Le donne si erano eclissate.
Tranne una.
«Miss Belle!»
La maîtresse la guardò dalla
porta del saloon, e si incamminò verso di loro. Stanton si toccò la tesa del
cappello quando la vide, e Lizzie smise per un istante di piangere.
«Signora Wallace, miss Stanley.» Se
era sorpresa di essere stata interpellata, non lo diede a vedere.
«Potete occuparvi di Lizzie, miss
Belle?»
«Ma certo.» Si accorse del fucile.
«Che avete intenzione di fare?»
Lasciò Lizzie. «Occupatevi di lei.
Andiamo, signor Stanton.»
Mentre camminavano verso la
postazione dell'altro aiutante, le sembrò di essere tornata indietro nel tempo,
a quando si era ritrovata sullo spuntone di roccia. Nonostante il dolore alla
testa, si era affidata alla forza delle sue mani ed era risalita, appiglio dopo
appiglio, ritrovandosi ansimante sul ciglio del burrone. Wallace e i suoi
uomini l'avevano incontrata mentre si inerpicava sulle rocce per raggiungere lo
spiazzo dove aveva piantato il bivacco, scoprendo che era occupato da Carson e
il suo complice. La vista di Cornell legato e prigioniero l'aveva convinta che
da sola non avrebbe potuto fare molto. Nel sentire la sua idea, lo sceriffo si
era opposto, ma era stata irremovibile.
Adesso erano nella stessa
situazione, forse anche peggio. Benedisse il fatto che suo padre non avesse
posto veti nell'insegnarle a usare le armi. Era una buona tiratrice, sia con il
fucile che con la pistola. E questa volta non aveva un solo colpo in canna.
«Che cosa volete fare?» La voce di
Stanton era incerta.
«Andrò dentro.»
L'uomo si fermò di colpo. «Siete
impazzita?»
«Non siete gentile, signor
Stanton,» lo rimproverò.
«Se lo fate e vi dovesse accadere
qualcosa, vorranno la mia testa.»
Nonostante il momento, sorrise.
«Faremo in modo che la vostra testa rimanga dov'è.»
«So che siete coraggiosa, ma non
posso permettere...»
Lo interruppe. «Se dovessero
uscire, verranno a cercarmi. Sono la testimone del tentato omicidio di uno
sceriffo e conosco il contenuto di quei documenti. Sono pericolosa per loro,
capite? Se vado io, abbasseranno la guardia.» Su quello ci sperava, ma non lo
disse. «Inoltre, ho fatto una promessa a Lizzie, e intendo mantenerla.» Lo
guardò negli occhi. «Devo fare lo stesso con vostra moglie?»
Stanton deglutì e scosse la testa.
«Bene, vedo che siete d'accordo.
Adesso lasciatemi fare.»
Bob Mosley si staccò dalle
colonnine del portico quando li vide arrivare. Come Stanton, protestò e
sbraitò, ma non le fecero cambiare idea.
«Quanto tempo è passato dagli
spari?» chiese.
«Mezz'ora, più o meno,» rispose
Stanton.
Non aveva tempo per cambiarsi. Le
gonne potevano essere d'impiccio, ma sperò di no. Non doveva correre. Doveva
sparare. Forse.
Strinse la mano intorno all'arma.
«Adesso vi dirò cosa faremo.»
In pochi minuti vide le loro
espressioni passare da incredule a scettiche. Al termine, trasse un sospiro e
si incamminò.
«Miss Stanley.»
Si girò a guardare Stanton e
Mosley.
«Per l'amor di Dio, state attenta.»
Annuì. Ce l'avrebbe messa tutta.
§
«C'è movimento.»
Cornell alzò la testa, imitato da
Wallace, accucciato accanto a lui. Henry gli aveva stretto una benda intorno
alla gamba ferita. Il dolore era scemato, rimaneva solo un sordo pulsare.
Inoltre aveva un terribile mal di testa.
Carson si avvicinò al suo compare.
«Che c'è, Blink?»
«Una donna. Si sta dirigendo qui.»
Max scambiò un'occhiata con lo
sceriffo. Una donna?
«Chi è?» Erano rimasti lontani
dalle finestre, per evitare di essere presi di mira.
«Non lo so,» borbottò quello
chiamato Blink. «Una brunetta, piccolina. Un bocconcino, a ogni modo.»
Cornell inghiottì il nulla.
Brunetta, piccolina...
«Oh, mio Dio,» biascicò.
Wallace gli strinse la spalla.
Sembrava sconvolto quanto lui.
Una voce femminile gridò
dall'esterno. «Sono Devon Stanley!»
Carson si mise a ridere. «Questa
poi! Sta per servire se stessa su un piatto d'argento.» Sollevò la mano
fasciata. «Falla venire avanti, Blink. Chissà che non si riesca a chiudere il
cerchio.»
Si spostarono all'indietro, verso
il cancello divisorio.
Sentì i passi sul legno del
pavimento. Si irrigidì, Henry fece altrettanto.
Pazza, pazza, pazza.
Che cosa le era saltato in testa?
Un grumo di paura gli chiuse lo stomaco. Cominciò a pregare chiunque lo avesse
ascoltato.
L'ombra sulla soglia gli fece
capire che era arrivata.
«Vieni avanti.» Carson si mosse di
un passo.
Devon obbedì. Stava tremando?
Cornell si tese tutto.
Ti prego, no.
La vide gettare un'occhiata veloce
intorno, posarsi sul cadavere del bandito che erano riusciti a spostare dalla
porta. I suoi occhi si fermarono su di lui, e li strinse appena. Teneva le
braccia lungo i fianchi, le mani nascoste dalle pieghe della gonna.
«Sei coraggiosa, ragazza, o
irrimediabilmente stupida. Qui non ci sarà nessuno che salterà fuori all'ultimo
momento.»
«Ti propongo uno scambio,» disse
lei. La voce le tremava. «Me al posto dello sceriffo e di Cornell.»
«No!» Max si raddrizzò, ma Henry lo
tenne giù.
«Ho un'idea migliore,» sbottò
Carson. «Ce ne andiamo e ti portiamo con noi.»
«Prima lascia andare loro.»
Henry si chinò verso di lui. «Ha
qualcosa in mente,» sussurrò.
Cornell si accorse di tremare. Non
aveva mai provato un tale terrore in vita sua. «Spero solo che non sia una
pazzia.»
«Ma certo.» Carson fece un passo indietro,
e Blink sollevò la pistola. Non avevano alcuna intenzione di lasciarli andare
vivi.
Sentì Henry trattenere il respiro.
Blink sogghignò e armò il cane. Li
avrebbero uccisi davanti a lei.
La guardò ma lei fissava i tre
banditi. Non tremava, il bel volto era diventato una maschera di ghiaccio. Per
un attimo, la rivide come quel tardo pomeriggio sulle montagne, quando con il
suo ultimo colpo aveva centrato Carson alla mano.
La vide muoversi, il braccio destro
sollevarsi, un fucile stretto tra le dita. Fu veloce, mentre lo afferrava anche
con l'altra mano.
Lo sparo risuonò nella stanza,
assordandoli.
Il cappello di Blink volò in alto,
il bandito sembrò rannicchiarsi su se stesso, lasciando andare la pistola.
Devon ricaricò il Winchester senza mai perdere il contatto visivo..
«Giù la pistola, Cocklin. Posso
colpire un cervo in mezzo agli occhi a cinquecento yarde. Qui dentro? Una
bazzecola.» Alzò il mento. «Mosley, Stanton!»
I vetri delle finestre ai lati
dell'ingresso si ruppero nello stesso istante. Le facce dei due aiutanti
comparvero nello spazio, insieme alle canne delle loro armi.
Cocklin abbassò la pistola e la
fece cadere sul pavimento. I vice irruppero e fecero arretrare i tre uomini
verso le celle.
Henry si alzò, passandosi la mano
fra i capelli, visibilmente scosso. «Per la miseria, ragazza, mi hai fatto
invecchiare di dieci anni.»
Devon abbassò il fucile. «Andate da
Lizzie. È con Belle.»
«Cinque minuti e arrivo.» Guadagnò
la porta e sparì.
Devon lo guardò, finalmente. Adesso
stava tremando davvero. Si avvicinò. Maledizione, non poteva neanche alzarsi
per andarle incontro.
Lei lasciò andare il fucile e gli
si inginocchiò accanto, fissando la ferita alla gamba. Poi alzò quei suoi
meravigliosi occhi verdi.
«Sei pazza,» sussurrò Max.
La ragazza annuì. Aveva gli occhi
pieni di lacrime. Sorrise appena, poi gli gettò le braccia al collo,
singhiozzando.
«Ho avuto tanta paura,» la sentì
sussurrare con il volto affondato nella sua gola.
«Non si sarebbe detto,» scherzò.
Si sollevò, evitando di guardarlo,
e si passò le mani sul viso. «Non piango così facilmente,» disse arrossendo.
Max le accarezzò la guancia.
«Nessuna donna che conosco avrebbe fatto quello che hai fatto tu. E anche qualche
uomo.» La fissò negli occhi, mentre lei arrossiva ancora di più. La trasse a sé
e la baciò.
Fu un lungo momento.
Il vibrare delle assi gli fece
capire che non erano più soli.
Devon si allontanò da lui,
guardandosi alle spalle. Wallace era tornato. Dalle celle erano arrivati anche
i vice. Tutti e tre sembravano imbarazzati.
«Ho chiamato Doc Wilson,» annunciò
Henry. «Ti metterà a posto la gamba e ti darà un'occhiata alla testa.»
«Grazie.»
Lei si alzò, guardandolo. Le
sorrise. Non vedeva l'ora di ripetere quel bacio.
«Adesso tu vieni con me,» disse
Henry, rivolto a Devon. «Se non lo fai subito, Lizzie ha minacciato di venirti
a prendere. Tanto tra un po' lo rivedrai.»
Max ridacchiò. Prima che uscisse
con Wallace, si raddrizzò.
«Cinquecento yarde, eh?»
Lei si girò. Gli fece l'occhiolino,
sorprendendolo. «Dalle mie parti non ci sono cervi.» Una risata generale
accolse le sue parole. «Comunque, con lo Sharps sono arrivata a ottocento.»
Henry la trascinò fuori, e lui
continuò a ridere.
§
Lizzie l'abbracciò non appena
Wallace l'ebbe condotta da lei, senza risparmiarle i rimproveri per aver
rischiato la vita in quel modo.
«Ma mi hai riportato Henry,»
aggiunse alla fine. «Grazie.»
L'aveva abbracciata ancora. Miss
Belle tossicchiò. Devon riuscì a staccarsi da Lizzie e le sorrise.
«Grazie anche a voi, miss Belle.»
La maîtresse fece un gesto
con la mano. «Per così poco?»
Lizzie alzò la testa. «Siete stata
più gentile della maggior parte delle donne di questa città. Grazie.»
La donna sorrise. «Signora Wallace,
vostro marito è un brav'uomo. Occuparmi di sua moglie era il minimo che potessi
fare. E adesso, se volete scusarmi, ho un saloon da mandare avanti.»
Quando se ne fu andata, Lizzie si
asciugò gli occhi. «Mi hai fatto morire di paura, Devon,» sussurrò. «Ma il pensiero
che mi portassero via mio marito, oh, ho creduto che mi si spezzasse il cuore.»
L'aveva provato anche lei,
facendole capire quanto davvero tenesse a Cornell.
«Lo so, cara.»
Lizzie sorrise debolmente. «Cosa ti
ha detto Max?»
«Che sono pazza.»
L'altra rise. «Ha ragione.»
«E mi ha baciata.» Arrossì al
pensiero che le sarebbe piaciuto ripetere l'esperienza.
«Non avevo dubbi. Senz'altro ha
capito che sei la donna fatta per lui.»
Rise. Lo sperava, con tutto il
cuore. Lizzie la imitò, poi spalancò gli occhi, piegandosi e tenendosi il
ventre.
«Lizzie!» esclamò, afferrandola per
un braccio.
«Oh, Cielo!» La donna le prese la
mano. «Credo ci sia qualcuno che vuole nascere.»
Il panico l'attraversò. «Devo
chiamare, Henry, il dottore. Qualcuno!»
Lizzie si lasciò andare e sedette
sugli scalini. «Vai, corri!»
La prese alla lettera.
§
A coronare quella giornata
terrificante, Devon Maxim Wallace decise che venire alla luce era il modo
migliore per renderla memorabile.
Devon si era affrettata verso
l'ufficio, trovando Henry che organizzava i turni di guardia. Alla notizia, lo
sceriffo atterrì e si precipitò dalla moglie.
Lei corse dal dottore, che aveva
fatto portare Cornell a casa propria dove poteva curarlo al meglio e,
scusandosi con il ferito, lo trascinò con sé.
Lizzie era in preda alle doglie, e
Wallace al panico. Li accolse con un sospiro di sollievo.
Riuscirono a portarla allo studio
del medico e, in una stanza di fianco a quella dove si trovava Cornell, la
fecero stendere su un sofà.
«Ho bisogno di voi, miss Stanley.»
Il dottor Wilson si rivolse direttamente a lei. Lo sceriffo era agitato oltre
ogni dire. Il medico lo spedì a tenere compagnia a Cornell, e si occupò della
donna in travaglio.
Devon era spaventata. «Dottor
Wilson, non ho la più pallida idea di cosa fare!»
Veder nascere dei vitelli non era
esattamente il tipo di esperienza adatta.
«Ascoltate me e non preoccupatevi.»
Le fece lavare le mani e la istruì
su acqua calda e asciugamani puliti. Lei obbedì senza discutere.
Il dottore cercò di calmare la
donna stesa sul sofà.
«Andiamo, signora Wallace. Lizzie.
Siete bravissima. Le cose stanno procedendo piuttosto spedite, sapete? Vedo già
la testa del piccolo.»
Per tutta risposta, Lizzie cacciò
un urlo agghiacciante. Se non avesse avuto le mani occupate, Devon si sarebbe
schiacciata le mani sulle orecchie. Invece strinse i denti e depositò gli
asciugamani sul tavolino a fianco.
«Forza, Lizzie!» Le afferrò una
mano, e l'altra gliela strinse così forte da stritolarla.
«Voglio Henry!»
Cornell la guardò a occhi
spalancati. «Va tutto bene?»
Annuì. «Henry, venite da vostra
moglie.»
«Oh, Signore,» ansimò lo sceriffo.
Si precipitò fuori e lo seguì. L'uomo si inginocchiò accanto al divano
prendendo la mano della moglie. «Lizzie, tesoro!»
«Brava, Lizzie,» la incitò Wilson.
«Ancora uno sforzo.»
Un altro urlo, poi la donna si
rizzò quasi a sedere, prima di ricadere all'indietro contro i cuscini. Un
vagito riempì l'improvviso silenzio.
Wallace guardò il neonato e svenne.
Il dottore scoppiò a ridere.
«Perdonatemi, signora Wallace, ma questa è una scena che non farò dimenticare a
vostro marito.»
Lizzie era sfinita ma si permise
una debole risata. Devon si sentì sommergere dalla commozione. Il dottore
recise il cordone ombelicale, lavò il fagottino e lo consegnò nelle sue mani
tremanti. Lei lo avvolse per bene nell'asciugamano morbido e andò a depositarlo
tra le braccia di Lizzie.
«Un bellissimo bambino,» mormorò
Wilson. La donna pianse.
Devon riprese il piccolo mentre il
dottore aiutava la puerpera a portare a termine quell'immane lavoro.
Alla fine, pulita e avvolta in una
coperta, Lizzie riprese il suo bambino e lo tenne stretto al seno, mentre lei
cercava di far rinvenire lo sceriffo. Fatica non da poco, vista la forte
emozione. Wallace riaprì gli occhi, si sollevò di scatto e abbracciò moglie e
figlioletto con le lacrime agli occhi.
«Siete stata brava.»
Si girò a guardare il dottore. «Non
ho fatto granché,» si schernì.
«Forse non è paragonabile a quello
che avete fatto oggi, ma di sicuro non vi siete persa d'animo.» Gettò
un'occhiata alla porta. «Che dite, sarebbe il caso di andare a vedere l'altro
paziente?»
Annuì e uscì dal salotto, lasciando
i Wallace alla loro gioia. Trovò Cornell teso come un arco, lo sguardo
spiritato.
«Dimmi che è tutto a posto.»
Era stanca morta ma sorrise, mentre
si avvicinava al letto. «Tutto a posto.» Gli si sedette accanto. «Un bellissimo
maschietto.»
«Lizzie?»
«Sta bene.»
Le prese una mano e se la portò
alle labbra. «Sei una donna straordinaria.»
Lo guardò, gli occhi fissi nei
suoi. «Potrei abituarmi a tutti questi complimenti.»
«Dovresti. Ho intenzione di
continuare a farteli.»
Sbatté le palpebre. «Mi stai
corteggiando, Max Cornell?»
«Ci provo.» Se l'attirò contro e
sorrise. «Davvero sei arrivata a ottocento yarde?»
Devon gli buttò le braccia al collo
e lo baciò.
§§§
Il telegramma che avvisava della
partenza da Casper del giudice Larabee arrivò nella tarda mattinata del giorno
seguente, insieme alla notizia che con lui avrebbero viaggiato Beth e Tom
Kendall. Avevano risposto al suo telegramma partendo da Denver e facendo tappa
a Casper, dove avevano parlato con Ballard e incontrato il giudice.
Devon non poteva che esserne
felice.
Al mattino si erano spostati a casa
Wallace, Lizzie con il bambino e Cornell con la sua gamba ferita, e lei aveva
assunto l'onere di prendersi cura di tutti. Lo sceriffo si era recato presto in
ufficio, non prima di inviare il telegramma con le ultime novità a Casper. In
risposta era arrivato quello del giudice.
Devon aveva sistemato la puerpera e
il nuovo arrivato, si era occupata di Max e della sua gamba. Aveva insistito
che rimanesse a letto e non aveva voluto sentire ragioni.
«Sei una prepotente!» sbottò
Cornell.
«Ordini del dottore,» ribatté lei.
Mise sul comodino una bottiglietta di vetro scuro e appoggiò le mani sui
fianchi. «Il dottor Wilson ha raccomandato un cucchiaio di laudano se dovessi
aver dolore, ma non oltre.»
«Peccato. Stanotte mi ha fatto
dormire bene.»
Ignorò il sorrisetto sornione e
sbuffò. «Sei impossibile, Maxim Cornell.»
Lui arrossì. «C'è un motivo per cui
non uso il nome intero.»
«E qual è?»
«Troppo aristocratico.»
Devon si sedette sulla sponda del
letto. Se Beth l'avesse vista non le avrebbe certo risparmiato un rimprovero.
Una donna nubile, nella camera di un uomo! Tutte le regole della buona creanza
erano sfumate con gli eventi degli ultimi giorni.
«Capita, se hai una madre
insegnante appassionata di poeti inglesi.»
Lui inarcò le sopracciglia. «Come
lo sai?»
«Me lo ha detto Lizzie.»Ignorò la
sfilza di improperi sull'incapacità delle donne di tenere per sé una
confidenza, e si limitò a sorridere. «Comunque a lei ed Henry è piaciuto,
altrimenti non avrebbero chiamato così il piccolo.»
«Ti ricordo che il bambino si
chiama Devon.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Non
essere pedante.»
Le prese la mano e se la portò alle
labbra. Si guardarono negli occhi per un momento, poi si alzò di scatto.
«Devo andare a preparare il
pranzo.»
«Mi lasci qui da solo?»
«Qualcuno deve pur cucinare,»
ridacchiò. Stava per uscire quando la chiamò di nuovo.
«Devon.»
Fece un passo indietro. «Sì?»
«Sposami.»
Lei sbatté le palpebre, le gambe
molli, il respiro d'improvviso affrettato. Gli occhi di lui la scrutavano. Glielo aveva chiesto
davvero? Il bel volto maschile sembrava teso.
«Mi vuoi davvero?» gli chiese,
tornando verso il letto. «Non lo chiedi per gratitudine o altro?» Era
importante per lei saperlo.
Lo sguardo fisso nel suo, Max
sospirò. «No. Non per gratitudine. Non per senso di colpa. Solo perché ti amo.
E l'ho capito ieri, quando sei stata così pazza da rischiare...»
Lo interruppe senza tante
cerimonie. «Sì.»
Lui aggrottò la fronte. «Hai detto
sì?»
Lei annuì.
«E tu sei sicura di volermi?» Nella
voce profonda c'era incertezza.
Alzò le spalle. «Sono sicura.»
Era vicina al letto, ormai. Max
allungò la mano e prese la sua, intrecciando le dita.
«Dovrò abituarmi a un letto morbido
dove dormire tutte le notti. A un tetto sulla testa invece che le stelle. A...»
«Se stai cercando di dissuadermi
adesso che ti ho risposto, perdi il tuo tempo,» sbottò. Fece per togliere la
mano dalla stretta di lui, ma venne trascinata a sedere sul letto, le braccia
muscolose ad avvolgerla.
Lui sorrise. «Speravo che lo
dicessi.» L'attirò contro il petto. «Sei tutto quello che ho sempre
desiderato,» sussurrò.
«Anche se sono bassa?» non poté
fare a meno di replicare.
«Sei perfetta, e io ho buoni motivi
per saperlo.»
Gli diede uno schiaffo sulla
spalla, arrossendo. «Max Cornell, sei davvero impossibile!»
Stavolta lui rise, stringendola di
più.
Si perse nel calore di quegli occhi
scuri. «Ti amo, signor Cornell,» bisbigliò, prima che quella bocca calda si
posasse sulla sua.
§§§
Epilogo. Cheyenne, agosto 1870
Decisero di sposarsi a Cheyenne.
Avevano dei buoni amici e li volevano accanto. Il reverendo Butler aveva dato il
consenso al matrimonio, purché passassero almeno quindici giorni dalla
pubblicazione dell'avviso.
Il tempo fu sufficiente perché Max
si riprendesse dalla ferita e arrivasse la diligenza da Casper con a bordo il
giudice, Beth e Tom. La sua governante andò in brodo di giuggiole alla notizia
che la sua bambina sarebbe convolata presto a nozze, e si diede da fare insieme
a Lizzie, ripresasi dal parto, per organizzare la cerimonia e preparare l'abito
nuziale, che altro non fu che il vestito verde adorno di un colletto bianco.
In accordo con il fidanzato, aveva
invitato anche Belle Collins al matrimonio, incurante se ciò avrebbe fatto
insorgere mezza città.
La cerimonia era stata semplice,
anche se non ricordava granché, a parte l'alto uomo che l'aspettava accanto al
reverendo, con lo sguardo fisso su di lei.
E adesso, all'anulare della mano
sinistra risplendeva l'anello che la legava a Max per il resto della vita.
Lo amava da impazzire, da quella
notte in cui lo aveva tirato fuori dal vicolo e portato in una camera
d'albergo. Camera che Belle le aveva messo a disposizione anche per quella
notte e finché non fossero ripartiti. La loro notte di nozze. Al solo pensiero,
si sentiva arrossire e riempire di desiderio al tempo stesso.
La musica era allegra, nel saloon.
La padrona aveva insistito per offrire un ricevimento agli sposi, e né lei né
Max avevano potuto rifiutare.
La sua damigella era stata Lizzie
Wallace, che ora stava ballando con il marito, testimone dello sposo. I loro
volti erano arrossati e sorridenti, e non poté non constatare quanto fossero
belli come coppia. Anche Devon Maxim Wallace partecipò, e la musica non gli
diede alcun fastidio.
Tom aveva invitato Belle a ballare,
ma la musica era troppo vivace e si erano accontentati di sedere a chiacchierare.
Non era una festa con molti
invitati, ma andava bene così. Era felice, e lo fu ancora di più quando Max le
si avvicinò offrendole la mano e invitandola ad alzarsi.
«Un ultimo ballo, mia signora?»
Sorrise e accettò, mentre le dita
di lui stringevano le sue.
«Ti ho detto che sei bellissima?»
le chiese, appoggiandole la guancia ai capelli.
«Diverse volte,» disse, «ma
continua pure, grazie.»
Max rise, poi si staccò da lei, gli
occhi che brillavano. «Direi che potremmo salutare i nostri ospiti, a questo
punto, signora Cornell.»
Il cuore prese a batterle più
forte. Gli sfiorò il petto.
«Direi di sì, signor Cornell.»
Beth trattenne a stento le lacrime,
quando la salutarono con la promessa di rivedersi il mattino successivo per
colazione.
Belle l'abbracciò. «Non tutto il
male viene per nuocere,» le sussurrò all'orecchio. Lei non poteva essere più
d'accordo.
Salutarono Tom, al settimo cielo
per aver potuto incontrare di nuovo il suo amore di un tempo.
Infine, lo sceriffo e sua moglie
augurarono la buona notte uscendo insieme a loro.
Mentre attraversavano la strada nel
buio della notte, Max la strinse a sé. Devon si chiese se sentisse quanto le
batteva forte il cuore. Era passato più di un mese da quell'incontro fortuito,
e se allora non era stato programmato, adesso erano presenti emozione e
aspettativa. E un forte desiderio.
§
Max strinse sua moglie. Sua
moglie. Gli piacevano quelle due parole.
Dovette resistere all'impulso di
baciarla fino a stordirla. Ancora pochi passi e avrebbero potuto godere
dell'intimità della loro stanza.
Salirono le scale e raggiunsero la
camera in silenzio. Si chiese se lei fosse nervosa quanto lui.
Non appena chiuse la porta alle
loro spalle, però, non resistette più. Se la schiacciò contro il petto e la
baciò. Lei gli buttò le braccia al collo e socchiuse le labbra, offrendogli se
stessa.
«Ti amo,» sussurrò lui.
Devon gli sfiorò le labbra con le
dita. Stava tremando.
«Anch'io ti amo, Max.»
Non le strappò il vestito come
aveva fatto quella notte, una notte che aveva il sapore del sogno. Ebbe cura di
slacciare tutti i bottoncini che chiudevano il corpetto sulla schiena, finché
non riuscì a vedere il candore della camiciola e della pelle di sua moglie.
«Non porti il busto.» Lo disse con
sollievo, non sapeva quanto ancora avrebbe potuto resistere. Lasciò cadere
l'abito sul pavimento, ammirando la schiena e i fianchi sottili di Devon.
«Quello strumento di tortura?»
replicò lei. Girò la testa sulla spalla, ammiccando. «Ti dispiace che non
l'abbia messo?»
La fece voltare e se la strinse
contro, accarezzandole il fianco, risalendo lento ma deciso fino a chiudere la mano a coppa su
un seno. Lei tremò al suo tocco.
«Neanche un po',» sussurrò, prima
di baciarla. Poi la sollevò e andò a deporla sul letto, rimanendo fermo a
guardarla, le mani appoggiate ai lati del corpo di lei.
«Ti avverto, non sono ubriaco,
stanotte.»
Devon sorrise, e si sollevò per
attirarlo su di sé.
§
Il tempo di spogliarsi, e
finalmente poté sentire il calore della pelle di suo marito. Adorava quella
parola.
Le mani di lui furono dappertutto,
la accarezzarono, la eccitarono.
E lei ricambiò le attenzioni,
passandogli i palmi sulla schiena, scendendo verso territori sconosciuti e
inesplorati.
Si staccò ansante dalla bocca di
Max, guardandolo nella lieve luce data dalla lampada.
«Amore.»
Lei sorrise, sentendo la nota
interrogativa nella voce maschile. Gli occhi scuri erano velati dalla passione.
«Pensi che...» iniziò a dire, ma si interruppe, sorpresa dal
proprio desiderio, e intimidita da ciò che avrebbe potuto pensare di lei l'uomo
che la stringeva con passione.
Lui le prese una mano e se la portò
alle labbra. «Che cosa, tesoro mio?»
«Ecco, pensavo...» Non sapeva come
chiederlo. Sentiva la pressione dei fianchi di lui fra le cosce, un calore
sempre maggiore nel ventre. Respirò a fondo. «Sarebbe sconveniente se ti... ehm... toccassi, Max?»
Lo sentì trattenere il respiro, poi
la baciò, prima di spostarsi leggermente su un fianco.
«Oh, no,» mormorò. «Non credo che
lo sarebbe.»
Le prese la mano e la guidò giù,
prima su un fianco e poi verso l'inguine. Quando le sue dita si strinsero
intorno a quella parte di lui che la intimoriva e la eccitava insieme, lo sentì
gemere.
Fece per ritirare la mano, ma Max
la coprì con la propria.
«Va tutto bene,» sussurrò. «È
bellissimo.»
Allora mosse la mano, incoraggiata
dai mugolii del suo uomo, mentre lui le accarezzava i seni e glieli baciava.
Poi la fermò, spostandosi e
coprendola con il proprio corpo.
Non fu come la prima volta. Non
sentì dolore. Solo la sensazione meravigliosa di appartenergli, così come lui
apparteneva a lei.
Il piacere arrivò a ondate, mentre
si muovevano insieme, baciandosi e accarezzandosi.
Lo strinse a sé con le braccia e le
gambe, come se non volesse più lasciarlo andare.
E poi, quando l'onda si ritrasse e
rimase solo l'appagamento, giacquero abbracciati e silenziosi.
Gli diede un lieve bacio sul petto
e si sollevò per tirare su di loro le lenzuola, e riprese la posizione di
prima, la testa posata sulla spalla.
Max la baciò sui capelli.
«Stai bene, signora Cornell?»
Lei sorrise. «Mai stata meglio. E
tu?» Le rispose con un sospiro soddisfatto e un bacio sulla fronte. Si rialzò
per guardarlo, appoggiandosi con gli avambracci al torace muscoloso. «Sai cosa
mi ha detto Belle, signor Cornell?»
«Che cosa?»
Gli sfiorò la guancia con il
respiro, poi scivolò sulla bocca, accarezzandogli le labbra con la punta della
lingua. Quando udì il gemito di Max, si sentì decisamente lussuriosa. Guardò
suo marito e sorrise.
«Che non tutto il male viene per
nuocere.»
Lo baciò, e lui la travolse cambiando
le loro posizioni, bloccandola sul letto, mentre lei ridacchiava e lo
abbracciava.
«Sai una cosa, signora Cornell?
Sono proprio d'accordo con Belle.»
CHI E' L'AUTRICE
Nata in Svizzera nel 1971, Sarah Bernardinello vive in Veneto, in provincia di Rovigo, a pochi chilometri dal mare. Laureata in Infermieristica nel 2003, lavora come infermiera presso il reparto di Oncoematologia dell'Ospedale di Rovigo.
Lettrice vorace fin da piccola, con un'immaginazione fervida, ha cominciato a scrivere da ragazzina. Vince il Premio Romance 2013 dei Romanzi Mondadori con il racconto storico La signora del mare, e pubblica diverse opere in antologie. Il suo racconto Chicago Summer ha partecipato alla rassegna di racconti estivi 2015 di questo blog ed risultato "secondo racconto preferito dalle blogger". A giugno 2015 è uscito il suo primo romanzo, Soltanto tu, edito da Delos Digital.
PUOI TROVARE IL SUO LIBRO QUI
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TI E' PIACIUTO L'ULTIMO COLPO? TI PIACEREBBE LEGGERE ALTRE STORIE DI SARAH BERNARDINELLO? PARTECIPA ALLA DISCUSSIONE.
Ma quanto mi piacciono le protagoniste femminili di questa storia! Bellissimo racconto lungo...detto da ina lettrice che normalmente non si appassiona ai racconti e' un vero complimento.
RispondiEliminaBello, bello, bello!
RispondiEliminaStamattina non vedevo l'ora di riaprire il PC e leggere la seconda parte, e quanto mi è piaciuta! Una novella divertente, ben scritta, molto "cinematografica", direi. Per Max, non so perche' ma ho pensato subito a Chris Evans! (Non è vero, lo so il perche' ;-) )
Un grande grazie a Sarah per averci regalato questa storia!
Un racconto molto bello... Una scrittura cinematografica che fa vivere i personaggi come se stessi guardando davvero uno schermo con degli attori in carne e ossa ;-) Sono d'accordo con Eva... Chris Evans ci starebbe molto bene!!! ;-)
RispondiEliminaTanti tanti complimenti a Sarah, bellissimo racconto... direi che non manca nulla! Un grandissimo in bocca al lupo per il tuo futuro da scrittrice, te lo meriti tutto... :)
RispondiEliminaRagazze, siete davvero stupende. Grazie per i vostri commenti e per l'apprezzamento!
RispondiEliminaBello, avventuroso e romantico. Colpisce nel segno!
RispondiEliminaGrazie, Fernanda. Non solo per il commento...
Eliminami unisco alle congratulazioni, bellissimo racconto, lettura gradevolissima e appassionante, anche io oggi non vedevo l'ora di leggere la seconda parte :D
RispondiEliminaCOMPLIMENTI!!! personaggi davvero affascinanti...e concordo su Chris Evans!!! ;D
Dite niente: Chris Evans, figuriamoci se dopo l'Uomo Fiamma o Captain America si mette a fare il cow boy!
EliminaGrazie per le belle parole!
Ma siete tutte di qua, consorelle? Io avevo commentato di là... comunque lieta che sia arrivata quella sillaba attesa nella prima parte. Complimenti Sarah! Che la Dea ti benedica
RispondiEliminaGrazie, cara. Spero che la Dea continui a farlo. Un abbraccio.
EliminaBellissimo racconto fantastico insomma proprio bello non saprei che altro aggettivo usare si ecco ...... superlativo il racconto i personaggi la storia una degna conclusione
RispondiEliminaGrazie, Stefania! :-)
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