Christmas in Love 2013 : JOY TO THE WORLD - Un Natale a casa Rinaldi - di Monica Lombardi



Questo racconto è il seguito di Let it snowpubblicato su questo blog nella rassegna Christmas in Love 2011 e ora inserito nella raccolta in e-book “Bluegirl e altre storie

 Wisconsin Boulevard correva parallelo al lago omonimo, alle spalle di North Beach Park. Un bel posto dove abitare, tranquillo ma non isolato, con tutto l’orizzonte davanti. Tom pensò che Casa Rinaldi era come la sua famiglia: grande, solida, semplice, senza tanti fronzoli. Una facciata bianca sotto a un tetto spiovente, un portico laterale sopra l’ingresso, due posti auto, entrambi occupati in quel momento.
«Siamo arrivati» disse Tom alla sua passeggera, lasciando la carreggiata e fermando il SUV dietro alla familiare del cognato.
Bradley lavorava nella piccola catena di negozi di gastronomia del suocero, sopperendo a quel che né lui né suo fratello Paul avevano voluto fare: lavorare a fianco del padre per portare avanti la ditta di famiglia, ispirata alla cucina di Mamma Rinaldi da cui aveva preso il nome. Buffo che il migliore collaboratore di suo padre fosse il marito della figlia con cui non era mai riuscito ad andare d’accordo, un esempio significativo dello spirito della sua famiglia: i fuochi d’artificio erano all’ordine del giorno, ma quando serviva non mancava mai qualcuno che desse una mano.
Era calda, la sua famiglia. Calda come il fuoco scoppiettante del camino, faceva le stesse scintille ed esigeva, in un certo senso, la stessa cura. Tom non era portato per quelle cose. Sull’affetto una tantum non aveva problemi: andava a trovarli regolarmente, pranzo insieme, chiacchierata con il padre, aiutava la madre in cucina e si faceva coccolare da lei. Ma interagire con loro a lungo termine, giorno dopo giorno? Non era il suo pane e rischiava di lasciare molto a desiderare. Non che i suoi si fossero mai lamentati: era Tom che aveva l’impressione che la famiglia si aspettasse qualcosa che lui non riusciva a dare. Studiava ancora all’università quando aveva capito che era un lupo solitario: tornava sempre al suo branco ma doveva cacciare da solo. Così se n’era andato a Chicago, con la scusa della polizia certo, ma era stata una scelta geografica prima che professionale.
Tom spense il motore ma rimase seduto dietro al volante, senza dare segno di voler scendere. Qualcosa a Samantha doveva dire, un minimo di preparazione. Che cosa, però? “Non ti spaventare se ti saltano addosso?” O magari “Non preoccuparti se mio padre e mia sorella cominciano a insultarsi, parlando della quantità di sale nella salsa del tacchino?”
«Che c’è?» La voce di Sam accanto a lui era tranquilla, appena venata da una traccia di perplessità.
«E’ la prima volta che…» Ecco, quello era l’argomento giusto. Riassumeva tutto senza spaventare. Troppo. «E’ la prima volta che porto una ragazza a casa, per Natale». Si girò verso di lei e incontrò un sorriso divertito.
«Temi che ti facciano il terzo grado?»
«Che lo facciano a te». Non le disse che non era un timore ma un dato di fatto incontrovertibile, una conseguenza inevitabile del suo ingresso in quella casa. Perché non aveva una famiglia un po’ meno invadente?
«Non preoccuparti. Dì loro che sono un’amica che avrebbe passato la serata da sola davanti alla TV, il che è vero, e andrà tutto bene».
«Ehhh» rispose lui aprendo finalmente lo sportello.
«Ehhhh cosa?» rilanciò Sam, lasciando anche lei l’abitacolo.
A Racine doveva aver cominciato a nevicare prima che a Chicago, gli stivali affondavano in diversi centimetri di soffice manto bianco, lasciando chiare impronte.
«Ehhh sarebbe più semplice se dicessi loro che sei una spogliarellista che faceva l’autostop sulla statale 41» le disse mentre apriva il portello posteriore per tirarne fuori l’abete, che aveva comprato al vivaio dove l’aveva incontrata. «E’ la storia dell’amica che li scatenerà».
Samantha annuì senza aggiungere altro. Si era già pentita di essere venuta?
«Andiamo» la incitò allora lui, chiudendo il portellone.
Tom stava per premere il dito sul campanello quando la voce di lei alle sue spalle lo bloccò.
«Non farlo».
«Che cosa?»
«La storia della spogliarellista».
Lui rise.
«Stai tranquilla. Userò qualcos’altro».


Samantha non pensava a Tom Rinaldi da molto tempo, prima di quel pomeriggio. Quando se l’era trovato davanti al vivaio, quando la sua voce profonda l’aveva distolta dalla sua sessione privata di autocommiserazione, la prima reazione era stata di vergogna e dolore. Vergogna, perché qualcuno che conosceva aveva assistito al suo crollo. Dolore, perché vedere Tom le aveva ricordato un’altra vita, una vita in cui lei tornava ancora a casa da David, la sera.
Poi però si era dispiaciuta di quella reazione. Che colpa ne aveva il sergente Rinaldi, se la sua vita era andata a puttane? No, non più il sergente Rinaldi, ora faceva l’investigatore privato. Buffo, Tom le era sempre sembrato nato per fare il poliziotto. Un cavaliere dall’armatura splendente, come gli aveva fatto notare poche ore prima. Il suo senso morale era chiaro e infallibile come una bussola, la sua dedizione al lavoro encomiabile. Ed era sexy come il peccato, capace di risvegliare i sensi e animare i sogni anche di una donna sposata come lei. Non che il suo matrimonio non mostrasse pesanti cenni di cedimento, già allora.
Così, una volta frenate le lacrime, si era goduta per qualche momento la sua presenza calda e familiare, che l’aveva fatta sentire al sicuro per la prima volta dopo tanto tempo. Una breve pausa dal gelido vuoto di quelle prime feste natalizie senza David, aveva pensato, un piccolo regalo di Natale. Una volta lasciato il vivaio, in strada, si era voltata a malincuore, pronta a separarsi da lui, stupita di quanto quei pochi minuti avessero significato. Ma quello che l’aveva lasciata davvero senza parole era stato l’invito di lui ad accompagnarlo dai suoi, a Racine.
E Samantha, sorprendendosi lei per prima, aveva accettato. Ancora adesso, in piedi davanti a quel portoncino decorato con una bella ghirlanda, non riusciva a crederci. Un momento prima era stata immersa in un lago di lacrime e disperazione, il corpo irrigidito dal freddo, senza scorgere speranza alcuna all’orizzonte, e pochi minuti dopo si era ritrovata nella sua auto, scaldata dal riscaldamento e dalla sua presenza. Tom Rinaldi era il raggio di speranza che non aveva più pensato di vedere, nel suo cielo grigio. Non tanto perché aveva affermato di volerla aiutare a riprendersi David - Sam non credeva che fosse possibile - ma perché se al mondo esisteva ancora gente come lui, allora c’era ancora la possibilità che il bene vincesse sul male.
Chissà perché aveva lasciato la polizia, però, quello proprio non le tornava. Forse una piccola parte di lei aveva accettato quell’invito anche per non lasciare una storia senza finale.
Un fascio di luce invase il portico, un gridolino femminile irruppe nel silenzio e, con un breve attimo di panico, Sam si rese conto che stava per intrufolarsi, per irrompere come ospite non attesa, nel momento più intimo e sacro di una famiglia: la cena della Vigilia di Natale.
Davvero saggia Samantha Davis non lo era mai stata. 

La cucina di mamma Rinaldi era spettacolare. Spaziosa, di pianta quadrata con quasi un’intera parete occupata da finestre, che davano sul giardino innevato. Un moderno frigo a porta doppia e due forni, uno sopra l’altro, rivelavano subito che era il sancta sanctorum di una donna per cui cucinare era molto di più di una delle tante attività domestiche. Era lì che erano nate molte delle ricette che i Rinaldi proponevano nei loro negozi, le aveva rivelato Angela nel breve tragitto dal soggiorno a lì, dopo averle chiesto di aiutarla a riportare in cucina i piatti usati della prima portata - fettuccine con salsa di pomodoro e frutti di mare che tutti avevano mangiato con gusto, Samantha compresa.
Susanna, l’unica sorella di Tom, un delizioso folletto che, proprio come quelle magiche creature dei boschi, era uno strano miscuglio di dolcezza e spirito pungente, stava decorando insieme ai suoi due figli l’abete che Tom e suo padre avevano sistemato in un grosso vaso appena erano arrivati; suo marito Bradley era andato in macchina a prendere dei pacchetti e i due “ragazzi” Rinaldi erano impegnati in un’accesa discussione sulla ristrutturazione di uno dei negozi – il fratello di Tom, Paul, era imprenditore edile – col padre.
Le porte a spinta, simili a quelle delle cucine dei ristoranti, che separavano lo spazioso locale dal resto della casa sbatacchiarono alle sue spalle e Samantha appoggiò la pila di piatti sporchi che trasportava in un angolo libero del lungo piano di lavoro. Le superfici disponibili erano quasi interamente ricoperte da piatti di portata, vassoi e ingredienti vari, ma il tutto non dava l’impressione del caos bensì di una frenetica attività organizzata. Era la Vigilia di Natale, dopotutto, quale sfida – e opportunità – più stimolante, per una cuoca?
«Devo sfornare la torta di mele» le disse Angela dirigendosi verso il forno superiore dopo essersi anche lei liberata del suo carico. «Paul la adora, ormai non c’è cena della Vigilia senza torta di mele».
«Anche David ne va matto».
Infilandosi un guanto da forno, Angela le rivolse uno sguardo interrogativo.
«Mio figlio. Ha nove anni, vive col padre. Siamo separati».
La padrona di casa non disse nulla ma sembrò apprezzare la spiegazione.
«Siediti lì» la invitò invece, un invito che era suonato un po’ come un ordine. Durante la prima parte della cena Angela era stata più taciturna del resto della famiglia, del resto non doveva essere facile riuscire a parlare quando intorno al tavolo sedevano personaggi come Susanna, Paul ed Emilio Rinaldi, che già si rubavano la parola l’uno con l’altro. Erano decisamente fatti della stessa pasta, anche se Paul era più accomodante, mentre Susanna sembrava reagire a ogni commento del padre, come se si trattasse di un piccolo martelletto picchiato sul suo ginocchio per tastarne i riflessi. Angela assomigliava più a Tom, non solo fisicamente, nel biondo scuro dei capelli e negli occhi del colore del miele di castagno, ma anche nella sua abitudine a osservare e ascoltare. Nulla le sfuggiva, era chiaro, proprio come al suo primogenito, ma erano persone di poche parole rispetto al resto della famiglia.
«La torta di mele è ancora troppo calda per spruzzarla di zucchero a velo» riprese, tirando fuori un minuscolo colino da un cassetto, «ma puoi cominciare a farlo sul pandoro se ti va, mentre io sistemo il secondo sui piatti di portata».
Il pandoro, Samantha non credeva di averne mai visto uno dal vero. Eccolo lì, pronto su un grosso piatto rosso. Lo spostò sul tavolo di fronte alla sedia che Angela le aveva indicato. Proprio sopra di lei c’era una grande foto in bianco e nero di Angela ed Emilio giovani, su uno dei battelli che risalgono il Chicago River. Erano entrambi nati negli Stati Uniti da genitori immigrati dall’Italia, Emilio glielo aveva raccontato a tavola, insieme a un gustoso resoconto di come si erano conosciuti, nella panetteria che la sua famiglia aveva aperto a Chicago. Il matrimonio tra Angela ed Emilio aveva dato inizio anche al sodalizio tra le capacità culinarie di lei e lo spirito da commerciante che lui aveva respirato fin da piccolo, e il primo negozio “Mamma Rinaldi” era stato aperto a Racine, dove si erano trasferiti, quando Tom aveva solo due anni. In qualche modo i Rinaldi erano stati famiglia fin dall’inizio, e lo erano ancora.
«Raccontami come vi siete conosciuti, tu e il mio Tom».
La voce di Angela, affaccendata di fronte a diverse casseruole, la distolse dai suoi pensieri. E come se trovarsi seduta in quella cucina di fronte a un fino a quel momento sconosciuto pandoro fosse all’improvviso la cosa più naturale del mondo, Samantha cominciò a raccontare. 

Quando Tom entrò in cucina, chiedendosi perché sua madre e Samantha ci stessero mettendo così tanto, le trovò sedute una accanto all’altra, entrambe in lacrime.
«Che succede?» domandò, una volta superato lo shock nel trovarsele davanti in quello stato.
Sua madre fu l’unica ad alzare la testa verso di lui, mentre Sam sfilava due fazzoletti dalla scatola di Kleenex che avevano di fronte, si asciugava gli occhi e si soffiava il naso, tutto senza guardarlo.
«Tom, devi aiutare questa ragazza» affermò Angela Rinaldi in tono solenne.
«Aiutare?»
A portare in tavola il secondo? O a finire di cospargere lo zucchero a velo sul pandoro, che troneggiava su un bel piatto rosso, il colino pieno di polvere bianca abbandonato lì accanto?
«Quei bastardi non possono farla franca» continuò, con la stessa convinzione. «Se penso a quando voi eravate piccoli e all’idea che qualcuno potesse allontanarvi da me…»
Si interruppe prima che copiose lacrime riprendessero a scorrerle sulle guance. Si chinò per posare un bacio sulla tempia di Sam, quindi prese anche lei un paio di fazzolettini, si alzò e uscì.
Dunque in quei pochi minuti sua madre era riuscita a farsi raccontare da Sam la sua storia, di come O’Malley, boss della malavita, doveva aver aiutato l’ex marito a pagarsi gli avvocati che gli avevano garantito l’affido di David, infangando la reputazione di Samantha.
Tom si avvicinò alla loro ospite, che si alzò dalla sedia come se dovesse dimostrargli di essersi pienamente ripresa.
«Giuro, non piango mai. Anche se dopo avermi visto frignare due volte in un giorno so che non mi crederai».
«Vieni» le disse, afferrandole la mano.
Lasciarono la cucina, dove sua madre sarebbe tornata di lì a poco. Alla loro sinistra, un breve corridoio portava allo studio del padre, quindi alle scale che conducevano al piano di sopra. Entrarono nello studio.
«Non ti devi preoccupare», esordì subito Samantha, staccandosi da lui e andando verso la scrivania, mettendo più spazio tra loro. A Tom quel distacco non piacque, era stato bello sentire la mano di Sam nella sua. «So bene che non spetta a te aiutarmi, a dire il vero non spetta a nessuno» continuò lei. «Sapevo in che giri era invischiato il padre di David, avrei dovuto lasciarlo quando era il momento, invece di mettermi a giocare alla spia con voi poliziotti. Non sto dicendo che è colpa vostra, bada bene. Che cosa volevo fare, eh? Ero solo una stupida che credeva di… Non so neanch’io che cosa credevo. Volevo che David avesse ancora un padre, immagino. Beh, ora ce l’ha. E’ la madre che è uscita di scena. E poi, perché ti sto raccontando queste cose? Non sei neanche più in polizia. Ti starai stufato anche tu di fare sempre la cosa giusta, di essere l’irreprensibile sergente Rinaldi».
Aveva parlato senza quasi prendere fiato, senza alzare la voce, senza guardarlo in faccia. Ma la sua disperazione, la sua mancanza di prospettiva era palpabile e lo riempiva di una tristezza infinita. E quel commento sul fatto che lui avesse lasciato la polizia? Solo un anno prima Samantha Davis non era stata così cinica. La vita l’aveva spezzata, O’Malley l’aveva spezzata, anche per colpa loro. L’avevano usata per le informazioni e poi non si erano più occupati di lei.
«Ho lasciato perché ho scoperto che il mio capo non era pulito, ma non sarei mai riuscito a dimostrarlo».
Le labbra di Sam si piegarono in una smorfia beffarda.
«Ah! Esiste qualcosa che il sergente Rinaldi non sia riuscito a fare?»
Poi, rendendosi conto di aver passato il limite, alzò un braccio verso di lui e, finalmente, lo guardò. L’impatto di quegli occhi grigi nei suoi fu devastante, e in due passi Tom fu da lei.
«Scusa scusa scusa» mormorò lei chinando la testa contro il suo petto e afferrandogli entrambe le braccia con le mani. «Non ho alcun diritto di sfogarmi così con te. E’ che…» Alzò gli occhi verso di lui, ancora velati di lacrime. «E’ il primo Natale che passo senza David, ci sono momenti in cui mi sembra di riuscire a respirare normalmente, di poter parlare e muovermi e poi, all’improvviso, il dolore mi riafferra come se l’avessi perso, come se non potessi riabbracciarlo mai più. Mi abituerò a non essere sempre con lui, riuscirò ad abituarmi, è solo questo schifo di Natale che mi fa sentire così».
«Non devi», rispose Tom infilandole una mano tra i capelli. Erano morbidi e sottili e Tom vi tuffò anche l’altra, prendendole a tutti gli effetti la testa tra le mani. Si accorse dal suo sguardo che non aveva capito il suo commento. «Non devi abituarti, perché non è giusto che David stia lontano da te. Lo dimostreremo».
«Tom, non…»
«Shhhh». La tirò verso di se, in modo che di nuovo la sua fronte poggiasse contro il suo petto. Voleva rimanere un minuto così, con lei, lontano dagli altri, nel silenzio di quella stanza, senza parlare. Perché vederla piangere in cucina, insieme a sua madre, l’aveva scombussolato nel profondo. E non solo perché si era trovato di fronte a due donne in lacrime - quante ne aveva viste, nel suo mestiere? Il fatto era che, entrando, aveva pensato che Samantha appartenesse a quella cucina, a quella casa. Samantha si era fidata e confidata in fretta e, invece di sentirsi irritato per l’ennesima intrusione della sua ingombrante famiglia, Tom aveva avuto la sensazione che Sam ne facesse già parte. E gli era sembrato… giusto.
Come poteva essere?
Tom aveva cominciato a capire proprio durante il suo lungo monologo di sfogo, ora aveva bisogno di un minuto per mettere in ordine i suoi pensieri. Non era stato necessario che sua madre gli ricordasse che doveva aiutare Samantha Davis a riprendersi suo figlio, ci aveva pensato per quasi tutto il tragitto, avrebbe chiamato il suo amico avvocato e un paio di colleghi al distretto subito dopo Natale. Avrebbe fatto riaprire le indagini su O’Malley e su Davis stesso, li avrebbe sorvegliati lui, avrebbe fatto tutto il necessario per dimostrare che razza di uomini fossero. Non lo faceva solo per Samantha, lo faceva soprattutto per un bambino di nove anni che si meritava una madre come lei, non un padre come quel poco di buono.
Ma non era solo Samantha ad avere bisogno di lui. Era vero soprattutto il contrario. Incontrarla lo aveva costretto a rendersi conto di quanto stesse perdendo di mordente e determinazione. Contrariamente a quando era in polizia, Tom non aveva più uno scopo, questo lo stava trasformando in una persona che non voleva essere. Aveva avuto bisogno di scontrarsi con il cinismo di Samantha Davis per capirlo. Forse Sam pensava di aggrapparsi a Tom come a una boa e una parte di lei si ribellava all’idea, ma in realtà era lui ad avere bisogno di quella boa, per non andare alla deriva.
Forse, pensò Tom, respirando la stessa aria che stava respirando lei, sentendo i suoi respiri pian piano calmarsi, forse quell’incontro, nel vivaio prima e poi di nuovo in quella casa, la sua casa, era avvenuto perché doveva accadere.

            Tom sapeva di buono. Era un misto del profumo che emanava il suo maglione – da quando il bucato degli uomini profumava? – e del suo dopobarba che le arrivava fin lì, perché il suo viso non era poi così lontano, tanto da farle venire voglia di alzare le dita a sfiorarglielo. Sarebbe stato un gesto troppo intimo, perché erano sì abbracciati ma quel contatto poteva ancora passare per un abbraccio di consolazione.
            Solo che Sam non voleva abbracci di consolazione, da lui. Sapeva bene che, se non si fosse trovata a casa Rinaldi, in quel momento sarebbe stata sola a casa, stesa sul divano al buio, incapace di muoversi anche solo per andare in cucina, aprire il frigorifero e versarsi un bicchiere di latte per mettere qualcosa nello stomaco. E questo ammesso che fosse riuscita ad alzarsi dall’aiuola ghiacciata di quel vivaio, dove le era sembrato di essere arrivata proprio al capolinea.
David aveva bisogno di lei. L’indomani avrebbe ritrovato le energie, anche da sola. Ma quella sera…
Quella sera Tom Rinaldi e la sua meravigliosa famiglia l’avevano fatta sentire protetta e ancora parte di questo mondo, anche se un po’ ammaccata e frastornata.
Dunque Samantha non era un’ingrata, semplicemente nel trovarselo lì, così vicino da sentire il cuore battergli nel petto, non le interessava più niente del poliziotto-barra-investigatore privato, e persino tutta la stima che aveva sempre avuto di lui era finita sullo sfondo. In primo piano c’era il suo calore, i muscoli che sentiva sotto alle mani e la voglia che aveva di sollevare il viso per guardarlo. Non lo faceva perché, se lo avesse guardato, le sue mani si sarebbero poi mosse per sfiorare ciò che vedeva, per imparare a conoscere guance, naso, bocca, occhi, tutto. Sullo sfondo, tutto il resto, in primo piano c’era l’uomo, ed era un uomo che, ad essere sincera con se stessa, aveva sempre voluto anche quando non ne aveva alcun diritto.
E ora?
Ora era una donna con il cuore spezzato e una valanga di problemi da risolvere. Come fargli capire che non lo voleva solo perché lui era sempre stato, un cavaliere dall’armatura splendente?
All’improvviso il silenzio che fino ad allora era stato violato solo dai loro respiri, nel quale Samantha era quasi riuscita a sentire i propri pensieri, fu rotto dalle note pimpanti di Joy to the World, cantata da qualche coro polifonico.
«La tua canzone preferita» sussurrò Tom.
Scoppiarono entrambi a ridere.
Facendole scivolare un dito sotto al mento, alla fine fu Tom a spingerla a guardarlo, e Sam fu sicura di non avergli mai visto gli occhi così splendenti. Era il divertimento, forse, quando si erano incontrati non avevano mai avuto molte ragioni per ridere, o magari c’entravano anche le barriere che il sergente irreprensibile aveva sempre eretto attorno a sé. Barriere che in quel momento erano crollate. Quello che le stava di fronte, talmente vicino da occupare il suo intero orizzonte, non era il poliziotto ma l’uomo. Proprio quello che lei, Samantha Davis, voleva, quando solo poche ore prima era convinta che non ci sarebbe stato più nulla, in fondo alla sua strada.
Sarebbe riuscita a dirglielo?
Senza smettere di sorridere, Tom abbassò le labbra a sfiorarle gli zigomi, come a voler cancellare le tracce rimaste delle tante lacrime che aveva versato. In modo quasi giocoso passò a sfiorarle il naso, poi le palpebre che lei aveva istintivamente abbassato, in carezze che erano dolci più che sensuali. E qualcosa le si sciolse dentro.
Quando la bocca di Tom, seguendo il suo percorso erratico e apparentemente casuale, passò leggera come una piuma sulle sue labbra, Sam si irrigidì. Anche Tom si fermò. Tornò su quel punto, soffermandosi appena più a lungo. E poi di nuovo.
Poi da lì non se ne andò più. 

Susanna stava cercando Tom, che come al solito spariva quando serviva che facesse qualcosa. Passò dal corridoio diretta verso le scale, gettando un’occhiata distratta attraverso la porta socchiusa dello studio. Si bloccò, incerta se avesse visto bene. In silenzio, avvicinò la testa allo spiraglio in modo da poter guardare meglio.
Sorrise, un sorriso ampio, di quelli che tirano le guance.
Era tanto che non vedeva un bacio come quello dal vero. Ed era senza dubbio degno dei migliori baci cinematografici.
E bravo fratellone.
Sempre in silenzio, Susanna tornò sui suoi passi camminando, quasi saltellando al ritmo del nuovo brano natalizio del CD che suo padre, inguaribile sentimentale, aveva infilato nello stereo.
Quando rientrò in soggiorno stava ballando.
Guardò il marito Bradley e il fratello Paul, che stavano sistemando i pacchi regalo sotto all’albero che lei aveva appena finito di decorare. Batté le mani e fece una giravolta.
«Ve l’avevo detto che la storia dell’amica era una sonora balla!»

FINE

CHI E' L'AUTRICE


Monica Lombardi, padre toscano e mamma istriana, lavora come interprete e traduttrice free-lance. Sposata, madre di due figli, vive da più di trent’anni in provincia di Milano.
E' autrice di una serie rosa crime di cui è protagonista il tenente della Homicide Unit di Atlanta Mike Summers (Scatole cinesi, Labirinto, Gambler Scacco Matto, tutti disponibili in versione cartacea e digitale) e ha partecipato alle raccolte di racconti in e-bookLove at Christmas e C’è amore nell’aria.
A luglio Emma Books ha pubblicato la nuova edizione digitale della sua commedia romantica Three Doors - La vita secondo Sam Bolton, e il suo racconto Niente è per caso sarà nell’antologia Gli uomini preferiscono le befaneche Emma Books proporrà per queste feste natalizie. E' da poco uscita, inoltre, sempre pubblicata da Spinnaker DGbooks, una raccolta di suoi racconti romantic suspense in e-book dal titolo Bluegirl e altre storie contenente la novella inedita Bluegirl e i racconti Gli occhi della pauraSilver nights e Let it snow.
VISITA LA SUA PAGINA FACEBOOK: 

IL RACCONTO LET IT SNOW, L'INIZIO DELLA STORIA FRA SAMANTHA E TOM, E' STATO INSERITO IN  QUESTA RACCOLTA



BLUE GIRL E ALTRE STORIE E' DISPONIBILE ANCHE IN  VERSIONE EPUB
LA POTETE TROVARE QUI. 


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ALTRI RACCONTI DI CHRISTMAS IN LOVE 2013 IN ARRIVO SUL BLOG NEI PROSSIMI GIORNI, CONTINUA A SEGUIRCI!


14 commenti:

  1. degno finale di un racconto molto bello... mi stupisce sempre come la scrittura di monica lombardi sia nello stesso tempo descrittiva ed evocativa... descrittiva: in quanto la proprietà di scrittura che si avverte anche in questo racconto riesce a proiettare nella mente le vicende come se si stesse assistendo ad un film.... evocativa: perchè riesce a far avvertire il dolore della perdita l'amore in boccio l'attrazione l'atmosfera famigliare e l'affetto che intercorre tra i membri della famiglia di tom... complimenti all'autrice

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  2. Sono d'accordo anch'io con Keiko, leggere Monica Lombardi è come guardare un film, ed è il tipo di scrittura che preferisco. E' un racconto che dà soddisfazione. Brava! e poi... beh Tom...

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  3. Ragazze qui non ce n'è! La 'nostra' Monica (passatemelo vi prego) è una vera potenza! Fantastica, come sempre! Con poche parole e una storia semplice, è riuscita a scalzare la banalità tipica di certi argomenti rendendola frizzante e piacevolissima da leggere... mi raccomando, ora vogliamo la parte RS dell'affossamento del padre infame. Magari per capodanno??? :D

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  4. Ma come, mi finisci il racconto così??? Ma allora sei cattiva!!! Prima ci presenti questa coppia che sembra fatta proprio per crearci intorno una Storia con la S maiuscola ora ci fai soffrire lasciandoci piene di aspettative.
    Cattiva Monica! Cattiva! ^_^
    Ok, ora che mi sono sfogata posso passare a commentare il racconto. :P
    Non posso che quotare le altre ragazze. Bravissima nel descrivere la sofferenza di Sam, il suo stato d'animo e le sue paure. Tom dolcissimo come tutti i tuoi uomini. Molto bella anche la presentazione della famiglia di lui che sembra molto unita, un nido dove chiunque si sentirebbe sicuro. La storia che hai creato intorno a loro è ottima, un vero trampolino di lancio per far partire la parte RS che SPERO non ci farai aspettare altri due anni per leggerla altrimenti GIURO che organizzo un pulmino per Milano e poi saranno guai! :D
    Come si dice? Scrittrice avvisata...

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    1. P.S:- se non si è capito, sono Karin, non Angela :P

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  5. bello! diretto, ben scritto, profondo. Ora però sono curiosa di sapere se Tom riuscirà davvero ad aiutarla e come si evolveranno le cose tra loro... ;)

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  6. per la serie noncel'hofattaadaspettarestaseraaldiavoloillavoro!!!
    Bello bello bello! ho i brividi! voglio un romanzo con questi protagonisti! la scena è talmente emozionante da darmi la pelle d'oca!
    ok, ora torno a lavorare :P

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  7. Ottimo racconto, scritto benissimo. E poi il personaggio di Tom è proprio affascinante. Ci sarà un seguito? :-)

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  8. voglio un libro non un racconto uffa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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  9. Grazie a tutte voi che avete letto e commentato, siete gentilissime <3

    Un seguito? Diventerebbe il seguito del seguito ;) Due anni fa, "Let it snow" aveva fatto in tempo solo a presentare due personaggi che, in qualche modo, mi sono poi rimasti nel cuore. Mi sembrava doveroso raccontare il "next step", ciò che seguiva a quel loro rincontrarsi casuale eppure così giusto. Spiegare perché Tom e Samantha sono giusti insieme - e lo sono, vero?
    Ora rimane un conto in sospeso, mamma Rinaldi mi sembra agguerrita forse ancora più del figlio...

    Un grossissimo ringraziamento a Francy che ha non solo creato una bellissima cover ma anche introdotto e impostato questo racconto in modo perfetto, you're the best! E un abbraccio a tutte voi che mi seguite, ci seguite con tanto affetto. Se non avessimo voi che ci leggete, che scriveremmo a fare? :D

    Buone Feste!!!
    Monica

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  10. Scorre via come seta della migliore qualità...

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  11. Sempre un tantino da inseguitrice, ma eccomi! L'aspetto della scrittura di Monica che più ammiro? La sobrietà che pure crea il romanticismo, la tenerezza, l'attesa...la dolcezza senza sdolcinatura, talvolta un tono ironico anche dove alberga la malinconia, ma mai forzato o eccessivo. Sei davvero brava, Monica, anche nel tenere il ritmo dei dialoghi. Ma la chiave RS è nascosta appena sotto lo zerbino di questa bella casa piena di calore e sentimento...quindi, per quanto mi sia piaciuto il finale firmo la petizione delle pressanti richieste...non è che il cattivone può restare impunito!!!
    Patrizia

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  12. Bello! Ci voleva proprio questo seguito, dato che il finale di Let it snow mi aveva lasciata un tantino insoddisfatta. E sono daccordo con le altre lettrici, una terza puntata ci starebbe proprio bene, dopotutto ci sono delle questioni in sospeso ^_^

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  13. Piccino però ne avrei letto ancora un po'.... Brava Monica.

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