Il Racconto di San Valentino: IL BACIO DI VETRO di Viviana De Cecco



Sabrina accarezzò lentamente la superficie di quei piccoli corpi di vetro che teneva fra le mani. Una statuetta, un uomo e una donna, l’una avvinghiata all’altro, in un rigido abbraccio d’amore eterno. Eppure, pensò, benché nessuno avrebbe potuto separarli, a meno che non avesse deciso di frantumarli in mille pezzi sul pavimento, riusciva a percepire la fragilità e la precarietà delle loro trasparenti figure.
La osservò con inquietudine, come se si aspettasse che, da un momento all’altro, accadesse qualcosa che avrebbe potuto spezzare la dolcezza e la magica sensualità che si sprigionavano da quell’oggetto di delicata fattura.
E, all’improvviso, anche lei si sentì così. In bilico sull’orlo di una vita che non sembrava più appartenerle, dove desideri, sogni e progetti erano svaniti nel nulla a contatto con la dura realtà. Da quando sua madre era morta, due mesi prima, aveva realizzato di essere rimasta sola. Suo padre le aveva lasciate tanti anni prima, gli amici e il lavoro non riuscivano a colmare il vuoto delle sue giornate e gli uomini erano stati delle ombre di passaggio che erano sempre scomparsi al minimo accenno di creare un futuro insieme.
Aveva quasi l’impressione che la mano del destino – o piuttosto doveva dire quella degli esseri umani? – avesse ridotto la sua mente e il suo corpo ad un insieme di cocci infranti che lei aveva cercato di riparare senza troppo successo.
A volte, sperava che qualcuno riuscisse a cogliere le incrinature nascoste del suo cuore e si  lanciasse nell’impresa impossibile di ricostruire quel mosaico di frammenti scomposti. Ma il mondo era indifferente. La vita scorreva veloce e non c’era tempo per i problemi degli altri. Sapeva che era una visione pessimistica dell’esistenza, ma le sue esperienze l’avevano ormai condotta sulla via del cinismo.
«Il bacio di vetro… Ottima scelta, direi…» Una voce alle sue spalle la colse alla sprovvista, ma riconobbe subito il tono dell’uomo a cui apparteneva. L’aveva udita solamente un’ora prima, sul traghetto che l’aveva condotta a Murano.
Nonostante si fosse trasferita a Venezia da qualche mese, per ricoprire un incarico di art director in una celebre agenzia di pubblicità della città, era la prima volta che visitava le fabbriche e le botteghe del vetro. In quella gelida mattina di metà gennaio non aveva avuto difficoltà a trovare un posto libero sull’imbarcazione che conduceva i turisti sull’isola. A pochi passi da lei, che si era rintanata in un angolo della barca, nei sedili quasi a ridosso del parapetto, un gruppo di turisti giapponesi sembrava pendere dalle labbra della loro guida turistica, un uomo sulla quarantina che parlava quell’incomprensibile lingua straniera in maniera del tutto perfetta. Sabrina l’aveva osservato di sfuggita, tentando di dominare un’insolita curiosità che la costringeva a soffermare lo sguardo su quello sconosciuto.
Il suo volto non era bello, ma poteva definirsi attraente. I capelli castani, striati di biondo, gli occhi d’un celeste quasi liquido, le labbra sottili sopra cui confluiva un naso dalla linea lievemente accentuata... E la sua voce, alta e sicura, dal tono profondo ma chiaro, che si mescolava al ritmico fragore del motore dell’imbarcazione che solcava velocemente la laguna, caricava il suo discorso di un potere magnetico, di cui l’uomo sembrava totalmente inconsapevole.
Sabrina non aveva capito una sola sillaba di quelle frasi contorte, ma dai volti concentrati dei giapponesi aveva intuito che non era stata l’unica a rimanerne colpita. Poi, quand’erano sbarcati sull’isola, li aveva persi di vista e si era dedicata alla sua passeggiata.
Ma ora, che se lo ritrovava davanti, con quella creazione di vetro stretta tra le mani, con i suoi accesi colori, dove minuscole dita, braccia sottili e labbra si sfioravano nella fedele riproduzione di un abbraccio e di un bacio appassionato, si pentì amaramente di aver scelto quel luogo per la sua gita domenicale. Sembrava una scolaretta che si era lasciata incantare dal fascino di quello che sarebbe potuto diventare l’unico soprammobile dello squallido monolocale in cui abitava.
«Il bacio di vetro?», ripeté perplessa.
«Il maestro che l’ha realizzata li ha soprannominati così. Sono stati creati per San Valentino. La data si avvicina e qualcuno potrebbe aver voglia di fare un regalo diverso. Ma finora non li ha ancora comprati nessuno.»
«Beh, non mi sorprende… Visto il prezzo, di certo non sarò io a farlo…», rispose Sabrina, sollevando il cartellino attaccato ad un piedino della donna. «Ma forse, potrebbe convincere uno dei suoi turisti… Ci sarà qualche coppia in viaggio di nozze, no?»
San Valentino, pensò Sabrina con un brivido. Erano anni che non pensava a quella festa. Ma il 14 febbraio era più vicino di quanto ricordasse.
«Dev’essere stato meraviglioso crearla…», disse lui, ignorando la sua domanda.
«Già.» Sabrina non aveva alcuna intenzione d’incoraggiare quell’uomo a proseguire la conversazione. Desiderava godersi la visita in santa pace. Lui sorrise e non si arrese. Le prese dalle mani la statuetta e lei lo lasciò fare, come se non riuscisse a muovere le dita per impedirglielo. Per un attimo, temette che potesse cadere nel vuoto e schiantarsi sul pavimento. Ma non accadde niente. L’uomo la sollevò alla stessa altezza dei loro sguardi e lasciò che la luce che penetrava dalla porta del negozio filtrasse attraverso quei corpi dai colori sgargianti. I raggi del sole invernale giocarono sui piccoli volti di vetro, sui vestiti d’un rosso e d’un azzurro sgargiante e crearono delle nuove e brillanti sfumature.
Sabrina allungò istintivamente l’indice come se potesse sfiorare la luce che avvolgeva gli innamorati. Lui la guardò. Uno sguardo intenso, carico d’una segreta alchimia di cui lei ignorava ancora il significato. L’uomo abbassò la statuetta e gliela restituì. La magia era svanita.
 «Perché non si unisce a noi?» le propose lui senza esitazione.
«Le sembro giapponese? E’ davvero ridicolo…», replicò lei, con aria seccata.
«Come preferisce. Era solo un’idea… Allora, arrivederci.»
L’uomo si unì nuovamente al suo gruppo e Sabrina li vide sparire al di là dell’entrata principale. Lei ripose Il bacio di vetro sul bancone d'esposizione e cercò di concludere il giro del negozio. Guardò l’orologio e si accorse che era giunta l’ora di riprendere il traghetto. La sua visita a Murano era finita. Il bacio di vetro, l’uomo che parlava giapponese e la sua identità ancora misteriosamente sconosciuta sarebbero diventati solo un pallido ricordo di una fredda mattina di metà gennaio. O almeno, era questo di cui Sabrina si era convinta.

«Sei in ritardo. Un cliente ti sta aspettando in ufficio…», le sussurrò Sara, la collega che si occupava del settore marketing. Sabrina scrollò le spalle con aria annoiata. Il lunedì mattina era un inferno. Telefoni che squillavano in continuazione, contratti da visionare, cataloghi da sfogliare e siti da visitare per farsi venire qualche idea geniale. L’atmosfera di libertà e pace che aveva respirato il giorno precedente sull’isola di Murano era completamente svanita.
«Lo so, lo so… Vado subito…», rispose lei, mentre appendeva sciarpa e cappotto vicino all’ingresso. Lanciò un’occhiata distratta allo specchio che ornava la parete dell’atrio e cercò di assumere l’atteggiamento rilassato con cui affrontava ogni potenziale cliente. Non c’era niente di meglio che un sorriso per mettere a proprio agio uno sconosciuto. E, nonostante sul suo viso si notassero dei segni di stanchezza, si ritenne pronta per l’incontro. I capelli scuri erano raccolti in un elegante chignon, il tailleur era stirato e pulito, mentre il rossetto d’un acceso color rosso le davano un’aria decisa. Portandosi dietro la borsa, si diresse verso la sua stanza e aprì la porta, sbirciando con aria distratta l’uomo che si era accomodato sulla sedia di fronte alla scrivania.
«Mi scusi, non volevo farla attendere…» Sabrina s’interruppe non appena l’altro le rivelò il suo profilo. L’avrebbe riconosciuto ovunque.
Era lui. L’uomo che parlava giapponese.
«Buongiorno.»
Lui si alzò. Le tese la mano e sorrise davanti al suo evidente stupore.
«Cosa ci fa qui? Io avrei dovuto incontrare un cliente dell’agenzia.»
«Ce l’ha davanti.»
«Ha bisogno di una campagna pubblicitaria?»
Sabrina lo oltrepassò, stringendogli rapidamente la mano e rifugiandosi dietro la sua scrivania. Una barriera che l’avrebbe messa al riparo da qualunque altro contatto. Non riusciva a spiegarsi perché davanti allo sguardo insistente di quell’uomo, si sentiva a disagio.
«Non io.»
«E allora chi?»
Lui s’inchinò verso il pavimento. Ai suoi piedi giaceva uno zaino nero. Vi frugò all’interno con prudenza e tirò fuori un pacco non sigillato. Lo appoggiò sul ripiano della scrivania e tirò fuori l’oggetto che conteneva.
Sabrina fissò incredula Il bacio di vetro.
«Ma che significa?», domandò, sporgendosi in avanti con tutto il busto per avvicinare il viso alla statuetta.
«La crisi si fa sentire e il proprietario della piccola vetreria dove l’ha lasciata ieri vorrebbe organizzare una vendita speciale per San Valentino. Naturalmente l’oggetto più importante sarà Il bacio di vetro
«E lei come ha fatto a scoprire che mi occupo di questo settore?»
«Veramente non lo sapevo fino a due minuti fa. È stato un puro caso. La vostra agenzia è una delle migliori, no? Non dovrebbe sorprenderla di trovarmi qui.»
«No, certo che no.»
«Accetterà di aiutarci?»
«E lei cosa c’entra in tutto questo?»
«Il proprietario è un mio vecchio amico. Gli sto facendo un favore.»
«Bene, ci sarà da lavorare molto.»
«Allora lo considero un sì?»
«Non rifiuto mai la proposta di un cliente. Potrebbero licenziarmi.»
«Ovviamente. Ad ogni modo, io sono Leonardo.» Poi, le porse la statuetta. «Credo che dovrebbe tenerla lei per il momento. Potrebbe ispirarla. So che non mi deluderà…»
Sabrina s’irrigidì. La sua mente era sconvolta da una sequenza di pensieri confusi. L’amore. Avrebbe dovuto essere questo il tema della pubblicità.
E lei, cos’avrebbe potuto dire dell’amore? Quale immagine avrebbe potuto scegliere per rappresentarlo? L’amore puro? Quello passionale? L’amore devastatore o quello rassicurante? Era stata innamorata, aveva provato una o due volte l’ebbrezza del sentimento che muove il mondo, ma quello che la spaventava era la perdita. L’inevitabile separazione degli amanti, la rottura dell’incantesimo che avrebbe infranto ogni speranza. 
L’amore trasformava la materia dell’anima, la rendeva precaria, incerta, debole come quel vetro di cui erano composti i corpi degli innamorati di Murano.
«Forse, potrei aiutarla…», continuò Leonardo, mentre Sabrina aggrottava le sopracciglia con espressione interrogativa.
«Immagino che si starà domandando come potrebbe esserle utile una guida turistica, vero?»
Sabrina annuì, evitando accuratamente d’incrociare gli occhi di lui. Mentre parlavano, lei fingeva di sistemare le carte che ingombravano il ripiano della scrivania. Nel silenzio di quella stanza soffocante, un buco che il suo capo aveva ricavato per miracolo da uno sgabuzzino, vibrava una strana tensione.  
«Ho lavorato diversi anni per un’agenzia di comunicazione giapponese. A Tokyo, per essere precisi…»
Ah, pensò Sabrina, ecco spiegato perché conosceva quella lingua così bene. Senza rendersene conto, tentò d’immaginare la sua vita precedente, in quel paese lontano, immerso nella frenesia della metropoli ad inseguire il successo. Ed era sempre stato solo? Aveva vissuto in compagnia di una donna giapponese? Una di quelle bellissime ragazze con i capelli corvini e la pelle candida? Si erano amati nel caldo abbraccio di un futon?
Che sciocchezze, si disse, perché mi dovrebbe interessare dove e con chi è stato prima di questa mattina?
«Purtroppo,» finì di spiegare lui, «quando sono tornato in Italia, non sono riuscito a trovare un altro lavoro in questo settore. Ma non posso lamentarmi. Fare la guida turistica non è male. Mi permette di osservare le persone, i loro gesti, i loro sguardi. Ho visto tanti innamorati, quindi potrei aiutarla a trovare un’idea per la nostra campagna…»
Leonardo sorrise con aria complice. Ma Sabrina era distratta. Perché è tornato in Italia? Si stava domandando.
«Spero che potremo incontrarci per discutere del progetto…», concluse lui, conservando il pacco vuoto nello zaino e alzandosi per salutarla.
«Sì…», mormorò lei, senza rendersi conto che la sua espressione tradiva un’ansia che non provava da anni.
«Domani pomeriggio?»
«Io… credo di sì…»
Sabrina lo accompagnò alla porta e richiuse il battente alle sue spalle.

Lavorarono insieme per due settimane. Si ritrovarono ogni sera all’agenzia, quando Leonardo la raggiungeva alla fine del turno. Sabrina lo aspettava con impazienza, ma non sapeva mai quando sarebbe arrivato con precisione. Guardava l’ora e lo immaginava ancora sul traghetto alle prese con i suoi turisti giapponesi. Eppure, le piacevano i suoi ritardi. Impedivano che nei loro incontri s’insinuasse l’abitudine e lasciavano che la sorpresa invadesse la monotonia delle sue serate.
Era rimasta colpita dallo slancio con cui Leonardo s’immergeva in quel progetto, quella frenesia di cui si caricavano le sue parole. Quando entrava nell’ufficio ormai deserto, dove non si tratteneva nessuno al di fuori di Sabrina, si metteva a girare per la stanza, irrequieto ed eccitato. Tornare ad occuparsi di pubblicità lo elettrizzava. Quel lavoro, le aveva detto, era un modo per ritrovare se stesso, per riafferrare una passione che credeva perduta per sempre.
Lei, osservando il modo con cui si concentrava, si domandava se anche la sua presenza stesse contribuendo a stimolare il suo rinnovato interesse. Si tormentava al pensiero che, una volta conclusa quella strana collaborazione, Leonardo sarebbe sparito come tutti gli altri e, allo stesso tempo, non voleva inseguire false illusioni. Forse, entrambi si stavano aggrappando a qualcosa che avrebbe potuto salvarli dal vuoto delle loro esistenze.
Ma Sabrina, non poteva negare che in quel piccolo regno dove si erano ritrovati tutti i santi giorni, fianco a fianco fino a tarda notte, incapaci di trovare una soluzione al loro progetto ma pur sempre entusiasti di discuterne insieme, si respirava un cambiamento.
In mezzo a loro, Il bacio di vetro era un punto fermo in quella deriva di sensazioni in cui sembravano naufragare senza possibilità di scampo. Quando Leonardo le si avvicinava per mostrarle la bozza di un disegno, lei si aggrappava alla statuetta per salvarsi dall’effetto che la presenza di lui suscitava nella sua mente. La prendeva ancora tra le mani, se la rigirava davanti agli occhi, fingendo di estraniarsi dalla realtà per concentrarsi sul progetto. Ma non voleva ammettere che, nelle ultime settimane, quando i suoi occhi si posavano sulla statuetta di Murano, la sua mente sovrapponeva i loro stessi volti a quelli delle figure di vetro. Sogni ad occhi aperti, visioni assurde a cui non voleva dar seguito.
Eppure, benché avessero conversato, discusso e litigato ogni singolo minuto di quelle interminabili serate d’inverno, non avevano concluso nulla. Il lavoro era rimasto incompleto, così come quello che stava nascendo fra loro non era altro che un sentimento indefinito e sospeso.
«Non ce la faremo mai…», si sfogò Sabrina, una sera d’inizio febbraio.
Inaspettatamente, Leonardo le appoggiò entrambe le mani sulle spalle. Lei era in piedi, dietro i vetri della finestra che si affacciava sulla laguna. Fuori, le gondole e le barche private scivolavano sull’acqua, sconvolgendo con le loro scie la tranquillità dei canali.
Sabrina percepì la stretta delle dita di lui attraverso il pesante maglione che la riparava dal freddo e, per un solo istante, chiuse gli occhi.
«Hai mai fallito?», gli domandò a bruciapelo.
«Sì… In Giappone.»
«Un progetto andato male?»
«Direi di sì. Il mio matrimonio… Mia moglie non amava quel paese, ma quando mi ha convinto a tornare a casa, abbiamo capito entrambi che in realtà era me che non amava più…», confessò lui, con voce rassegnata.
Sabrina spalancò gli occhi. Poi, imbarazzata da quella vicinanza, si scostò da un lato.
«Sarà meglio riposarci. Non riesco più a pensare lucidamente», disse lei, mentre Leonardo si appoggiava alla scrivania. Nei suoi occhi chiari si leggeva l’angoscia di quella rivelazione. Non doveva essere stato facile ammettere quella sconfitta. Una sconfitta di vita e d’amore.
«Hai ragione. Un po’ di riposo ci farà bene…»

Il giorno dopo s’incontrarono in Piazza San Marco. Seduti al tavolo di un caffè, iniziarono a discutere della campagna pubblicitaria. Era un pomeriggio sereno, il cielo d’un azzurro limpido e il sole che faceva capolino dal fondo della laguna. I turisti sfidavano il freddo e affollavano la piazza, invadendola di una babele di lingue e una moltitudine di volti stranieri.
Sabrina sorseggiava il suo caffè, senza decidersi a parlare. Leonardo era appoggiato allo schienale della sedia e osservava le bozze di alcune immagini e disegni che lei aveva buttato giù durante la notte. Lei si sentiva stanca, quasi svuotata. Era rimasta ore davanti al computer, con il programma di grafica in attesa che lei si decidesse a farsi venire un’idea decente. Ma niente. Un velo di nebbia era calato sulla sua creatività.
E Leonardo sembrò accorgersene subito.
«Manca qualcosa… Non so cosa, ma…»
«Energia?», lo anticipò lei.
«Sì, energia.»
Leonardo si sporse verso di lei. L’aspro aroma del suo dopobarba si mescolò all’odore salmastro che saliva dalla laguna.
«Credo che dovremmo agire diversamente…»
«Che vuoi dire?»
Leonardo tirò fuori dalla tasca del giaccone che indossava il cellulare e compose un numero a memoria. Si alzò dal tavolo, si allontanò fino ad un punto della piazza dove la voce dei turisti non l’avrebbe disturbato e Sabrina lo vide parlare animatamente con il suo interlocutore.
Quando tornò era di ottimo umore.
«Potrei sapere cosa stai tramando?»
«Dobbiamo prendere il traghetto. Assisteremo a qualcosa che ti farà sicuramente ritrovare l’ispirazione!», esclamò soddisfatto.
La afferrò per un polso e la costrinse ad abbandonare la sedia. Sabrina si lasciò guidare fino al punto d’attracco del traghetto.
«Oggi faremo una bella gita.»
«Ma dove stiamo andando?»
«Lo vedrai molto presto.»

Quando raggiunsero l’isola, Leonardo la condusse alla vetreria. Lì, nel retrobottega, il maestro vetraio li stava aspettando. Era un uomo anziano, che li accolse con un sorriso di benvenuto e un bastone tra le mani, alla cui sommità spuntava la bolla di vetro pronta per la trasformazione.
«Il maestro ti darà una dimostrazione della lavorazione delle sue creazioni. Ora, assisterai alla nascita di un altro bacio di vetro…», le disse Leonardo, spingendola delicatamente verso la piccola fornace dove il fuoco sembrava scalpitare in attesa del maestro.
Sabrina sentiva il calore che si sprigionava da quella bocca fiammeggiante, osservava stordita il profilo di Leonardo stagliarsi sullo sfondo di luce ardente e quando il maestro immerse il vetro tra le lingue di fuoco, trattenne il respiro, come se riuscisse a percepirne la forza generatrice.
Leonardo era lì, accanto a lei, con la mano che le stringeva il braccio, come se volesse condividere con lei l’emozione e l’energia che iniziava a scorrere nelle loro vene. Il sangue pareva incendiarsi, mentre Sabrina si abbandonava alle sensazioni che invadevano il suo corpo.
«L’amore è una creazione…», le sussurrò Leonardo, avvicinando le labbra al suo orecchio, mentre il maestro soffiava in quel misterioso bastone.
E così come il respiro di quell’uomo modellava il vetro, lo piegava a suo piacimento, ne sconvolgeva la forma e ne delineava i contorni, così il respiro di Leonardo a pochi centimetri dal suo volto, caldo e delicato, sembrava sconvolgere la foggia del suo cuore.
Man mano che il maestro mutava la sagoma del vetro, le dita di Leonardo si facevano sempre più forti, le stritolavano il braccio, come se volessero oltrepassare la stoffa del cappotto e raggiungere finalmente la sua carne, le sue ossa, il suo sangue. Tutto, tutto ciò che lei gli avrebbe donato senza riserve. Lui le sorrise, le circondò la vita con un braccio e rimase a fissarla dritta negli occhi.
Rimasero ipnotizzati, attoniti e sconvolti da quello che leggevano l’uno nello sguardo dell’altra.
Perché fu in quel momento, mentre luce e ombra danzavano sui loro volti turbati, che si resero conto di ciò che stava nascendo tra loro.
L’amore. Era quello che avevano cominciato a creare in quelle due settimane. Anche loro erano stati vetro nelle mani del destino. E ora era troppo tardi per salvarsi da quelle fiamme brucianti.

Uscirono all’aria aperta con il volto congestionato. Il calore che li aveva avvolti pochi istanti prima non sembrava volerli abbandonare. Rimasero in silenzio, rinchiusi nella consapevolezza che ogni parola avrebbe potuto spezzare l’incantesimo di quel momento. Leonardo teneva sottobraccio il pacco in cui il maestro aveva avvolto la copia del Bacio di vetro, un regalo per l’aiuto che loro gli avrebbero dato.
«Dobbiamo sbrigarci o perderemo il traghetto…» Leonardo fu il primo a parlare. Ma Sabrina si limitò ad annuire, accelerando il passo e staccandolo di qualche metro. Correva come il vento, incapace di stargli accanto com’era accaduto soltanto mezzora prima. La paura e la diffidenza la tenevano ancora incatenata alla prudenza.
Presero il traghetto e si ritrovarono nuovamente a Venezia. In lontananza, i raggi sanguigni del tramonto sgorgavano dal fondo della laguna. Continuarono a camminare senza dire una parola. Sabrina si stava dirigendo verso il suo monolocale, in uno dei palazzi che sorgevano dietro Piazza San Marco. Leonardo, senza chiederle il permesso, la affiancò in quel ritorno a casa. Proseguirono lungo le strette calli deserte, finché Sabrina non si fermò davanti ad un antico portone di legno massiccio.
«Questo è tuo…»
Leonardo le porse il pacco. Sabrina scosse la testa.
«Io ce l’ho già. In ufficio, non ricordi?»
«Ma quello dovrai restituirlo.»
«Oh, una copia non sarebbe la stessa cosa. Sarebbe come chiedere una copia dell’amore. L’amore si può creare una sola volta…»
Leonardo la fissò. Appoggiò il pacco ai loro piedi e quando si risollevò le prese il volto tra le mani. Sabrina si abbandonò al suo gesto e quando le loro labbra s’incontrarono, riuscì finalmente a capire la potenza generatrice del fuoco d’amore.
L’incandescente fusione del vetro, che plasmava, bruciava, dava vita con la sua forza vitale a quell’incontro indissolubile di labbra, corpi e mani che s’intrecciavano.

Quando Leonardo aprì gli occhi, Sabrina gli mise davanti un foglio. Lui sollevò la testa dal cuscino e rise.
«Non dirmi che non hai dormito?»
«Qualche minuto, forse…»
«Hai trovato l’ispirazione?»
«Direi di sì…», rispose lei baciandolo e impedendogli di vedere il foglio.
«Voglio vedere…»
Leonardo la stritolò tra le braccia e le rubò il foglio. Un’espressione seria e concentrata velò il suo sguardo.
«Che ne pensi?», domandò lei, stendendosi al suo fianco.
Sul foglio che Sabrina aveva stampato si stagliavano le figure di un uomo e di una donna, metà vetro e metà carne, avvolti in un cerchio di fuoco.
A coronare l’immagine della pubblicità, la scritta “L’amore è una creazione. Unica ed eterna.”
Leonardo rimase in silenzio. La guardò e la strinse al petto. Sapevano entrambi che la campagna di San Valentino sarebbe stata perfetta.

Il giorno della festa che aveva organizzato il proprietario della piccola vetreria di Murano, Sabrina non riuscì a trattenere l’eccitazione. La campagna pubblicitaria aveva attratto un numero inaspettato di visitatori. All’ingresso della vetreria era stata sistemata l’immagine creata dall’agenzia di Sabrina, ma nell’atmosfera soffusa di luci e vetri scintillanti, non c’era alcuna traccia del Bacio di vetro.
Sabrina, fasciata per l’occasione in un elegante abito di seta rossa, passò in rassegna le opere esposte nelle bacheche del negozio, sorpresa e preoccupata di quella misteriosa scomparsa. Leonardo aveva restituito entrambe le statuette, sia l’originale che la copia. Lanciò una rapida occhiata verso di lui, quasi irriconoscibile nel suo smoking nero, promettendosi di chiedergli dove fosse finito l’oggetto che li aveva accompagnati nel loro percorso d’amore.
Ma si lasciò distrarre dalla folla, dalle coppie d’innamorati che vagavano estasiati da vasi, lampadari, sculture e fiori di cristallo. Il maestro e il proprietario, raggianti per i risultati ottenuti, la trascinarono in mezzo ai clienti, presentandola come l’artefice di quel successo. Strinse mani, ascoltò complimenti, suggerì ad alcune giovani spose in viaggio di nozze qualche prezioso ricordo da custodire in valigia.
Quando la notte iniziò ad avvolgere l’isola, pian piano il negozio si svuotò e lei riuscì finalmente a raggiungere Leonardo. Gli appoggiò stancamente la testa su una spalla e lui le accarezzò i capelli sciolti sulle spalle.
«E’ stato un trionfo…», le mormorò, mentre lei faceva scivolare il suo braccio sotto quello di lui.
«Sì, ma ora vorrei solo tornare a casa. Non credi che sarebbe il momento di festeggiare San Valentino da soli? Io e te?»
«E’ un’idea che non mi dispiace affatto…» sorrise lui, «…ma prima dovrai sopportare un’ultima tortura…»
Sabrina non capiva a cosa alludesse. Leonardo la condusse nel retrobottega deserto. La fornace era spenta e il buio veniva smorzato dalla luce che proveniva dal negozio.
In quel momento, Sabrina si ricordò del Bacio di vetro.
«Ora che siamo qui, non posso fare a meno di ricordare il Bacio di vetro…», disse, mentre Leonardo apriva un piccolo armadio a muro nell’angolo più distante dello stanzone. «Mi sono chiesta che fine abbia fatto.»
«Oh, beh… La copia è stata venduta. Uno dei miei turisti giapponesi l’ha regalata a sua moglie…»
«Sono felice. Ma…»
«Stai pensando all’originale, non è vero?»
«Già…»
Leonardo la raggiunse nuovamente. Teneva fra le mani un pacco avvolto in una carta d’un tenue color corallo.
«Ma che cos’è?» domandò lei, incuriosita.
«Il tuo regalo di San Valentino.»
Sabrina prese il pacco tra le mani tremanti. Strappò con decisione la carta e lo aprì.
Davanti a lei, comparve Il Bacio di vetro.
Trattenne il respiro. Leonardo le accarezzò il volto e si chinò a sfiorarle le labbra.
In quell’istante, Sabrina ebbe l’impressione che dall’oscura bocca della fornace spenta si sprigionasse il calore di una fiamma invisibile. Un fuoco che avvolgeva i loro corpi. Corpi avvinghiati in un abbraccio d’amore. Un amore fragile e forte allo stesso tempo. Un amore, il loro, metà vetro e metà carne.


FINE

CHI E' L'AUTRICE

VIVIANA DE CECCO : Sono nata a Cagliari nel 1984. Di padre friulano, ho trascorso le estati d’infanzia e d’adolescenza viaggiando per l’Italia e i paesi Europei. Nel 2006 mi sono laureata in Lingue e Culture Europee, specializzandomi nel 2009 in Traduzione Letteraria proprio per conciliare l’immensa passione per la letteratura e la comunicazione. Sono stata insegnante di scuola superiore per due anni e ora mi dedico alle traduzioni come freelance. Ho cominciato a scrivere fin da ragazza, quando, nei lontani anni Novanta, mi regalarono una magnifica Olivetti. Da allora, sogno di diventare scrittrice.  Trovando il coraggio di partecipare a diversi concorsi, nel 2013 ho avuto la fortuna di essere selezionata per la pubblicazione di tre poesie nel Volume “500 Poeti Dispersi” de La Lettera Scarlatta Editore, La stanza vuota nel volume “L’arte in versi” (Tracce per la meta Edizioni) e il racconto "Il filo invisibile" degli incontri in versione ebook (Racconti 23 - Edizioni Pagine). Nel 2012, terza al concorso di Narrativa Gialla Grand Hotel, ho pubblicato sulla rivista il racconto "Il cimitero delle bambole". Nel 2011 sono apparsi i racconti "La città nascosta" nell’antologia “La Biblioteca d’Oro” e Il miracolo di mezzanotte nel volume “Emozioni in Bianco e Nero” (Edizioni Del Poggio). Nel 2008 e nel 2009 ho pubblicato la raccolta di racconti "Il labirinto di pietra" (La Riflessione Editore).  Partecipare al blog romantico è un modo per confrontarmi con lettrici e scrittrici che hanno le mie stesse passioni, sperando di regalare nei giorni di festa un sorriso e un’emozione.

IL SITO DI VIVIANA DE CECCO:

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5 commenti:

  1. Originale l'ambientazione, i protagonisti che da disillusi ritrovano nuovo vigore e la giusta ispirazione per la loro vita nell'impegno creativo comune. Ma il racconto è troppo breve, manca una parte importante del vissuto di entrambi ed il motivo vero per cui scatta l'attrazione, i cui elementi rimangono evanescenti, inespressi. Milena

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Milena per il tuo commento... In effetti se il racconto fosse stato più lungo forse avrebbe potuto far affezionare di più ai personaggi e far comprendere meglio la storia . A volte scrivo poco per paura di annoiare! Un saluto

      Elimina
  2. BELLO ed emozionante.Scritto bene.Anche un racconto breve ti fà provare emozioni.CIAO

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio Paola, mi fa piacere che ti abbia emozionato... L'ho scritto col cuore perché adoro Venezia... la città più romantica d'Italia! Ciao!

      Elimina
  3. Ambientazione molto originale. Nn mi è sembrato troppo corto, nel senso che io l'ho inteso come una specie di flash su un momento particolare della vita di qs due persone, il prima, tutto sommato, nn è così importante, almeno in qs caso e il dopo lo si immagina luminoso. È molto descrittivo, ecco forse avrei preferito più dialoghi che diradassero un po' la malinconia dei personaggi. Sono sicura che Sabrina e Leonardo abbiano davanti molti San Valentino da trascorrere insieme.

    RispondiElimina

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