Non fa freddo, cercò
di convincersi Silvia. Sfregò le mani coperte dai guanti di lana e infossò la
testa nelle spalle. Capì presto che non c’era molto che potesse fare per
riscaldarsi in quella gelida mattina all’aeroporto di Londra.
Aveva
consultato più volte il meteo e, nei giorni precedenti, aveva saccheggiato i
negozi di Roma alla ricerca del berretto più pesante e dei maglioni più
confortevoli.
Il
clima rigido non l’aveva colta di sorpresa, l’incapacità del cappotto di
tenerla al caldo invece sì. Avrebbe dovuto indossare un maglione in più, ne era
certa.
Basta piagnucolare!, si
rimproverò. Era lì per un motivo e nulla l’avrebbe fermata, né quel dannato
freddo né i suoi limiti linguistici.
Da
amante del proprio Paese, Silvia aveva sempre difeso la propria ignoranza,
asserendo che non avrebbe mai abbandonato l’Italia.
Beh,
era stata decisamente precipitosa e, a dirla tutta, anche stupida. Ma era così
che andavano le cose tra lei e Andrea, ammise. Doveva sempre trovare un modo
per contraddirlo, sfidarlo. Imporsi di non imparare l’inglese era stato uno di
quei dispetti meschini e banali che aveva trovato per non essere d’accordo con
lui, che alla fine aveva fatto la scelta più giusta per se stesso.
Sospirò
e il fiato le si condensò in una nuvoletta di fumo, mentre ancora una volta i
ricordi la ghermirono.
«Non lo so» ammise il ragazzo. Si alzò
dalla sedia e spense lo schermo del computer.
«Vorrei viaggiare» dichiarò, lo sguardo
sognante e malinconico insieme. «Sai, imparare una lingua nuova, vedere posti
diversi» spiegò sedendosi sul letto accanto a lei. Silvia si spostò per fargli
posto.
«Mi lascerai» mormorò, delusa.
«Perché non vieni con me?» le propose
Andrea, stendendosi e mettendosi su un fianco. Ora si guardavano negli occhi.
Passavano ore a chiacchierare su quel letto, sottraendo tempo allo studio che
poi recuperavano entrando alla seconda ora almeno una mattina a settimana.
«Non me ne andrò mai da qui» dichiarò
Silvia, irritata. Non voleva che il suo migliore amico se ne andasse. Se le
voleva bene, sarebbe rimasto.
«Perché?» le chiese, con l’espressione
paziente che odiava tanto. Sì, la odiava perché anche quando Andrea era deluso
e arrabbiato pensava sempre a lei, a darle il tempo di ragionare e spiegarsi.
Dio, la faceva sentire così egoista!
«Cosa può offrirmi un’altra città che non
abbia già qui? Roma è la culla della civiltà!» affermò cercando di trattenere
l’acredine ed essere convincente. Sapeva che sarebbe andato via, lo sentiva.
Andrea scoppiò a ridere. «In che secolo sei
nata?»
«In uno in cui la parola patria significa qualcosa» sbottò.
«Pensi che per me non abbia alcun valore?»
chiese lui, oltraggiato. Silvia non si lasciò ingannare e gli diede un
pizzicotto sul fianco. «Non fare quella faccia offesa con me, non funziona».
«Però il solletico sì, vero streghetta?» le
intimò con un sorriso minaccioso, prima di buttarsi su di lei.
Silvia provò a divincolarsi, ridendo e
urlando come una bambina. La presa di Andrea era forte e non aveva alcuna
possibilità di scampo.
Iniziò a scalciare per liberarsi, ma presto
le sue proteste divennero deboli. Era così bello mentre rideva, aveva un
sorriso aperto e genuino e liquidi occhi scuri. Andrea meritava di ridere
sempre, decise.
«Se te ne vai non potrai più farmi il
solletico» sussurrò appena le diede tregua e riuscì a respirare normalmente.
«Non ho detto che me ne andrò» la rassicurò
tornando serio. A pochi centimetri dal suo viso, la guardò con un’espressione
strana, attenta.
«Io voglio che tu sia felice» si
arrese Silvia.
«Non ho bisogno di cambiare città per
esserlo» replicò lui.
La ragazza non ebbe il coraggio di
chiedergli di cosa avesse bisogno. Abbassò lo sguardo per non guardare il volto
dolce del suo più caro amico e appoggiò la guancia sul suo petto.
«Dovremmo studiare» gli ricordò per
cambiare discorso.
Andrea la strinse tra le sue enormi
braccia. «Lo so. Possiamo farlo più tardi».
Non
sembrava importagliene aver accantonato i suoi sogni, ma poi avevano litigato e
la ragazza aveva capito cosa intendesse l’amico quando aveva affermato che non
doveva cambiare città per essere felice.
Doveva
ammettere che anche in quel caso il comportamento di Andrea era stato
impeccabile. Per non farla sentire in colpa, aveva aspettato qualche mese per
prendere quel maledetto aereo e andarsene. Fino a quella mattina all’aeroporto
di Fiumicino era stato lo stesso ragazzo che aveva conosciuto a quattordici
anni: allegro, affettuoso e dalla battuta pronta.
Era lei
ad essere cambiata, anche se non abbastanza in fretta. Sperò che non fosse
troppo tardi.
Anche se è tardi devo provarci lo stesso, si
disse.
Doveva
provarci o si sarebbe odiata per il resto della vita. Ecco perché aveva preso
l’aereo per la prima volta e, dizionario e frasario alla mano, aveva stilato
una lista di domande comuni per muoversi in quella città straniera.
Lasciò
il terminal con le spalle più dritte e con la volontà rafforzata, scacciando
quelle immagini dalla sua testa.
I
ricordi erano stati i suoi più agguerriti nemici in quei cinque mesi. La
sorprendevano nei momenti più impensabili.
Oggetti,
frasi e comportamenti sconosciuti assumevano per lei significati inediti e
profondi. E così capitava che una tazza si trasformasse in ottime colazioni
consumate al bar della scuola con Andrea, o che un sorriso tenero la mettesse
in ginocchio.
In
principio si era chiesta se erano le abitudini a mancarle. Le domande sul
perché sentisse il cuore pesante ogni volta che pensava a lui, perché si
ritrovasse con gli occhi lucidi e lo stomaco annodato, però, si erano risolte
con una semplice risposta.
La
rivelazione non era piovuta sul suo capo con una luce celestiale e le campane
che suonavano a festa.
C’erano
volute notti insonni trascorse a guardare le loro foto sullo schermo illuminato
del computer, pomeriggi rubati a casa di Andrea per muoversi tra le sue cose,
per farle capire che lo amava nello stesso modo in cui lui aveva amato lei, con
quella passione che il ragazzo aveva nascosto e trattenuto per rispetto e
insicurezza.
Oh,
quanto si era arrabbiata! Se lui fosse stato più convincente, più audace, le
cose sarebbero state diverse. Ma non era da Andrea imporsi.
Il
ragazzo era un eroe dalla forza pacata, dall’animo nobile e dotato di un grande
spirito di sacrificio. Non l’avrebbe mai forzata, ecco perché aveva rinunciato
a gesti affettuosi ritraendosi precipitosamente e aveva nascosto parole piene
d’ardore dietro sorrisi ironici.
I segni
dell’innamoramento c’erano sempre stati, la pienezza dell’amore si era rivelata
in ogni scelta. Silvia non aveva voluto capire, non c’era altra spiegazione.
Trascinò il grande trolley con qualche
difficoltà. I guanti di lana scivolavano sul manico, la sciarpa arrotolata
intorno al collo svolazzava colpendole il viso e impedendole la vista.
Conquistò l’uscita dell’aeroporto di
Heathrow con il fiatone e la benevola sensazione che non facesse più tanto
freddo.
Si guardò intorno alla ricerca delle
Black cabs, come le chiamava la guida che impugnava nella mano sinistra, insieme
al prezioso biglietto su cui aveva scritto cosa dire al tassista.
Alla sua destra, la fila di taxi
sembrava attenderla come un corteo funebre. Il colore nero delle
caratteristiche automobili non le auspicava il meglio, le facce seriose degli
autisti sembravano giudicarla mentre si avvicinava in modo sgraziato e
scoordinato.
Non
lasciarti suggestionare, si
ripeté.
Sin da quando sua madre l’aveva
lasciata, qualche ora prima, all’aeroporto di Fiumicino, aveva combattuto contro la convinzione che il
destino le mandasse segnali infausti.
Benché si fosse mostrata sicura di
riuscire nella sua impresa, se la stava facendo sotto e ogni minimo ritardo,
ogni passaggio incerto, aveva assunto nella sua testa le proporzioni di un
disastro epico.
Respirò a fondo e, togliendosi i
capelli chiari dal viso, lesse la frase evidenziata in rosa.
«Hallo! I need to go to…»
La voce
si spense mentre cercava di leggere a un annoiato tassista l’indirizzo di
Andrea.
Il vero
motivo per cui non aveva imparato l’inglese si rivelò, facendola arrossire.
Silvia odiava sbagliare e l’idea di pronunciare le parole in modo errato
l’aveva sempre trattenuta dal farlo.
Con le
guance paonazze tese il foglietto all’uomo. «Here» sussurrò con la voce carica
di imbarazzo, indicando le parole che non aveva preparato abbastanza da
proferire.
L’autista non scoppiò a ridere, così
mentre l’uomo metteva il trolley nel bagagliaio, Silvia poté sedersi e
rilassarsi.
Le ruote dell’auto macinarono
chilometri di asfalto, attraversando la città di Londra avvolta in un pallido
grigiore e puntellata qui e lì dalle luci ancora tenui degli addobbi natalizi.
La giovane seguì con un dito puntato
sulla mappa l’itinerario che l’uomo stava percorrendo. Eccitata come una
bambina, tirò fuori dallo zainetto un evidenziatore, pronta a segnare luoghi di
interesse con la speranza di poterli visitare presto con Andrea.
Perse un paio di volte il segno ma,
troppo imbarazzata per fare domande, si concentrò ancor di più sporgendosi tra i due sedili, con la mappa
ingombrante sotto il naso.
Il divertente passatempo la distrasse
abbastanza da non farle pensare a quello che avrebbe fatto nel pomeriggio. Non
aveva mai trascorso la vigilia lontano da casa e trovarsi da sola a Londra la
atterriva.
La vigilia di Natale era sempre stato
un giorno di gran fermento per lei. Si lanciava tra negozi e mercatini pronta
ad acquistare gli ultimi regali e sentire i profumi del Natale.
Roma ospitava un mix di fragranze
unico: inverno, zolfo e caldarroste.
Tempo prima, quando l’aveva detto ad
Andrea, il ragazzo era scoppiato a ridere.
Lei per tutta risposta l’aveva
trascinato per le strade della Capitale, mostrandogli i ragazzini che
esplodevano i botti sin dall’inizio di dicembre, troppo ansiosi per aspettare
la notte di San Silvestro, e i venditori ambulanti che rifilavano castagne
arrostite sul fuoco. Non l’aveva più presa in giro.
Tuttavia, si era sempre rifiutata di
rivelare che profumo avesse per lei
l’inverno.
Brina, smog cittadino e Calvin Klein,
il profumo che gli regalava ogni 25 dicembre sin dal primo liceo.
Un sospiro triste le sfuggì dalle
labbra. Questa volta non ci sarebbero state passeggiate e shopping. Avrebbe
aspettato che lui rientrasse dal lavoro, cercando di non procurare danni
irreparabili alle unghie già corte.
Arrivarono a Camden Town troppo presto
per il cuore di Silvia, che sopportava malvolentieri il ritmo frenetico assunto quando la
palazzina in cui abitava il suo amico era comparsa alla vista.
Monica, la sorella gemella del ragazzo,
le aveva fornito le foto dell’edificio insieme al doppione delle chiavi che ora
impugnava.
«Presentati
come la sua fidanzata italiana» disse Monica facendo spallucce.
Silvia
la guardò dubbiosa. «Sai come sono gli inglesi. No mi crederanno» piagnucolò.
La
ragazza roteò gli occhi, esasperata. « Io so come sono, dal momento che ci sono
stata a Londra. Tu vedi troppi film».
In
effetti, l’amica non aveva tutti i torti. Le più grandi armi di Silvia erano i
libri, internet e Wikipedia, modi piuttosto veloci per costruirsi preconcetti e
fuggire dalla realtà.
«Tanto
non capirò nemmeno le loro domande. Spero di riuscire a chiamarti dalla
prigione».
La
risata argentina di Monica non le fu di aiuto. «La nostra secchiona arrestata a
Londra. Sarebbe un regalo di Natale meraviglioso».
Silvia
fece una smorfia. Come il fratello, la giovane aveva spirito e simpatia, ma
decisamente meno sensibilità. «Non prendermi in giro. Sono terrorizzata»
ammise.
Monica
si alzò dal suo pouf rosa shocking e le si avvicinò. Le mise le mani sulle
spalle e la fissò negli occhi. «Andrai a prenderti il mio fratellino e non
fallirai. Ci siamo capite?» le ingiunse, seria.
«È
partito. È andato via perché non mi
vuole più».
L’amica
scosse la testa e respirò a fondo. La pazienza non era una sua peculiare
qualità.
«Ha
perso la speranza, questo non vuol dire che abbia scordato quasi sei anni di
amore non corrisposto».
Silvia
arrossì fino alla radice dei capelli, un rossore fatto di imbarazzo e vergogna.
«Sono
stata così stupida».
«Sottoscrivo»
dichiarò l’amica con un lampo divertito nei grandi occhi neri, uguali a quelli
del fratello. Si allontanò e si sedette sul letto di fronte al suo. «Ora prendi
le chiavi, compra il biglietto e porta quel culo rinsecchito a Londra» le
ordinò lanciandole il mazzo di chiavi. Lei le afferrò al volo e le osservò con
il cuore in tumulto. Avrebbe raccolto il coraggio, ce l’avrebbe fatta. «Il mio
culo non è rinsecchito» affermò atteggiando un’espressione risentita.
«Il
tuo pezzo forte sono le tette» concesse l’altra ragazza con una punta
d’invidia. «O almeno così diceva Andrea».
Silvia
afferrò un pupazzo e glielo lanciò, tossicchiando dall’imbarazzo.
«Ehi,
potevi farmi male. Non vuoi togliere di mezzo la tua cognatina, vero?»
Le
labbra di Silvia si aprirono in un sorriso riconoscente. «Grazie. Senza di te
non ce la farei» ammise sincera. Monica si era dimostrata un’alleata preziosa.
«Sei
stata fortunata che le avessi. La vecchia Monica, quando l’ha accompagnato a
Londra, ha deciso che voleva farsi altri viaggetti a scrocco del fratellino.
Fai in modo che la sua lungimiranza non vada sprecata, okay?»
«Da
quando parli di te stessa in terza persona?» le chiese, scoppiando a ridere.
«Da
quando sono diventata la fottuta fata madrina. Mi merito un po’ di prosopopea,
cazzo!»
Silvia pagò il taxi e si arrampicò per
tre piani. Con il battito accelerato e il fiatone, inserì la chiave nella toppa
e fece scattare la serratura.
La mano tremò sulla maniglia, le gambe
minacciarono di non sostenere il suo peso.
Era abbastanza sicura che non ci fosse
nessun mostro acquattato nell’appartamento, ma cosa dire dei fantasmi dei loro
ricordi?
Respirò a fondo e spinse la porta.
Bastò uno sguardo al piccolo loft perché la sua mente fosse assalita da
immagini di Andrea.
Il piccolo monolocale aveva cucina,
soggiorno e camera da letto in un’unica grande stanza.
Coperte e lenzuola erano ammassate ai
piedi del letto; sul piccolo tavolo, una tazza era abbandonata accanto a un
pacco di cereali.
Si era svegliato di soprassalto quella
mattina, ragionò. Forse la sveglia non aveva funzionato e la fretta l’aveva
indotto ad abbandonare la consueta precisione.
Riusciva quasi a vederlo mentre
scalciava le lenzuola e correva per il piccolo appartamento, rovesciando la
sedia accanto al comodino e lanciando il pigiama disordinatamente sulla
spalliera del letto.
Si accorse di sorridere nello stesso
momento in cui una lacrima calda le rigò una guancia. Sentiva così tanto la sua
mancanza da non riuscire quasi più a percepire il dolore alla bocca dello
stomaco, il senso di oppressione al petto che accompagnava lunghi sospiri
malinconici.
Sfilò i guanti lentamente e, con la
mano calda e sudaticcia, scacciò via quella lacrima solitaria, decisa a non
versarne altre prima che lui arrivasse.
Sbatté l’uscio con più forza del
necessario, quindi si tolse sciarpa, cappello e cappotto e fece l’unica cosa
che le sembrava sensata: rimettere in ordine la casa.
Quando guardò l’orologio erano già
passate un paio d’ore. Maledisse le dimensioni ridotte dell’appartamento, che
le impedivano di continuare in quella mansione salvifica.
Chi l’avrebbe mai detto che spazzare e
lavare l’avrebbero distratta tanto?
Purtroppo erano le due del pomeriggio e
mancavano ancora cinque ore al rientro di Andrea.
Camminò avanti e indietro per la casa
cercando qualcosa da fare. Mangiare era escluso, il frigo era vuoto e il suo
stomaco così chiuso che non sarebbe passato nemmeno un sorso d’acqua.
Posso
disfare la valigia, considerò,
poi scosse la testa. C’era il rischio che la mandasse via l’indomani e Silvia
non voleva subire l’umiliazione di riporre i propri vestiti davanti agli occhi
scuri dell’amico.
Si morse un labbro mentre il piede
martellava il pavimento insistentemente. Gli occhi saettarono a destra e a
manca, alla ricerca di granelli di polvere inesistenti, quando si fermarono
sullo spoglio alberello di Natale.
Con il giubbotto abbottonato fino al
mento e il cappello calato sulla fronte, si ritrovò in strada prima che potesse
pensare a ciò che stava facendo.
Camden era famosa per i suoi mercatini
e lei era decisa a trasformare quel buco spoglio in un appartamento pieno di
colori.
Strinse la mappa e, mandando a quel
paese le sue manie, iniziò a fare domande.
«How do I get to Camden Market?» chiese a una simpatica
vecchietta vestita di rosa da capo a piedi. La donna diede segno di aver capito
e Silvia esultò. Aveva letto bene!
Quando la donna rispose, la sicurezza appena
acquisita si sciolse come neve al sole. «Left?» ripeté, alzando la mano destra
per essere sicura di aver capito bene.
«Nope!» esclamò l’anziana, prendendole la sinistra.
Silvia arrossì violentemente e la signora la prese sottobraccio.
Incapace di dar voce alle sue proteste, si fece
trascinare dalla donna e improvvisamente si ritrovò nel posto più colorato che avesse
mai visto. E con colori intendeva almeno un paio di arcobaleni sconosciuti
all’uomo, perché era certa che alcune delle tonalità che stava guardando non
avessero niente di terrestre.
Spalancò la bocca dinanzi alla magnificenza del
luogo, alla folla che sembrava muoversi in una danza sinuosa e alla musica che
risuonava nel labirinto intricato formato dalle bancarelle. Nuove fragranze
speziate le colpirono le narici: incenso, cibi esotici e vino caldo.
Il sovraccarico sensoriale fu tale che rimase paralizzata.
Le gambe non collaborarono, le proteste della signora si persero nel brusio
festoso che la circondava.
«È bellissimo» sussurrò ammirata. Era un fottuto
spettacolo.
E pensavi che
Roma bastasse, la rimproverò una
vocina nella sua testa.
«Miss Silvia, are you ok?»
Silvia si
riscosse e guardò la donnetta appesa al suo braccio sbattendo le palpebre.
«Eh?» sbottò,
poi capendo la domanda si affrettò a rispondere. «Oh, yes. Thank you very much!» la congedò,
aggiungendo al ringraziamento un caldo sorriso.
La vecchietta le batté una mano sul
braccio e le augurò buon Natale, prima di allontanarsi.
Risate, piccoli screzi tra acquirenti e
venditori sul prezzo migliore, fecero da sfondo alla sua passeggiata. La
meraviglia lasciò presto il passo alla curiosità e la ragazza si lanciò nello
sport preferito dalle sue coetanee: sperperare i propri risparmi.
Una sciarpa colorata, candele
profumate, ghirlande e soprammobili natalizi si accumularono in borse e
pacchetti.
Comprò regali per i suoi genitori,
souvenir e senza rendersene conto iniziò ad arredare casa di Andrea. Come
resistere a una lampada fluorescente? E quel quadro del TARDIS non era un
gioiellino? Il salvadanaio a forma di cabina telefonica inglese non poteva
mancare e la stampa della Regina Elisabetta doveva essere assolutamente sua!
Non si accorse nemmeno che la mappa era
finita in una tasca e che si stava esprimendo nel linguaggio universale dei
turisti, con gesti e sorrisi.
Comprò qualche lucina da mettere sulle
porte e, quando il portafoglio divenne sospettosamente leggero, decise di
prendere la caratteristica patata ripiena cotta alla brace (lo shopping metteva
fame!) e battere in ritirata.
Il cielo era già scuro e aveva solo un
paio d’ore per addobbare l’appartamento. Arrivò presto alla palazzine ma, prima
di entrare, si concesse il classico tè inglese al bar di fronte.
Silvia
sollevò gli occhi al cielo. «Scherzi, vero?».
Il
ragazzo scoppiò a ridere, passandole la tazza di tè con la canonica fetta di
limone.
«Grazie»
borbottò, guardandolo di traverso.
«Allora,
cosa ne è stato del tuo appuntamento?» indagò Andrea, mentre asciugava alcuni
bicchieri.
«Mi
stavo annoiando e gli ho chiesto di accompagnarmi da te» rispose, soffiando
sulla tazza per non bruciarsi.
«Hai
chiesto al tuo ragazzo di lasciarti qui?» ripeté incredulo.
«Volevo
vederti» ammise Silvia, facendo spallucce.
Gli
occhi di Andrea brillarono alla luce dei faretti del bar in cui lavorava. La
ragazza interpretò la sua espressione come un segnale che fosse felice di
rivederla. Erano quasi cinque giorni che non si incontravano. Disdicevole!
«Quando
smonti?» chiese, tra un sorso e l’altro.
«Tra
venti minuti» mormorò lui.
Silvia
ebbe la sensazione che il suo migliore amico fosse distratto, ma non disse una
parola e si dedicò al suo tè.
«Non
perdere tempo» gli ingiunse solamente. Il ragazzo annuì e ritornò al suo lavoro
con una cipiglio crucciato.
Silvia
lo guardò muoversi tra i tavolini del bar, pulire e alzare le sedie. Un sorriso
acido le si dipinse sul volto pensando a tutte le ragazze che sbavavano dietro
al suo amico. Un cameriere alto e bello era un premio da pausa pranzo non
indifferente per le clienti.
A
quattordici anni era stato goffo e allampanato, da adulto il suo metro e
novanta e le spalle larghe facevano tutto un altro effetto, considerò,
censurandosi un istante dopo.
«Finito?»
chiese impaziente, quando il ragazzo uscì dal retro con il cappotto e una borsa
a tracolla.
«Per
stasera sì» confermò Andrea porgendole il braccio, un gesto cavalleresco che
anni prima la faceva ridere. Si aggrappò al lui
e uscirono dal locale.
«Ti
accompagno a casa?» le chiese.
Silvia
scosse la testa, voleva passare un po’ di tempo con lui.
«Che
ne dici se vediamo un film? Oppure mangiamo qualcosa, ti va?» propose.
«Ogni
suo desiderio è…»
Gli
diede uno schiaffetto bloccando le sue parole. «Non prendermi in giro».
«Non
lo sto facendo». E in effetti era serissimo.
Silvia
lo guardò con apprensione. «Non mi piace quell’espressione» gli disse.
«Dobbiamo
mentire ancora? Facciamo finta di niente come al solito?»
La
ragazza si fermò e gli si mise davanti. «Andrea… che stai dicendo?» gli chiese
allarmata. L’amico sembrava esasperato e…stanco.
«È
sabato sera, tu hai un ragazzo e lo scarichi per venire da me» riassunse.
Silvia non capì dove volesse arrivare e gli rispose avventatamente. «Volevo
passare del tempo con te, testone. Con il mio migliore amico».
Andrea
strinse gli occhi, una smorfia sofferente dipinta sul bel viso.
«Quanti
altri ragazzi scaricherai prima di capire che il motivo per cui lo fai sono
io?»
Silvia
arrossì. «Non trovo quello giusto» si giustificò, fuggendo il suo sguardo.
L’amico
la afferrò per le spalle e la scosse leggermente. «Cazzate! Se solo fossi meno
cieca!» ringhiò, poi si allontanò come se toccarla gli facesse male.
Silvia
finalmente capì cosa intendesse e, presa alla sprovvista da sentimenti
contrastanti, si arrabbiò. «Non puoi dire sul serio» sibilò.
«E
tu non puoi non renderti conto di ciò che sento!»
La
giovane aprì la bocca e la richiuse un paio di volte, senza sapere cosa dire.
«È
così che stanno le cose? Fingi di essermi amico e aspetti il momento giusto per
portarmi a letto?» urlò, incurante che si trovassero per strada e che nella
notte si sentissero solo le loro voci.
Andrea
arretrò di qualche passo, l’espressione stravolta di chi ha appena ricevuto uno
schiaffo o è stato pugnalato in pieno petto.
Silvia
si coprì la bocca con mani tremanti, ma era troppo tardi. Osservò il cuore
spezzarsi in quegli occhi neri e capì che non l’aveva solo ferito, l’aveva
appena tradito.
«Non
lo penso davvero» mormorò. Provò ad avvicinarsi, ma Andrea fece un passo
indietro. Benché lo meritasse, le fece male.
«Mi
dispiace» sussurrò, abbassando il volto per nascondere le lacrime che non aveva
il diritto di versare.
«Io
sono tuo amico» scandì Andrea, con un tono che non gli aveva mai sentito.
Furente e disperato. «Sono sempre stato sincero e leale». La voce gli tremava.
Lo sforzo che faceva per trattenersi dallo spaccare qualcosa era visibile nella
mascella indurita e nelle mani strette a pugno.
«Mi
sono illuso che…» la voce gli si spezzò e a Silvia sfuggì un singhiozzo. «Non
ho mai agito con lo scopo di stare con te, ho aspettato solo che ti accorgessi
di me. Ti ho dato tutto ciò che volevi, anche quando mi spezzava il cuore, anche
quando era tra le braccia di un altro che te ne andavi».
La
vergogna bruciò come acido nelle vene di Silvia, si diffuse nel suo petto e
quasi la mise in ginocchio. Che diavolo aveva fatto? Come aveva potuto dirgli
certe cose?
«Puoi
perdonarmi?» lo implorò, la voce fragile come una foglia in autunno.
«Lo
farò perché per me tu sei importante a prescindere dal rapporto che abbiamo»
disse dopo un po’. «Non posso fartene una colpa se non corrispondi i miei
sentimenti, ma non osare mai più mettere in dubbio la mia onestà. Potrei non
trovare la forza di concederti un perdono che non meriti».
Aprì
la macchina con il telecomando e andò al lato del guidatore. «Sali. Ti
accompagno a casa».
Silvia
obbedì, senza dire una parola, senza emettere un suono.
Quando
entrò nella sua cameretta soffocò un urlo nel cuscino e pianse. Tutta la notte.
Prese il tè con il latte, poi volò per
le scale e iniziò a decorare la casa.
Appese ghirlande, i telai delle finestre furono corredati di lucine
colorate, i soprammobili si ammassarono sulla libreria, sui comodini e sul piano cottura, le calamite
finirono al loro posto sul frigo.
Stava appendendo delle palline di vetro
all’alberello, quando sentì il rumore di una chiave che si infilava nella
serratura.
Si voltò verso la porta, con una stella
in una mano e un angioletto nell’altra.
Il cuore perse un battito quando
incontrò gli occhi di Andrea, poi impazzì. Poteva sentirlo martellare nelle
orecchie, il sangue era un fiume in piena nelle sue vene.
La felicità spazzò via la paura, lo
stomaco si riempì di farfalle svolazzanti e il viso arrossì di piacere mentre
lo divorava con gli occhi, appuntandosi ogni particolare del volto amato.
Fissò gli enormi occhi neri, l’ombra di
barba che gli copriva le guance, le labbra morbide e dischiuse per lo stupore.
Avrebbe voluto alzarsi e abbracciarlo, toccarlo per sincerarsi che fosse vero.
Baciarlo.
I secondi divennero minuti e poi ore
mentre lo guardava come se lo vedesse per la prima volta. Il viso era lo stesso
di sempre e allo stesso tempo sconosciuto.
L’amore rendeva ogni particolare prima
insignificante, caro e desiderabile. Amò la cicatrice sotto al labbro, il
taglio al sopracciglio, il naso rotto; desiderò affondare le dita nelle onde
scure dei suoi capelli, strofinare il naso contro il suo collo per saggiarne il
profumo.
Dio, le sembrava di aver appena
scoperto il sole, la luce e il calore.
Appoggiò le mani tremanti in grembo e
gli sorrise dolcemente, trattenendo le lacrime.
«Che ci fai qui?»
«Ciao» lo salutò allegramente,
fingendosi disinvolta. «Sto facendo l’albero» trillò.
Andrea chiuse la porta, voltandole le
spalle. Silvia notò un certo impaccio nei suoi movimenti, ma fece finta di
niente. Quando tornò a guardarla, la sua espressione era impenetrabile e la
ragazza si sentì a disagio.
La confusione si dipinse sul volto del
ragazzo, gli occhi si ammantarono di turbamento.
La vulnerabilità che il suo amico
mostrava le rese difficile ingoiare il cuore e fingersi serena. Solo la volontà
di andarci piano e non rovinare tutto la trattenne dal compiere un gesto
impulsivo.
«La stella» approvò Andrea,
frastornato.
«Lo pensavo anche io» sorrise la
giovane, appendendo l’addobbo. «Spero che in quella busta ci sia la nostra
cena. Il frigo è vuoto e non ho fatto la spesa».
Il ragazzo fece un passo avanti, ma poi
si bloccò, come se avesse paura di svegliarsi. Se da un sogno o da un incubo,
Silvia non sapeva dirlo.
«Ho arredato casa mentre eri al
lavoro».
«Lo vedo».
«Spero ti piaccia» gli disse, non
accennando ad alzarsi dalla sua postazione sul pavimento. «Forse ho un po’
esagerato con gli addobbi» si scusò, mentre Andrea si guardava intorno,
incredulo. «Volevo trattenermi, ma poi mi sono detta: “Ehi, è Natale e sei a
Londra. Quando ti ricapita?”».
«Li hai acquistati qui?»
«Oh sì, Camden è meravigliosa» si
eccitò. «C’è proprio di tutto, sai? Non sapevo nemmeno esistessero tante
cianfrusaglie» gorgheggiò.
Andrea non sorrise. Si diresse verso il
tavolo e appoggiò la busta, lasciò cadere il borsone su una sedia e si aggrappò
alla spalliera con forza.
Silvia osservò la sua schiena ampia, le
spalle tese, cercando di capire cosa stesse pensando. Sembrava così lontano,
così perso e lei era troppo codarda per iniziare a comportarsi da personcina
seria. Non sapeva come approcciarsi a lui, cosa dirgli.
Le parole che aveva preparato non
sarebbero servite a nulla, si rese conto.
Andrea le aveva sempre rimproverato di
perdersi in un labirinto di frasi senza senso quando era nervosa, e Silvia non
riusciva a ricordare un altro momento in cui fosse stata tanto agitata.
Aveva i palmi delle mani sudati e una
grave aritmia cardiaca che era certa l’avrebbe portata a un collasso da un
momento all’altro.
Potrebbe
essere una soluzione.
Subito zittì quel pensiero. Purtroppo
non era una di quelle donne soggette a mancamenti.
Si arrovellò il cervello per trovare
una via d’uscita da quell’impasse, ma non ci riuscì.
Continua
la parte dell’ochetta svampita, prima o poi reagirà, si disse.
«Gli inglesi cosa fanno a Natale?»
«Vanno a messa, come noi» rispose
laconicamente lui. Non c’era calore nella sua voce, nessun indizio su quali
fossero le sue emozioni.
«Se non facciamo tardi, questa sera
possiamo andarci. Deve essere interessante» rifletté.
Andrea non rispose.
«Se non vuoi possiamo sempre…»
«Cosa ci fai qui?» la interruppe
Andrea, voltandosi.
Il cuore le balzò in gola e quasi
arretrò di fronte a quel tono brusco. Il tempo di comportarsi come bambini era
finito.
Silvia deglutì a vuoto, cercando di
ignorare il dolore alla bocca dello stomaco e la voglia di piangere. Non era
mai stato difficile parlare per loro, fino ad allora.
L’imbarazzo era una sensazione inedita,
spaventosa, che alimentava il rimorso e amplificava la paura, bloccando le
parole.
«Sono venuta per dirti che sono pronta»
balbettò, stringendosi le mani fino a farsi sbiancare le nocche.
«Pronta per cosa?»
«Pronta per stare con te… se mi vuoi»
dichiarò. La voce tremò, ma la sua espressione seria e amorevole non vacillò.
Pregò che Andrea potesse leggerle negli occhi la nuova risolutezza, la speranza
e il desiderio che non riusciva più a nascondere.
Era così difficile guardare quello
sconosciuto senza potersi avvicinare. Non era più il suo migliore amico, né il
suo amante. Era l’uomo che voleva accanto a sé, ma non sapeva come conquistare,
quello che aveva tutto il diritto di rifiutarla.
Il ragazzo aprì la bocca per parlare,
poi la richiuse e si mise a camminare avanti e indietro. La giustificata
sorpresa, che i suoi occhi spalancati comunicavano, mal si accordava con le
labbra serrate in un linea sottile e coi pugni che apriva e chiudeva con fin
troppa energia.
Silvia attese con ansia che scoppiasse,
che la frustrazione a stento contenuta si rivelasse in urla che avrebbero fatto
tremare le finestre. Il silenzio la stava uccidendo, la gelida calma di Andrea
la terrorizzava.
«Se io ti voglio…» ripeté pensieroso. «Io? Mi prendi per il culo?»
La ragazza inghiottì un groppo alla
gola e resistette alla tentazione di abbassare lo sguardo, mortificata.
Non
arrenderti.
Stava per rispondergli, quando Andrea
la interruppe con un tono concitato e disperato che non gli aveva mai sentito.
«È perché non ti ho più chiamata?
Prometto che lo farò almeno una volta alla settimana» propose, guardandola con
i suoi irrequieti occhi neri.
«Ti manderò delle mail» aggiunse
parlando tra sé. «Sì, è una buona idea! Ti manderò delle foto così potrai
vedermi e una volta al mese potremmo fare una videochiamata, okay?»
No, non andava per niente bene. Andrea
stava sragionando, la sua paura si abbatteva ad ondate su di lei e la giovane
non riuscì più a trattenere le lacrime.
«Andrea…» lo chiamò con voce debole e
addolorata.
«Non c’era bisogno che venissi fin qui»
la riprese. Il tono era ritornato gelido, distante. «Tornerò a essere il tuo
migliore amico presente e attento».
Silvia si portò una mano alla gola per
proteggersi da quelle parole che adesso non le recavano alcun sollievo, solo
una grande pena.
«Perché ti comporti così?» gli chiese,
alzandosi in piedi per fronteggiarlo.
Andrea arretrò, spezzandole il cuore.
Le sfuggì un singhiozzo, il mento le tremò in modo incontrollabile. Portò
entrambe le mani alle labbra per nascondere lo strazio.
«Perché ho paura di credere alle tue
parole, dannazione!» urlò lui, facendola sussultare. Il silenzio che seguì la
assordò, le colpe e le recriminazioni non espresse riempirono lo spazio tra
loro come fantasmi irridenti e ostili.
Silvia cercò in sé la forza per non
darsela a gambe levate, per rimanere lì e affrontare il peso dei suoi errori
senza nasconderli in un angolo del suo cuore come un tumore maligno che poco a
poco avrebbe divorato ciò che di bello c’era stato.
Non aveva più nulla da perdere, la
sincerità era la sua unica arma.
«Sono sfinita, Andrea» confessò, mentre
il dolore dei mesi precedenti le annebbiava la vista. «Sono così stanca di mentire e negarmi ciò che più desidero, di
far finta che tu sia solo un amico». Respirò a fondo, cercando di far passare
aria nella gola contratta. Fece un altro passo in avanti, senza però avvicinarsi
abbastanza da toccarlo.
Andrea la osservava con occhi spiritati
e frenetici. Impauriti.
«Non voglio che mi chiami una volta a
settimana e nemmeno vedere le tue foto sullo schermo di un computer».
Il petto del ragazzo si alzava e
abbassava come se avesse corso, il fiato sembrava mancargli per l’emozione e
Silvia abbozzò un tenero sorriso. Erano così giovani, inesperti e timidi che
avevano timore di allungare le mani e prendere ciò che era davanti a loro,
servito su un piatto d’argento.
«Voglio svegliarmi e trovarti accanto a
me, voglio aspettarti la sera e vederti alzare gli occhi al cielo perché non
sono stata capace di cuocere un uovo».
Gli poggiò una mano sulla guancia
ruvida e rabbrividì per quel contatto delicato che le comunicava con forza la
realtà di quel momento, la bellezza del poterlo sentire di nuovo vicino e
tangibile.
«Voglio addormentarmi con le tue
braccia strette intorno a me e aprire gli occhi al mattino con il tuo viso a
pochi centimetri dal mio. Voglio scoprire tutto di te…»
Abbassò il volto, incapace di sostenere
il suo sguardo, ma Andrea non glielo permise. Le mise un dito sotto al mento e
allacciò gli occhi ai suoi.
«Russi quando sei stanco? Lasci il
tappo del dentifricio sul lavandino?» gli domandò come se fosse fondamentale.
«Vedi, per me è importante sapere tutto» gli spiegò, temendo di sembrare una
pazza. «Io… quando si ama qualcuno funziona così, no?»
«Cosa?» domandò lui con voce roca,
irriconoscibile.
«Non sono così brava con le parole,
anche se ne uso tante» si scusò con un sorriso tremulo. «Sto cercando di dirti
che ti amo».
Andrea sussultò e si irrigidì.
«Smettila! Non dirlo se non ci credi» ringhiò, allontanandosi come una bestia
ferita.
Silvia gli afferrò la mano, incurante
della sua protesta.
«Ho sbagliato così tanto ma…voglio
dimostrartelo ogni giorno finché non sarai tu a crederci. E poi voglio farlo
ancora, perché non smetterò mai di amarti».
La ragazza riconobbe la prima crepa
nella maschera di rabbia e indifferenza dietro la quale Andrea si era nascosto.
Vide le pupille dilatarsi, le narici fremere, il muscolo della mascella
vibrare. Riflesso in ogni centimetro del volto amato, poté scorgere la dura
lotta tra la voglia di crederle e la paura che mentisse.
Il cuore le si gonfiò di speranza, le
mani le tremarono quando quell’emozione corse nelle sue vene, ubriacandola.
«Non potrei sopportare un tuo
ripensamento. Se è un capriccio, se è un modo per tenermi legato a te…»
Silvia lo zittì, posandogli un dito
sulle labbra.
«È una vita che ci penso, anche se non
lo sapevo. Sono stata una codarda per così tanto tempo» disse con rammarico.
«Mettimi alla prova, vendicati se ne hai bisogno, ma non mandarmi via.
Permettimi di restare con te» gli disse con la voce velata di pianto. «Ti
prego…»
Andrea afferrò la sua mano e la fissò
con i suoi liquidi occhi neri. Il cuore le batteva contro il petto con furia e
Silvia abbassò lo sguardo per paura che la speranza si risolvesse in un brusco
rifiuto.
Non accadde.
Andrea si portò la sua mano alla bocca
e le baciò l'interno del polso. Le
labbra si soffermarono su una vena azzurrina e indugiarono sulla pelle lattea e
morbida, in un tacito assenso.
Si ritrovò stretta tra le sue braccia
senza sapere come. Affondò il volto nel suo petto e pianse silenziosamente per
il sollievo, per la felicità, e la tensione finalmente lasciò la presa su di
lei. Si nutrì del suo profumo, della sicurezza delle sue braccia e dei sospiri
caldi che le sfioravano una tempia.
Non aveva mai immaginato che un
abbraccio potesse essere amore, bellissimo e puro. Non aveva mai saputo che
casa era il posto in cui il cuore si sentiva al sicuro e la mente serena.
Andrea era casa, era amore.
«Dimmelo, ti prego» sussurrò alzando il
viso. «Ho bisogno di sentirti dire che posso restare» lo pregò.
«Resta con me» assentì lui con la voce
roca per l'emozione, poi la baciò.
Le labbra si mossero prima impacciate,
poi riverenti e adoranti, e Silvia capì da cosa era scappata per tanti anni.
Il bacio fu tutto ciò che sapeva
sarebbe stato: esplosivo, magico. Non fu solo un incontro di labbra, fu lo
scambio di due anime che si erano sempre cercate, di due cuori che battevano
l'uno per l'altro senza saperlo. Terribile, spaventoso eppure bellissimo, fu la
promessa di affidarsi l'uno all'altro. Quell'impegno di reciproca devozione si
concretizzò in un cercarsi continuo di lingue, in mani che accarezzavano e
testavano, in sospiri che parlavano di felicità e sollievo. Erano insieme e
stringevano per mano il sogno che avevano creduto irraggiungibile, la speranza
che la pena aveva cercato di spazzar via senza mai riuscirci del tutto.
«Mi sei mancato così tanto» mormorò
contro le sue labbra.
«Era l'unico modo per…»
«Lo so» bisbigliò baciandolo ancora e
ancora. Andrea la sollevò e la fece sedere sul tavolo, senza staccare le labbra
dalle sue. Silvia allargò le gambe per fargli spazio e il ragazzo la baciò con
nuovo ardore. I vestiti furono strattonati, la concitazione li rese bruschi.
Erano affamati l'uno dell'altro, ma non incapaci di dare il giusto valore a
quel momento.
I respiri allora si fecero più lenti,
le carezze più dolci e attente. Andrea le prese il viso tra le mani e sondò i
suoi occhi.
La giovane sorrise e lasciò che la
guardasse, che cercasse e trovasse tutto ciò che gli serviva per sentirsi
rassicurato.
«Posso aspettare» le assicurò, negandosi
ancora una volta pur di non farle pressione.
Silvia sorrise maliziosamente e afferrò
i lembi della camicia bianca di Andrea.
«Io no».
Gli occhi di Andrea erano famelici e
avidi. Silvia arrossì quando lesse in essi un desiderio sfrontato, crudo, e per
la prima volta si sentì donna, sensuale e desiderabile.
Tese le braccia verso di lui,
esortandolo a raggiungerla. L’invito fu accolto con fervore. Il ragazzo si
stese su di lei e, tra baci travolgenti e mani ansiose, la spogliò.
Un sospiro tremante sfuggì a entrambi
quando i loro corpi nudi si incontrarono in un abbraccio appassionato. Le loro
mani si cercarono con impazienza, le gambe si intrecciarono, ancorandoli l’uno
all’altro in modo che non ci fossero nemmeno una manciata di centimetri a
dividerli.
Andrea accarezzò dolcemente la pelle
liscia della giovane donna, seguì il delicato profilo di ogni osso, la curva
del suo seno.
Silvia inarcò la schiena e si offrì
alle sue carezze, alle labbra che ne seguivano attentamente il percorso. Il
fiato caldo di Andrea la fece rabbrividire, i baci umidi e delicati la
trascinarono in un baratro di desiderio e bisogno.
Non aveva mai conosciuto una passione
tale ed ebbe paura di poter andare in mille pezzi da un momento all’altro. Si
strinse a lui, chiedendo di più, implorandolo affinché placasse quel desiderio
che minacciava di farla impazzire.
«Andrea…» ansimò, ma lui ignorò le sue
proteste, deciso a esplorare ogni centimetro della sua pelle.
Con una lentezza estenuante, le baciò
il ventre piatto, il seno, dedicò attenzione minuziosa alle clavicole, morse e
le succhiò il collo.
Si mosse freneticamente sotto di lui,
gli piantò le unghie nelle spalle per comunicargli l’urgenza e la voglia che i
loro corpi si unissero.
«Ti voglio…» riuscì a dire, tra respiri spezzati e gemiti
rochi.
Lui ignorò quel richiamo e continuò la
sua esplorazione. Silvia gli afferrò i capelli e provò a tirarlo verso la sua
bocca orfana e affamata, ma il ragazzo le ghermì entrambe le mani baciando ogni
dito, il palmo, il polso e l’interno dei gomiti con una reverenza che sfiorava
il panico.
Silvia liberò le braccia dalla presa
ferrea del suo amante e gli incorniciò il viso tra le mani.
«Non scapperò» promise, fissando i suoi
occhi smarriti. «Avremo intere notti per conoscerci» lo rassicurò. «Avremo
mesi, anni. Non ti lascerò mai».
Andrea si irrigidì quando le parole
fecero breccia nella sua mente annebbiata dalla passione e nel suo cuore ancora
schiavo della paura. Silvia lo baciò dolcemente, giocando con il suo labbro
inferiore, mordendo e leccando il profilo delle sue labbra.
Silvia sentì a poco a poco la tensione
abbandonarlo, la risposta del suo corpo farsi più violenta. Le saccheggiò la
bocca e lei lo accolse con il cuore gonfio d’amore e le membra frementi per
l’eccitazione.
Le carezze di Andrea divennero più
audaci e il corpo di lei si contorse in preda alla smania di sentirlo dentro di
sé.
Le mani forti e affusolate del ragazzo
si fecero strada tra le sue cosce. Sollevò i fianchi per andare incontro a
quelle dita che la tormentavano, titillando e riempiendola.
«Ora Andrea, ora!» implorò. Il ragazzo
annuì impercettibilmente e modellò i fianchi contro i suoi. Intrecciarono le
mani e si guardarono negli occhi, esprimendosi mute promesse d’amore, mentre si
spingeva dentro di lei con squisita lentezza.
Silvia urlò quando un violento orgasmo la travolse. La vista si
annebbiò, il suo corpo fu sommerso da una miriade di sensazioni che si
agitavano impetuose nella tempesta dei sensi. Si aggrappò alle spalle
dell’uomo, morse e graffiò le sue spalle, soffocò i gemiti sul suo petto e
singhiozzò per l’intenso piacere.
«Ora sei mia» ringhiò Andrea, in preda
all’estasi.
«Sì, sì, sì…» gli rispose, incoerente.
Strinse le gambe intorno ai suoi fianchi e si sollevò per prenderlo più in
profondità, per sentirlo nella sua carne come se fossero un solo corpo. Quel
gesto fece perdere ad Andrea il ferreo controllo che aveva esercitato fino a
quel momento e la dolcezza dei suoi movimenti misurati venne sopraffatta dal
desiderio di soddisfare il proprio corpo. Il ragazzo allora si lanciò verso
l’appagamento con spinte sempre più potenti e veloci. Silvia lo osservò
inarcare la schiena ed esalare un gemito roco e disinibito, mentre raggiungeva
il delirio dei sensi.
Bastò quell’immagine affinché lo
seguisse ancora una volta in quell’estasi suprema.
Andrea ricadde su di lei e affondò il
viso nel suo collo. Lo accarezzò, cercando di calmare i tremiti che lo
scuotevano, gli tempestò il viso con dolci baci e lo cullò tra le sue esili
braccia come un tesoro prezioso.
Il ragazzo rotolò su un fianco e si
mise di fronte a lei, così che potessero guardarsi negli occhi. Fu difficile
sostenere lo sguardo luminoso del suo amante, vedere le iridi scure lucide per
la commozione. I sensi di colpa tornarono a farsi vivi, ma li scacciò con
decisione. Non voleva che inquinassero
il loro rapporto, rendendolo una corsa all’assoluzione. Doveva solo convincerlo
che non sarebbe mai andata via e poi godersi i giorni con lui.
«Ti amo» sussurrò.
Andrea le accarezzò una guancia,
sorridendo a mezza bocca.
«Sarei venuto a Roma tra un paio di
mesi» le disse, continuando a tracciare il profilo dei suoi zigomi. «Monica lo
sa».
«Lo sapevo anch’io» ammise, voltando il
viso per baciargli il palmo della mano.
Parve sorpreso. «Perché non hai
aspettato che tornassi?»
Silvia sorrise e gli strofinò il
pollice sulle labbra. Sarebbe stato difficile smettere di toccarlo, ragionò.
Nei mesi a venire il terrore che quel sogno potesse sfuggirle l’avrebbe
minacciata continuamente, solo stringerlo a sé l’avrebbe rassicurata.
«Non volevo che mi cercassi, spettava a
me dimostrarti quanto ho bisogno di te» spiegò semplicemente.
«Hai preso un aereo» rifletté Andrea.
Un’espressione compiaciuta sostituì la cauta sorpresa di poco prima. «Tu hai
paura di volare».
«A quanto pare basta una tisana
calmante e una playlist di canzoni natalizie della durata di tre ore e puff! Paura svanita» sorrise radiosa.
Il ragazzo scoppiò a ridere e la
strinse ancora un po’. Silvia appoggiò le mani sul suo petto e continuò a
guardarlo, senza nascondere la propria felicità.
«Hai fatto acquisti a Camden».
«Hai visto che belle cose ho comperato?
Non immagini quante altre sono ancora nelle buste all’ingresso» lo avvisò.
Andrea alzò gli occhi al cielo, in un
gesto così familiare e caro che Silvia dovette trattenere le lacrime.
«Come te la sei cavata con l’inglese?»
si informò con le labbra che tremavano nel tentativo di nascondere un’altra
risata.
«Malissimo» ammise, ma senza la solita
irritazione. «Migliorerò» affermò fiduciosa.
Le labbra di Andrea si spalancarono per
lo stupore. «Chi sei?» le chiese intontito.
«Sono la solita deficiente, solo con
altre priorità» affermò allegramente. Il sorriso si spense quando l’espressione
del ragazzo si fece seria.
«Hai detto che vuoi rimanere qui. Sai
cosa significa? Dovrai lasciare Roma».
La stava mettendo alla prova e, benché
non le piacesse la mancanza di fiducia, si rilassò nel suo abbraccio e gli
rispose con gran tranquillità.
«Non c’è nulla che non farei per stare con te» gli disse scandendo le
parole. «Non ci sono più aerei, lingue sconosciute o città straniere in grado
di spaventarmi. L’unica paura che ho, è quella di stare ancora un giorno
lontana da te».
Andrea la strinse così forte da farle
male. L’impeto con cui la abbracciò l’avrebbe fatta sorridere in un altro
momento, ma quella notte di Natale, mentre quel ragazzone enorme tremava tra le
sue braccia, riusciva solo a ringraziare il cielo per esser stata così
fortunata.
«Dio, quanto ti amo!» esclamò Andrea,
poi prese possesso delle sue labbra. Glielo ripeté ancora, tra un bacio e
l’altro, e se lo dissero con ogni gesto nelle ore successive in cui il ritmo
dell’amore li avvinse nuovamente.
Solo più tardi, quando il Big Ben
scoccò la mezzanotte e si furono scambiati gli auguri, decisero di riposare.
Si coprirono con il piumino e si
accoccolarono al centro del grande letto, così vicini che nulla avrebbe potuto
dividerli. Il sonno stava per sopraffarli e, prima di abbandonarsi a dolci
sogni, Andrea le chiese che odore avesse per lei il Natale di Londra. «Noi» gli
rispose con un sorriso. «Sa di noi».
«Ho
deciso che sarai il mio migliore amico» gli disse Silvia, mentre scriveva il
risultato di un’equazione sul quaderno. Il suo compagno di banco, Andrea, si
girò verso di lei con un’espressione sorpresa dipinta sul volto e un sorriso
aperto e gentile.
«Perché?»
le chiese confuso. La domanda era legittima, si conoscevano solo da due
settimane. «Per quello» gli rispose, indicandogli le labbra con una penna. «È
un sorriso che voglio vedere per il resto della mia vita».
FINE
CHI E' L'AUTRICE
Angela D'Angelo nasce a Napoli il 28 maggio 1992. Fin da bambina
scopre la passione per la lettura grazie alla fiabe di Andersen.
Ha vinto il concorso Senza Fiato, indetto
dal blog La mia biblioteca romantica, con il racconto Romatic Suspense
“Mai più senza di te”( leggi QUI). Per la rassegna Una romantica estate indetta da La mia biblioteca romantica ha
pubblicato il racconto “Le conseguenze dell’amore” ( leggi QUI).
Il suo racconto “L'ultima
spedizione” è stato selezionato per l'antologia “Mele
avvelenate” di prossima pubblicazione per la casa editrice La mela
avvelenata. Per lo stesso editore ha scritto un racconto pubblicato nel
novembre 2013 per l’antologia “Merry Christmas with Mr. Death”.
Studia Biotecnologie Mediche
all’Università Federico II di Napoli e contemporaneamente continua a
seguire il suo sogno: diventare una scrittrice. E’ una delle founder del blog
Insaziabili Letture dove condivide le sue passioni per la lettura e la
scrittura.
TI E' PIACIUTO IL PROFUMO DEL NATALE ? COSA NE PENSI? LASCIA UN TUO COMMENTO.
CI SONO ALTRI RACCONTI DI CHRISTMAS IN LOVE IN ARRIVO SUL BLOG FINO AL 6 GENNAIO. CONTINUA A SEGUIRCI!
Wow ...è il primo racconto che leggo Angie e devo dire che mi hai fatto emozionare e qualche lacrima è scappata .È da un bel po che volevo leggere qualcosa di tuo e sono felice di averlo fatto con questo racconto di Natale .Complimenti sei veramente bravissima tesoro. Cercherò di leggere anche gli altri racconti che hai pubblicato. ♥
RispondiEliminaSei stata una riconferma, ogni racconto che scrivi mi piace un sacco, ma questo mi ha davvero colpita :) penso che tu abbia uno stile fluido e maturo, oltre al fatto che punti molto sulle emozioni dei personaggi... gli intermezzi che mescolano passato con presente mi sono piaciuti molto, hanno permesso di comprendere appieno il rapporto tra i due. Direi che ci sono tutti gli ingredienti per un racconto perfetto ;)
RispondiEliminaBello, mi è proprio piaciuto, brava complimenti
RispondiEliminaQuesto racconto mi è piaciuto molto, l'ho trovato coinvolgente ed emozionante. Ho trattenuto il fiato per tutta la parte in cui Silvia cerca di convincere Andrea del suo amore. Che coppia dolce! ^_^
RispondiEliminaSono contenta vi sia piaciuto ^_^
RispondiEliminaGrazie per i vostri bellissimi commenti...davvero grazie!
emozionante..dolce..mi e' piaciuto molto e dico......BRAVA
RispondiEliminaRacconto bellissimo e dolcissimo! Sei la mia autrice romance preferita Angie! Anzi il tuo è l'unico romance che riesca a leggere. I tuoi scritti, questo incluso, non sono mai scontanti e sempre avvincenti. Non si può fare a meno di immedesimarsi nei personaggi soffrendo e gioendo con loro. Diventerai un'autrice di successo tesoro! ♥
RispondiEliminaLa mia opinione la sai già... ma la dico anche qui: sei veramente ECCEZIONALE!!!!!
RispondiEliminaHo letto tutti i tuoi scritti (non ne perdo uno, peggio di uno stalker ;) ) e questo racconto rientra tra i miei preferiti. Da inguaribile romantica e fan del Natale, non potevo non amarlo: ci sono tutti gli ingredienti per il clima natalizio! Speranza, magia, perdono ed amore. Come poteva non piacermi? ^_^
Per finire... ti ringrazio di avermi dato la possibilità di farti da consulente, per me è un onore e un piacere! BRAVISSIMA!!!!
Bello ed emozionante complimenti spero che continuerà i a scrivere magari anche romanzi oltre che novelle così potremo stare in tua compagnia più a lungo
RispondiEliminaUn racconto natalizio davvero emozionante...un modo per me di ricordare cosa significa essere giovani e appassionati. Questo racconto è il sogno di essere coraggiosi e andare "fino in capo al mondo" per amore.
RispondiEliminaUna bella fiaba scritta con il cuore...BRAVA!
Katia
Che dire della nostra Angela? Migliora di giorno in giorno, si mette in discussione sempre, prova nuove strade per trovare la sua...
RispondiEliminaTi adoro, si capisce? :)))))
Non ho parole.
RispondiEliminaAnche questa volta mi hai lasciata a bocca aperta. Non dovrebbe succedere visto che ti conosco e so quanto sei dotata ma leggere i tuoi racconti è sempre un'emozione unica.
La storia è scorrevole e lo stile chiaro e accattivante. Il passato e presente si mescolano in modo perfetto senza creare confusione ma dando al lettore un quadro completo della storia passata dei protagonisti.
Sai che non mi commuovo facilmente quando leggo ma, sarà per la storia che sento particolarmente familiare (come ben sai), ho terminato la lettura con le lacrime agli occhi e un grosso groppo in gola. Ho avuto il cuore stretto in una morsa da quando Andrea entra in casa e la vede. Hai creato la giusta suspance emotiva senza affrettare la situazione e facendo bramare al lettore ogni rigo per poter finalmente leggere del loro lieto fine.
Non so che altro dire se non BELLISSIMO!
Sbrigati a laurearti perché so che prima non riusciremo a leggere un tuo romanzo. Intanto ci accontenteremo dei tuoi racconti che, fortunatamente, non ci fai mai mancare.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaOh Angela...tu sai che sono di lacrima facile!!! Bellissimo racconto,emozionante nonostante la brevità.Meraviglioso Andrea,lo adoro...quanta pazienza!!!Complimenti tesoro,bravissima!!!
RispondiEliminaBellissimo racconto Angela, adoro Londa ( Camdem poi ancora di più penso di aver visto lì lepiù belle scarpe di sempre!) e la storia di Andrea e Silvia è dolce e coinvolgente! I personaggi si presentano molto bene e credo che sarebbero perfetti anche per una storia più lunga ed articolata! Grazie mille e alla prossima
RispondiEliminaSplendore!! Questo racconto mi è piacituto un sacco! Come sempre sai emozionare e rendere vivide le immagini nella nostra mente.
RispondiEliminaSei un dannato genio tesoro :)