IL CAPITANO di Adele Vieri Castellano



Milano, ottobre

Valerio Corvino, con un sospiro profondo, rotolò il più lontano possibile dal rumore molesto. La sveglia continuò a suonare fino a quando qualcosa gli piombò sopra, zittendola. Quando ritirò il braccio, urtò qualcosa di caldo e morbido.
Una mano gli sfiorò i capelli, scese sulle spalle e si fermò tra le scapole, accarezzando le linee del tatuaggio maori che si era fatto anni prima. Rabbrividì e gli tornò in mente l’ultima posizione in cui l’aveva presa; sesso tantrico, così lo chiamavano. Il sospiro si fece più profondo e si stiracchiò, sfiorando il bordo del letto con le dita dei piedi.
Dalla finestra socchiusa penetrò il rumore della saracinesca del bar di Ettore.
Sei e mezza in punto e gli parve di sentire l’aroma del caffè. Incredibile come il cervello potesse associare odori e ricordi.
Il profumo della donna sdraiata accanto a lui lo infastidì e piantò la faccia nel cuscino.
La mattina dopo, sempre la solita storia.
Avrebbe voluto che sparissero durante la notte, raccogliendo i vestiti in silenzio e sgattaiolando via senza fare rumore.
Voleva svegliarsi con la sola compagnia di quell’amico tra le gambe che lo riduceva a uno scervellato bramoso di sesso; per colpa sua aveva rimorchiato la tipa dal profumo dolciastro e sgradevole.
Tornato padrone del corpo, il suo cervello associò alla parola “profumo” la fragranza di agrumi della giornalista che aveva bloccato contro la parete di un ascensore, qualche giorno prima.
Maledizione, avrebbe potuto denunciarlo per abuso di potere. Che gli era preso?
Era incazzato. Lei era una giornalista e lui li odiava, soprattutto quelli ficcanaso.
Una ficcanaso con un cappotto di lana, un morbido maglione color avorio sopra i jeans, i capelli scuri sciolti sulle spalle. Aveva notato una catenella intorno al collo, ma il pendente era in parte nascosto dall'ampio risvolto del maglione. Non aveva un filo di trucco, non che ne avesse bisogno.
Ricordava tutto di lei, anche quella fragranza che le aleggiava intorno e lo aveva colpito: limoni, mare azzurro, scogli. Capri, Sorrento, le vacanze e la sua barca a vela, ecco cosa aveva pensato quando aveva avuto il suo corpo fragile tra le mani.
«I want you again, my love» bisbigliò la donna sdraiata accanto a lui, richiamandolo al presente.
Identificato come uno stallone nostrano. Deprimente.
«Riprovaci in italiano principessa, non hai imparato niente stanotte?» mugugnò schivando le dita di lei, che gli solleticavano la schiena.
«Fa amore con me.»
Amore, cosa ne sai tu dell’amore?
Una situazione in cui una chiamata dalla caserma sarebbe stata gradita. Aprì una palpebra e adocchiò il cellulare che rimase muto, mentre il suo amico tentò un risveglio in totale disaccordo col cervello. Questa volta gli trasmise un messaggio subliminale: a cuccia, se lo rifai ancora ti rinchiudo in un paio di jeans di due taglie inferiori.
Si sollevò e lei lo afferrò da dietro, leccandogli una spalla.
Tre taglie, porca Eva.
Eva. Ecco come si chiamava la giornalista che profumava di agrumi. Strano ricordarla ancora e, in quel momento, con un’istantanea e opportuna associazione di idee, gli venne in mente la conferenza stampa. Si sollevò dal letto di scatto e la donna sdraiata ebbe come sola consolazione la vista del suo lato B. 
Valerio sbatté la porta del bagno con maschia soddisfazione.

La sala stava per essere invasa. Giornalista, mestiere sporco, da parassita.
Dalla porta socchiusa spiò le sedie pieghevoli ancora vuote, il lungo tavolo con i microfoni e le bottigliette di acqua allineate come ubbidienti soldatini.
Cinque minuti e avrebbe dovuto affrontarli.
Toccava a lui, capitano del ROS Valerio Corvino, dare alla stampa i dettagli dell’indagine battezzata “Operazione Annibale”. I signori della droga del Messico avevano invaso prima il nord Africa e poi, attraverso la Spagna, erano dilagati in Europa come nell’antichità il generale cartaginese. 
Lui e i suoi uomini avevano risolto il caso, ma toccava a lui gestire la stampa. Meglio sei mesi come infiltrato che tre minuti con quella gente.
Controllò l’uniforme e sistemò il cappello d’ordinanza, abbassando un poco la visiera.
Non che si vergognasse della cicatrice che gli sfregiava la guancia destra, il taglio preciso di una pugnalata che gli avevano sferrato alla fine di quei lunghi mesi sotto copertura, in Olanda.
Quel segno purtroppo lo aveva reso riconoscibile e quindi, una volta dimesso dall’ospedale, aveva dovuto riprendere il servizio attivo in caserma, con tutte le seccature del caso.
Per quanto riguardava il suo volto, dopo un po’ aveva smesso di farci caso, a meno che qualche imbecille non lo fissasse a bocca aperta come a suggerirgli che esisteva la chirurgia ricostruttiva. Far sparire lo sfregio però gli sarebbe costato mesi e mesi di inattività, senza contare i numerosi interventi prospettati dal chirurgo che aveva incontrato a Milano.
Non era roba per lui, quella.
Le porte della sala si spalancarono e i giornalisti sciamarono come cavallette, tra le mani iPad, iPhone, taccuini, registratori. C’era di tutto ma lui era convinto che non servissero a niente: tanto avrebbero scritto tutt’altro che la verità.
Si augurò che le sedie fossero molto scomode, poi fece un cenno al maresciallo Bonatti e all’altro sottufficiale.
«Bene, entriamo nell’arena» disse loro afferrando la maniglia, un ghigno sardonico stampato in faccia. « E guai a voi se sorridete.»

Eva Paganelli prese di mira una sedia e allungò una mano per impossessarsene, prima che quello stronzo di Alfredo Lanfranchi, cronista di Repubblica, se l’accaparrasse. Si guardarono in cagnesco, poi lui sollevò entrambi i palmi in segno di resa.
«Prima la signora, ci mancherebbe» disse con un’espressione che non si accordava al tono melenso.
«Signora detto in quel modo suona come un insulto, Lanfranchi.»
Lui le si avvicinò un po’ troppo e abbassò la voce:
«Parliamone di questa cosa, Eva. Stasera a cena a casa mia.»
«Manco morta.»
Lanfranchi prese posto due sedie più in là, riservandole un sorrisetto che le diede i brividi. Perché era uscita con lui? Perché cercava un uomo con un minimo di palle, ecco perché.
Era stufa di sopracciglia sottili, corpi depilati meglio del suo e uomini che, dopo il sesso, le rubavano la crema idratante.
Cheap sex, lo chiamava la sua amica Monica, sesso a buon mercato e aveva ragione.
Non voleva innamorarsi, aveva una carriera a cui pensare ma, quando cercava un compagno di letto, doveva essere maschio dalla punta dei capelli all’alluce ed esigeva anche un po’ di sacrosanto pelo maschile collocato nei punti strategici.
Da qualche tempo aveva la sensazione che per gli uomini fosse più importante la scelta di un’efficace crema depilatoria, piuttosto che della compagna di letto.
Com’è che era uscita per un mese con quel tipo? Ah sì, aveva provato ad adattarsi alla nuova identità del maschi italiani che però non facevano per lei. Era sicura che, insieme ai peli, si strappassero anche la virilità.
La breve storia con verme-pelato-Lanfranchi era stata un fallimento anche da un altro punto di vista: non aveva mai conosciuto un essere più falso, viscido e sfruttatore di lui. 
«Ciao Paganelli, come va in redazione?»
Eva si voltò e fissò la vicina di sedia, Michela Colizzi, giornalista de La Stampa.
Chioma rosso fuoco, occhi verdi e vivaci, tra le mani sempre la notizia giusta, fasciata da un tailleur color avorio di Armani che le stava come un guanto di lattice sulla mano di un chirurgo. 
Eva abbassò gli occhi sul suo cappotto stropicciato, i jeans attillati sul maglione un po’ slabbrato che le copriva i fianchi.
Non sono qui per una sfilata, pensò ma dopo aver dato un’occhiata anche alle All Stars stampate in mimetico, agganciò i piedi alle gambe della sedia e sospirò, scarabocchiando sulla pagina bianca del suo taccuino “rivedere guardaroba basico”.
«Si tira avanti, Miki. E tu sei riuscita a strappare un’intervista a Diego della Valle?»
«Secondo te?»
«Lo sapevo, sei una grande. Quando la pubblicano?»
Miki alzò gli occhi al cielo.
«Lascia stare, il pezzo andrà la prossima settimana.»
«Sempre per colpa del tuo capo redattore?»
«Sempre lui, quel decerebrato.» Miki tirò fuori il minuscolo registratore portatile, un oggetto degno di una trama del film 007 Spectre. «Cambiamo discorso per favore, altrimenti mi rovino la giornata.» Si guardò intorno e abbassò la voce. «Allora, come va con Lanfranchi?»
«Non te l’ho detto? Mollato due mesi fa.»
«Quanto è durata?»
«Un mese, ma pochi giorni se conti che lo vedevo solo durante il fine settimana.»
«Non era quello giusto» disse in tono ironico Miki.
Eva la guardò di traverso.
«Lo so, mi avevi avvisata. Penso sia la stata la noia eppure sembrava un uomo intelligente, di successo…»
«…arrogante, ottuso e leccaculo. Ricordi quello che ti dissi? Per un pezzo da prima pagina venderebbe a un cartello della droga non solo la madre, ma tutta la famiglia compresi i minori.»
«Adesso so che hai ragione» replicò Eva scambiando un cinque con l’amica.
Miki le appoggiò una mano sul braccio con fare cospiratorio.
«È meglio così. La tua carriera è più importante e fai come me: investi lo stipendio in abiti di lusso, anziché nei locali notturni alla ricerca di un uomo inesistente.»
«Contaci anche perché se il mio principe azzurro si facesse avanti, verrebbe investito da un TIR mentre attraversa la strada per venirmi incontro.»
«Te l’ho già detto, per quanto mi riguarda l'ultimo principe sulla Terra è morto dopo aver sposato Cenerentola.»
«Non starò più impalata in un angolo ad aspettare il prossimo stronzo.»
«Bene, l’hai capita. Bisogna sceglierli come si fa con un paio di scarpe e ragionare se ti andranno bene o ti faranno stancare troppo presto a una serata mondana… Oddio, eccolo!»
L’amica si piazzò sul bordo della sedia, stringendo tra le mani il suo cimelio elettronico.
«Eva, ti prego, se emetto languidi sospiri tirami un diretto in faccia» disse e lei la fissò stralunata.
Cosa stava succedendo alla donna più cinica che conoscesse? Gli occhi le brillavano come quelli della sua gatta Iside, quando capiva che c’erano acciughe fresche per cena.
Seguì il suo sguardo e vide tre carabinieri in divisa prendere posto dietro al lungo tavolo su cui erano sistemati microfoni, bottigliette d’acqua e una pila di bicchierini di plastica.
Come giornalista di cronaca nera, aveva imparato i gradi delle Forze dell’Ordine perché non poteva permettersi figuracce durante le interviste, così riconobbe due sottoufficiali che accompagnavano un capitano. Quest’ultimo stava trafficando con uno dei microfoni, ma quando sollevò il volto per un fugace sguardo al pubblico, Eva raggelò.
Non poteva essere lui.
Non doveva essere lui.
Lo era.
Ebbe due secondi per riprendere il controllo e sussurrare disinvolta all’amica:
«Diciamolo Michela Colizzi, anche tu sei umana» commentò.
«Diciamolo Paganelli, ci farei altro che un giro con uno così. Solo un giro però, niente fiori d’arancio» le rispose Miki senza nasconderle il sorriso ebete che aveva stampato in faccia.
No, Miki non era ebete, la vera ebete era lei.
Come aveva fatto a non associare quelle spalle, il modo di muoversi ma soprattutto la statura insolita di quel capitano al carabiniere che l’aveva strapazzata all’ospedale, in un ascensore di servizio?
Eccolo lì, insolente, arrogante e… pericoloso. Sì, Valerio Corvino era pericoloso e nemmeno dopo una botta in testa avrebbe potuto essere considerato innocuo. Con il suo aspetto aveva il potere di fare supplicare una donna, in parecchie lingue e magari anche in ginocchio.
Incrociò le braccia sul petto, aggrottò le sopracciglia e studiò le uscite del salone. Impossibile sgattaiolare via inosservata. Si rassegnò, agitata e innervosita, sentendosi una pessima giornalista e un’altrettanto pessima bugiarda. Eppure ci provò.
«Se può consolarti, non è davvero male, anche se mi ricorda un malavitoso in libertà provvisoria. Altro che Carabiniere. Ma come mai non l’ho mai visto prima?» disse disinvolta.
L’altra le credette sulla parola, per fortuna.
«Da quanto sei alla nera?» le chiese Miki facendosi aria davanti al viso con una mano.
«Tre mesi.»
«Allora ti perdono per non averlo notato prima. Valerio Corvino è stato un infiltrato per anni, poi a causa di quella cicatrice… la stai guardando?»
«Eccome.»
«Brava. Dicevo, a causa di quel segno sul volto ha dovuto riprendere il servizio attivo.»
In quel momento entrò anche il procuratore e ci fu un po’ di tramestio. Il capitano Corvino si scostò per lasciarlo passare e finalmente posò quel suo grosso corpo muscoloso sulla sedia al centro.
Anche seduto sovrastava tutti. Quanto poteva essere alto? Un metro e novanta, almeno. La cicatrice sulla guancia destra era netta e più scura sulla pelle olivastra e aveva l’aria stanca o forse seccata, gli occhi segnati da ombre e le piccole rughe ai lati della bocca erano più accentuate.
Eva rimase di nuovo colpita dalla straordinaria unicità del suo volto e dall’azzurro limpido delle iridi, che distingueva molto bene nonostante fosse in seconda fila.
Dieci decimi che le servivano per sbavare su uno stronzo. Complimenti Paganelli, sei proprio una lince pensò e poi fece una considerazione assolutamente insensata: stava bene anche con la divisa, che gli cadeva addosso come un abito cucito da un sarto parigino. Se lo era pure sognato, ma in quel caso non aveva né giubbotto di pelle, né abiti francesi perché lei era una ragazza semplice dell’hinterland milanese, che andava subito al sodo.
Il capitano disteso come un pascià sul letto, maestosamente nudo, appoggiato a una pila di cuscini candidi. Lei aveva chiuso le vaporose tende, spento tutte le luci. La legna crepitava nel camino, l'atmosfera si era fatta oscura, intima, perfetta per i giochi di due amanti. Poi lui si era toccato il cappello d’ordinanza e lei si era svegliata tutta sudata.
Eva strinse la penna che aveva in mano e scarabocchiò qualcosa in fretta, fiorellini, triangoli, stelle sbilenche e fissò il cartellone appeso dietro ai tre ufficiali, una cartina dell’Europa con l’Italia in verde scuro e le città principali, Milano, Roma e Napoli evidenziate in giallo.
Tornò con gli occhi su di lui.
Corvino stava scrutando il pubblico senza fissare nessuno in particolare, uno sguardo da padrone del mondo. Sprezzante, irritato.
La voce di Miki la raggiunse da lontano.
«Non fa mistero del suo astio verso i giornalisti, tanto che i suoi battibecchi con alcuni di loro sono già storia.»
Eva trattenne il respiro e si camuffò grazie alla testa ricciuta del tipo che le stava davanti. Come le era saltato in mente di sedersi così vicino? Si girò a sinistra e fissò l’ignaro verme-pelato-Lanfranchi con astio.
Colpa sua anche questo.
«Corvino ha il potere di farmi scordare il lavoro, ci credi?» le disse Miki bisbigliando.
Eva annuì, rassegnata.
«Ci credo.»
«Ma hai visto il naso? E la bocca? Che cosa può farti un uomo con quella bocca?»
Il naso, stretto e aquilino, è assolutamente perfetto pensò Eva, ma questo lo aveva già constatato la prima volta. A un occhio critico, la mascella sarebbe potuta essere troppo affilata ma conferiva al suo viso una forza che altrimenti sarebbe mancata.
Dettagli essenziali, che si componevano per dar vita a quel volto che era al tempo stesso particolare e attraente. Ma ciò che più colpiva in quell’insieme virile era l’espressione franca, priva di artifici. Gliela si leggeva in quelle splendide e fredde iridi azzurre: conosceva a fondo torbidi segreti, aveva provato sensazioni estreme, assaporato libertà e vissuto esperienze che lei poteva solo immaginare.
«Pensa all’articolo, Miki» disse senza riuscire a concentrarsi neppure lei. «Guadagnati lo stipendio.»
«In questo momento vorrei fare un altro mestiere. Che so, rapinare banche.»
«Ti arresterebbe.»
Miki si voltò verso di lei con un gran sorriso.
«Sei perfida, adesso mi sto immaginando una notte con lui a San Vittore.»
I microfoni gracchiarono e l’indice di Corvino ci picchiò sopra. Una scarica negli altoparlanti e una voce profonda e roca si diffuse nella sala zittendo tutti.
Eva si sporse, troppo tentata per restare nascosta.
«Buongiorno» disse lui con tono cordiale ma gli occhi restarono cupi, severi, un’espressione che ebbe il potere di metterla a disagio sebbene non fosse diretta a lei.
Il ricordo di quegli istanti in cui lo aveva avuto a qualche centimetro dalla faccia la fece avvampare.
Il capitano cominciò a parlare. Si dilungò sull’antefatto, sul primo caso di overdose con omicidio, su come, indizio dopo indizio, avevano potuto incastrare l’organizzazione in tre lunghi anni di lavoro. Le sue iridi intanto passavano in rassegna tutti i presenti, come lo scandaglio di un sommergibile in missione. Ogni giornalista fu notato e catalogato.
All’improvviso i loro sguardi si agganciarono.
Eva trattenne il respiro.
Non mi riconosce, non mi riconosce, sperò.
Per qualche istante si illuse, poi le parve di vedergli sbattere le palpebre, un piccolo movimento impercettibile. Illusione? Autosuggestione? Dovette chiudere gli occhi per cancellare la sensazione di disagio.
Quando l’occhiata sfilò lontano da lei, esultò. È andata pensò, e si rilassò contro la spalliera della sedia che sembrava coperta di chiodi.
Cavoli, con quella faccia poteva gestire un traffico di droga, fare il killer di professione o freddare il direttore di una banca, uscendo indisturbato dall’ingresso principale. Oppure poteva distruggere una donna e farle danni incalcolabili.
D’improvviso gli occhi di lui la puntarono nuovamente, come la bocca di una pistola, e lì rimasero, su di lei.
Altro che scandaglio di un sommergibile.
Le sfilò il cappotto, le sollevò il maglione, il reggiseno lo strappò coi denti e cordiali saluti all’elastico. Tutto con quegli occhi impassibili che le incendiarono anche i capelli, tanto erano intensi.
Lei sussultò per la sorpresa, il capitano continuò a parlare della fruttuosa collaborazione con gli uomini della DEA statunitense, le labbra sensuali increspate in quello che solo una donna sotto morfina avrebbe potuto catalogare come un sorriso.
Lei non lo fece.
«Lo conosci?» Miki, mente affilata come la katana di un samurai.
«Chi?» fece lei senza davvero credere di poterla depistare.
«Ti ha guardata, Eva. Anzi, direi che con quell’occhiata ti ha mangiata come il lupo con la nonna di Cappuccetto Rosso.»
Accorgendosi di aver alzato la voce, Miki la ridusse a un flebile bisbiglio.
«Se ci sei andata a letto voglio sapere tutto, e quando dico tutto intendo da quando è entrato in camera a quando ha rimesso di nuovo i pantaloni.»
Corvino diede via al question time col tono del padrone che richiama i cani al guinzaglio.
«Non dire sciocchezze, Michela. Non gli ho mai neppure rivolto la parola.»
L’altra non sembrò averla udita.
«Sai che cosa vorrei sapere più di tutto? Se usa jeans coi bottoni o la cerniera e che tipo di slip indossa. E se li porta.»
«Miki, smettila.»
«Secondo me non li porta» dichiarò l’amica dopo una lunga, sofferta riflessione.
La voce di lui era secca mentre diceva a qualche cretino:
«Non posso rispondere a questa domanda, sono informazioni riservate. Un altro, prego.»
Eva ripensò al loro incontro, pochi minuti che, nel suo caso, erano stati sufficienti per una vita intera.
«Alfredo Lanfranchi, La Repubblica. Capitano, lei non ci sta aiutando. Capisco la riservatezza dell’indagine ma non ci ha detto niente che già non sapessimo.»
Sapientone, ti fa schifo la vita? Pensò Eva e immaginò il verme con una guancia spiaccicata contro un muro e il volto tenebroso di Corvino a un soffio dal suo orecchio a sventola. Le sfuggì un sorriso e compatì l’uomo che si era alzato in piedi, due sedie più in là
«Sappiamo che il traffico si svolgeva tra Milano, Roma e Napoli, sappiamo che l’indagine è chiusa, perché non collabora con noi della stampa? A volte è utile, sa? Dico, avere degli amici giornalisti.» insisté Lanfranchi.
Un brusio si levò dal pubblico, non tutti erano d’accordo con il suo tono mellifluo.
Corvino si chinò per parlottare con il procuratore, poi tornò a posare gli occhi sul giornalista che aveva appena parlato.
«Questa è una sua deduzione, Lanfranchi. L’amicizia con la stampa non è una mia priorità. Un’altra domanda, prego.»
Lanfranchi, invertebrato.
«Mi attengo ai fatti, capitano. Gli avvocati del principale indiziato sostengono che non avete prove. Possibile che non abbia fatto rivelazioni?»
«Lanfranchi, le nostre non sono teorie ma fatti, prove. Carrisi non è un collaboratore di giustizia e le sue dichiarazioni sono al vaglio degli inquirenti. Di più non posso dirle.»
Eva ebbe la tentazione di alzare la mano, l’aveva sulla punta della lingua.
«Altre domande?» Corvino guardò l’orologio. «Il tempo a vostra disposizione sta per terminare.»
Un accavallarsi di voci, qualcuno scattò delle foto, lei aprì bocca ma Lanfranchi non mollò.
«Capitano, è vero che la cicatrice gliel'hanno fatta gli uomini dei cartelli della droga messicana? Questa indagine appena conclusa è una vendetta personale?»
Il gelo calò nella sala.
Corvino si mosse sulla sedia, aveva dipinto in faccia quello che avrebbe voluto fare: superare il tavolo con un balzo, afferrare la gola di Lanfranchi e strapazzarlo un po’, tipo quel buontempone di Vlad Tepes, l’Impalatore di Valacchia.
Invece afferrò una bottiglietta, la stappò.
Il silenzio si protrasse così a lungo che si udì il sibilo dell’anidride carbonica che usciva dalla bottiglietta. Lento, Corvino prese un bicchiere, lo riempì, ne sorseggiò il contenuto.
Ho tutto il tempo del mondo prima di ucciderti pirla, pensò Eva quasi fosse entrata nel cervello di lui e gongolò accompagnando i lentissimi gesti del carabiniere con fervida e vendicativa immaginazione. Se si trattava di far soffrire Lanfranchi, si sarebbe alleata con Lucifero in persona.
Infine Corvino si sistemò meglio il microfono all’altezza della bocca.
«Lei ha esaurito le domande, Lanfranchi e il mio passato non è pertinente.»
A questo punto valutò la folla e i suoi occhi la scovarono di nuovo, socchiuse le palpebre e la mise ben bene a fuoco.
Eva ricordò la sua forza, quando l’aveva spinta in malo modo contro la parete.
Il suo braccio si sollevò verso l’alto mosso da una forza incontrollabile e la domanda, che teneva in serbo da un po’, le uscì fuori con la forza di una fucilata.
«Capitano, sembra che alcune ragazze siano state picchiate, violentate e rinchiuse in un magazzino per poi essere costrette a spacciare. Cosa ci può dire in proposito?»
Qualcuno si schiarì la voce, si udì il fruscio delle pagine di carta e qualche bip dei dispositivi elettronici, una penna cadde sul pavimento e il bisbiglio concitato di Miki a fianco a lei:
«Dichiara la testata per cui lavori, accidenti a te.»
Eva si schiarì la voce:
«Eva Paganelli, per Roma Oggi.»
«Lo so chi è lei, Paganelli. Mi dispiace ma la sua domanda è fuori tempo massimo. La conferenza stampa è finita, buona giornata e grazie a tutti.»
Oltre alla delusione che la fece arrossire, udì l’ansito di delusione dei suoi colleghi.

Stava per uscire tallonando l’amica quando un carabiniere le si avvicinò.
«Signorina Paganelli?»
«Sono io. Che succede?»
«Il capitano Corvino mi ha detto di ricordarle il vostro appuntamento. L’aspetta nel suo ufficio, posso accompagnarla?»
Eva aprì bocca per negare ma gli occhi di Miki brillarono incuriositi e, se fosse rimasta, avrebbe dovuto rispondere alle sue domande.
«Grazie, è molto gentile da parte sua. La seguo.» Si voltò verso l’amica e fece spallucce.
«Vai pure Eva e ricordati: mi devi raccontare tutto, ma proprio tutto, capito?» e si allontanò con pollice e mignolo tesi vicino all’orecchio come dire: non hai scampo, ti chiamo più tardi.
Eva rovistò nella borsa mentre il giovane in divisa teneva la porta aperta. Spense il cellulare, non lo avrebbe riacceso fino all’indomani.
Imboccarono un corridoio.
Molte ipotesi le balenarono in mente, non tutte positive. Non era mica in arresto, no? Diede un’occhiata alle sue spalle e aprì bocca per trovare una scusa ma la richiuse di scatto e continuò a seguirlo.
Colpa della curiosità.
Che cosa voleva da lei Corvino? Aveva mentito, dichiarando che avevano un appuntamento.
Che stronzo, ed era abbastanza intrigata e su di giri da aver voglia di dirglielo in faccia. Cercò di essere ottimista, forse voleva rispondere alla domanda che gli aveva fatto e non era più incazzato con lei.
Sì, e il mio culo parla come quello di Jennifer Lopez, pensò sconsolata.
Questa volta non sarebbe riuscita a sfuggirgli, era nella sua tana e avrebbe dovuto dargli spiegazioni sul suo blitz all’ospedale di Napoli di qualche giorno prima.
Uno dei suoi informatori le aveva fatto una soffiata: cinque donne erano state portate in ospedale, tracce di violenza e tentato omicidio. Era stato fatto il nome di un noto faccendiere napoletano, già invischiato in una brutta storia di prostituzione minorile.
Ne era uscito pulito ma lei non dimenticava mai il suo motto preferito: il lupo perde il pelo ma non il vizio. Così aveva deciso di indagare di persona, visto che aveva tutte le intenzioni di tirarci fuori una notizia da prima pagina, capitano Corvino o meno.
Arrivata a Napoli in treno si era subito diretta in taxi al San Camillo, per investigare direttamente in ospedale. Durante l’ora delle visite nessuno l’aveva fermata e, dopo aver gironzolato nei corridoi affollati di parenti, aveva individuato la porta della camera di una delle donne, defilata e piantonata da un carabiniere.
Le avrebbe fatto un’intervista, sarebbe stato lo scoop dell’anno di Roma Oggi.
Al piantone davanti alla porta si era presentata spavalda e con il volto addolorato come avrebbe fatto una parente stretta.
«Sono sua cugina» gli aveva raccontato con le lacrime agli occhi, un fazzolettino di carta in mano.
Espressione comprensiva, il giovane si era spostato di qualche centimetro desideroso di compiacerla e forse, con un po’ più di sforzo e di tempo a disposizione, sarebbe anche riuscita ad entrare.
Ma a un tratto una sagoma si era materializzata dietro di lei, il carabiniere era arrossito sotto la visiera e, pur non facendo il saluto militare, aveva bofonchiato un istantaneo e definitivo “buongiorno signor capitano”.
Eva si era sentita afferrare per un braccio, una presa forte ma non dolorosa, ed era stata tirata all’indietro e trascinata fino all’angolo del corridoio che portava alle scale di servizio.
Si era girata con l’intento di aggredirlo ma si era sentita piccola e indifesa, cosa che non le capitava da quanto Enrico Tosini, il suo primo spasimante indesiderato, l’aveva bloccata in un angolo per sbaciucchiarla a San Valentino. Il piccolo bastardo ne era uscito con un occhio nero e la bava alla bocca che non era di libidine ma il risultato del dolore per essersi morsicato la lingua durante il contraccolpo.
Eva aveva considerato l’ipotesi di sferrare un diretto anche allo sconosciuto, il fatto che fosse un pubblico ufficiale non lo aveva neppure preso in considerazione.
L’intenzione era durata per un millesimo di secondo.
Era di tre teste più alto di lei, la giacca non nascondeva il suo fisico grosso, allenato e imponente e il suo volto era rovinato da uno sfregio che parlava di violenza e brutalità.
Non aveva potuto neppure distogliere lo sguardo dagli occhi azzurri chiarissimi, inflessibili, che indugiavano su di lei con un interesse clinico e calcolatore e dalla sua bocca non era uscito alcun suono, se non rapidi respiri alla ricerca di ossigeno.
Insomma, si era ridotta allo stato catatonico solo guardandolo.
Così erano rimasti a sfidarsi per qualche istante, entrambi muti, lei tutta presa dal tentativo di non farsi suggestionare dalla sua imponenza fisica.
A parte quel lampo di colore delle iridi, per il resto era come scolpito nell’onice nera: i capelli cortissimi, la giacca di camoscio, la t-shirt che segnava i pieni e i vuoti del torace, i jeans aderenti.
Maschio senza tentennamenti né dubbi.
Il suo uomo ideale: virile, peloso, una forte carica di testosterone e le sopracciglia spesse.
Dio esiste, ma se avesse detto la cosa sbagliata, si sarebbe ritrovata in un mare di guai.
In quel momento avevano udito le porte di un ascensore aprirsi, due medici vestiti di verde ne erano usciti chiacchierando dell’ultimo intervento eseguito.
L’uomo aveva guardato prima l’ascensore aperto e poi lei e, con tutta la malagrazia possibile, la scena di prima si era ripetuta: l’aveva afferrata per un braccio e trascinata verso la cabina.
Questa volta aveva tentato di ribellarsi.
«Non pensarci neppure» gli aveva sussurrato lui spingendola all’interno. «Sono anni che sogno di ammanettare una giornalista.»
Il cuore di Eva si era come fermato, la cabina invece si era messa in movimento.
«Lei mi sta sequestrando, come si permette?»
Finalmente era libera, anche se bloccata tra quel corpo ingombrante e il freddo rivestimento metallico dell’ascensore. Stava per aprire bocca, lui era stato più pronto.
Aveva appoggiato un mano grande quasi come la sua faccia a qualche centimetro dal suo orecchio destro e il volto tenebroso di lui aveva occupato tutta la sua visuale. Un sopracciglio sollevato, la bocca curvata in un ghigno.
«Parenti serpenti. Escono dalle tane nei momenti peggiori.» Le aveva sussurrato e quel primo piano di faccia sfregiata era davvero sconcertante. La soffiata però le era costata parecchie centinaia di euro e, alla fine, Eva aveva ritrovato la parola.
«Lei chi è? Che cosa vuole?»
L’uomo aveva inclinato il capo studiandola mentre trafficava nella tasca posteriore dei jeans. Le aveva mostrato il tesserino di riconoscimento.
Capitano Valerio Corvino. Stava per leggere la data di nascita ma il documento era sparito.
«Capitano,» aveva esordito quasi fosse una professoressa del liceo davanti ai suo alunni un po’ ottusi. «Stavo andando a trovare mia cugina. È proibito?»
Corvino aveva tirato gli angoli di quelle labbra immorali. No, non era un sorriso.
«Favorisca un documento, signorina.»
«Siamo in un paese libero, non ho fatto nulla di male. Le ripeto, sono in visita di mia cugina.»
Lo scoop del secolo e cinquecento euro stavano andando in fumo. L’ascensore era arrivato all’ultimo piano e le porte scorrevoli si erano aperte.
«Mi dia un documento, in modo che possa accertarmi che lei sia quella che dice. Non ha la faccia di una cugina.»
«E che faccia hanno le cugine, mi scusi?»
«Più simpatica di quella delle giornaliste.»
«Questa poi!»
«Favorisca un documento, non glielo chiederò più con gentilezza.»
Lei non era riuscita a trattenere uno sbuffo derisorio.
«Non ha proprio la minima idea del significato della parola gentilezza, capitano Corvino» aveva brontolato, badando bene a non sfiorarlo mentre rovistava nella borsa.
Le stava così vicino. Il calore, il profumo della giacca, pelle conciata con un'altra sfumatura meno riconoscibile, le avevano provocato una vampata di calore al centro del ventre.
La carta di identità le era sfuggita di mano e mentre lui si era chinato per raccoglierla, era stata abbastanza scaltra e temeraria da infilarsi al volo tra le porte che si erano aperte proprio in quel momento.
Si era diretta correndo verso la porta a vetri che separava le scale da un reparto ma, quando aveva afferrato e spinto il lungo maniglione antipanico, l’anta non si era aperta.
Maledizione!
Passi veloci, un urlo di frustrazione e un sussulto quando il capitano era arrivato alle sue spalle e l’aveva fatta voltare.
«Calma, Paganelli. Si calmi.» Con due dita le stava ridando il documento d’identità. «Non faccia più queste sciocchezze. Una notte in caserma sarebbe, per lei e il suo giornale, solo cattiva pubblicità.» La voce di lui era melliflua, per niente rassicurante.
«Sentiamo, con quale accusa mi arresterebbe?»
«Resistenza a pubblico ufficiale. Adesso mi segua.»
Era tornato verso l’ascensore. Le porte si erano richiuse dietro di loro, lui aveva schiacciato il tasto del secondo piano.
«Ci facciamo un giretto Eva Paganelli, giornalista. Per quale testata lavora?»
«Non sono affari suoi, capitano Corvino. Fermi questo trabiccolo o la denuncio per abuso di potere.»
«Prima voglio sapere chi le ha fatto la soffiata.»
«Sono venuta di mia spontanea volontà e da adesso in poi non le rivolgerò più la parola, se non in compagnia del mio avvocato.»
Aveva dovuto resistere ancora per qualche minuto. Braccia incrociate, in attesa che il movimento sotto i piedi cessasse e le porte automatiche si riaprissero.
Lui era tornato a bloccarla vicino come prima, più di prima. Entrambe le mani per chiuderla di nuovo contro la parete. Schiacciato un altro tasto, lo scatto della partenza lo aveva spinto verso di lei, il naso le aveva sfiorato una guancia.
«Se vuole interrogarmi mi porti in caserma ma l’avviso, il mio avvocato morde come un mastino.»
«Lei è una donna incostante, mi rivolge di nuovo la parola e non vedo avvocati in giro.»
«La sto avvisando.»
«Forse dovrei denunciarla io per molestie.»
«L’unica molestia che merita è una botta in testa.»
Quello era un sorriso? Mio dio.
«Ora le minacce. Mi sa proprio che dovrò arrestarla.»
Il carabiniere aveva spostato un braccio, forse per prendere le manette come i poliziotti dei film americani e, in quel momento, Eva aveva intravisto nella fondina ascellare il calcio di una pistola, nero e minaccioso. Rinsavita, aveva chiuso la bocca.
«Visto che sembra aver perso la favella, le darò un consiglio. Adesso l’accompagno nel sotterraneo, poi andiamo dritti dritti verso il parcheggio dei taxi. Si farà accompagnare in stazione e, una volta a casa, si faccia una doccia fredda e dimentichi l’intervista. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Non ci posso credere, adesso è lei che mi sta minacciando.»
Il suo sguardo penetrante l’aveva valutata con lentezza.
«È un consiglio da amico.»
«Lei non è mio amico, capitano.»
L’espressione di lui si era fatta sarcastica.
«Potrei diventarlo, la vita riserva a volte piacevoli sorprese.»
Un calore improvviso si era agitato dentro di lei, per quelle parole e il tono con cui le aveva pronunciate.
«Questa non sarebbe piacevole Corvino, mi creda» gli aveva risposto e non si era più voltata indietro, anche se i passi e lo sguardo penetrante di lui l’avevano seguita fino a quando non era salita su un taxi.

Seduto dietro la scrivania, il cappello in un angolo, il capitano leggeva. Quando alzò gli occhi su di lei a Eva parve che l’aria evaporasse. Udì il click della porta che si chiudeva ma non riuscì a muoversi.
«Si sieda Paganelli e non mi guardi come se avessi le zanne. È il suo avvocato che è un mastino, non io.»
Se ne ricorda, pensò. Si ricorda tutto.
Deglutì qualcosa di ingombrante conficcato in gola e ubbidì ma rimase sul bordo della sedia, mentre lui infilava in un cassetto i fogli e si appoggiava coi gomiti sulla scrivania, polpastrelli uniti, indici sopra le labbra.
O mio Dio, se ci fosse stata Miki.
«Lei mi ha fatto una domanda poco fa, durante la conferenza stampa, Paganelli.»
«Sì, è così.»
Eva si sforzò di calmare il proprio respiro.
«Non ho intenzione di risponderle.»
Lo guardò rilassarsi contro lo schienale, un’espressione compiaciuta.
«Se non ha intenzione di rispondermi, perché mi ha fatta venire qui allora?»
«Frustrante, vero?»
Corvino si limitò a sorriderle e lei si sentì avvampare, la mente inondata dai ricordi dell’ascensore. Si alzò di scatto, il rumore della sedia sgradevole sul pavimento.
«Sarà meglio che me ne vada, non mi può trattenere e non abbiamo nulla da dirci.»
Già diretta verso la porta, udì il suo tono persuasivo:
«Paganelli si sieda, la prego.»
Calmati, si disse, sei un’idiota se gli dimostri il tuo nervosismo. Fallo parlare, se ti ha voluta qui vorrà qualcosa e qualsiasi cosa sia, potrebbe esserti utile per un articolo. Forse ha cambiato idea e ti concederà l’intervista. Forse vuole darti l’esclusiva.
Tornò verso la scrivania, sedette, appese la borsa e accavallò le gambe, più tranquilla.
«Per lei va bene se ricominciamo daccapo?» le disse lui, un luccichio negli occhi, l’aspetto rassicurante di una pantera nera.
Allora aveva ragione, le stava offrendo un ramoscello d’ulivo. Eva gli concesse il suo primo sorriso sincero.

Non c'era stato nulla di premeditato. Non da parte sua, almeno. Corvino si era mostrato freddo, impersonale ma corretto e le domande le aveva fatte, l’aveva tartassata, gli interessava il suo informatore. Era stato gentile, garbato.
Lei era stata attenta a non lasciare trapelare nulla, ma forse non era stata abbastanza abile, rifletté in quel momento, forse lui aveva solo intuito qualcosa. Alla fine l’aveva accompagnata alla porta, ed era successo. Si erano messi le mani addosso nello stesso istante.
Frenetici, affamati.
Le narici di Corvino si erano allargate e l’aveva annusata. Un lungo inebriante respiro che aveva stordito anche lei.
«Lo vogliamo entrambi, vero?» le aveva chiesto, bloccandola con tutto il suo corpo solido contro il muro. Era un vizio, ma Eva lo apprezzò fino in fondo.
«Tutt’e due, sì» aveva rantolato lei, strusciandosi contro di lui. «E voglio tutto, tutto quanto Corvino.»
Anche adesso, mentre ci ripensava, era certa che neppure per Valerio ci fosse stata premeditazione.
«A cosa stai pensando?»
Sdraiato accanto a lei, non era meno impressionante che in piedi.
«Al fatto che sono riuscita a depistarti. Ho tenuto la bocca chiusa e non scoprirai mai chi è il mio informatore.»
«Non direi. Non me lo hai detto perché abbiamo cominciato a baciarci. Sappi che ci sto lavorando.»
«Tu mi hai baciata.»
Lui le sfiorò le labbra con il pollice.
«È colpa tua, hai questo profumo irresistibile.»
Con una mossa troppo rapida per poter essere contrastata, la fece sdraiare sulla schiena. Chiaramente comodo da quella posizione che esaltava la supremazia maschile, puntò gli avambracci sul materasso.
«Eva.»
Pronunciò il suo nome con voce roca, lei gli insinuò le dita tra i capelli.
Meraviglioso contatto.
Cercò con una mano quella sua parte del corpo così rigida e calda. La pelle le sembrò seta sotto le dita, carne dura che sussultò come per capriccio quando l’accarezzò e chiuse le dita.
«Più forte» ordinò Valerio e subito premette la bocca contro la sua.
Lo stomaco di Eva parve sciogliersi, scivolarle dal fuori dal corpo. Il bacio fu avido e appassionato, la lingua di lui si spinse in profondità mentre le sue mani le percorrevano la pelle come in cerca di sentieri misteriosi.
«Ho bisogno di te» farfugliò contro le sue labbra. «Non dovrai più rispondere alle mie domande, non ora.»
I muscoli del suo petto erano già un argomento di persuasione sufficiente ma, nel momento in cui premette la punta della sua erezione là dove doveva essere, per Eva ogni argomentazione divenne inutile.
La stuzzicò per un attimo, poi trovò il punto in cui immergersi e si spinse fino in fondo.
«Oh sì...» gemette lei arcuando la schiena e pensò che a Miki non avrebbe raccontato un bel niente.
Proprio niente.  


FINE...PER ORA!


CHI E' L'AUTRICE
Adele Vieri Castellano pubblica per Leggereditore il suo primo romanzo storico, dopo aver vinto il concorso di racconti indetto dalla stessa casa editrice nel 2011. Nata a metà degli anni Sessanta, ha vissuto per anni in Francia e ha due punti ben saldi nella sua vita: la lettura e la scrittura. Vive a Milano, ha una figlia di diciannove anni, un compagno che si chiama come l'eroe del libro, tre gatti e un computer portatile. Nonostante le traduzioni, l'editing di libri, gli articoli e i romanzi che affollano le sue giornate, non dimentica mai le amiche. Perché senza di loro, il suo sogno non si sarebbe realizzato. La ricostruzione storica esatta e le atmosfere perfettamente rievocate permettono al lettore di tornare indietro nel tempo e di vivere un'esperienza unica accanto a personaggi verosimili e pieni di forza.
VISITA IL SUO SITO: http://adeleviericastellano.blogspot.it/
E LA SUA PAGINA FACEBOOK: 

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*****

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26 commenti:

  1. E' frustrante!!! A quando il seguito?? Perché onestamente, mi piacerebbe tanto vedere il capitano messo in ginocchio da una femmina!!!

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    1. E a me non sai quanto cara Alessandra! :-)

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  2. Inizio di una bellissima storia. Mi farebbe piacere trovarla in un Bel Libro. Bravissima Adele @____@

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  3. Inizio di una bellissima storia. Mi farebbe piacere trovarla in un Bel Libro. Bravissima Adele @____@

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  4. Noooo !!!!! Così non vale Adele devi assolutamente fare un seguito ....voto il commento di Alessandra mi piacerebbe moltissimo veder correre il capitano .
    Forza Eva .

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  5. Come fine????, No ...non puoi lasciarci così! !!!!!
    Adele sei un mito!!!

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  6. Secondo me se ricostruiamo l'albero genealogico di Valerio in cima in cima ci troviamo Rufo, che dite?
    Questo due fanno scintille!
    Ancora... ancora... ancora :D

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  7. Io credo che tu sia riuscita a fare di nuovo una delle tue magie. Già era chiaro da Implacabile chi fosse Valerio Corvino, adesso è più che una certezza. A quanto il suo libro? Io comincio ad avere serie crisi di astinenza da libri nuovi di Adele Vieri Castellano! Sei bravissima, ti bastano 3 parole e riesci a conquistarmi del tutto.

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  8. Grazie carissime, troppo buone davvero! Ve lo confesso, Corvino mi piace molto e forse forse Silvia Ami potrebbe avere ragione a dire che, tra i suoi antenati, ci potrebbe essere Rufo... Per ora ve l'ho presentato con questo racconto scritto proprio per il compleanno di questo blog che ci tiene compagnia (e che compagnia!) da tanto tempo ma ho deciso, visto il vostro entusiasmo, che scirverò un libro tutto per lui! Parola di autrice! Per ora, vi abbraccio tutte con affetto e grazie del vosto entusiasmo: è la carica che mi serve per continuare a scrivere!

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  9. che si metta agli atti con tanto di marca da bollo quello che Adele ha appena dichiarato. "scriverò un libro tutto per lui! Parola di autrice!". Adesso non si scappa. Qui è stato dichiarato e sancito. Aspettiamo il libro su Valerio!

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  10. Cristina non ha detto però in che anno...

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    Risposte
    1. Samanthalarossa, benedetta donna....non rompere le uova nel paniere!!! shhhh.... l'importante è che abbia detto che lo scriverà! ;-)

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  11. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  12. Bellissimo inizio per un libro che aspetterò in trepidante attesa,
    ma quando, quando??????

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  13. Ma Valerio é per caso il fratello o il cugino di Damiano? Hanno lo stesso talento d' eccitare e contemporaneamente irritare una donna : e pensare che - quando ho conosciuto Damiano - l' ho ritenuto un talento irripetibile. In ogni caso, PEGGIORE di loro c'é SOLTANTO Riccardo !!! Ancora COMPLIMENTI VIVISSIMI E BACIONI, Adele cara

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  14. Adele!!! Tu mi farai morire ....

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  15. Un attimo che asciugo per terra, mi sto sciogliendo! Valerio Corvino mi ha fatta impazzire subito, a cominciare dal nome e quella cicatrice, poi... L'invidia nn è un sentimento che faccia onore, ma pensare a Eva mi fa diventare verde. Spero che il romanzo dedicato al ns affascinante capitano sia luuungooo, un tomo, ecco. A presto, cara e grazie per qs bei sogni.

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  16. Bellissimo racconto. Adele non smentisce mai la sua bravura. I suoi personaggi maschili sono virilità allo stato puro: affascinanti, tenebrosi, un po' misteriosi e con quella cicatrice (suo marchio di fabbrica) che mi fa letteralmente impazzire. Aspetto con trepidazione anche il libro su Valerio Corvino. Come ho invidiato Eva!

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  17. bene Adele ti prendiamo in parola e aspettiamo un libro tutto per lui!!

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  18. Grande Adele! Quello che scrivi è praticamente meglio di una terapia ormonale. Dovresti proporla come cura "naturale" per chi soffre di cali del desiderio!!!!! ;-) E... un po' in ritardo, ma chiedo perdono... auguri auguri auguri a questo meraviglioso blog!

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  19. Che bel racconto. Peccato che sia stato così breve. Bellissima idea da sviluppare in un libro e a quanto mi sembra di aver capito, l'intenzione dell'autrice è proprio questa. In giro si legge di tutto ma questo racconto è una spanna sopra gli altri
    Minnie025

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  20. La Castellano e' sinonimo di garanzia, non sbaglia mai. Porca paletta, leggerla ti risolleva il morale che nemmeno un vasetto intero di Nutella. Racconto eccitante, come sempre da lei. Che grandissimo piacere e' leggerti!

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  21. Meno male che è già in programma un romanzo, perchè questo ghiotto assaggio di Valerio Corvino non mi è bastato ^_^

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  22. Voglio il nr. di Eva..... devo sapere!

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  23. Voglio il nr. di Eva..... devo sapere!

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  24. Sempre belli i tuoi racconti Adele!!!!...complimenti ...io vorrei però un bel libro su Corvino

    RispondiElimina

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