L'ULTIMO COLPO di Sarah Bernardinello - SECONDA PARTE


SECONDA E ULTIMA PARTE DEL RACCONTO WESTERN ROMANCE DI SARAH BERNARDINELLO

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Una settimana era passata tranquilla. Max e due dei vice di Wallace avevano perlustrato tutti i giorni i dintorni della città senza riscontrare cose insolite. Avevano dovuto fare a meno di due persone, Henry aveva assegnato gli altri due uomini del suo ufficio come scorta per il viaggio in diligenza del giudice fino a Casper e ritorno.
Cornell continuava a essere ospite dei Wallace, occupando la piccola stanza sul retro della casa. Aveva cercato di far capire ai due coniugi che non era il caso di rimanere lì, ma sia Henry che Lizzie avevano liquidato la faccenda attribuendogli uno scarso interesse. Il fatto che ospitassero una donna nubile non era di dominio pubblico ma, anche se lo fosse stato, la donna in questione era sotto la protezione dello sceriffo e tutto ciò aveva la sua importanza. I Wallace erano stimati e rispettati da tutta la comunità.
Incontrava Devon solo a cena; Lizzie aveva insistito che mangiasse con loro la sera, e di certo lui non disprezzava la cucina della padrona di casa, tutt'altro.
Le prime volte c'era stato un po' di imbarazzo, seduto com'era di fronte all'altra ospite, ma stava imparando a conoscerla e ad ammirarla ogni giorno di più.
Aveva anche iniziato a piacergli più di quanto fosse lecito, ma non poteva impedirselo. Lei aveva la battuta pronta, non si nascondeva dietro falsi pudori. Si interessava a tutto, conosceva i cavalli e il bestiame. Si capiva che non era solo la padrona di un ranch ma anche lo amministrava.
Inoltre era generosa, e lo scoprì il mattino del sabato quando, appena arrivati in ufficio, Wallace gli consegnò una busta. Un biglietto accluso comunicava che era parte del denaro della taglia su Carson.
«Perché a me?» chiese allo sceriffo. «Questi dovrebbero essere di Devon.»
«È stata lei a decidere, io non c'entro,» si difese Henry. «Glieli ho fatti avere, ne ha fatto quello che credeva giusto.»
«Però non mi sembra corretto che li abbia dati a me.»
Wallace sbuffò. «Ehi, non è a me che devi dirlo. La prendi da parte e glielo fai presente.»
Non ebbe modo di seguire subito il consiglio.
Aveva fatto il solito giro nei dintorni insieme agli aiutanti dello sceriffo, e solo nel pomeriggio fu libero di uscire dall'ufficio. Fu così che la vide ferma sul portico del saloon mentre parlava con la maîtresse in persona.
Subito non la riconobbe: si era rimessa i calzoni e con il cappello calcato sui riccioli scuri non assomigliava affatto alla ragazza che non vedeva l'ora di incontrare la sera a cena. Scacciò quel pensiero importuno come un insetto molesto e si diresse a passo di carica al saloon.
Calzoni o no, lei si stava intrattenendo con la proprietaria di un bordello, ci mancava solo che qualcuno la riconoscesse.
Miss Belle gli sorrise, ma Devon trasalì quando le arrivò accanto. Sfiorò la tesa, salutando le due donne.
«Dovete andare da qualche parte?» chiese all'oggetto del proprio interesse.
«Beh, io...» Devon si zittì, scambiando un'occhiata con Belle. Quest'ultima le sorrise e le prese la mano.
«Non vi preoccupate, mia cara. È tutto a posto.»
«Ma, miss Belle...» iniziò lei, ma l'altra si limitò a scuotere la testa.
«Grazie.» Devon sembrava rassegnata. Belle li salutò e sparì all'interno del locale.
«Doveva essere una questione importante, per farvi addirittura indossare i calzoni.» Si mantenne sul vago, ma era curioso.
«In effetti sì.» La risposta fu secca. Lei si incamminò lungo la veranda. Dopo una breve esitazione, le si mise alle calcagna.
«Devon.»
Si girò a fissarlo. «Siete un guastafeste,» lo rimbrottò. «Mi ero messa apposta i pantaloni per non causare imbarazzo allo sceriffo e a Lizzie, nel caso mi avesse visto qualcuno.»
«Ho fatto fatica, infatti, a ravvisarvi vestita così. Mi ero abituato a vedervi con le gonne.»
«E allora perché siete venuto a rompermi le uova nel paniere? Ero quasi riuscita a convincere Belle a...» Si interruppe di colpo.
«A fare cosa?» Era sempre più incuriosito.
«Niente.»
«Avanti, miss Stanley. È un segreto di stato?»
Lo fissò. Possibile che esistesse una sfumatura di verde così intensa? Quegli occhi avevano il colore delle foglie in primavera.
«No.» Si mise le mani in tasca. «E va bene. Volevo ripagare Belle del vestito che ho rovinato.» Arrossì e anche lui. Sapeva bene a quale vestito si riferisse.
«Dovrei essere io a farlo,» mormorò.
Se possibile, lei avvampò ancora di più. «Beh, non dovete preoccuparvi. Lei non vuole soldi.» Riprese a camminare e l'affiancò.
«A proposito di denaro, non dovevate dividere con me la taglia. Non ho catturato io Carson.»
«So che lo stavate cercando.»
«Sì, ma per una rapina in banca.»
Lei si fermò di nuovo. «Mi sembrava giusto che aveste la vostra parte.»
«Tremila dollari? Non siete stata equa con voi stessa.»
Alzò le spalle. «Ho tenuto solo una parte per eventuali spese. Belle non ha voluto denaro, e neanche lo sceriffo e Lizzie.»
«Avete offerto denaro anche a loro?» domandò sorpreso.
«Mi stanno mantenendo.»
«Siete un'ospite,» ribatté lui. «Ve l'ho già detto.»
«Ma io mi sento... mi sento...» Tacque e Max dovette resistere alla tentazione di allungare la mano e accarezzarle il viso, nonostante le dita gli prudessero dal desiderio di farlo.
«Ho capito. Magari potrete fare un regalo quando nascerà il bambino.»
«Ci avevo già pensato. Ma è una misera cosa rispetto tutto quello che stanno facendo per me.»
Non voleva che continuasse a parlare di obblighi e doveri. Lei non doveva niente a nessuno.
«Non eravate neppure obbligata a dare dei soldi a me.» Quel mattino, quando Wallace gli aveva dato la busta, si era sentito mortificato. Gli aveva ricordato il momento in cui le aveva fatto la proposta, e lei aveva rifiutato. Avrebbe dovuto essere contento di aver ottenuto parte della taglia, era una somma considerevole, invece le sensazioni era state altre. Non si sapeva spiegare il perché, ma gli sembrava un commiato.
«Anche voi!» esclamò Devon. «Ma che avete tutti? Vi fanno ribrezzo i soldi? È il vostro lavoro, dopotutto.»
Perché era così arrabbiata?
«Ma no, non volevo dire...» Si interruppe perché lei aveva ricominciato a camminare. Teneva le spalle rigide e da quel poco che aveva imparato di lei, significava che era scossa. Riuscì a raggiungerla e a prenderla per un braccio.
«Andiamo, non fate così. Volevo solo dire che non avete obblighi nei miei confronti, come nei confronti di altri. Posso solo ringraziarvi per la vostra gentilezza.»
Si ritrovò a fissarla negli occhi. Non gli credeva, ne era certo.
«Sarà,» sbuffò alla fine. «Ci vediamo stasera a cena.» Gli voltò le spalle e questa volta la lasciò andare. Possibile che si sbagliasse nel giudicarla? Che davvero ci tenesse a dargli una parte di soldi solo perché Carson era stato sulla sua lista dei ricercati? Ancora una volta non riusciva a capirla e forse non ci sarebbe mai riuscito. Lei non aspettava altro che essere su un treno diretto a Denver, e quel pensiero gli metteva addosso una strana tristezza. Ma per il momento era lì.
Ci vediamo stasera a cena.
Sembrava una promessa. La cosa lo rese inaspettatamente felice.

§

Uomini, pfui!
Devon si diresse a piedi verso casa Wallace con il cuore che le batteva forte e gli occhi che le bruciavano.
Idiota di un Cornell. Pensava che gli avesse lasciato quei soldi per un motivo diverso da quello che gli aveva detto? Che volesse forse mortificarlo?
Strinse le labbra. La gente pensava troppo. Poteva ringraziarla e basta, invece di mostrarsi così assurdamente orgoglioso. Non era certo per altri scopi che aveva chiesto a Wallace di consegnare una parte del denaro a Cornell. Era un modo per garantirgli un guadagno, non per umiliarlo.
Arrivò sulla veranda dei Wallace e tentò di calmarsi.
Aveva agito come la coscienza le aveva suggerito. Avrebbe dovuto sentirsi meglio, più rilassata. Invece era ancora in collera con lui.
Sbuffò e trasse un profondo respiro. Non voleva farsi vedere da Lizzie in quello stato. Cercò di sorridere, ma era certa che fosse solo una smorfia. Rassegnata, entrò in casa.

§

«Il vestito ti sta a pennello,»commentò Lizzie soddisfatta.
Era aderente al punto giusto e della lunghezza esatta. L'aveva acquistato quel mattino, insieme a un cappellino pieno di nastri e a una borsetta ridicola. Non si era mai preoccupata troppo degli abiti che indossava o che gli accessori fossero in tinta. Non era capace di civettare o di sbattere le ciglia per ottenere qualcosa.
Era lei e basta.
Si guardò allo specchio. La domenica i Wallace si recavano in chiesa e voleva accompagnarli senza farli sfigurare.
«Credo di sì,» disse alla fine.
Aveva comprato altri due abiti, ma aveva indossato quello perché, a detta di Lizzie, metteva in risalto i suoi occhi. Non le fece notare che, a differenza delle altre signorine di buona famiglia, la sua pelle era abbronzata e che soltanto sfregandosi per ore con il sapone avrebbe potuto raggiungere un'accettabile pallore. Ma perché doveva preoccuparsi di quelle sciocchezze? Presto se ne  sarebbe andata.
Corrugò le sopracciglia, incerta. Avrebbe dovuto esserne contenta, invece di sentirsi come se fosse in procinto di perdere qualcosa, qualunque cosa fosse.
«Stai bene?»
Cara Lizzie, riusciva a capire subito se c'era qualcosa che la turbava. Le sorrise.
«Sto bene.»
«È che mi sembri così triste.» Lo sguardo della donna era indagatore, ma conteneva anche preoccupazione.
«Perché dovrei esserlo? È tutto a posto.»
Sapeva di non averla convinta, ma non aggiunse altro. Scesero in cucina e insistette per preparare la cena. Lizzie protestò, ma lei la fece sedere.
«Lo so che stai bene,» le disse «ma per una volta riposati. Sono capace di cucinare.»
Lizzie rise. «Gli uomini sono esigenti.»
Gli uomini. Stava preparando la cena per un uomo. Poco importava che fosse un ospite come lei. Avrebbe mangiato qualcosa fatto con le sue mani. Si sentì riempire di uno strano calore.
«Ne sono certa,» replicò. Scacciò il pensiero e cominciò a lavorare.
Pelò le patate, le mise a bollire. Nel pomeriggio Lizzie aveva fatto una torta con le ultime mele. Insieme all'arrosto di pernici che Cornell aveva portato il giorno prima dal giro di perlustrazione, la cena sarebbe stata perfetta.
Mentre controllava la cottura, scambiò due chiacchiere con la donna, che sembrava apprezzare l'ozio cui l'aveva costretta.
«Grazie, Devon.»
Le gettò un'occhiata. «Per cosa?»
Lizzie fece un gesto con la mano. «Per questo. Per la tua compagnia. A volte invito alcune delle signore a prendere il tè, ma è così noioso. Si parla soltanto di abiti, stoffe, cibi. Il tuo arrivo ha portato una ventata di freschezza.»
Arrossì. «Oh, andiamo. Non credo di avere un grande merito.»
«Ti assicuro che è così.» Lizzie si alzò e sollevò il coperchio. «Se il gusto è come il profumo, quell'arrosto sarà squisito.»
«Lo spero.»
Le voci maschili le fecero intendere che erano arrivati. Lizzie andò incontro al marito, ma lei rimase ferma accanto alla stufa. Perché il cuore le batteva così forte? Una strana sensazione le scaldò il petto. Cercò di ignorare quei sentimenti e schiacciò le patate, mescolandole. La tavola era già apparecchiata, non poteva neanche distrarsi con piatti e posate.
«Che profumo delizioso.» Henry Wallace entrò in cucina.
«Buonasera, sceriffo,» lo salutò.
«Dovresti chiamarmi Henry.»
Lei rise. «Ci proverò.»
Lizzie comparve, seguita da Cornell. «Devon ha preparato la cena,» annunciò.
«Non ho fatto niente di speciale,» si schernì. Perché Cornell la stava fissando in quel modo? Si sentì in imbarazzo e per sfuggirvi cercò di distrarre l'attenzione.
«Se volete sedervi, è pronto.»
Aspettò che tutti si accomodassero e li servì. Seduta di fronte a Cornell, ne studiò le espressioni mentre assaggiava l'arrosto.
«È buonissimo.» Sembrava sorpreso.
Wallace confermò. «Davvero.»
Ne fu lieta. Si accorse del sorriso soddisfatto di Lizzie e lo ricambiò. Si ritrovò spesso addosso lo sguardo del suo dirimpettaio. Non voleva ricambiare l'occhiata e sembrare sfacciata, ma non riusciva più a evitare di incontrare quegli occhi scuri e caldi. Accennò un sorriso. Il calore l'avvolse mentre lui ricambiava. I brividi che l'attraversarono non erano certo di freddo.
Dopo cena, Lizzie li spinse fuori dalla cucina.
«Andate sul portico, è una bella serata. A riordinare penso io, Henry mi darà una mano, non è vero? La torta la mangiamo dopo.»
Lo sceriffo protestò, ma Lizzie fu convincente. Devon si trattenne dal farle notare che era sconveniente incoraggiarli a restare soli, ma non aveva percepito malizia nella voce della padrona di casa. Così si ritrovarono seduti sulle sedie in veranda, in silenzio. C'era una strana tensione, ma non voleva approfondire la cosa.
«Quel vestito vi sta bene.»
Girò la testa a guardare l'uomo al suo fianco. «Grazie. È nuovo, l'ho preso stamattina.» Sistemò le pieghe della gonna. «Preferisco i calzoni, comunque.»
«Davvero? Non l'avrei detto.» Nella voce maschile c'era una nota divertita.
Devon sorrise. «Non prendetemi in giro, signor Cornell.»
Lui le prese la mano e ne sfiorò il dorso con le labbra. Maledetto cuore, tra poco le sarebbe uscito dal petto.
«Non ne ho mai avuto l'intenzione.»
L'emozione le impedì di ribattere. Rimasero a guardarsi per un lungo momento, occhi castani in occhi verdi, e lei trattenne il respiro. Che le stava succedendo? Quelle sensazioni erano nuove per lei e non sapeva dar loro un nome. Si rendeva solo conto del battito forsennato del proprio cuore e del calore della mano di Max intorno alla sua.
Lizzie li chiamò e spezzò l'incantesimo. Si alzarono e Cornell le lasciò il passo, posandole la mano alla base della schiena. Un gesto gentile e intimo al tempo stesso, e alquanto sconveniente.
Il dolce era squisito, i due uomini ne chiesero una fetta aggiuntiva. Lizzie versò il caffè per tutti. La serata passò fra risate e aneddoti. Devon parlò del ranch, del suo sovrintendente, delle vacche che avrebbe potuto vendere prima dell'inverno.
Cornell sembrava averla ascoltata con grande interesse e non aveva mai distolto lo sguardo. Quell'attenzione la scombussolò, tanto che accolse il momento di ritirarsi quasi con sollievo. Salutò i coniugi e Cornell, e il sorriso di lui nel ricambiarla le restò nel cuore fino a quando si addormentò.

§

Max non riusciva a dormire. Andò a sedersi in veranda, circondato dai rumori e dai profumi della notte. L'odore della resina dei pini gli solleticava le narici.
Respirò a fondo, colmando i sensi nel buio.
Quando l'aveva vista in cucina, nel suo abito verde scuro, il grembiule che la copriva per non sporcarlo, si era sentito a casa. Una sensazione che gli aveva tenuto compagnia per tutta la sera. Proprio lì, sulla veranda, seduto vicino a lei, aveva dovuto imporre a se stesso l'immobilità per non prenderla tra le braccia e baciarla.
Si strofinò la faccia, sporgendosi in avanti e appoggiando i gomiti alle ginocchia. Quella ragazza, quella donna, gli era entrata dentro come una ventata d'aria fresca. Lo rendeva felice, gli faceva desiderare di fermarsi e mettere radici in un posto. Basta percorrere i Territori in lungo e in largo, basta dare la caccia a criminali. Voleva qualcosa di stabile, da chiamare casa, che gli facesse provare quel meraviglioso calore in mezzo al petto.
Sbatté le palpebre nel buio, consapevole della direzione presa dalla sua mente. Stupito e spaventato, si rese conto che voleva Devon. Un desiderio del tutto irrealizzabile.

§§§

La domenica trascorse tranquilla. Devon si era recata in chiesa con Lizzie ed Henry, aveva ascoltato il sermone del reverendo Butler cercando di prestare attenzione e riuscendoci a stento, persa com'era nei propri pensieri.
Al termine della funzione i Wallace si erano fermati a chiacchierare con alcuni persone, e Lizzie l'aveva presentata come una cara amica in visita da Denver.
Nel pomeriggio si ritrovò spesso distratta. Gli sforzi per mostrarsi il più interessata possibile ebbero scarsi risultati, tanto che Lizzie la spedì a fare una passeggiata.
«Hai bisogno di prendere un po' d'aria.»
Tra sé la ringraziò per non aver indagato sul suo stato d'animo e accolse con gioia la prospettiva di sgranchirsi le gambe nei dintorni e di poter lasciar correre l'immaginazione senza impedimenti. Quando il sole cominciò a scendere , in lei  salì l'agitazione. Aiutò Lizzie a preparare la cena, fece uno sforzo per apparire meno turbata di quanto fosse in realtà e attese l'arrivo degli uomini.
Quando Henry comparve da solo, senza produrre una sola giustificazione per la mancata presenza di Cornell, tutta l'ansia e l'attesa che l'avevano travolta durante il giorno evaporarono come l'ultima neve.
Mangiò in silenzio, riordinò e salì in camera, conscia di avere aspettato tutta la giornata di vederlo a cena, ridere delle sue battute, crogiolarsi in quegli sguardi caldi. I Wallace la salutarono senza chiederle spiegazioni per la sua strana apatia.
Avvolta nel tepore delle coperte, rifletté a lungo, chiedendosi se in realtà si fosse lasciata trascinare dall'immaginazione nel vedere interesse dove invece non ce n'era. Era anche possibile che ci fossero stati problemi alla prigione e Cornell fosse stato trattenuto per motivi di ordine, ma lo sceriffo ne avrebbe parlato.
No, si era comportata né più né meno come la ragazza che era. Era stata un'ingenua, credendo che i sorrisi e gli sguardi fossero speciali. L'unica spiegazione era che la sua presenza fosse venuta a noia al cacciatore di taglie.

§§§

Wallace arrivò presto in ufficio, quel mattino. Era preoccupato, Cornell non gli aveva detto dove sarebbe andato la sera prima quando si erano salutati, e di sicuro non aveva dormito nella stanza sul retro. A cena si era ritrovato spesso a guardare la silenziosa ospite, come anche Lizzie, ma nessuno dei due aveva chiesto spiegazioni sulla palese mancanza di gaiezza. L'avevano lasciata in pace, certi che fosse la cosa migliore.
Aprì la porta e si arrestò sulla soglia. Max era stravaccato su una sedia, il cappello calato sugli occhi e i piedi posati sulla scrivania. Stava dormendo, senza alcun dubbio.
Si avvicinò e senza alcuna remora sollevò un piede dell'amico. Cornell trasalì e ritrasse le gambe di scatto, facendo strisciare la sedia.
«Sei impazzito?» Max balzò in piedi, gli occhi ancora annebbiati dal sonno.
«Non mi pare. E di te che mi dici?»
Cornell si sistemò il cappello. «Che ho bisogno di caffè.» Andò alla stufa e si diede da fare per accenderla.
Henry lo guardò sistemare la legna, sfregare un fiammifero e preparare il caffè.
«Dove sei stato ieri sera?» volle sapere Wallace.
«A fare un giro di perlustrazione.»
«Di notte?»
Cornell si girò a guardarlo, un ghigno divertito sul volto. «Sul serio, Henry, stai bene? Secondo te avrei potuto andarmene in giro da queste parti di notte?»
Alzò gli occhi al cielo. Lo conosceva abbastanza bene per riconoscere quando il bounty hunter era imbarazzato o nervoso.
«E allora cosa hai fatto?»
Max si appoggiò alla stufa e si versò del caffè. «Ho mandato Stanton a casa da sua moglie e ho preso il suo posto. Si può sapere perché ti interessa tanto?»
Henry prese una tazza e il bricco. «Perché non me lo hai detto ieri sera? Ti aspettavamo a cena.»
«Davvero?» Cornell si nascose dietro la tazza.
Gli diede uno spintone, ma l'altro sfuggì il suo sguardo.
«Avevo bisogno di qualcosa di diverso.»
«Come dormire su una sedia qui in ufficio?»
«Si può sapere cosa vuoi da me, Henry?» Max si raddrizzò e lo guardò fisso. «Ho forse qualche obbligo?»
Wallace represse una battuta feroce. Era sorpreso e non in senso buono. Aveva visto l'amico sereno, due sere prima. Si era accorto del modo in cui guardava Devon, e non era certo disinteressato. La ragazza gli piaceva e avrebbe scommesso qualunque cosa che il sentimento era ricambiato, altrimenti non si spiegava la tristezza e il mutismo di lei la sera prima.
«Nessuno,» ammise alla fine. «Ma Lizzie si è preoccupata quando non ti ha visto.» Non nominò la ragazza di proposito. Sperò che abboccasse e gli chiedesse di Devon, ma Cornell si limitò a finire il caffè.
«Vado a prendere il cavallo.»
«Max...»
L'altro gli diede un'occhiata. «Faccio il solito giro di perlustrazione,» e uscì dall'ufficio.
Wallace rinunciò a ribattere. L'umore di Cornell avrebbe fatto gelare il Colorado River. Cosa diavolo poteva essergli successo?

§§§

Devon aveva accettato l'invito di Lizzie a fare un giro in città. Doveva fare provviste e la prima tappa sarebbe stata l'emporio. Così presero il carro e lei accettò di guidarlo.
Una volta acquistato il necessario dal signor Wiley, si concessero una passeggiata guardando le vetrine dei pochi negozi.
«Mi andrebbe un tè da miss Phriney. Che ne dici?» le chiese a un tratto Lizzie.
Devon fece un pallido sorriso. «E scommetto che un paio di pasticcini alla crema sarebbe l'accompagnamento ideale.»
«Un paio?» replicò l'altra, ridendo. «Dì pure una mezza dozzina.»
Accolse le parole con una risata, e fu liberatorio. La tristezza che l'aveva accompagnata in quei due giorni le aveva lasciato un sapore amaro in bocca. Forse uno o due pasticcini erano la cura ideale.
«Oh, c'è Max.» Lizzie inarcò le sopracciglia. «Voglio proprio chiedergli che fine ha fatto ieri sera.»
«Forse ha avuto altro da fare,» ribatté. L'aveva visto, Cornell stava camminando nella loro direzione. Non era sicura che si fosse accorto di loro, ma da come salutava le ragazze del saloon, in ozio fuori del locale nei loro abiti discinti, non le aveva viste.
Il cuore le sprofondò nello stomaco. Non poteva incontrarlo, non dopo averlo visto sfiorarsi la tesa del cappello in direzione delle ragazze di Belle. Non dopo aver ricordato come la guardava due sere prima.
«Andiamo alla sala da tè!» esclamò.
Lizzie la guardò sorpresa. «Non vuoi fermarti a salutare Max?» Si girò verso l'uomo e dovette notare il modo in cui sorrideva alle dipendenti del saloon. «No, forse non è una buona idea.»
Ma era troppo tardi. Devon, che lo teneva sott'occhio, si rese conto che si era accorto di loro. Non potevano più evitare di incontrarsi.
Quando furono a pochi passi, Lizzie le strinse il braccio e alzò il mento a guardarlo.
«Max Cornell. Ci onori della tua vista?»
«Buon pomeriggio, Lizzie. Miss Stanley.»
Era ridiventato di una formalità esasperante. Fece un secco cenno col capo, senza rispondere.
«Mi chiedevo che fine avessi fatto,» aggiunse Lizzie.
Devon guardò altrove. Voleva solo andarsene e voltare le spalle a tutto ciò che era successo, compresa la conoscenza di quell'uomo.
«Ho preso il posto di Stanton, anche lui ha bisogno di stare con sua moglie, di tanto in tanto.»
Che nobile gesto.
Incominciava a innervosirsi. Lizzie dovette accorgersene, perché le strinse di più il braccio e le sorrise.
«Cara, perché non vai da miss Phriney e prendi dei pasticcini per stasera?» Affondò la mano nella borsetta e le allungò dei soldi. «Dille che ti mando io.»
«Come vuoi, Lizzie.» Chinò appena la testa in direzione di Cornell e se andò, conscia della manovra della signora Wallace. Decise che non le importava, e prima avesse dimenticato quell'avventura, meglio sarebbe stato per lei.

§

Max guardò allontanarsi la snella figuretta quasi sollevato. Aveva tentato di ignorarla come lei aveva fatto nei suoi confronti, ma stava diventando un'impresa ardua. Adesso si aspettava un rimbrotto da parte di Lizzie, ma la donna si limitò a sospirare.
«Che sta succedendo, Max?»
Alzò le spalle. «Proprio niente. Abbiamo due prigionieri in cella che bisogna sorvegliare e siamo pochi.»
«Non stavo parlando di quello. L'altra sera sembravi preso da Devon, non riuscivi a toglierle gli occhi di dosso. E adesso vi ignorate a vicenda.» Lo guardò negli occhi. «Cosa è cambiato?»
Strinse le labbra. «Chiedilo a lei.»
«Lo sto chiedendo a te. Sei tu che non ti sei fatto vedere senza dare spiegazioni.»
«Lizzie...»
Lei gli mise una mano sul braccio. «Credi che non mi sia accorta che ti piace? E di sicuro la cosa è reciproca.»
Le gettò un'occhiata scettica. «Davvero? Poco fa non si sarebbe detto. Scalpitava per andarsene.»
«Nemmeno tu sembravi felice di vederci.»
Si passò la mano sulla faccia. «Lizzie, non ho bisogno di prediche. Che lei mi piaccia o no è irrilevante. Appena sarà possibile, tornerà a Denver, a casa sua, e finirà tutto. Si scorderà di quello che è successo oppure tenterà di farlo.»
«Ne sei certo? Sei davvero sicuro che accadrà?»
Rise, ma era consapevole di quanto amara suonasse la propria risata. «Certissimo.»
«Mi dispiace che tu la pensi così, Max.» Lizzie sistemò la gonna. «Perché ieri non ha fatto che aspettarti, e quando non ti sei fatto vivo ha cambiato umore. Hai presente i brutti temporali che arrivano dalle montagne?»
Cornell non ribatté. Ci mancava solo il senso di colpa, come se non ci avesse fatto ormai l'abitudine.
«Lizzie, che se ne fa di uno come me? Sono un cacciatore di taglie, non un mandriano. Non avrei niente da offrirle.»
«Hai le tue mani, il tuo cuore,» sorrise lei. «Magari solo un po' di fiducia. Ti potrebbe sorprendere.» Si girò e poi tornò a guardarlo. « Sta tornando. Vai adesso, e ricorda che ti aspetto a cena.»
Max rinunciò a rispondere e si incamminò verso l'ufficio, rimuginando su quanto Lizzie gli aveva detto. Ma sapeva già che, per quanto ci sperasse, le cose non erano semplici. Poteva rinunciare alla vita che conduceva ora se il motivo fosse stato valido.
Le elucubrazioni di due notti prima lo avevano portato su un terreno instabile, sconosciuto, e la conclusione cui era giunto era che non avrebbe mai potuto aspirare a nient'altro che a una conoscenza che, complice la lontananza, avrebbe potuto affievolirsi nel tempo fino a scomparire.
A meno che Lizzie non avesse ragione, e che l'interesse che aveva cercato di scacciare non fosse davvero reciproco.
Fiducia... erano davvero poche le persone cui l'aveva o l'avrebbe data.
A lei? Quella era una domanda ancora senza risposta.

§§§

Devon non sapeva se arrabbiarsi o mostrarsi indifferente. Al rientro a casa, Lizzie le aveva fatto incidentalmente capire che quella sera sarebbero stati in quattro a tavola. Forse, aveva aggiunto tra sé. Se il quarto si fosse fatto vedere senza trovare scuse.
Non aveva idea di cosa avesse fatto per farlo scappare, ma non intendeva scoprirlo comportandosi come una ragazzetta desiderosa di attenzioni, né voleva perdere quel po' di dignità, visto che gli sguardi comprensivi di Lizzie le avevano fatto capire che le proprie emozioni erano di dominio pubblico e anelare di nascondersi da qualche parte per la vergogna.
Doveva apparire noncurante nel modo più assoluto. E soprattutto cercare di soffrire il meno possibile. Non si era mai innamorata, ma se il dolore che aveva sentito in mezzo al petto quando non lo aveva visto era solo un debole segnale di quel sentimento, allora non faceva per lei.
Non voleva inganni. Voleva potersi fidare senza incertezze, ma Cornell, per quanto onorevole fosse, non sembrava il tipo.
Restava da vedere come si sarebbe comportato quella sera. Si ripromise di valutare con cura le attenzioni, un sorriso e uno sguardo non avrebbero più dovuto scombussolarla come avevano fatto qualche sera prima.
Non le andava proprio di essere presa in giro.

§

La cena si svolse senza incidenti. Devon se ne restò sulle sue, rispondendo se chiamata in causa, ma preferì studiare le espressioni dell'altro ospite cercando di non dare a vedere che trovava piacevole la sua compagnia.
Questa volta Lizzie non li spinse ad andare a sedersi in veranda da soli, e la ringraziò in silenzio. Cornell fu un modello di cortesia, ma non vi furono calde occhiate, nessun sfiorare di mani, nessuna parola allusiva. Fu solo una cena tranquilla.
Ma le fu difficile mantenere quella facciata di calma esteriore. Lo guardava di sottecchi, e i ricordi affiorarono. Una notte, due braccia forti che la circondavano, labbra morbide che si posavano sulle proprie. Che lasciavano tracce ardenti sulla sua pelle.
Li scacciò con forza, ma il tremito nel suo stomaco non scomparve. Le piaceva, inutile negarlo.
Ma presto sarebbe tornata a casa, e lui con ogni probabilità l'avrebbe dimenticata in fretta, considerandola solo una seccatura. Sarebbe diventata solo una vago ricordo.

§

Perché aveva dato retta a Lizzie? La cena era stata ottima, come sempre, ma il cibo rischiava di rimanergli sullo stomaco. Devon aveva parlato solo quando interpellata, ed era rimasta in silenzio la maggior parte del tempo.
Che si era aspettato? E poi si era girato di colpo e aveva colto il suo sguardo su di sé. Un rapido sbattere di palpebre e lei aveva distolto quei magnifici occhi verdi, fingendo indifferenza.
Strinse le labbra. Era stanco e non aveva voglia di giocare, non adesso che il suo cuore si era dischiuso al calore di quel sentimento nuovo. Gli era mancata, nonostante gli sforzi per scacciarla dalla mente.
Lizzie aveva cercato di coinvolgere entrambi nella conversazione, con suo marito a darle manforte, ma sembrava che nessuno dei due volesse cadere nella rete.
Quando Devon si alzò annunciando che intendeva ritirarsi, si levò in piedi a sua volta.
«Vado a dormire anch'io.»
Lei uscì dalla cucina e decise di seguirla. Voleva credere che Lizzie avesse visto giusto.
«Miss Stanley.»
La ragazza aveva posato il piede sul primo scalino. Si girò a guardarlo, il volto serio.
«Sì, signor Cornell?»
Si avvicinò, mise una mano sul legno della ringhiera. La scrutò, cercando una traccia di interesse nei suoi occhi.
«Volevo augurarvi la buonanotte, Devon.»
Annuì. «Grazie.»
Era tutto. Forse Lizzie si era sbagliata, dopotutto. L'interesse non era reciproco. Fece un cenno col capo e si diresse verso la camera sul retro.
«Signor Cornell.»
La voce femminile lo fermò e lo fece girare.
«Sì?»
«Buonanotte anche a voi.» Sorrise appena prima di salire le scale, scomparendo alla sua vista.
Ascoltò i passi finché non vi fu silenzio. Un lieve sorriso gli comparve sul viso. Forse aveva fatto bene ad ascoltare Lizzie.

§§§

Quel mattino fecero colazione tutti insieme, in un clima di cordialità ma senza eccedere.
Devon si scoprì ogni tanto a guardare l'uomo di fronte a lei che beveva il proprio caffè mentre parlava con lo sceriffo, cercando comunque di non farsi scorgere, ma  lui stava facendo lo stesso, come ebbe modo di appurare girandosi per prendere dell'altro caffè e ritrovandosi addosso l'occhiata di quei caldi occhi marroni.
Qualunque cosa Lizzie gli avesse detto il giorno prima, sembrava cambiato. Più cauto, forse, ma anche più simile all'uomo di qualche giorno prima. Tuttavia doveva affrontare con calma quella situazione, senza coltivare false speranze.
Lizzie salutò il marito e lei si limitò a sorridere a Cornell, ricambiata apertamente.
«Ci vediamo nel pomeriggio,» disse Lizzie. Lo sceriffo le stampò un bacio sulla bocca, incurante di avere degli spettatori. La risata imbarazzata di Lizzie la fece sorridere e arrossire.
«Allora a oggi pomeriggio.» Cornell le passò accanto e lei annuì.
Mentre gli uomini si allontanavano a cavallo, non poté fare a meno di esprimere il pensiero che l'aveva tormentata la sera prima.
«Cosa hai detto a Cornell?»
Lizzie le gettò un'occhiata. «Quando?»
Alzò gli occhi al cielo. «Quando mi hai mandata a prendere i pasticcini. Ho capito che volevi parlargli e non mi volevi lì.» Le sorrise. « Cosa stai complottando?»
«Io? Proprio niente. Gli ho solo detto che lo aspettavamo a cena.»
«Ma davvero.»
Lizzie le prese la mano. «Devon, mia cara, non è che voglia vedere tutti felici, ma... Sia Henry che io teniamo a quell'uomo, come teniamo a te, nonostante la conoscenza sia recente. Cornell è una brava persona, è onesto e leale. Un buon amico. Tu, d'altra parte, sei una brava ragazza, coraggiosa e di cuore. Forse il vostro incontro non è stato dei più ortodossi, ma non significa che possa trasformarsi in qualcosa di più.»
«Stai cercando di dirmi qualcosa?» le chiese.
L'altra alzò le spalle. «Beh, quegli sguardi che vi siete scambiati non si possono equivocare.»
«Lizzie!»
«E poi siete così belli insieme.»
Si mise le mani sui fianchi, indignata. «Non vorrai combinare un matrimonio?»
«E se anche fosse?» Lizzie sorrise. «Non dirmi che non provi niente per lui, perché non ti crederei.»
Sospirò. «E lui?»
La risata che accolse la domanda la fece sorridere suo malgrado. «E lui è nelle tue stesse condizioni, credimi. Anche se ha qualche dubbio.»
Inarcò le sopracciglia. La notizia che forse quella vaga sensazione che le stava sbocciando in fondo al cuore era più che una speranza venne occultata dalle ultime parole.
«Che significa? Quale dubbio?»
«Tu sei ricca, Devon, e di ottima famiglia. Cornell è solo un cacciatore di taglie.» Allargò le mani. «Non si sente alla tua altezza, capisci. Inoltre, il senso di colpa per averti dato la caccia lo tormenta ancora.»
Aprì la bocca e la richiuse. Era quello il motivo per cui non si era fatto vedere? Aveva pensato di essere lei la causa, ed era così, ma non perché gli fosse venuta a noia. Gli uomini e il loro amor proprio. Perché non chiedevano prima? Per non vedere l'orgoglio subire un brutto colpo, se la risposta fosse stata negativa. In fin dei conti, gli aveva già detto no una volta, anche se la motivazione di quella domanda era differente.
A dir la verità, lei non era diversa. L'emozione le riempì il cuore.
«E se lo volessi così com'è?» chiese a bassa voce. Lo sguardo sorpreso e felice di Lizzie la fece arrossire. Ma aveva anche lei qualche dubbio. «Sei sicura che lui, ehm... tenga a me in quel modo?»
«Se sono sicura?» Lizzie l'abbracciò. «Se gli sguardi potessero parlare, chissà quante volte si sarebbe dichiarato, a quest'ora.»
Arrossì ancora di più, se possibile.
«E adesso dentro. Ci sono le pulizie da fare.»
Devon la seguì. Forse impegnare corpo e mente nelle faccende domestiche le sarebbe servito a fare arrivare prima il pomeriggio.

§§§

Max ripose l'orologio nel taschino del gilè. Incredibile come il tempo non passasse mai quando si attendeva qualcosa.
Nella breve distanza tra casa Wallace e l'ufficio dello sceriffo, aveva dovuto sorbirsi le occhiate allusive di Henry, ma si era sforzato di non darci peso. C'era niente di sicuro, solo un sorriso diverso, un saluto più pronto.
In cuor suo sperava che Lizzie avesse ragione, che Devon provasse per lui qualcosa in più di un'amicizia nascente.
E lui cosa provava? A quello non era difficile rispondere. Quando l'aveva vista la sera prima, ma soprattutto quel mattino, il cuore gli aveva mancato un battito. Lei era sembrata così tranquilla, ma poi l'aveva guardata negli occhi e vi aveva visto albergare la stessa ansia che sentiva dentro di sé.
Era pronto a rinunciare alla libertà e a legarsi a una persona per il resto della vita? Ne sarebbe valsa la pena? Ripensò al viso di lei, alle sue risposte argute, al coraggio che aveva mostrato in più di un'occasione.
Ne valeva la pena, certo.

§

Henry si versò del caffè e ne offrì anche a lui. Doc era venuto a dare un'occhiata alla mano di Carson, e si era fermato a fare due chiacchiere. Ma, a parte quella visita, il pomeriggio trascorreva troppo lento per i suoi gusti. Faceva caldo.
Bevve un sorso della bevanda tiepida e gettò per l'ennesima volta un'occhiata fuori della finestra.
«Tra poco arriverà Stanton.» La voce di Henry lo fece sorridere. Lo sceriffo sembrava aver compreso la sua impazienza.
«Certo.»
Quella sera avrebbe saggiato il terreno. Se fosse stato abbastanza stabile da poter azzardare di camminarci, avrebbe osato anche di più. Le aveva già fatto una proposta di matrimonio, dettata dal senso di colpa e dal proprio innato senso dell'onore, che lei aveva rifiutato senza pensarci due volte. Poteva capirla.
Però adesso le cose erano diverse, aveva cominciato a conoscerla.
Lizzie gli aveva detto di darle fiducia. Lo avrebbe fatto.
Si alzò in piedi. «Esco, ho bisogno di sgranchirmi le gambe.»
Il sorriso che Henry gli rivolse si perse nella barba.
«D'accordo.»
«Hai mai pensato di raderti, sceriffo?»
Wallace si passò la mano sulla faccia. «Soltanto se me lo chiede mia moglie, e finora non è successo.»
Cornell si mise a ridere. Fece il giro della scrivania e si diresse alla porta. D'improvviso due figure comparvero sulla soglia, facendolo arrestare di botto.
«Fermo!»
Le pistole spianate contro di lui erano reali. Trasse un sospiro e la mano scattò alla Colt nella fondina. Era veloce, lo sapeva, poteva farcela.
Strinse il calcio ed estrasse l'arma. Un attimo dopo faceva fuoco. Uno dei due uomini emise un verso curioso prima di cadere a terra, ma l'altro rispose sparando a sua volta.
Un dolore accecante gli esplose nella gamba destra. Cornell si accasciò a terra con un gemito, stringendosi la coscia. Nella nebbia di dolore che si era alzata udì uno strisciare e delle grida.
«Fermo, se non vuoi che aggiusti la mira.»
Sbatté le palpebre. Henry. Quel bandito ce l'aveva con Henry.
«Stai fermo, Wallace,» gli intimò Max.
Il complice di Carson si avvicinò e diede un calcio alla sua pistola, spingendola lontano sotto un mobile, poi portò l'attenzione sullo sceriffo.
«Prendi le chiavi, avanti.»
Cornell riuscì a girare la testa. Wallace si era irrigidito ma non aveva obbedito all'ordine.
L'altro gli puntò addosso la rivoltella. «Ho detto: prendi le chiavi. Vuoi che spari anche a te, sceriffo?»
Henry fece un passo indietro e si avvicinò ai ganci attaccati alla parete. Cornell lo vide gettare un'occhiata alla sua sinistra. La rastrelliera dei fucili.
Oh, Dio, non lo fare.
«Non ci pensare neanche, sceriffo,» sbraitò il bandito. «Prendi le maledette chiavi delle celle e non perdere tempo.»
Wallace afferrò il cerchio di ferro, le chiavi tintinnarono. Il bandito si avvicinò e gli spinse la canna nella schiena.
«Avanti, svelto.»
Sparirono oltre il cancello che divideva l'ufficio dalle celle. Cornell si mosse per strisciare verso il mobile, ma non fu abbastanza veloce. Udì un grido rabbioso e fece in tempo a voltare la testa per vedere il complice di Carson ritto accanto a lui, prima di essere colpito alla testa.

§

Devon fermò il carro davanti all'emporio e scese per aiutare Lizzie. Era impaziente, cosa che non le capitava spesso. Dovette sforzarsi per nascondere il sorriso che minacciava di spuntare da un momento all'altro.
«Potremmo andare da miss Phriney e aspettarli lì,» propose Lizzie.
Annuì. « Certo. Quei pasticcini ti attirano, eh?» scherzò.
L'altra donna si accarezzò il ventre prominente. «A lui di sicuro.»
«O a lei.»
«Vorrei tanto che fosse un maschio,» ammise Lizzie. «Credo che Henry ne sarebbe felice.»
Le accarezzò la spalla. «Henry sarebbe felice in ogni caso,» le fece notare.
Salirono gli scalini, ma fecero pochi passi. C'era uno strano trambusto. La gente era assiepata sul portico e guardava verso l'ufficio di Wallace.
«Che sta succedendo?» Lizzie si rivolse al signor Wiley, uscito dal negozio come tutti gli altri.
«Ci sono stati degli spari nell'ufficio dello sceriffo.» Dovette rendersi conto con chi stava parlano, perché strabuzzò gli occhi. «Signora Wallace...»
Devon la prese per un braccio. «Vieni via, Lizzie.» Il cuore le martellava nel petto, la paura le aveva seccato la bocca.
«Andare dove?» La donna aveva le lacrime agli occhi. «Voglio sapere di Henry!»
Devon vide arrivare William Stanton. Stava correndo proprio da loro.
«William!» esclamò Lizzie.
L'aiutante si fermò ansante. Stringeva un fucile in mano.
«Signora Wallace.»
«Dov'è Henry?»
Devon evitò di chiedere di Cornell, ma la domanda era latente.
Stanton le guardò. «Lo sceriffo e Cornell sono dentro.»
Lizzie gemette portandosi la mano al petto. Devon le passò un braccio intorno alle spalle, prima di riportare l'attenzione sul vice di Wallace.
«Ditemi cos'è successo,» gli ordinò.
«Abbiamo sentito due spari e delle grida. Stavo andando in ufficio. Poi hanno gridato di non avvicinarsi. Mosley si è appostato dall'altra parte della strada per tenerli d'occhio, ma al momento è tutto calmo.»
«Dello sceriffo e Cornell si sa niente?» chiese. Tentò di mantenere ferma la voce. Lizzie era appoggiata a lei, una mano a coprirsi la bocca.
Stanton scosse la testa.
«Ci sono altri uomini ad aiutarvi?» volle sapere. Di nuovo il vice fece un cenno di diniego.
Ragiona, Devon, ragiona.
«Si sa chi è stato?»
«Pensiamo siano i complici di Carson. C'è un corpo sulla porta...»
Lizzie gemette.
Stanton le gettò un'occhiata di scuse. «... ma non si tratta  di Wallace né di Cornell. Pensiamo che siano riusciti a fermarne uno. Poi non so.»
Alla fine si erano fatti vedere e li avevano colti di sorpresa. Abbassò lo sguardo sull'arma che Stanton stringeva tra le mani.
«Datemi il fucile, signor Stanton.»
L'uomo la guardò come se non avesse capito. Lizzie invece si raddrizzò.
«Devon! Cosa vuoi fare?»
Tese la mano verso il vice. «Il Winchester. Datemelo.»
Riluttante, l'uomo sollevò il fucile. Devon lo afferrò, lasciando Lizzie. Abbassò e rialzò la leva, facendo scattare il proiettile in canna.
«Attenzione.» Stanton sembrava ansioso.
«Non preoccupatevi, lo so usare.»
Lizzie le strinse il braccio. «Che vuoi fare?»
La guardò negli occhi. «Lizzie, prometto di riportarti Henry tutto intero.»
«Oh no, no. Lascia fare agli uomini, troveranno un modo.»
«Sono chiusi là dentro, hanno parecchie armi a disposizione, se è come l'ufficio di Ballard. » Vide l'assenso di Stanton. «Ho un'idea.»
«Vuoi farti ammazzare?» Ormai Lizzie piangeva.
Nessuno dei presenti si era fatto avanti. Il signor Wiley sembrava imbarazzato. Le donne si erano eclissate. Tranne una.
«Miss Belle!»
La maîtresse la guardò dalla porta del saloon, e si incamminò verso di loro. Stanton si toccò la tesa del cappello quando la vide, e Lizzie smise per un istante di piangere.
«Signora Wallace, miss Stanley.» Se era sorpresa di essere stata interpellata, non lo diede a vedere.

«Potete occuparvi di Lizzie, miss Belle?»
«Ma certo.» Si accorse del fucile. «Che avete intenzione di fare?»
Lasciò Lizzie. «Occupatevi di lei. Andiamo, signor Stanton.»
Mentre camminavano verso la postazione dell'altro aiutante, le sembrò di essere tornata indietro nel tempo, a quando si era ritrovata sullo spuntone di roccia. Nonostante il dolore alla testa, si era affidata alla forza delle sue mani ed era risalita, appiglio dopo appiglio, ritrovandosi ansimante sul ciglio del burrone. Wallace e i suoi uomini l'avevano incontrata mentre si inerpicava sulle rocce per raggiungere lo spiazzo dove aveva piantato il bivacco, scoprendo che era occupato da Carson e il suo complice. La vista di Cornell legato e prigioniero l'aveva convinta che da sola non avrebbe potuto fare molto. Nel sentire la sua idea, lo sceriffo si era opposto, ma era stata irremovibile.
Adesso erano nella stessa situazione, forse anche peggio. Benedisse il fatto che suo padre non avesse posto veti nell'insegnarle a usare le armi. Era una buona tiratrice, sia con il fucile che con la pistola. E questa volta non aveva un solo colpo in canna.
«Che cosa volete fare?» La voce di Stanton era incerta.
«Andrò dentro.»
L'uomo si fermò di colpo. «Siete impazzita?»
«Non siete gentile, signor Stanton,» lo rimproverò.
«Se lo fate e vi dovesse accadere qualcosa, vorranno la mia testa.»
Nonostante il momento, sorrise. «Faremo in modo che la vostra testa rimanga dov'è.»
«So che siete coraggiosa, ma non posso permettere...»
Lo interruppe. «Se dovessero uscire, verranno a cercarmi. Sono la testimone del tentato omicidio di uno sceriffo e conosco il contenuto di quei documenti. Sono pericolosa per loro, capite? Se vado io, abbasseranno la guardia.» Su quello ci sperava, ma non lo disse. «Inoltre, ho fatto una promessa a Lizzie, e intendo mantenerla.» Lo guardò negli occhi. «Devo fare lo stesso con vostra moglie?»
Stanton deglutì e scosse la testa.
«Bene, vedo che siete d'accordo. Adesso lasciatemi fare.»
Bob Mosley si staccò dalle colonnine del portico quando li vide arrivare. Come Stanton, protestò e sbraitò, ma non le fecero cambiare idea.
«Quanto tempo è passato dagli spari?» chiese.
«Mezz'ora, più o meno,» rispose Stanton.
Non aveva tempo per cambiarsi. Le gonne potevano essere d'impiccio, ma sperò di no. Non doveva correre. Doveva sparare. Forse.
Strinse la mano intorno all'arma. «Adesso vi dirò cosa faremo.»
In pochi minuti vide le loro espressioni passare da incredule a scettiche. Al termine, trasse un sospiro e si incamminò.
«Miss Stanley.»
Si girò a guardare Stanton e Mosley.
«Per l'amor di Dio, state attenta.»
Annuì. Ce l'avrebbe messa tutta.

§

«C'è movimento.»
Cornell alzò la testa, imitato da Wallace, accucciato accanto a lui. Henry gli aveva stretto una benda intorno alla gamba ferita. Il dolore era scemato, rimaneva solo un sordo pulsare. Inoltre aveva un terribile mal di testa.
Carson si avvicinò al suo compare.
«Che c'è, Blink?»
«Una donna. Si sta dirigendo qui.»
Max scambiò un'occhiata con lo sceriffo. Una donna?
«Chi è?» Erano rimasti lontani dalle finestre, per evitare di essere presi di mira.
«Non lo so,» borbottò quello chiamato Blink. «Una brunetta, piccolina. Un bocconcino, a ogni modo.»
Cornell inghiottì il nulla. Brunetta, piccolina...
«Oh, mio Dio,» biascicò.
Wallace gli strinse la spalla. Sembrava sconvolto quanto lui.
Una voce femminile gridò dall'esterno. «Sono Devon Stanley!»
Carson si mise a ridere. «Questa poi! Sta per servire se stessa su un piatto d'argento.» Sollevò la mano fasciata. «Falla venire avanti, Blink. Chissà che non si riesca a chiudere il cerchio.»
Si spostarono all'indietro, verso il cancello divisorio.
Sentì i passi sul legno del pavimento. Si irrigidì, Henry fece altrettanto.
Pazza, pazza, pazza.
Che cosa le era saltato in testa? Un grumo di paura gli chiuse lo stomaco. Cominciò a pregare chiunque lo avesse ascoltato.
L'ombra sulla soglia gli fece capire che era arrivata.
«Vieni avanti.» Carson si mosse di un passo.
Devon obbedì. Stava tremando? Cornell si tese tutto.
Ti prego, no.
La vide gettare un'occhiata veloce intorno, posarsi sul cadavere del bandito che erano riusciti a spostare dalla porta. I suoi occhi si fermarono su di lui, e li strinse appena. Teneva le braccia lungo i fianchi, le mani nascoste dalle pieghe della gonna.
«Sei coraggiosa, ragazza, o irrimediabilmente stupida. Qui non ci sarà nessuno che salterà fuori all'ultimo momento.»
«Ti propongo uno scambio,» disse lei. La voce le tremava. «Me al posto dello sceriffo e di Cornell.»
«No!» Max si raddrizzò, ma Henry lo tenne giù.
«Ho un'idea migliore,» sbottò Carson. «Ce ne andiamo e ti portiamo con noi.»
«Prima lascia andare loro.»
Henry si chinò verso di lui. «Ha qualcosa in mente,» sussurrò.
Cornell si accorse di tremare. Non aveva mai provato un tale terrore in vita sua. «Spero solo che non sia una pazzia.»
«Ma certo.» Carson fece un passo indietro, e Blink sollevò la pistola. Non avevano alcuna intenzione di lasciarli andare vivi.
Sentì Henry trattenere il respiro.
Blink sogghignò e armò il cane. Li avrebbero uccisi davanti a lei.
La guardò ma lei fissava i tre banditi. Non tremava, il bel volto era diventato una maschera di ghiaccio. Per un attimo, la rivide come quel tardo pomeriggio sulle montagne, quando con il suo ultimo colpo aveva centrato Carson alla mano.
La vide muoversi, il braccio destro sollevarsi, un fucile stretto tra le dita. Fu veloce, mentre lo afferrava anche con l'altra mano.
Lo sparo risuonò nella stanza, assordandoli.
Il cappello di Blink volò in alto, il bandito sembrò rannicchiarsi su se stesso, lasciando andare la pistola. Devon ricaricò il Winchester senza mai perdere il contatto visivo..
«Giù la pistola, Cocklin. Posso colpire un cervo in mezzo agli occhi a cinquecento yarde. Qui dentro? Una bazzecola.» Alzò il mento. «Mosley, Stanton!»
I vetri delle finestre ai lati dell'ingresso si ruppero nello stesso istante. Le facce dei due aiutanti comparvero nello spazio, insieme alle canne delle loro armi.
Cocklin abbassò la pistola e la fece cadere sul pavimento. I vice irruppero e fecero arretrare i tre uomini verso le celle.
Henry si alzò, passandosi la mano fra i capelli, visibilmente scosso. «Per la miseria, ragazza, mi hai fatto invecchiare di dieci anni.»
Devon abbassò il fucile. «Andate da Lizzie. È con Belle.»
«Cinque minuti e arrivo.» Guadagnò la porta e sparì.
Devon lo guardò, finalmente. Adesso stava tremando davvero. Si avvicinò. Maledizione, non poteva neanche alzarsi per andarle incontro.
Lei lasciò andare il fucile e gli si inginocchiò accanto, fissando la ferita alla gamba. Poi alzò quei suoi meravigliosi occhi verdi.
«Sei pazza,» sussurrò Max.
La ragazza annuì. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Sorrise appena, poi gli gettò le braccia al collo, singhiozzando.
Cornell la strinse con un braccio. «Non piangere, tesoro. Sei stata magnifica.»
«Ho avuto tanta paura,» la sentì sussurrare con il volto affondato nella sua gola.
«Non si sarebbe detto,» scherzò.
Si sollevò, evitando di guardarlo, e si passò le mani sul viso. «Non piango così facilmente,» disse arrossendo.
Max le accarezzò la guancia. «Nessuna donna che conosco avrebbe fatto quello che hai fatto tu. E anche qualche uomo.» La fissò negli occhi, mentre lei arrossiva ancora di più. La trasse a sé e la baciò.
Fu un lungo momento.
Il vibrare delle assi gli fece capire che non erano più soli.
Devon si allontanò da lui, guardandosi alle spalle. Wallace era tornato. Dalle celle erano arrivati anche i vice. Tutti e tre sembravano imbarazzati.
«Ho chiamato Doc Wilson,» annunciò Henry. «Ti metterà a posto la gamba e ti darà un'occhiata alla testa.»
«Grazie.»
Lei si alzò, guardandolo. Le sorrise. Non vedeva l'ora di ripetere quel bacio.
«Adesso tu vieni con me,» disse Henry, rivolto a Devon. «Se non lo fai subito, Lizzie ha minacciato di venirti a prendere. Tanto tra un po' lo rivedrai.»
Max ridacchiò. Prima che uscisse con Wallace, si raddrizzò.
«Cinquecento yarde, eh?»
Lei si girò. Gli fece l'occhiolino, sorprendendolo. «Dalle mie parti non ci sono cervi.» Una risata generale accolse le sue parole. «Comunque, con lo Sharps sono arrivata a ottocento.»
Henry la trascinò fuori, e lui continuò a ridere.

§

Lizzie l'abbracciò non appena Wallace l'ebbe condotta da lei, senza risparmiarle i rimproveri per aver rischiato la vita in quel modo.
«Ma mi hai riportato Henry,» aggiunse alla fine. «Grazie.»
L'aveva abbracciata ancora. Miss Belle tossicchiò. Devon riuscì a staccarsi da Lizzie e le sorrise.
«Grazie anche a voi, miss Belle.»
La maîtresse fece un gesto con la mano. «Per così poco?»
Lizzie alzò la testa. «Siete stata più gentile della maggior parte delle donne di questa città. Grazie.»
La donna sorrise. «Signora Wallace, vostro marito è un brav'uomo. Occuparmi di sua moglie era il minimo che potessi fare. E adesso, se volete scusarmi, ho un saloon da mandare avanti.»
Quando se ne fu andata, Lizzie si asciugò gli occhi. «Mi hai fatto morire di paura, Devon,» sussurrò. «Ma il pensiero che mi portassero via mio marito, oh, ho creduto che mi si spezzasse il cuore.»
L'aveva provato anche lei, facendole capire quanto davvero tenesse a Cornell.
«Lo so, cara.»
Lizzie sorrise debolmente. «Cosa ti ha detto Max?»
«Che sono pazza.»
L'altra rise. «Ha ragione.»
«E mi ha baciata.» Arrossì al pensiero che le sarebbe piaciuto ripetere l'esperienza.
«Non avevo dubbi. Senz'altro ha capito che sei la donna fatta per lui.»
Rise. Lo sperava, con tutto il cuore. Lizzie la imitò, poi spalancò gli occhi, piegandosi e tenendosi il ventre.
«Lizzie!» esclamò, afferrandola per un braccio.
«Oh, Cielo!» La donna le prese la mano. «Credo ci sia qualcuno che vuole nascere.»
Il panico l'attraversò. «Devo chiamare, Henry, il dottore. Qualcuno!»
Lizzie si lasciò andare e sedette sugli scalini. «Vai, corri!»
La prese alla lettera.

§

A coronare quella giornata terrificante, Devon Maxim Wallace decise che venire alla luce era il modo migliore per renderla memorabile.
Devon si era affrettata verso l'ufficio, trovando Henry che organizzava i turni di guardia. Alla notizia, lo sceriffo atterrì e si precipitò dalla moglie.
Lei corse dal dottore, che aveva fatto portare Cornell a casa propria dove poteva curarlo al meglio e, scusandosi con il ferito, lo trascinò con sé.
Lizzie era in preda alle doglie, e Wallace al panico. Li accolse con un sospiro di sollievo.
Riuscirono a portarla allo studio del medico e, in una stanza di fianco a quella dove si trovava Cornell, la fecero stendere su un sofà.
«Ho bisogno di voi, miss Stanley.» Il dottor Wilson si rivolse direttamente a lei. Lo sceriffo era agitato oltre ogni dire. Il medico lo spedì a tenere compagnia a Cornell, e si occupò della donna in travaglio.
Devon era spaventata. «Dottor Wilson, non ho la più pallida idea di cosa fare!»
Veder nascere dei vitelli non era esattamente il tipo di esperienza adatta.
«Ascoltate me e non preoccupatevi.»
Le fece lavare le mani e la istruì su acqua calda e asciugamani puliti. Lei obbedì senza discutere.
Il dottore cercò di calmare la donna stesa sul sofà.
«Andiamo, signora Wallace. Lizzie. Siete bravissima. Le cose stanno procedendo piuttosto spedite, sapete? Vedo già la testa del piccolo.»
Per tutta risposta, Lizzie cacciò un urlo agghiacciante. Se non avesse avuto le mani occupate, Devon si sarebbe schiacciata le mani sulle orecchie. Invece strinse i denti e depositò gli asciugamani sul tavolino a fianco.
«Forza, Lizzie!» Le afferrò una mano, e l'altra gliela strinse così forte da stritolarla.
«Voglio Henry!»
«Lo chiamo subito.» Corse nell'altra stanza.
Cornell la guardò a occhi spalancati. «Va tutto bene?»
Annuì. «Henry, venite da vostra moglie.»
«Oh, Signore,» ansimò lo sceriffo. Si precipitò fuori e lo seguì. L'uomo si inginocchiò accanto al divano prendendo la mano della moglie. «Lizzie, tesoro!»
«Brava, Lizzie,» la incitò Wilson. «Ancora uno sforzo.»
Un altro urlo, poi la donna si rizzò quasi a sedere, prima di ricadere all'indietro contro i cuscini. Un vagito riempì l'improvviso silenzio.
Wallace guardò il neonato e svenne.
Il dottore scoppiò a ridere. «Perdonatemi, signora Wallace, ma questa è una scena che non farò dimenticare a vostro marito.»
Lizzie era sfinita ma si permise una debole risata. Devon si sentì sommergere dalla commozione. Il dottore recise il cordone ombelicale, lavò il fagottino e lo consegnò nelle sue mani tremanti. Lei lo avvolse per bene nell'asciugamano morbido e andò a depositarlo tra le braccia di Lizzie.
«Un bellissimo bambino,» mormorò Wilson. La donna pianse.
Devon riprese il piccolo mentre il dottore aiutava la puerpera a portare a termine quell'immane lavoro.
Alla fine, pulita e avvolta in una coperta, Lizzie riprese il suo bambino e lo tenne stretto al seno, mentre lei cercava di far rinvenire lo sceriffo. Fatica non da poco, vista la forte emozione. Wallace riaprì gli occhi, si sollevò di scatto e abbracciò moglie e figlioletto con le lacrime agli occhi.
«Siete stata brava.»
Si girò a guardare il dottore. «Non ho fatto granché,» si schernì.
«Forse non è paragonabile a quello che avete fatto oggi, ma di sicuro non vi siete persa d'animo.» Gettò un'occhiata alla porta. «Che dite, sarebbe il caso di andare a vedere l'altro paziente?»
Annuì e uscì dal salotto, lasciando i Wallace alla loro gioia. Trovò Cornell teso come un arco, lo sguardo spiritato.
«Dimmi che è tutto a posto.»
Era stanca morta ma sorrise, mentre si avvicinava al letto. «Tutto a posto.» Gli si sedette accanto. «Un bellissimo maschietto.»
«Lizzie?»
«Sta bene.»
Le prese una mano e se la portò alle labbra. «Sei una donna straordinaria.»
Lo guardò, gli occhi fissi nei suoi. «Potrei abituarmi a tutti questi complimenti.»
«Dovresti. Ho intenzione di continuare a farteli.»
Sbatté le palpebre. «Mi stai corteggiando, Max Cornell?»
«Ci provo.» Se l'attirò contro e sorrise. «Davvero sei arrivata a ottocento yarde?»
Devon gli buttò le braccia al collo e lo baciò.

§§§

Il telegramma che avvisava della partenza da Casper del giudice Larabee arrivò nella tarda mattinata del giorno seguente, insieme alla notizia che con lui avrebbero viaggiato Beth e Tom Kendall. Avevano risposto al suo telegramma partendo da Denver e facendo tappa a Casper, dove avevano parlato con Ballard e incontrato il giudice.
Devon non poteva che esserne felice.
Al mattino si erano spostati a casa Wallace, Lizzie con il bambino e Cornell con la sua gamba ferita, e lei aveva assunto l'onere di prendersi cura di tutti. Lo sceriffo si era recato presto in ufficio, non prima di inviare il telegramma con le ultime novità a Casper. In risposta era arrivato quello del giudice.
Devon aveva sistemato la puerpera e il nuovo arrivato, si era occupata di Max e della sua gamba. Aveva insistito che rimanesse a letto e non aveva voluto sentire ragioni.
«Sei una prepotente!» sbottò Cornell.
«Ordini del dottore,» ribatté lei. Mise sul comodino una bottiglietta di vetro scuro e appoggiò le mani sui fianchi. «Il dottor Wilson ha raccomandato un cucchiaio di laudano se dovessi aver dolore, ma non oltre.»
«Peccato. Stanotte mi ha fatto dormire bene.»
Ignorò il sorrisetto sornione e sbuffò. «Sei impossibile, Maxim Cornell.»
Lui arrossì. «C'è un motivo per cui non uso il nome intero.»
«E qual è?»
«Troppo aristocratico.»
Devon si sedette sulla sponda del letto. Se Beth l'avesse vista non le avrebbe certo risparmiato un rimprovero. Una donna nubile, nella camera di un uomo! Tutte le regole della buona creanza erano sfumate con gli eventi degli ultimi giorni.
«Capita, se hai una madre insegnante appassionata di poeti inglesi.»
Lui inarcò le sopracciglia. «Come lo sai?»
«Me lo ha detto Lizzie.»Ignorò la sfilza di improperi sull'incapacità delle donne di tenere per sé una confidenza, e si limitò a sorridere. «Comunque a lei ed Henry è piaciuto, altrimenti non avrebbero chiamato così il piccolo.»
«Ti ricordo che il bambino si chiama Devon.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Non essere pedante.»
Le prese la mano e se la portò alle labbra. Si guardarono negli occhi per un momento, poi si alzò di scatto.
«Devo andare a preparare il pranzo.»
«Mi lasci qui da solo?»
«Qualcuno deve pur cucinare,» ridacchiò. Stava per uscire quando la chiamò di nuovo.
«Devon.»
Fece un passo indietro. «Sì?»
«Sposami.»
Lei sbatté le palpebre, le gambe molli, il respiro d'improvviso affrettato. Gli occhi  di lui la scrutavano. Glielo aveva chiesto davvero? Il bel volto maschile sembrava teso.
«Mi vuoi davvero?» gli chiese, tornando verso il letto. «Non lo chiedi per gratitudine o altro?» Era importante per lei saperlo.
Lo sguardo fisso nel suo, Max sospirò. «No. Non per gratitudine. Non per senso di colpa. Solo perché ti amo. E l'ho capito ieri, quando sei stata così pazza da rischiare...»
Lo interruppe senza tante cerimonie. «Sì.»
Lui aggrottò la fronte. «Hai detto sì?»
Lei annuì.
«E tu sei sicura di volermi?» Nella voce profonda c'era incertezza.
Alzò le spalle. «Sono sicura.»
Era vicina al letto, ormai. Max allungò la mano e prese la sua, intrecciando le dita.
«Dovrò abituarmi a un letto morbido dove dormire tutte le notti. A un tetto sulla testa invece che le stelle. A...»
«Se stai cercando di dissuadermi adesso che ti ho risposto, perdi il tuo tempo,» sbottò. Fece per togliere la mano dalla stretta di lui, ma venne trascinata a sedere sul letto, le braccia muscolose ad avvolgerla.
Lui sorrise. «Speravo che lo dicessi.» L'attirò contro il petto. «Sei tutto quello che ho sempre desiderato,» sussurrò.
«Anche se sono bassa?» non poté fare a meno di replicare.
«Sei perfetta, e io ho buoni motivi per saperlo.»
Gli diede uno schiaffo sulla spalla, arrossendo. «Max Cornell, sei davvero impossibile!»
Stavolta lui rise, stringendola di più.
Si perse nel calore di quegli occhi scuri. «Ti amo, signor Cornell,» bisbigliò, prima che quella bocca calda si posasse sulla sua.

§§§

Epilogo. Cheyenne, agosto 1870

Decisero di sposarsi a Cheyenne. Avevano dei buoni amici e li volevano accanto. Il reverendo Butler aveva dato il consenso al matrimonio, purché passassero almeno quindici giorni dalla pubblicazione dell'avviso.
Il tempo fu sufficiente perché Max si riprendesse dalla ferita e arrivasse la diligenza da Casper con a bordo il giudice, Beth e Tom. La sua governante andò in brodo di giuggiole alla notizia che la sua bambina sarebbe convolata presto a nozze, e si diede da fare insieme a Lizzie, ripresasi dal parto, per organizzare la cerimonia e preparare l'abito nuziale, che altro non fu che il vestito verde adorno di un colletto bianco.
In accordo con il fidanzato, aveva invitato anche Belle Collins al matrimonio, incurante se ciò avrebbe fatto insorgere mezza città.
La cerimonia era stata semplice, anche se non ricordava granché, a parte l'alto uomo che l'aspettava accanto al reverendo, con lo sguardo fisso su di lei.
E adesso, all'anulare della mano sinistra risplendeva l'anello che la legava a Max per il resto della vita.
Lo amava da impazzire, da quella notte in cui lo aveva tirato fuori dal vicolo e portato in una camera d'albergo. Camera che Belle le aveva messo a disposizione anche per quella notte e finché non fossero ripartiti. La loro notte di nozze. Al solo pensiero, si sentiva arrossire e riempire di desiderio al tempo stesso.
La musica era allegra, nel saloon. La padrona aveva insistito per offrire un ricevimento agli sposi, e né lei né Max avevano potuto rifiutare.
La sua damigella era stata Lizzie Wallace, che ora stava ballando con il marito, testimone dello sposo. I loro volti erano arrossati e sorridenti, e non poté non constatare quanto fossero belli come coppia. Anche Devon Maxim Wallace partecipò, e la musica non gli diede alcun fastidio.
Tom aveva invitato Belle a ballare, ma la musica era troppo vivace e si erano accontentati di sedere a chiacchierare.
Non era una festa con molti invitati, ma andava bene così. Era felice, e lo fu ancora di più quando Max le si avvicinò offrendole la mano e invitandola ad alzarsi.
«Un ultimo ballo, mia signora?»
Sorrise e accettò, mentre le dita di lui stringevano le sue.
«Ti ho detto che sei bellissima?» le chiese, appoggiandole la guancia ai capelli.
«Diverse volte,» disse, «ma continua pure, grazie.»
Max rise, poi si staccò da lei, gli occhi che brillavano. «Direi che potremmo salutare i nostri ospiti, a questo punto, signora Cornell.»
Il cuore prese a batterle più forte. Gli sfiorò il petto.
«Direi di sì, signor Cornell.»
Beth trattenne a stento le lacrime, quando la salutarono con la promessa di rivedersi il mattino successivo per colazione.
Belle l'abbracciò. «Non tutto il male viene per nuocere,» le sussurrò all'orecchio. Lei non poteva essere più d'accordo.
Salutarono Tom, al settimo cielo per aver potuto incontrare di nuovo il suo amore di un tempo.
Infine, lo sceriffo e sua moglie augurarono la buona notte uscendo insieme a loro.
Mentre attraversavano la strada nel buio della notte, Max la strinse a sé. Devon si chiese se sentisse quanto le batteva forte il cuore. Era passato più di un mese da quell'incontro fortuito, e se allora non era stato programmato, adesso erano presenti emozione e aspettativa. E un forte desiderio.

§

Max strinse sua moglie. Sua moglie. Gli piacevano quelle due parole.
Dovette resistere all'impulso di baciarla fino a stordirla. Ancora pochi passi e avrebbero potuto godere dell'intimità della loro stanza.
Salirono le scale e raggiunsero la camera in silenzio. Si chiese se lei fosse nervosa quanto lui.
Non appena chiuse la porta alle loro spalle, però, non resistette più. Se la schiacciò contro il petto e la baciò. Lei gli buttò le braccia al collo e socchiuse le labbra, offrendogli se stessa.
«Ti amo,» sussurrò lui.
Devon gli sfiorò le labbra con le dita. Stava tremando.
«Anch'io ti amo, Max.»
Non le strappò il vestito come aveva fatto quella notte, una notte che aveva il sapore del sogno. Ebbe cura di slacciare tutti i bottoncini che chiudevano il corpetto sulla schiena, finché non riuscì a vedere il candore della camiciola e della pelle di sua moglie.
«Non porti il busto.» Lo disse con sollievo, non sapeva quanto ancora avrebbe potuto resistere. Lasciò cadere l'abito sul pavimento, ammirando la schiena e i fianchi sottili di Devon.
«Quello strumento di tortura?» replicò lei. Girò la testa sulla spalla, ammiccando. «Ti dispiace che non l'abbia messo?»
La fece voltare e se la strinse contro, accarezzandole il fianco, risalendo lento  ma deciso fino a chiudere la mano a coppa su un seno. Lei tremò al suo tocco.
«Neanche un po',» sussurrò, prima di baciarla. Poi la sollevò e andò a deporla sul letto, rimanendo fermo a guardarla, le mani appoggiate ai lati del corpo di lei.
«Ti avverto, non sono ubriaco, stanotte.»
Devon sorrise, e si sollevò per attirarlo su di sé.

§

Il tempo di spogliarsi, e finalmente poté sentire il calore della pelle di suo marito. Adorava quella parola.
Le mani di lui furono dappertutto, la accarezzarono, la eccitarono.
E lei ricambiò le attenzioni, passandogli i palmi sulla schiena, scendendo verso territori sconosciuti e inesplorati.
Si staccò ansante dalla bocca di Max, guardandolo nella lieve luce data dalla lampada.
«Amore.»
Lei sorrise, sentendo la nota interrogativa nella voce maschile. Gli occhi scuri erano velati dalla passione.
«Pensi che...»  iniziò a dire, ma si interruppe, sorpresa dal proprio desiderio, e intimidita da ciò che avrebbe potuto pensare di lei l'uomo che la stringeva con passione.
Lui le prese una mano e se la portò alle labbra. «Che cosa, tesoro mio?»
«Ecco, pensavo...» Non sapeva come chiederlo. Sentiva la pressione dei fianchi di lui fra le cosce, un calore sempre maggiore nel ventre. Respirò a fondo. «Sarebbe  sconveniente se ti... ehm... toccassi, Max?»
Lo sentì trattenere il respiro, poi la baciò, prima di spostarsi leggermente su un fianco.
«Oh, no,» mormorò. «Non credo che lo sarebbe.»
Le prese la mano e la guidò giù, prima su un fianco e poi verso l'inguine. Quando le sue dita si strinsero intorno a quella parte di lui che la intimoriva e la eccitava insieme, lo sentì gemere.
Fece per ritirare la mano, ma Max la coprì con la propria.
«Va tutto bene,» sussurrò. «È bellissimo.»
Allora mosse la mano, incoraggiata dai mugolii del suo uomo, mentre lui le accarezzava i seni e glieli baciava.
Poi la fermò, spostandosi e coprendola con il proprio corpo.
Non fu come la prima volta. Non sentì dolore. Solo la sensazione meravigliosa di appartenergli, così come lui apparteneva a lei.
Il piacere arrivò a ondate, mentre si muovevano insieme, baciandosi e accarezzandosi.
Lo strinse a sé con le braccia e le gambe, come se non volesse più lasciarlo andare.
E poi, quando l'onda si ritrasse e rimase solo l'appagamento, giacquero abbracciati e silenziosi.
Gli diede un lieve bacio sul petto e si sollevò per tirare su di loro le lenzuola, e riprese la posizione di prima, la testa posata sulla spalla.
Max la baciò sui capelli.
«Stai bene, signora Cornell?»
Lei sorrise. «Mai stata meglio. E tu?» Le rispose con un sospiro soddisfatto e un bacio sulla fronte. Si rialzò per guardarlo, appoggiandosi con gli avambracci al torace muscoloso. «Sai cosa mi ha detto Belle, signor Cornell?»
«Che cosa?»
Gli sfiorò la guancia con il respiro, poi scivolò sulla bocca, accarezzandogli le labbra con la punta della lingua. Quando udì il gemito di Max, si sentì decisamente lussuriosa. Guardò suo marito e sorrise.
«Che non tutto il male viene per nuocere.»
Lo baciò, e lui la travolse cambiando le loro posizioni, bloccandola sul letto, mentre lei ridacchiava e lo abbracciava.
«Sai una cosa, signora Cornell? Sono proprio d'accordo con Belle.»

 FINE


CHI E' L'AUTRICE

Nata in Svizzera nel 1971, Sarah Bernardinello vive in Veneto, in provincia di Rovigo, a pochi chilometri dal mare. Laureata in Infermieristica nel 2003, lavora come infermiera presso il reparto di Oncoematologia dell'Ospedale di Rovigo.
Lettrice vorace fin da piccola, con un'immaginazione fervida, ha cominciato a scrivere da ragazzina. Vince il Premio Romance 2013 dei Romanzi Mondadori con il racconto storico La signora del mare, e pubblica diverse opere in antologie. Il suo racconto Chicago Summer ha partecipato alla rassegna di racconti estivi 2015 di questo blog ed risultato "secondo racconto preferito dalle blogger". A giugno 2015 è uscito il suo primo romanzo, Soltanto tu, edito da Delos Digital. 

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13 commenti:

  1. Ma quanto mi piacciono le protagoniste femminili di questa storia! Bellissimo racconto lungo...detto da ina lettrice che normalmente non si appassiona ai racconti e' un vero complimento.

    RispondiElimina
  2. Bello, bello, bello!
    Stamattina non vedevo l'ora di riaprire il PC e leggere la seconda parte, e quanto mi è piaciuta! Una novella divertente, ben scritta, molto "cinematografica", direi. Per Max, non so perche' ma ho pensato subito a Chris Evans! (Non è vero, lo so il perche' ;-) )
    Un grande grazie a Sarah per averci regalato questa storia!

    RispondiElimina
  3. Un racconto molto bello... Una scrittura cinematografica che fa vivere i personaggi come se stessi guardando davvero uno schermo con degli attori in carne e ossa ;-) Sono d'accordo con Eva... Chris Evans ci starebbe molto bene!!! ;-)

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  4. Tanti tanti complimenti a Sarah, bellissimo racconto... direi che non manca nulla! Un grandissimo in bocca al lupo per il tuo futuro da scrittrice, te lo meriti tutto... :)

    RispondiElimina
  5. Ragazze, siete davvero stupende. Grazie per i vostri commenti e per l'apprezzamento!

    RispondiElimina
  6. Bello, avventuroso e romantico. Colpisce nel segno!

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    Risposte
    1. Grazie, Fernanda. Non solo per il commento...

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  7. mi unisco alle congratulazioni, bellissimo racconto, lettura gradevolissima e appassionante, anche io oggi non vedevo l'ora di leggere la seconda parte :D
    COMPLIMENTI!!! personaggi davvero affascinanti...e concordo su Chris Evans!!! ;D

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    Risposte
    1. Dite niente: Chris Evans, figuriamoci se dopo l'Uomo Fiamma o Captain America si mette a fare il cow boy!
      Grazie per le belle parole!

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  8. Ma siete tutte di qua, consorelle? Io avevo commentato di là... comunque lieta che sia arrivata quella sillaba attesa nella prima parte. Complimenti Sarah! Che la Dea ti benedica

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    Risposte
    1. Grazie, cara. Spero che la Dea continui a farlo. Un abbraccio.

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  9. Bellissimo racconto fantastico insomma proprio bello non saprei che altro aggettivo usare si ecco ...... superlativo il racconto i personaggi la storia una degna conclusione

    RispondiElimina

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