Summer in Love 2017: "IL CANTO DELLA SIRENA" di Adele Vieri Castellano - 1^parte


1
  
Isola di Poros, mar Egeo - 802 a.U.C. Maius, Idi (49 d.C., 7 maggio)

In piedi sulla scogliera Brinnone ascoltava la voce sensuale del mare.
Si era sempre considerato come qualcuno di ragionevole, nonostante fosse un guerriero che portava su di sé le cicatrici di molte battaglie ma, per una ragione inspiegabile, in quel pomeriggio di sole, sentiva i suoi istinti riprendere il sopravvento.
Non andava bene.
Fece un passo indietro e rimirò la scultura raffigurante una sirena, che aveva incastrato in un anfratto di roccia rivolto verso l’orizzonte.
Modellare il metallo era una passione, uno sfogo. Se anni prima aveva temprato le armi dei romani, adesso si riteneva un artista e qualcuna di quelle sculture, ricavate da lastre di ferro e bronzo, decoravano il sentiero che dalla villa conduceva al mare.
L’odore della salsedine e quello della resina scaldata dal sole gli solleticarono le narici, mentre regolava, con un ultimo tocco, la posizione della mitica creatura di metallo sull’orlo del precipizio.
Quando fu soddisfatto, osservò dall’alto la superficie azzurra macchiata da pennellate di candida spuma.
La voce del senatore Marco Quinto Rufo, amico fraterno e compagno di molte battaglie, a un tratto gli parve risuonasse ancora nitida nella sua testa:
«Nei prossimi mesi non avremo bisogno di te qui a Roma, batavo.»
«Potrei tornare in Germania» aveva risposto lui, tranquillo. «Quinto Decio Aquilato ha qualche noia con le tribù confinanti.»
Il romano si era alzato, scuotendo il capo.
«No, andrai in Grecia. Da qualche tempo i ricchi mercanti di ceramica delle isole di Poros ed Egina sono vittime dei pirati.»
Non era stato facile organizzare la flotta difensiva, tantomeno conquistare i rudi e sospettosi greci che, da secoli, solcavano il mare con le pesanti navi mercantili. Ma col passare dei mesi, la cattura di predoni e in particolare, la crocifissione di uno dei capi, era riuscito a scalfire la loro diffidenza e a conquistarsi un posto d’onore tra l’aristocrazia isolana.
Poche settimane prima aveva finalmente inviato una missiva a Rufo, in cui lo informava di aver portato a termine la missione con successo.
Osservò gli scalini intagliati nella roccia che, ripidi, portavano all’insenatura.
La vista era mozzafiato, l’acqua calma dai riflessi verde-azzurri risplendeva quasi fosse uno smeraldo racchiuso tra pareti di roccia, così limpida da distinguere i pesci e i coralli del fondale.
Il sole gli riscaldò le spalle nude mentre scendeva deciso a fare un bagno, e fu in quel momento che dal basso udì provenire il canto. Si fermò e un brivido gli attraversò la pelle.
Limpido, dolcissimo, sfuggente.
Lo ammaliò, lo disorientò, gli fece provare inaspettate e sensuali emozioni. Gli parve di essere Ulisse legato con solide cime all’albero maestro eppure desideroso, anche a costo della vita, di gettarsi in mare per afferrare finalmente l’inafferrabile.
Alzò il volto cercando con lo sguardo la sirena che aveva forgiato. La individuò a stento tra i cespugli di mirto, immobile guardiana dell’orizzonte.
Non era lei che cantava ovviamente eppure, per un istante, visse quell’illusione poiché la voce portata dal vento sembrava scaturire dalle rocce, provenire dal mare e dalla terra scaldata dal sole.
Un’allucinazione?
Non ci credeva più, non era possibile.
«Questa volta non mi sfuggirai» mormorò tra sé e sé, riprendendo la frettolosa discesa dei gradini sconnessi. «Non sei un fantasma, né una sirena.»
D’accordo, viveva come un recluso in quella villa, inaspettata ricompensa dei mercanti per averli liberati dalla calamità, ma non poteva essere diventato folle in quei giorni di solitudine.
Si era rilassato, aveva scolpito nella sua fornace, esercitato col gladio, le serve lo avevano massaggiato, vezzeggiato, aveva fatto sesso e si era nutrito dei cibi migliori. Era in perfetta forma fisica, ma la sua mente?
Si lasciò sfuggire una roca risata.
La sua mente stava benissimo, perché quella voce l’avrebbe riconosciuta tra mille. Certe persone non dimenticavano mai un volto ma lui, Brinnone, non dimenticava mai una voce.
L’aveva udita nei momenti più disparati della giornata, senza riuscire a capire da dove provenisse, se da un luogo reale o dalla sua immaginazione.
Mentre poggiava i piedi sugli scogli bagnati dal mare, si convinse che il canto apparteneva non a una mitica creatura dei mari, né a una ninfa dei boschi, ma a una donna in carne e ossa, viva e reale.
Percepì le ultime note prima che si dissolvessero nell’aria. Il silenzio si protrasse per un lungo momento poi, a un tratto, vide qualcosa dall’altra parte dell’insenatura: un paio di braccia lisce che fendevano la superficie trasparente del mare.
La sua nuca fu percorsa da un pizzicore, che proseguì lungo la schiena e si irradiò in tutto il suo corpo. Seppe per istinto che era lei.
La nuotatrice si avvicinò tanto da permettergli di distinguere le caviglie e le cosce tornite, mentre nuotava con bracciate energiche e regolari. Riuscì a vedere anche i globi tondi e chiari delle natiche, scintillanti sul pelo dell’acqua.
Il suo sesso reagì in qualche modo, un crampo gli strinse l’inguine e la voglia di ascoltarla ancora e ancora quasi lo sopraffece. Avrebbe voluto tuffarsi e raggiungerla, strapparla al mare per farla sua, soggiogato dalla voce mentre ne possedeva il corpo, ma la tempra guerriera ebbe ragione sull’istinto predatore.
Si limitò a osservare, nascosto dall’anfratto roccioso.
C’era qualcosa in quei movimenti graziosi ed eleganti che lo attraeva, qualcosa gli diceva che in quel corpo snello e femminile si nascondeva il segreto del canto.
La misteriosa fanciulla nuotò fino a un punto in cui le rocce scendevano dolcemente nell’acqua e, sotto il suo sguardo affamato, emerse come doveva aver fatto Venere da quello stesso mare millenni prima.
Incantato, fissò i capelli lunghi e neri da cui colava un ruscello d’acqua sulle spalle rotonde, sui capezzoli rosa scuro, sul ventre piatto. Costellata di goccioline scintillanti brillava sotto i raggi del sole e lui si beò tentando, non solo di catturarne l’immagine per le sue notti solitarie, ma anche la purissima essenza, la voce, i pensieri.
Sapeva bene di violare la sua intimità, ma gli sarebbe stato impossibile distogliere lo sguardo; quasi non riusciva a respirare, figuriamoci muoversi.
Indovinò persino il momento preciso in cui lei si accorse di essere osservata. Aveva forse sentito il peso del suo avido sguardo?
La fanciulla si voltò lentamente e Brinnone si concentrò sul suo viso, poteva essere l’unica occasione per osservarla così da vicino. Vide le labbra bagnate di mare schiudersi nella sorpresa e gli occhi d’ambra fissarsi su di lui.
Nelle fitte foreste germaniche in cui era nato, aveva avuto occasione di cacciare molti animali selvatici. Era sempre un momento quasi magico quando un cervo o un lupo lo scorgevano per la prima volta e, per qualche istante non misurabile, la coscienza della bestia si fondeva con la sua.
Un’unione quasi mistica, ultraterrena.
La visione della fanciulla uscita dal mare provocò in lui la stessa sensazione: come se, attraverso i reciproci sguardi, l’esistenza di entrambi prendesse d’un tratto un significato nuovo, profondo.
Tuttavia non si mosse, perché catturare l’essenza di una dea o la sua voce, era un’impresa impossibile per lui, Brinnone, guerriero batavo civilizzato dai romani che possedeva poco di più di uno stallone, qualche sesterzio e una modesta casa su uno dei colli di Roma.

*

L’odore del mare era intorno, dentro di lei.
Eumelia amava il profumo salato delle alghe cotte dal sole, degli scogli bagnati, della spuma frizzante che scivolava sui ciottoli e, in quei momenti, cantava la sua gioia agli dèi che avevano creato tanta bellezza.
Amava la sua isola, sentiva di appartenerle, conosceva ogni angolo di terra e di mare e avrebbe dovuto sentirsi felice e appagata.
Eppure, da qualche tempo, non riusciva a godere come sempre di tutto ciò. Dormiva pochissimo. La mente concentrata su ciò che l’aspettava, sentiva il petto schiacciato da un peso di cui non riusciva a sbarazzarsi: la consapevolezza di doversi piegare alla volontà del padre.
Nulla, da quando le aveva annunciato il nome del suo promesso sposo, sembrava più renderla serena: né le lunghe nuotate, il canto e neppure il mare, l’amico di sempre.
Uscì dall’acqua, lasciò che le scorresse come un fluido benefico sulla pelle e rivolse il viso verso il sole. Rimase così, desiderando di poter fermare il tempo.
Fu una sensazione inafferrabile e indefinibile a farle correre un brivido d’allarme lungo la schiena ed ebbe paura che Myron l’avesse seguita, scoprendo la baia segreta.
Ma non era il suo promesso.
Là, dove il sole del tardo pomeriggio accarezzava l’acqua con riflessi argentati, vide lo straniero. L’uomo venuto dalle foreste, da un luogo così lontano e inimmaginabile da non riuscire a pronunciarne il nome.
L’uomo dagli occhi azzurri come il mare.
Eumelia lo aveva notato la prima volta nella villa di suo padre, sapeva che era un guerriero venuto da settentrione, mandato da un senatore di Roma. Un uomo che aveva dimostrato di avere una mente acuta, coraggio e onore.
La confraternita dei mercanti di ceramica che dapprima aveva dubitato delle capacità e dell’ingegno del potente germano, ormai pendeva dalle sue labbra e anche Demostenes, il più scettico, il più ricco e potente commerciante di Poros, aveva cambiato idea sul grosso germano. Non lo aveva fatto per quanto riguardava lei, l’unica figlia rimastagli, che avrebbe dovuto unire il nome e le fortune di due delle più illustri famiglie di Poros.
Eumelia pronunciò il nome del guerriero con un sussurro interiore, gustandolo quasi fosse un frutto maturo.
Brinnone.
Una sera lo aveva spiato nascosta tra le ombre del giardino mentre discuteva con suo padre dei pirati che infestavano le acque del golfo: nei suoi occhi orgogliosi e freddi aveva visto brillare una scintilla di violenza e si era detta che avrebbe dovuto temerlo, ma il mistero che lo avvolgeva, il corpo statuario modellato dalla guerra e quelle cicatrici che parlavano la lingua comune di tutti gli eroi, la affascinavano e la atterrivano allo stesso tempo.
Il volto squadrato, il naso diritto, con le narici che sembravano tagliate con un coltello; tanto alto da sovrastare la folla che si apriva al suo passaggio, quasi dovesse cedere il passo a un immortale.
Brinnone, lo sguardo severo, i muscoli forgiati dal fuoco della guerra.
Quando quel volto si volse nella sua direzione e la fissò, a Eumelia parve di essere diventata di marmo e poi di morbida cera.
Le batteva il cuore eppure sembrava volesse fermarsi. Quando i denti bianchi di lui balenarono in un sorriso, si rituffò tra le onde.
Adesso aveva davvero paura, più di se stessa che di lui.



2
  
Quattro settimane dopo

Stringendosi nel chitone di lino finissimo, Eumelia si avvicinò alla balaustra e contemplò la distesa spumeggiante del mare. Il fidanzamento con Myron era stato un errore fin dagli inizi.
In parte era anche colpa sua, ammise fra sé. Aveva accettato di fidanzarsi con un uomo che conosceva fin da bambina, per il quale non provava che un blando affetto, soltanto per accontentare il padre.
Se il vecchio amico d’infanzia con cui aveva condiviso segreti e avventure era l’uomo sbagliato, quale poteva mai essere quello giusto?
L’immagine di un uomo dagli occhi penetranti e dal capo rasato le balzò alla mente, come per incanto. Il fisico possente emanava un’energia virile così intensa che, nel percepirla quel giorno alla baia, Eumelia aveva provato un vuoto allo stomaco. Vuoto che provò anche in quel momento, al solo pensiero.
Ridacchiò.
Come avrebbe reagito il grande mercante Demostenes, se avesse saputo che la figlia era attratta da uno straniero? Di certo sarebbe andato su tutte le furie.
Qualcuno bussò alla porta e Ores entrò, aiutata da due serve. La sua nutrice adagiò sul letto la tunica di seta color panna cucita con sottilissimi fili d’oro.
Eumelia osservò a lungo la prova tangibile che la faccenda del matrimonio era concreta e si sarebbe realizzata in pochi mesi.
«Non ti piace, Chará mou
La voce della nutrice era carezzevole, gentile. Avrebbe potuto mentirle ma non lo fece, perché la rispettava ed era affezionata a colei che la chiamava gioia mia come fosse stata la madre che non aveva mai conosciuto.
«È bellissima, Ores. Davvero, mi piace molto.»
La donna si avvicinò, le accarezzò un braccio.
«Non lo ami, vero?»
Non c’era bisogno di specificare il soggetto, entrambe sapevano il nome dell’uomo che le era stato destinato. Eumelia abbassò gli occhi, sentì le guance infiammarsi.
«No, Ores. Per me è stato un buon amico d’infanzia, ma nient’altro. Non ho mai sognato di fondare una famiglia o dare dei figli a quel buono a nulla capace solo di amare fanciulli.»
Ecco, lo aveva detto a voce alta.
L’altra non ebbe esitazioni né negò, si limitò a prenderla tra le braccia proprio come avrebbe fatto una madre.
«Non dirlo a Demostenes. Crede di fare il tuo bene dandoti in sposa a un giovane che stima e ama, come quel figlio che ha perso tanti anni fa.»
«Lo so, Ores. Ma per il resto della mia vita dovrò rinunciare all’amore.»
La donna le sollevò il mento, ne cercò lo sguardo.
«Gli dèi ti hanno amata davvero quando hanno ispirato il tuo nome a Demostenes,» le disse con un sorriso dolce e sereno. «La melodia è nel tuo cuore e nella voce, oltre che nel significato del tuo nome. Usa questo dono meraviglioso, chiedi di poter andare dall’oracolo di Apollo, molte fanciulle lo hanno fatto prima del matrimonio. Convincerò tuo padre a farti accompagnare con una scorta adeguata e una della sue più agili bireme.»
«Riusciremo a convincerlo?» sospirò lei, disillusa.
«Ci penserò io, Chará mou. Lui ti ama molto e di certo non vorrebbe mai renderti infelice, ma gli uomini vanno convinti con le carezze, non con le parole.»
Eumelia sapeva che Demostenes e Ores erano amanti da anni.
«Seguirò il tuo consiglio, mia saggia amica» mormorò con una nuova speranza nel cuore.
La nutrice sorrise.
«Sono sicura che né lui, né gli dèi, vorranno privarti del dono meraviglioso di un consorte innamorato e che tu stessa potrai ricambiare. Ascolta le parole del vaticinio, a volte i disegni degli Immortali sono tortuosi e impervi come i sentieri che, dalla scogliera, scendono al mare. Quando tornerai da Delos con il responso, quale che sia, penseremo insieme cosa fare.»

*

Le notti greche hanno una loro poesia, pensò Brinnone scendendo fino a metà della scalinata di roccia.
Intorno non c’era che natura selvaggia, i profumi sparsi nell’eco della risacca che arrotolava i ciottoli della spiaggetta, il sole scomparso oltre l’orizzonte che aveva lasciato sul cielo pennellate di rosso e arancio.
Quella sera, nel canto meraviglioso e ipnotico che stava ascoltando, colse una nota struggente. Sembrava una preghiera, la melodia si alzava dal mare fino alle rocce e ai pini, avvolgendolo con una carezza delicata e triste.
Lui, guerriero che aveva visto sangue e sofferenza sui campi di battaglia, che aveva bevuto coraggio insieme al vino annacquato di Roma, si commosse a quel suono incantevole.
Quelle note di sicuro glorificavano gli dèi o rivolgevano loro una accorata preghiera e, con grande sconcerto, i suoi occhi divennero lucidi, gli stessi che avevano guardato morte e distruzione e che credeva incapaci di pietà o commozione.
La sua pelle vibrò, tremò e lui pianse cullato dalla voce di una fanciulla ma quando il canto ebbe fine, si sfregò le guance con il pugno serrato, un gesto repentino, quasi rabbioso.
«Mi sono rammollito stando in questa stramaledetta isola di mercanti» borbottò tra i denti, incapace però di tornare verso la villa dove non avrebbe udito le note di quella canzone.
Che stupida idea quella di andare a fare un bagno dopo il massaggio eppure, quando riuscì a scendere un altro gradino, smaniava di rivedere la misteriosa fanciulla dai capelli neri e dal corpo sensuale. Aguzzò la vista tra le ombre ingannevoli del crepuscolo e a un tratto, un formicolio di premonizione gli percorse la pelle.
Nient’altro che un riflesso argentato, il guizzo di una fiamma nell’acqua calma e cristallina.
Era pazzo.
Poi notò la barchetta che galleggiava, ancorata alle rocce e quasi gli sfuggì un gemito di sollievo.
Una pescatrice di perle o di corallo, ecco chi era la sua misteriosa sirena.
Un attimo prima la barca stava dondolando vuota, un attimo dopo la giovane si era arrampicata a bordo con l’agilità di un furetto. La vista di quelle membra pallide, di quel corpo sinuoso e bagnato, di quei capelli che sognava di poter sentire su di sé ogni notte, lo turbò, gli tolse la voce e il respiro.
Come uno sciocco incapace, cadde col sedere su uno scalino, ma non sentì sulle cosce possenti il graffio brusco della pietra.
La sua mente, i suoi occhi, il suo cuore di soldato erano in adorazione della fanciulla dalla voce divina che sfidò l’incessante movimento del mare dosando il peso a ogni minima oscillazione dello scafo.
Con grazia, o almeno così gli parve, avvolse i fianchi in un lembo di stoffa e salpò la piccola àncora avvolta da strisce di alghe brune senza nessuno sforzo, fissandola a prua.
Le braccia tornite, che Brinnone bramava avere attorno a sé, afferrarono le estremità dei remi e la barchetta girò su se stessa, fino a sparire al di là del costone di roccia che delimitava la baia verso il mare aperto.
Solo quando fu scomparsa ricominciò a respirare come sempre e, finalmente, riprese a scendere.
Arrivò alla spiaggia e si gettò in quelle onde che avevano stretto in un sensuale abbraccio il corpo femminile e ammaliante.
Si sentì come se avesse violato un territorio proibito.

   
3

 Julius

Brinnone si presentò poco dopo l’alba alla villa di Demostenes, ordinò ai portatori di fermarsi e scivolò a terra con un tonfo possente.
I sandali alzarono uno sbuffo di polvere, la stessa che aveva ricoperto i cespugli di mirto e corbezzoli lungo il viale. Julius volgeva al termine, nell’isola la siccità cominciava a farsi sentire e tutti erano nervosi, persino i gatti randagi sonnecchiavano ansimanti per tutto il giorno rifiutandosi di cacciare i topi.
Si guardò attorno.
La convocazione del mercante era inaspettata, misteriosa. Cenava spesso con lui da quando la diffidenza si era tramutata in amicizia, ma prestare ascolto ai discorsi sui prezzi della ceramica e sugli antenati fondatori della più grande città dell’isola lo annoiava fino alla morte.
Lui era un uomo d’azione, stare seduto per ore davanti a un banchetto di ostriche, pesci e frutta, anche se provenienti da ogni angolo del mondo conosciuto, era un sacrificio quasi inumano.
Ormai amava la solitudine, e stava seriamente pensando fosse arrivato il momento di tornare a Roma.
Le cicale si chiamavano dall’alto dei pini e in quel punto, sotto il sole, gli parve di entrare in una fornace ma ben presto si ritrovò all’ombra dell’arioso portico di colonne.
D’un tratto, in quella frescura, osservando il didietro tornito della servetta che lo stava scortando dall’ospite, ricordò la bocca della prostituta attorno al suo sesso, il piacevole contatto con la lingua, i lievi graffi dei denti, le labbra che si chiudevano su di lui in un erotico massaggio. In quell’afoso pomeriggio, con quella donna accovacciata tra le cosce, si era abbandonato all’orgasmo con un canto melodioso che gli risuonava nelle orecchie, frutto della sua immaginazione. Non andava bene.
Non andava affatto bene.
Il sudore gli colò lungo la schiena, dalle tempie lo asciugò col dorso della mano.
Lui, che aveva forgiato le armi dei prodi legionari di Roma, non sapeva come arginare le proprie voglie, si sentiva insoddisfatto, scontento e anche un po’ sconcertato, come se avesse avuto un gladio sospeso sopra la testa pronto a calare un mortale fendente.
Le mura bianche, il viale lastricato, le statue colorate delle divinità dell’Olimpo, lo accolsero con la stessa benevolenza di Demostenes calvo, panciuto e sorridente, le braccia aperte in un fraterno benvenuto.
«Brinnone, amico caro! È sempre un onore godere della tua imponente presenza.»
Il guerriero ricambiò il caloroso sorriso e si rassegnò, sarebbe stata una lunga serata di bagordi.
Si consolò pensando alla baia dove nuotava e cantava la sua sirena: più tardi avrebbe cancellato il ricordo del cibo e della noia gettandosi ancora una volta nelle sue acque cristalline.

*

Tornò a notte fonda nella villa sulla scogliera dove ormai si sentiva a casa, molto di più che nel villaggio nascosto nelle fredde foreste germaniche così vaste da non aver fine.
I suoi servi ancora svegli gli andarono incontro con una ciotola di acqua fresca, da cui trangugiò lunghi sorsi. Uno di loro era pronto a svestirlo della tunica, ma li congedò tutti avviandosi a grandi passi verso la scalinata che scendeva al mare.
Aveva voglia di purificarsi, togliersi di dosso l’odore del sesso di quel pomeriggio, quello del cibo, dei profumi orientali che lo avevano avvolto e stordito alla tavola di Demostenes.
Era pronto a rinascere e l’acqua cristallina mantenne la promessa: fresca, salata, amarognola sulla lingua lavò via ogni traccia indesiderata e si rilassò, si abbandonò, trovò requie alla giornata bruciante.
Chiuse gli occhi con il segreto desiderio di udire una magica voce ma, quella notte, solo il mare cantava.
Nuotò come avrebbe fatto un possente tritone: con lunghe bracciate, fendendo le onde col cranio lucido, le spalle ampie, provocando una piccola tempesta in quella baia altrimenti tranquilla.
Quando uscì dall'acqua, si sdraiò sui ciottoli che ancora conservavano il calore del sole. Sulla sua pelle, che in quei mesi aveva acquistato una sfumatura dorata, brillavano goccioline argentate dalla luna.
Sospirò e poggiò la nuca sulle braccia piegate. Il cielo era ammantato di stelle, sentieri luminosi in cui aveva imparato a orientarsi. Non sarebbe stato difficile né impegnativo accompagnare la figlia del mercante a Delos.
Una fanciulla che non aveva mai visto, di cui conosceva la fama: capricciosa, dall’umore mutevole e bellissima, a sentire il parere degli abitanti di Poros, pettegoli quanto quelli della Suburra.
Demostenes aveva esultato, compiaciuto e felice di poter trarre un sospiro di sollievo e attenuare così la sua ansia paterna:
«Con mia figlia sotto la tua protezione potrò dormire sonni tranquilli, amico mio» aveva ridacchiato alzando il calice nell’ultimo brindisi.
Brinnone aveva accettato solo per una ragione: quando gli avesse detto della decisione di tornare a Roma, il mercante non avrebbe potuto obiettare visto il grande favore che gli stava facendo.

*

Eumelia si sporse oltre la barriera di roccia, scostando le pungenti fronde del rosmarino. Socchiuse gli occhi e ringraziò Selene, la dea della luna piena, per averle permesso di vederlo anche da quella distanza.
Si era emozionata alla vista del corpo nudo da guerriero, grosso e impressionante, già dal suo aspetto si capiva che non era greco. A Poros tutti ne parlavano con rispetto, persino Demostenes che gli aveva chiesto, meglio: lo aveva supplicato di scortare l’unica figlia all’Oracolo di Apollo. Eumelia sorrise tra sé, compiaciuta che il padre avesse avuto quell’imprevedibile illuminazione.
Era felice, non solo di avere l’occasione di mutare il proprio destino visitando l’isola in cui erano nati Apollo e Artemide, ma lo avrebbe fatto accompagnata dal batavo bello e forte, tra le cui braccia sognava di trovare rifugio.
Grandi battaglie scorrevano nel sangue di quell’uomo ed era curiosa di ascoltare le avventure che aveva vissuto, i paesi e le città che aveva visto e conquistato.
Non si accorse di stringere con bramosia il ramoscello profumato, nel tentativo di vedere meglio la sagoma distesa sui ciottoli.

  
4

 Al sentire il vento di terra che soffiava sul volto, Brinnone dischiuse le labbra per acuire l’olfatto. Dalla prua della bireme, sottovento, era in grado di fiutare la brezza salmastra che proveniva dal largo e portava con sé il sapore amaro del mare aperto.
Quando si girò di nuovo verso la banchina del porto, vide avvicinarsi le portantine ondeggianti sorrette da uomini seminudi dai corpi muscolosi e dai bicipiti gonfi, accompagnate da una folla curiosa.
Demostenes, la figlia e il seguito dei servi, una parte dei quali si sarebbero imbarcati sulla Nereide per accompagnare la fanciulla, stavano arrivando sulla banchina.
L’animata processione si fermò proprio davanti alla passerella e Demostenes sgusciò fuori per primo, appesantito dal ventre prominente.
Brinnone udì tintinnare i bracciali e gli anelli di cui si era adornato la mano grassoccia, che sventolò con allegria.
A quel punto, si decise ad andargli incontro.
A metà di quel percorso, gli parve di essersi addormentato a propria insaputa, perché credeva di sognare, oppure di avere una visione.
Davanti a lui, sbucata dai veli della portantina, era apparsa una creatura con una veste d’oro e il capo velato. La stoffa traslucida e trasparente celava i lineamenti, ondeggiava sfiorando le caviglie; una cintura di cuoio modellato le circondava i fianchi e ne sottolineava la vita sottile mettendo in risalto i seni.
«Mia figlia Eumelia» gli disse il mercante tronfio d’orgoglio, invitando la fanciulla a sollevare il velo.
No! Non farlo, gridò interiormente Brinnone, ma il suo desiderio non venne esaudito.
«È un onore conoscere il grande guerriero che ha liberato la mia isola dai pirati» disse l’apparizione con voce flautata.
Bellissima, aveva sentito dire. Ebbene, l’aggettivo non le rendeva giustizia.
Quando incrociò il suo sguardo sentì come una scossa interiore, simile al colpo di uno scudiscio, non doloroso ma inaspettato.
Si riscosse come la vittima di un incantesimo. Altro che pescatrice di corallo.
Eumelia, la figlia di Demostenes che avrebbe dovuto scortare fino a Delos, altri non era che la misteriosa cantante della baia, che lo aveva ammaliato e gli aveva incatenato cuore e mente al melodioso incantesimo.
I lunghi capelli bruni adesso erano legati in una treccia adorna di fili di perle e scendevano sulla spalla scoperta, accanto al volto luminoso, bello come un’alba d’inverno. Per un uomo che nella sua vita aveva visto poco altro che sangue e combattimenti, quel sorriso era come l’acqua fresca di una sorgente per un assetato.
«Ti affido il cuore del mio cuore, Brinnone. Scortala fino a Delos, al tempio di Apollo e dopo il responso riportala da me sana e salva.»
L’incarnato chiarissimo che scorgeva tra le fessure del chitone lo conosceva, lo aveva sognato molte volte e a stento il batavo, pronto a salpare, trovò la voce per rispondere al mercante:
«La proteggerò a costo della vita» promise serio, incantato dal fascino di quello sguardo del colore di una pietra preziosa.
Quando Eumelia fece allontanare le serve che l’avrebbero seguita, si piegò verso il padre per salutarlo e lui poté sbirciarle il seno attraverso la scollatura.
Quasi arrossì quando si rese conto che era stato scoperto, ma gli occhi scuri della fanciulla incatenarono i suoi in uno sguardo sospeso, senza tempo.

*

Si udirono gli sbuffi, i forti sospiri e i bassi lamenti di coloro che avevano spinto la Nereide con la sola forza delle braccia nel porto di Delos con efficienza e un addestramento perfetto.
La bireme, dopo quattro giorni di navigazione sulle acque propizie e scintillanti del Mar Egeo, scivolò nello specchio di mare piatto e limpido evitando, con la grazia di un’esperta navigatrice, gli isolotti sabbiosi dell’insenatura naturale.
Volgendo lo sguardo a occidente si scorgeva il monte Cinto, più a settentrione le sagome dei tre templi dedicati ad Apollo, nitide nella limpidezza dell’alba.
Eumelia affiancò Brinnone che, appoggiato al parapetto, si protendeva dalla fiancata per controllare il fondale. Sotto di loro, a macchia di leopardo, ondulavano alghe verde scuro sulla sabbia altrimenti bianchissima.
«Scogli pericolosi?» gli chiese fissandogli le spalle leggermente arrossate e pensò, con un certo languore, che posandovi le labbra avrebbe potuto sentire il calore del sole e il sapore del salino.
Batté le palpebre cercando di recuperare un contegno, mentre iridi di cristallina purezza la scrutavano interdette.
Ancora una volta si compiacque del silenzio che aleggiò tra loro. Il germano, al contrario di molti, non rispondeva mai alle domande con leggerezza o superficialità. Valutava, rifletteva e infine parlava con un tono fermo e volitivo che la faceva emozionare.
Si capiva che era pieno di forza e passione, intelligente, riflessivo e che suo padre Demostenes non aveva sbagliato nel giudicarlo, neppure nell’affidargli la vita della propria figlia.
«No, controllo soltanto che non ci siano scogli nascosti, non vorrei ci incagliassimo» le rispose tranquillo, indicando il fondale punteggiato di pericoli sommersi.
Parlare con lui, in quei pochi giorni, aveva alimentato le sue emozioni più nascoste, fisiche e sensuali. Dapprima con molto riserbo, poi con più scioltezza, il germano si era reso disponibile a rispondere a tutti i quesiti che gli aveva posto, perché quello era il suo primo viaggio per mare lontano da casa ma, soprattutto, perché amava ascoltarlo.
Come avrebbe voluto chiedergli se l’avesse udita cantare ma, fino a quel momento, non aveva osato.
Si era accontentata di stargli vicina, udirne il respiro, osservare il corpo guizzante di energia, studiareil piacevole disegno dei suoi lineamenti, la vigorosa elasticità del suo passo, la nobiltà del suo portamento. E aveva sognato di baciargli la bocca, incorniciata da un accenno di barba incolta perché non si radeva da quando erano salpati. Aveva il labbro inferiore carnoso ed Eumelia era convinta che sarebbe stato piacevole godere della sensualità che prometteva.
Se in un primo momento aveva desiderato solo ammirarlo, adesso anelava a tutto: essere toccata, diventare il centro del suo mondo, appartenergli e perché no, essere amata da un uomo come quello. Non ne era innamorata, non ancora, ma sarebbe stato così facile abbandonarsi al suo potere di seduzione, così diverso da quello dei suoi pretendenti greci.
Oltre alla questione del matrimonio, che ogni giorno di più diventava impensabile, c’erano anche le sensazioni conturbanti che suscitava in lei: un intenso desiderio di appagamento fisico con cui avrebbe voluto sfogare la sua inquietudine.
Le fremevano le punte delle dita per il desiderio di sfiorare il suo stomaco piatto con i muscoli ben delineati, la pelle dorata dal sole, ma si trattenne e sospirò afflitta.
Fraintendendola, Brinnone la rassicurò:
«Non temere kyría, ormeggiata la Nereide organizzerò la scorta per condurti al tempio di Apollo. Non dovrai aspettare troppo.»
«Non era per questo che sospiravo» gli rispose, guardandosi bene dal confessargli i veri motivi del suo turbamento. «È la felicità di aver avuto l’occasione di conoscere un uomo importante come te.»
L’espressione di lui divenne indecifrabile ma le parve di cogliere, nello sguardo di solito distaccato, una scintilla di puro divertimento.
«Sono solo un uomo al servizio di Roma e, negli ultimi mesi, dei mercanti di Poros.»
Eumelia abbassò la mano sulla sua spalla quasi volesse fargli una carezza appena accennata. Provava l’impulso irresistibile di toccarlo, per verificare fino a che punto fosse intensa e travolgente la passione che gli sentiva ribollire dentro, ma evitò di cedere alla tentazione.
«Non è per quello che sei interessante» gli rispose sibillina.

*

Davanti a lui camminavano cinque donne vestite di bianco, il capo velato. La sesta era Eumelia, che svettava su di loro con la sua inconsueta altezza.
A parte gli arti meravigliosamente proporzionati e quelle iridi di un colore così raro, non differiva molto dal resto delle donne greche: capelli neri, seni prosperosi, sguardo profondo, ma in lei palpitava un’energia singolare, una grazia vivida che la rendeva diversa.
O forse quella sua convinzione dipendeva dalla voce armoniosa, profonda e leggermente roca, che usava come un mirabile strumento?
Brinnone non lo sapeva, non capiva neppure perché il suo cuore, ogni volta che la fissava dritta negli occhi o ne spiava le mosse a bordo, saltava un battito.
Aveva smesso di cercare una spiegazione, arrendendosi all’evidenza: gli dèi avevano incrociato le loro strade per una sconosciuta ragione che, prima o poi, avrebbe scoperto.
Doveva solo attendere che la volontà degli Immortali si manifestasse e lui era pronto a ogni evenienza, sul mare come sulla terraferma, vigile e guardingo più del solito.
Lo doveva a Demostenes che gli aveva affidato il bene più caro, lo doveva a se stesso perché non si sarebbe mai perdonato se fosse capitato qualcosa alla sua preziosa passeggera.
Il solo pensiero di lei in pericolo lo rendeva rabbioso come un toro da monta. Persino le occhiate innocenti dei guerrieri e dei marinai della Nereide gli accendevano nel petto intense vampate di gelosia, come mai prima per nessun’altra donna.
Una sera avevano dato fondo all’ancora in una baia tranquilla, ed Eumelia aveva cantato una canzone triste a Ecate, dea della luna calante. Lo spicchio dell’astro notturno sostava sopra di loro nel buio, ravvivando il mare e il chitone della cantante di riflessi argentati.
Era bellissima appoggiata all’aplustro della ninfa Nereide scolpito nel legno: era ninfa lei stessa, una magica creatura dalla voce carezzevole, appassionata, che aveva coinvolto tutti i suoi sensi.
Alla fine del brano un silenzio solenne, ammirato, era calato sull’equipaggio e lui, se avesse potuto, sarebbe corso a prenderla tra le braccia per stringerla commosso e adorarla per ogni istante della sua vita.
Invece era rimasto inchiodato alla tolda mentre Eumelia augurava buon riposo a tutti e si eclissava in cabina.
In quel momento, seguendo la processione diretta al maestoso tempio di Apollo, provò un amaro risentimento per le proprie origini. Avrebbe dovuto nascere principe per poter aspirare a una fanciulla così raffinata e baciata dagli dèi con un dono così singolare.
I passi della scorta risuonarono dietro di lui come a ricordargli che era un volgare soldato, un sopravvissuto di violente battaglie, indegno di colei che celava, nella palpitante luminosità dello sguardo, una passione ardente capace di risvegliare il suo istinto virile.
Quando arrivarono nell’ampio cortile del tempio, dopo avere precorso un viale di allori, le ancelle offrirono le libagioni ai sacerdoti che le avevano accolte. Costoro riscossero la consueta tassa e, ottenuto il pagamento, sacrificarono una capra bianca davanti alla statua di Apollo.
Per tutta la durata del rito necessario per accedere all’Oracolo, Brinnone non perse di vista la sua protetta e quando la vide entrare scalza nel tempio, il volto coperto dal velo e l’atteggiamento dimesso, sentì impellente l’esigenza di seguirla.
Conscio che avrebbe commesso un grave sacrilegio, dominò il suo istinto e attese.


5

 A notte fonda un rumore lo svegliò.
Tornati a bordo dopo il responso sarebbero dovuti ripartire all’alba, ma Eumelia aveva chiesto di rimanere sull’isola un giorno in più: l’Oracolo le aveva dato un compito affinché si compisse il suo destino. Come resistere a una tale richiesta?
Diede un’occhiata in coperta dalla panca su cui sonnecchiava. C’era uno strano, profondo silenzio e, silenziosa, un’ombra avanzò verso di lui.
«Brinnone» fece la voce sommessa di Sophos, la sentinella del secondo turno. «Ho visto la kyría scendere a terra.»
Il significato di quella frase penetrò nella sua coscienza come la punta di una freccia.
«Ne sei sicuro?» chiese sollevandosi e afferrando gladio e pugio da cui non si separava mai.
«È lei ti dico, l’altezza e il portamento sono inconfondibili. Dove starà andando senza scorta?»
Brinnone rifletté per qualche istante, nel frattempo si svegliò del tutto e sistemò le armi nella fascia di cuoio che portava in vita come i legionari romani.
«L’Oracolo le ha ordinato di fare qualcosa» spiegò dirigendosi a grandi passi verso la passerella.
Sophos sollevò un sopracciglio.
«Sarà andata a compiere un sacrificio?»
«Se è così, le terrò compagnia» gli rispose con impazienza, sporgendosi a guardare fuoribordo.
Una morsa gli stringeva lo stomaco, sentiva il sangue pulsargli impetuoso nel collo e teneva l’elsa del gladio, che lui stesso aveva forgiato molti anni prima, con tale impeto che l’acciaio gli penetrò nella carne del palmo.
Strinse le palpebre per scorgere, nella flebile luminosità della falce di luna, la sagoma della fanciulla. Vide qualcosa muoversi tra i cespugli, un riflesso lattiginoso.
«Laggiù ho visto qualcosa» confermò la vista acuta della sentinella.
«La seguirò di nascosto» decise, ben sapendo che le richieste degli Oracoli erano singolari ma esigevano, il più delle volte, la solitudine dell’officiante.
Dopo aver dato ordini a Sophos, scese a terra, gli occhi sul punto del sentiero dove aveva visto brillare il chitone della sua sirena.

*

Il lago dei cigni sacri ad Apollo. Lo specchio d’acqua era calmo, oscuro come l’occhio di un veggente, nessun candido volatile era visibile ma, tra le canne, danzavano le lucciole e il canto dei grilli faceva da contrappunto al gracidare delle rane.
Non era stato difficile trovarlo, aveva seguito alla lettera le istruzioni del sacerdote che aveva fatto da tramite con l’Oracolo.
Eumelia tirò fuori dalla sacca di juta le foglie di alloro, il sacchettino di farina d’orzo e la strisciolina di tessuto, tagliata da una tunica del germano. Strinse la stoffa nel pugno quasi fosse stato un gioiello prezioso e la tensione, provata nel compiere il gesto imprudente, cominciò a sciogliersi.
Secondo le indicazioni, avrebbe dovuto aggiungere alla farina le foglie e il tessuto, chiuderli in un sacchettino di lino, lanciarlo nell’acqua sacra e poi bagnarsi lei stessa nel lago.
Con dita tremanti e l’emozione che le chiudeva la gola, eseguì tutto alla lettera e quando il piccolo involtò sparì nell’acqua scura, trasse un sospiro di sollievo e cominciò a sganciarsi le fibule che sostenevano il chitone.
Affondò le dita dei piedi nell’erba che lambiva la riva, poi nella sabbia umida e avanzò cauta, con la sensazione di essere osservata.
Doveva solo bagnarsi fino alla vita, non nuotare fino al centro del lago, ma l’acqua fresca era un balsamo per i suoi nervi tesi, così si immerse completamente.
Quando riaffiorò si guardò intorno e si rese conto che quel luogo era davvero magico, i suoi sensi si erano risvegliati, attenti e ricettivi.
«Sono pronta per la mia nuova vita» bisbigliò sollevando il viso al cielo stellato e si convinse che tutto, con la benevolenza di un dio, sarebbe stato possibile. La sua vita poteva davvero cambiare per cui, nuotando, si abbandonò all’abbraccio delicato dell’acqua e cancellò dalla mente ogni pensiero.

*

L’urlo femminile gli ghiacciò il sangue nelle vene e gli parve, con ogni evidenza, una disperata invocazione d'aiuto.
Brinnone si immobilizzò dove si trovava e in un lampo i suoi occhi perlustrarono tutto ciò che potevano vedere attorno al sentiero, percorso quella mattina in direzione del tempio.
Il grido si ripeté, pieno di sgomento, e il batavo concluse che doveva provenire dal lago dei cigni sacri.
 Aveva sottovalutato la velocità con cui era sparita la figlia di Demostenes, ma la giovane aveva gambe lunghe e agili come quelle di una cerbiatta.
Si era diretto al tempio perché aveva supposto fosse quella la sua destinazione: un’offerta notturna al dio o meglio, qualche gioiello lasciato nelle mani avide dei sacerdoti. Ma a udire quelle grida, le sue supposizioni si stavano dimostrando del tutto errate.
Cominciò a correre come un Titano sul sentiero di guerra, con potenti falcate, animato da un fuoco guerriero che avrebbe carbonizzato un avversario al solo vederlo, figuriamoci se lo avesse sorpreso nel compiere una qualche nefandezza sulla sua sirena.
Giunse sulla riva e si arrestò di botto.
Più o meno al centro dello specchio d’acqua, immersa fino alla vita, c’era Eumelia che invocava soccorso.
La sua pelle riluceva lattea sullo sfondo oscuro del lago, ma non riuscì a scorgere la sua espressione. Intuì solo che era in pericolo e quasi subito comprese, dai movimenti sconnessi, che la minaccia era molto più infida di qualsiasi essere umano.
Era intrappolata nella mota del fondo e gli energici strattoni che dava con le gambe e il bacino, non soltanto non l’aiutavano a trarsene fuori, ma la facevano affondare ancor di più.
Un lungo brivido di apprensione gli attraversò la nuca e la schiena. Anche nella sua terra esistevano le sabbie mobili, molti impavidi guerrieri avevano lottato a lungo, inutilmente, catturati dalle loro spire ed erano scomparsi ingoiati dalla trappola mortale.
La giovane non lo aveva ancora notato, presa com’era a divincolarsi e lui non poteva entrare di slancio in acqua come avrebbe voluto, il rischio di restare intrappolato era troppo grande.
Con un'occhiata raggelante attorno a sé, comprese che il tempo a sua disposizione non era molto, non sarebbe mai potuto tornare alla nave per chiedere aiuto ma, soprattutto, non voleva abbandonare a se stessa Eumelia o perderla di vista.
Si mosse fragorosamente tra le canne, aggirò una spiaggetta e quasi calpestò quello che riconobbe come il chitone di cui si era liberata prima di entrare in acqua.
«Kyría!» gridò e gli rispose un roco gemito, un suono diverso dalle urla disperate che erano risuonate fino a un attimo prima.
Da dove si trovava poté scorgere il moto di stupore e la speranza, che illuminò il suo volto bellissimo.
«Brinnone?» fece incredula e lui pensò di non aver mai udito pronunciare il suo nome con così commovente sollievo.
Fu tale l’emozione che giurò, a una delle sue divinità germaniche lontane e spietate, che l’avrebbe salvata o sarebbe morto nel tentativo.
«Sono io, Kyría. Non muoverti, ti scongiuro o affonderai più in fretta.»
Dentro di sé tremava, ma la sua voce risuonò decisa come un ordine.
«Non riesco a uscire da qui» mormorò la fanciulla. «Ho appoggiato i piedi sul fondo e mi sono sentita risucchiare.»
«Lo so, conosco le sabbie mobili, ma non temere: ti tirerò fuori di lì.»
Tendendo verso di lui una mano, lo implorò in un gesto quasi commovente.
«Non rischiare la vita per me, guerriero.»
Brinnone si immobilizzò.
«Mio dolce tesoro, morirei per salvarti» dichiarò con slancio, senza rendersi conto di aver pronunciato le parole che venivano dal cuore e non dalla mente, intenta a vagliare una possibile soluzione.
«È solo colpa mia, il sacerdote mi aveva raccomandato di bagnarmi vicina alla riva.»
«Non ha importanza, non pensare a ciò che hai fatto. Cerca di restare calma e ascolta le mie istruzioni. Ce la faremo.»
Tastò il terreno molle col piede, poi avanzò di un passo nell'acqua torbida muovendosi con circospezione nella fanghiglia più prossima alla riva. Si immerse fin sopra le ginocchia, il fondo sostenne il suo peso e avanzò ancora un poco.
Li separavano poche bracciate, il volto della fanciulla era così pallido che Brinnone provò una fitta nel petto.
«Sei arrivata fin lì nuotando, kyría?»
«Sì» le rispose con voce tremula e, con sgomento, realizzò che il panico la stava divorando.
«Non ci metterò molto a venire da te,» mentì «ma il tempo per chi aspetta è più lungo di quanto sembri. Perché non canti con la tua bellissima voce, come fai sempre prima di tuffarti nella piccola insenatura di Poros?»
«Mi hai udita cantare prima della notte sulla trireme?»
Brinnone si era intanto diretto verso le canne che crescevano lungo la riva. Sguainò il gladio e le osservò con occhio esperto.
«La tua voce mi ha fatto sognare ogni notte, kyría,» le rispose abbattendone alcune. «Ascoltarti dall’alto delle rocce è stata per me una grande emozione.»
Non stava mentendo adesso e, con un deciso fendente, recise quella che gli parve la più lunga e robusta, mentre alle sue spalle si levava una voce malferma. Era diversa, più intensa, con una nota impellente intervallata da uno sciacquio, un sospiro su una strofa; gli ricordava quale sarebbe stato il suo triste destino se lui non si fosse affrettato.
Quella melodia tremula gli permise di concentrarsi su ciò che stava facendo: si era spogliato, la tunica di foggia romana era ormai a brandelli grazie all’affilatissima lama del gladio che aveva sventrato nemici, squarciato gole, sezionato arti. Quell’arma che adesso eseguiva, con micidiale precisione, il lavoro di un sarto.
«Tra un attimo sarò da te» le gridò e accostò, legò, saggiò la robustezza dei nodi poiché dalla sua abilità dipendeva la vita di Eumelia.
La pertica, due lunghissime canne tenute insieme dai resti della tunica, sarebbe stata sufficiente a raggiungere la fanciulla, ma lei doveva essere abbastanza forte e coraggiosa da non mollare la presa. 
  
*****

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34 commenti:

  1. Straordinario bellissimo racconto. Adoro il guerriero batavo Brinnone...
    Grazieeee Adele Vieri Castellano❤

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    1. Grazie a te Gianna, un abbraccio e buon proseguimento con le tue letture!

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  2. UAUUUUUUUUUUUUUU : ho il cuore a 1000 battiti, se non diecimila !!! Fremerò d' impazienza sino al 25 Agosto ;) ACCIDENTI A TE, mia carissima Adele :-*

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  3. Ho adorato questo racconto! I personaggi sono intriganti e la storia molto appassionante e coinvolgente, tra l' altro mi sembrava mentre leggevo di essere lì con Brinnone e Eumelia, adesso aspetto con ansia venerdì anche perché ci hai lasciate sul più bello!

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  4. mannaggia la pupazza! bellissimo *^*

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  5. Frascati patrizia21/08/17, 13:56

    Ma come fai? Sei forse una maga?.....nutro seri dubbi sulla tua natura umana..mi sembrava di essere lì, su quell'isola greca bagnata dal mar Egeo e la cosa magica che avviene quando una certa scrittura mi attraversa è che ne percepisco gli odori ed i colori.....magica,forse è l'unica parola che definisce la tua scrittura.grazie Adele...

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  6. Fantastico!come tutti gli altri libri della serie è coinvolgente ed emozionante! Veramente bellissimo!

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  7. Che meraviglia!!! La scrittura di Adele Vieri Castellano è magia! Bellissimo!!!!

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  8. Grazie a tutte, sono felice vi sia piaciuto!

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  9. Adele non ci delude mai, favoloso! non vedo l'ora sia il 25

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  10. Di solito non amo i racconti storici... e sinceramente ero in dubbio se leggerlo oppure no... dopo le prime 20 righe non sono però più riuscita a smettere...veramente un bel racconto che ti coinvolge... mannaggia ma come faremo ad aspettare fino a venerdì per la seconda parte?!

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  11. Stupendo! Grazie Adele per questo magnifico regalo, aspetto con ansia la seconda parte :)

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  12. No ..

    Vabbeee...così una potrebbe morire nell'attesaaaa������

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  13. Grande Adele ho letto tutti i tuoi romanzi storici e questo racconto è bellissimo come tutti quelli che hai scritto,attendo la tua prossima uscita se non sbaglio settembre,nel frattempo aspetto venerdì per la seconda parte...Grazie e spero che presto oltre che continuare con la serie su Roma"la rileggerei mille volte" tu abbia una buona aspirazione per un nuovo romanzo ambientato nel"700 "800 ho amato moltissimo "la notte degli inganni"e "il canto del deserto"Grazie ancora per questo regalo!!!:)

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    1. Grazie Nicky! Il romanzo ambientato a ine '700 inizio '800 è quasi pronto, la storia di un corsaro francese... può andare bene? Un abbraccio!

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  14. Adele, con le tue parole, ci fai entrare nei tuoi sogni. E sono sogni che fanno bene al cuore!!

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    1. Grazie Katia! E' anche per questo che scrivo, per regalarvi qualche momento di serenità in questa vita reale così complicata...

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  15. Volevo aspettare la seconda parte ma sono caduta in tentazione! E ora ho l'amaro in gola e un violento batticuore! Bellissimo racconto e strepitosa la Castellano!

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  16. anche io non sono molto di romanzi storici (regency soprattutto), per questo della Castellano ho letto poco, ma il suo stile è accattivante in qualsiasi genere si cimenti.
    il racconto è bellissimo e sensuale ed è stato talmente travolgente che non vedo l'ora di leggere anche la seconda parte.

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    1. Ciao Isabella e grazie della lettura! Ti consiglio di leggere i miei libri sui romani, sono molto lontani dall'epoca regency e molto diversi... un abbraccio e buone letture!

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  17. Adele superlativa come sempre!
    Sto contando i giorni che mi separano dall'uscita del "Leone di Roma" ma ho gradito immensamente il felice intermezzo riguardante Brinnone............ non vedo l'ora che arrivi il 25 per la conclusione di questa storia che, seppur troppo breve per i miei gusti, è stata come una boccata d'ossigeno in una di queste giornate troppo afose.
    Grazie carissima

    P.S. per tutte quelle che hanno scritto di non essere appassonate agli storici ............ leggete i romanzi di Adele, tutti, dalla saga sui Romani agli altri due ambientati a Venezia e in Egitto ........... avrete modo di ricredervi e vi si creerà una dipendenza tale che la metà basta.

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    1. Troppo buona Giusyfo, grazie per il commento e... i consigli di lettura! Un abbraccio e allora ppuntamento il 26 di settembre!

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  18. Da Eva Kant.
    Con i suoi romanzi Adele riesce a risvegliare tutti i sensi e tutte le emozioni. Mi fa "vivere" dentro le sue storie.
    WoW Brinnone e Eumelia.
    Che l'amore trionfi <3

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  19. Anche io volevo aspettare la seconda parte, ma come tante ho ceduto :-)
    Non vedo l'ora di sapere come finisce fra i due ;-)

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  20. Bellissimo :D Complimenti speriamo arrivi presto venerdì ...

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  21. Grazieeee!!!Contentissima per la notizia e va benissimo un romanzo sui corsari mi piacciono molto...devo dire qualunque cosa scrivi è perfetto per me purché storico...ancora complimenti davvero i tuoi romanzi sono dei veri best seller nulla da invidiare alle tue colleghe straniere!!!:)

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  22. Adele se mi puoi rispondere ho dimenticato di chiederti "Il leone di Roma"uscirà vero anche in cartaceo?come gli altri?per ora su Amazon c'è solo il formato Kindle...scusa per il lapsus sul titolo del romanzo "il gioco dell'inganno"

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    Risposte
    1. Certo che uscirà in cartaceo, Nicky! Penso lo aggiungeranno a ridosso della data di uscita. Buone letture!

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  23. Bellissimo questo racconto, come tutti i racconti della Castellano!

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  24. Come sempre Adele regala grandi emozioni ti fa sentire parte del racconto, vivi la storia dei protagonisti.

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  25. Le storie coinvolgenti di Adele sono una garanzia! Amo i suoi personaggi maschili, questi guerrieri rudi ma tanto sexy e all'occorrenza dolci e innamorati *_*
    Mi immergo subito nel seguito!

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  26. Che belloooooo!!! In giornata passerò alla seconda parte.

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  27. Stefania Nepi16/09/17, 00:14

    Wooowwww....racconto bellissimo riletto per la seconda volta...ora aspettiamo il "leone"

    RispondiElimina

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